Nel
canale Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=1Uv_rMiAHYg è possibile
ascoltare un video intitolato «L'APPARENTE APORIA DELL'IDENTITÀ E DELLA
DIFFERENZA (L'ONTOLOGIA DI EMANUELE SEVERINO). GLI SCHERZI DELL'INTELLETTO
ASTRATTO».
In esso Marco CANZIANI
afferma quanto segue:
<<L’intelletto astratto dice che l’identità, non
essendo la differenza, è già in sé stessa differenza; e la differenza, essendo
identica a sé, è già in sé identità. La differenza è identità e l’identità è
differenza, e da questa aporia dell’intelletto astratto ne deduce che sia
l’identità che la differenza sono un che di contraddittorio. Questa aporia è
solo apparente, ed è determinata, ben appunto, dall’intelletto astratto. Quell’essente
che è, ad esempio, questo tavolo, è sintesi di forma e contenuto, cioè è
sintesi di persintassi e iposintassi. Detto altrimenti; l’essente, nello
specifico questo tavolo, è sintesi di essere formale e di quelle
caratteristiche particolari che lo determinano come tavolo, e quindi come
differente da questa sedia. La persintassi è ciò che mi permette di dire che,
sia la sedia che il tavolo, così come tutti gli altri essenti qui presenti, sono
tutte determinazioni dell’essere. Sotto il rispetto della persintassi, cioè in
quanto alla forma, tavolo e sedia sono identici, così come sono identici tutti
gli essenti qui presenti. Sotto il rispetto dell’iposintassi, cioè in quanto al
contenuto, invece, sono diversi, sono dei differenti. È in virtù delle loro
caratteristiche specifiche che posso dire che la sedia non è il tavolo, ossia
che sono differenti. La persintassi, senza l’iposintassi, non esiste, e lo
stesso vale per l’iposintassi: l’iposintassi senza la persintassi non esiste. Come
non esiste una forma che non abbia un contenuto, così non esiste un contenuto
che non abbia una forma. […] Identità e differenza sono due
determinazioni persintattiche, e in quanto tali non esistono indipendentemente
dal contenuto iposintattico. L’identità è sempre identità di un qualcosa con sé
stesso e la differenza è sempre la differenza di un qualcosa dal proprio altro.
L’essente,
che è sintesi di forma e contenuto, cioè di persintassi ed iposintassi, è
identico e differente, ma ben appunto, è identico a sé, differente lo è solo
dal proprio altro. L’essente non è differente da sé e identico al proprio altro.
L’intelletto astratto potrebbe ribadire dicendo che ciò a cui esso si riferisce
non sono l’identità in quanto è l’identità del tavolo, e la differenza in
quanto è la differenza del tavolo dalla sedia, ma è l’identità in quanto
identità, cioè in quanto essente persintattico. È l’identità in quanto essente
persintattico a non essere quell’altro essente persintattico che è la
differenza, perché l’essente persintattico-identità non è l’essente
persintattico-differenza, e l’essente persintattico-differenza è sé stesso e
non è altro da sé. L’identità e la differenza sono, come appena detto, due
essenti persintattici, costituiscono la forma. Parlare dunque di identità e di
differenza in sé stesse e di per sé stesse, cioè parlare di identità e di
differenza pure, indipendentemente dall’iposintassi cioè indipendentemente dal
contenuto di cui sono la forma, equivale a parlare di forma pura senza un
contenuto, è come parlare di essere formale senza determinazioni, cioè
significa parlare di nulla, ossia parlare di qualcosa che non esiste. Non si
possono prendere in considerazione due determinazioni persintattiche in sé e di
per sé, come se esistessero separatamente dall’iposintassi. La forma è sempre
solo forma di un contenuto. Detto altrimenti, la persintassi esiste solo in
quanto è in sintesi con l’iposintassi. Non si possono paragonare tra di loro
due essenti persintattici come se si trattasse di questa sedia e di questo
tavolo. Paragonare l’identità in sé e di per sé alla differenza in sé e di per
sé, significa paragonare due cose che non esistono. La differenza pura, e
l’identità pura, sono come il puro essere o la pura forma: non ci sono; e
l’essente nella sua concreta sintesi di persintassi ed iposintassi è identico a
sé e diverso, ma diverso non da sé, bensì dal proprio altro. L’essente è
identico-diverso sotto due rispetti diversi>>.
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Bene.
L’APORIA
qui in oggetto concerne il binomio semantico costituito
dall’IDENTITÀ-DIFFERENZA, la cui contraddittorietà è data dall’innegabile DISTINZIONE
dei significati IDENTITÀ-DIFFERENZA e dalla contemporanea ed altrettanto
innegabile INDISTINZIONE
degli stessi.
Diciamo subito che, nonostante le precisazioni di Marco CANZIANI, NON CAMBIA NULLA ai fini della suddetta APORIA.
Infatti, caliamoci nel piano iposintattico, come vuole Marco CANZIANI.
Qui vediamo che l’IDENTITÀ-tavolo DIFFERISCE da ogni altro
DIFFER-ente, esattamente come l’IDENTITÀ, nel PLESSO persintattico IDENTITÀ-DIFFERENZA
(vedasi più sotto), DIFFERISCE dalla DIFFERENZA.
Quindi, così DIFFERENDO, l’IDENTITÀ È IN-UNO DIFFERENZA, esattamente come nel
piano ontico-iposintattico, l’IDENTITÀ-tavolo, DIFFERENDO dall’IDENTITÀ-albero,
È IN-UNO un’IDENTITÀ-DIFFERENZA.
Nemmeno i RISPETTI ( = RISPETTO a sé e RISPETTO all’altro da
sé) evocati da Marco CANZIANI riescono a togliere l’APORETICITÀ
del rapporto IDENTITÀ-DIFFERENZA, come vedremo.
Ma analizziamo più da vicino e con ordine la questione.
La contraddittoria relazione dell’IDENTITÀ-DIFFERENZA non
nasce da una considerazione ASTRATTA o PURA dei due significati, cioè <<come se
esistessero SEPARATAMENTE dall’iposintassi>>, che peraltro nessuno
ha mai sostenuto.
Invece, il punto centrale consiste nel vedere COME l’IDENTITÀ e la
DIFFERENZA si manifestino realmente <<in sé stesse e di per sé stesse>>,
giacché è sul fondamento del loro significare che ogni/qualsiasi iposintassi è
ciò che appare essere.
Infatti, se IGNORIAMO questo passaggio, NON possiamo,
POI, leggere l’iposintassi alla luce di quei due significati, e neppure possiamo
capire la DIFFERENZA tra persintassi ed iposintassi o la DIFFERENZA tra forma e
contenuto né la differenza tra essere ed ente, se appunto PRIMA non
viene chiarito il comportamento semantico dell’IDENTITÀ e della DIFFERENZA nel
loro costituirsi come unitario quanto universale plesso ontologico, in quanto
esso TUTTO informa di sé.
Esso potrebbe ben essere definito una IPER-ipersintassi,
giacché rispetto a tutte le altre persintassi, il plesso-IDENTITÀ-DIFFERENZA è
lo stesso ESSERE considerato quale universale concreto, includente cioè
le determinazioni, gli enti.
Non a caso l’APORETICITÀ del nostro plesso EQUIVALE all’APORETICITÀ del
rapporto ESSERE-DETERMINAZIONE (vedasi i post nn. 86,
90, 92 e 93), o
persintassi-iposintassi nonché dell’essere-nulla.
Infatti, dire ESSERE è dire una sorta di brachilogia
dell’IDENTITÀ-DIFFERENZA.
Pertanto è imprescindibile considerare l’IDENTITÀ e la
DIFFERENZA DISTINTAMENTE
(che non vuol dire affatto SEPARATAMENTE!) dall’iposintassi,
esattamente come è necessario considerare DISTINTAMENTE l’essere dalla determinazione, la
forma dal contenuto e l’essere dal nulla.
Se così non procedessimo, non potremmo mai comprendere in
virtù di CHE COSA si DISTINGUANO (e quindi CHE COSA significhino) la
persintassi dall’iposintassi, la forma dal contenuto, l’essere dall’ente e
l’essere dal nulla.
Invece, constato che Marco CANZIANI
possa affermare ciò che ha detto nel suo video
(intelletto astratto, separazione dei termini, sintesi, etc…), soltanto perché
i due significati di IDENTITÀ e DIFFERENZA sono da lui GIÀ DATI PER SCONTATI
ed utilizzati come tali, cioè SENZA AVERLI PRIMA ANALIZZATI nel loro intrinseco valore
semantico.
D’altronde, l’IDENTITÀ e la DIFFERENZA possono informare di
sé tutte le altre SINTESI (persintassi-iposintassi, forma-contenuto
essere-determinazione, etc…), soltanto se l’IDENTITÀ e la DIFFERENZA sono
esse stesse già una SINTESI semantica CONCRETA operante sempre ed ovunque, dove
per CONCRETA
s’intende che nessuno dei due significati è considerato isolatamente cioè
prescindendo dall’altro.
In caso contrario, il PLESSO IDENTITÀ-DIFFERENZA non potrebbe
mai fungere da presupposto necessario alla DISTINZIONE vigente tra persintassi
e iposintassi, o tra forma e contenuto o tra l’essere e la determinazione, il
quale plesso, pertanto, è già attivamente implicato a monte di OGNI
considerazione.
Perciò, affermare che
<<Paragonare l’identità in sé e di per sé alla
differenza in sé e di per sé, significa paragonare due cose che non esistono.
La differenza pura, e l’identità pura, sono come il puro essere o la pura
forma: non ci sono>>,
è SBAGLIATO, giacché equivale a NON DISTINGUERE l’IDENTITÀ
dalla DIFFERENZA, dato questi due significati ESISTONO in quanto significati e
non come <<due cose
che non esistono>>, quindi affermare quanto sopra equivale a
PERDERLI, poiché viene PERDUTA la loro DISTINZIONE e quindi il loro
stesso determinarsi/significare.
Ed è altresì SBAGLIATO perché <<il puro essere o la
pura forma>> ESISTONO
NON separatamente l’uno dall’altro bensì, ripeto, DISTINTAMENTE.
Il nostro plesso NON ESISTE NEL MODO in cui
esiste un tavolo o un albero, perché la sua esistenza consiste nell’INCARNARSI
in (o come) ogni tavolo, in ogni albero, etc…, ma, proprio per questo e quindi DEL
TUTTO APORETICAMENTE,
esso ESISTE (anche) COME tavolo, COME albero etc…, giacché OGNI iposintassi,
ogni sia pur esigua o evanescente parte di qualsiasi ente, altro non è che la
manifestazione empirica (senza residui ‘neutrali’, diciamo così) della medesima
sintesi trascendentale di IDENTITÀ-DIFFERENZA.
Quindi, sempre secondo la teoresi severiniana, il plesso in
oggetto è da considerarsi comunque come un’IDENTITÀ CON SÉ, consistente appunto
nell’esser QUEL preciso plesso onnipresente ( = significante) IN o COME TUTTO.
Senonché _ ed ecco un’altra APORIA _, esso è una persintattica IDENTITÀ-DI-DIFFERENTI,
anzi, di OPPOSTI.
Perché OPPOSTI?
Per capirlo, basta prendere la proposizione:
(1)- l’IDENTITÀ-CON-SÉ e DIFFERENZA-DAL-PROPRIO-ALTRO ( =
l’essere),
trasformandola ne:
(2)- l’IDENTITÀ-CON-L’ALTRO e DIFFERENZA-DA-SÉ ( = il nulla).
Per Severino, la (2) rappresenta la quintessenza
dell’ASSURDO, dell’IMPOSSIBILE, mentre la (1) indica la stessa
INCONTRADDITTORIETÀ.
È quindi evidente la ragione che fa dell’IDENTITÀ e della
DIFFERENZA due OPPOSTI.
Nella proposizione (2), i due termini non hanno mutato
significato rispetto alla (1), ma è chiaro che se l’ente-X è DIFFERENTE-DA-SÉ,
allora esso è OPPOSTO-A-SÉ.
Infatti, IDENTITÀ è/significa: NON-DIFFERENZA,
e DIFFERENZA è/significa: NON-IDENTITÀ;
Ciascun termine è la NEGAZIONE dell’altro.
Il fatto ‘increscioso’ è che la (1), pur mantenendo sempre il
suo valore o significato, si rivela al contempo anche (e sempre) come la (2)!
Sì, perché l’IDENTITÀ-CON-SÉ da parte dell’IDENTITÀ
(quale primo termine della sintesi o plesso), DIFFERENDO dall’altro termine, si costituisce
come DIFFERENZA proprio nel suo (dell’IDENTITÀ) differire dalla differenza,
quindi differisce senza differirne, rivelandosi esser IN-UNO-IDENTITÀ-E-DIFFERENZA.
Cosicché l’IDENTITÀ-CON-SÉ da parte dell’IDENTITÀ si
riveli al contempo come NON-IDENTITÀ-CON-SÉ o come DIFFERENZA-DA-SÉ.
Idem dicasi per l’altro termine del plesso: la DIFFERENZA.
Questa, al contrario dell’IDENTITÀ che esprime l’UNO o
l’ESSER-SÉ, esprime invece il MOLTEPLICE o l’ALTERITÀ, cioè il NON-ESSER-SÉ perché,
se anche la DIFFERENZA dicesse l’ESSER-SÉ, allora essa non differirebbe
dall’IDENTITÀ alla quale, sola, spetta di dire e di essere l’IDENTITÀ, per cui dicendo
che x differisce da y, diremmo che x è l’ESSER-SÉ di (o
IDENTICO a) y, anziché che x è il NON-ESSER-SÉ di (o DIFFERISCE da) y.
Ciò nonostante, proprio perché la DIFFERENZA NON è (cioè
DIFFERISCE da) l’IDENTITÀ, non ne differisce, giacché DIFFERENZA È ( = ESSER-SÉ) e significa sempre
e soltanto DIFFERENZA, cosicché la DIFFERENZA-DAL-PROPRIO-ALTRO da parte della DIFFERENZA
si riveli al contempo come NON-DIFFERENZA-DAL-PROPRIO-ALTRO (cioè
dall’IDENTITÀ) o come IDENTITÀ-CON-L’ALTRO (con l’IDENTITÀ,
indistinguibilmente da questa).
Pertanto, il PLESSO-IDENTITÀ-DIFFERENZA, proprio nel suo
costituirsi come sintesi di due innegabilmente DIFFERENTI significati _ dato
che l’IDENTITÀ ESCLUDE
sempre di significare DIFFERENZA e viceversa _, PONENDOSI SI TOGLIE, SI NEGA,
giacché l’un significato È (E SIGNIFICA) SEMPRE ANCHE L’ALTRO, CONTEMPORANEAMENTE!
Ciascun dei due significati è IN SÉ CONTRADDITTORIAMENTE
DOPPIO cioè OPPOSTO A SÉ, poiché ciascuno di essi significa SÉ-E-L’ALTRO-DA-SÉ.
Ovvero:
IDENTITÀ significa: IDENTITÀ-E-DIFFERENZA,
cioè: IDENTITÀ-E-NON-IDENTITÀ, al contempo e
sotto il medesimo rispetto;
DIFFERENZA significa: DIFFERENZA-E-IDENTITÀ,
cioè: DIFFERENZA-E-NON-DIFFERENZA, al contempo
e sotto il medesimo rispetto.
Di modo tale che l’IDENTITÀ e la DIFFERENZA si rivelino esser
INDISTINGUIBILI pur
nella loro palese distinzione; CONTRADDITTORIE pur nel loro incontraddittorio
significare.
L’APORIA delle APORIE consiste perciò
nel rilievo secondo cui l’IDENTITÀ, per significare sempre e soltanto
IDENTITÀ,
deve al contempo NON significare MAI DIFFERENZA, quindi deve SEMPRE
restar differente dalla DIFFERENZA, giacché se non si differenziasse
dalla differenza, sarebbe identica ad essa; al contempo, proprio differenziandosene,
è l’IDENTITÀ stessa a costituirsi come DIFFERENZA, cioè come quell’altro
da sé cui è la DIFFERENZA, cosicché quest’ultima non sia più il suo altro,
distinto dall’IDENTITÀ, perché tale DIFFERENZA È LA
STESSA IDENTITÀ.
Ma l’APORETICITÀ
del nostro plesso NON si ferma qui, bensì procede ad esplicitarsi
ulteriormente.
Come detto, esso è un’APORETICA IDENTITÀ-DI-OPPOSTI, ed in quanto è
tale, esso è una NON-IDENTITÀ-CON-SÉ, ossia è un (o IL) DIFFERIRE-DA-SÉ.
A riconferma di ciò, si può dire che non avendo alcunché
d’altro DA CUI DIFFERENZIARSI, appunto perché tale coppia di significati NON LASCIA NULLA AL
DI FUORI della propria ‘giurisdizione’ ontologica, per cui il significato di
DIFFERENZA (nonché OGNI differenza) è già ricompreso nel plesso (e non vi possono esser molteplici significati di
DIFFERENZA ma uno soltanto), ecco allora che esso, proprio perché NON può DIFFERENZIARSI
da alcunché, NON
può neppure essere IDENTICO-A-SÉ, visto che ogni identità-con-sé è tale se e
soltanto se essa DIFFERISCE DA qualcos’altro.
Ora veniamo alla cosiddetta IPOSINTASSI.
Scrive
Marco CANZIANI:
<<Sotto il rispetto della persintassi [ =
l’essere], cioè in quanto alla forma, tavolo e sedia sono identici, così
come sono identici tutti gli essenti qui presenti. Sotto il rispetto
dell’iposintassi [ = le determinazioni], cioè in quanto al contenuto,
invece, sono diversi, sono dei differenti>> qui, a sua insaputa,
Marco CANZIANI ha espresso l’APORIA del rapporto ESSERE-DETERMINAZIONE (o APORIA della
persintassi-iposintassi), per la quale rimando, come già indicato, ai post nn. 86, 90, 92 e 93.
Sul piano ontico-manifestativo _ a
valle _, Marco CANZIANI fa notare che
<<L’essente, che è sintesi di forma e contenuto,
cioè di persintassi ed iposintassi, è identico e differente, ma ben appunto, è
identico a sé, differente lo è solo dal proprio altro. L’essente non è
differente da sé e identico al proprio altro>>;
cioè l’ente-x è sì identico ed al
contempo differente, ma identico RISPETTO a sé e differente RISPETTO
al proprio altro (y), senza contraddizione, poiché i RISPETTI sono
appunto DIFFERENTI. Ad esempio: un uomo è contemporaneamente
alto-e-basso; ma è alto RISPETTO ad una formica, ed è basso RISPETTO
ad un albero.
Senonché, sul piano ontico-iposintattico, i
due RISPETTI salvaguardano le determinazioni ( = alto e basso, bianco
e nero…) dalla simultanea CONTRADDITTORIETÀ che invece investe i
significati di IDENTITÀ e DIFFERENZA anche sul piano iposintattico/empirico,
oltre che ontologico/persintattico, giacché alto e basso, o bianco e nero
(etc…) sono determinazioni ontiche/iposintattiche, NON TRASCENDENTALI.
Quindi, se s’afferma che un uomo è alto-e-basso
secondo RISPETTI DIFFERENTI, non c’è contraddizione; invece, ciò non vale per
l’IDENTITÀ-DIFFERENZA, ossia per esse NON valgono i
RISPETTI, perché, ripetiamolo, l’IDENTITÀ-E-DIFFERENZA sono significati
UNIVERSALI-TRASCENDENTALI-INTRASCENDIBILI che tutto informano di sé, mentre ALTO-E-BASSO
NO, essendo
questi circoscritti e limitati e sovente del tutto assenti (una superficie
piatta non è né alta né bassa; un punto non è né alto né basso; un colore non è
né alto né basso; ma TUTTI E TRE SOTTOSTANNO all’IDENTITÀ-DIFFERENZA).
Se infatti dello stesso uomo si afferma che la
sua IDENTITÀ-uomo DIFFERISCE RISPETTO all’IDENTITÀ-albero, si afferma
quella contraddizione consistente nel fare dell’IDENTITÀ-uomo (e qui l’IDENTITÀ e la
DIFFERENZA sono sempre significanti nell’identico modo in cui lo sono nel piano
trascendentale) una DIFFERENZA
in quanto, appunto, l’IDENTITÀ-DIFFERISCE: l’IDENTITÀ-È-DIFFERENZA o
NON-IDENTITÀ.
Che l’IDENTITÀ-uomo sia al contempo in sé
una DIFFERENZA, non fa dell’uomo un albero; fa dell’uomo (come di una qualsiasi
altra identità/ente) un DIVENIENTE,
ossia un’IDENTITÀ mai identica a sé in quanto diacronicamente SEMPRE DIVENIENTE/DIFFERENZIANTESI
ovvero SEMPRE TOGLIENTESI
COME IDENTITÀ.
Sempre in relazione ai due DIFFERENTI
RISPETTI, che si ritengono capaci di evitare la contraddizione circa
l’identità e la differenza; in realtà la RI-CONFERMANO.
Infatti, i due differenti RISPETTI sono
riferiti alla MEDESIMA
IDENTITÀ-uomo la quale, perciò, si ritrova esser IN SÉ DOPPIA,
poiché essa, essendo SIMULTANEAMENTE
relata a due differenti RISPETTI (albero e formica), è SIMULTANEAMENTE
IDENTITÀ-E-DIFFERENZA IN UNO
cioè, appunto, RISPETTO A SÉ ed IN SÉ, ove il suo
esser differenza (cioè l’altro RISPETTO) non subentra in un momento
successivo al primo RISPETTO, quasi che l’identità possa esser identità RISPETTO
a sé senza al
contempo
tener conto del (o prescindendo dal) secondo RISPETTO all’altro da sé,
giacché questo altro è ciò che determina l’identità come identità (e che
al contempo la TOGLIE come identità), e quindi esso è SIMULTANEO al primo RISPETTO,
sì che l’esser APORETICAMENTE IDENTITÀ-E-DIFFERENZA da parte
dell’identità non sia una diacronìa (cioè: prima l’identità è identità, poi è differenza)
bensì UNA SINCRONIA, diacronico essendo soltanto il riverbero di
tale contraddittorietà ontologica nell’identità ontica (nell’ente) il cui TOGLIMENTO
(dell’identità dell’ente) costituisce il suo DIVENIRE-ALTRO.
D’altronde questo è il destino di ogni IDENTITÀ ontica
(non astrattamente intesa) cioè a valle: PORSI-E-TOGLIERSI
ossia non riuscire mai a porsi, e questa incapacità si chiama:
DIVENIRE-ALTRO-DA-SÉ da parte di
ogni ente.
Mentre, a monte, il destino
dell’IDENTITÀ-DIFFERENZA è costituito nell’esser, ciascuna, SÉ-E-L’OPPOSTO-DI-SÉ.
Dunque, anche affermare l’identità RISPETTO
a sé e la differenza RISPETTO all’altro da sé, significa ri-affermare che
l’identità, DIFFERENDO
RISPETTO ad altro, è già essa stessa IDENTICA-E-DIFFERENTE-IN-SÉ.
A ulteriore conferma di quanto detto, domandiamoci:
nell’ente, in un qualsiasi ente, (a) l’identità-con-sé si
DIFFERENZIA dalla
sua _ del medesimo ente _ (b) differenza-dal-proprio-altro?
Oppure sono IDENTICHE e perciò indistinguibili?
Evidentemente si DIFFERENZIANO, tanto quanto l’esser sé
si differenzia dall’altro da sé, altrimenti potremmo affermare indifferentemente l’identità-con-il-proprio-altro
e la differenza-da-sé senza mutar i significati delle due locuzioni
(a) e (b), il che NON
accade, almeno non nell’ontologia severiniana nella quale le ultime due
espressioni rappresentano, come già visto, l’essenza stessa della CONTRADDIZIONE.
Quindi (a) e (b) si DIFFERENZIANO, pur essendo
inscindibili in quanto, appunto, co-implicantesi (proprio per questo si
differenziano, giacché non c’è co-implicazioni tra in-distinguibili)
NEL e COME il medesimo ente.
Ma, così DIFFERENZIANDOSI, l’identità, nuovamente, si DIFFERENZIA-DA-SÉ,
ovvero essa è SÉ ED IL PROPRIO-ALTRO.
Poiché l’identità di x differisce da quel differente-da-x cui è y (o
differisce dall’identità di y), allora l’identità (di x) differisce (in x) dal
proprio (di x) differire da y, perché, se non differisse, l’identità di
x e il suo non esser y (e il suo differire da y) non si distinguerebbero, e non
potremmo perciò neppure parlare di identità con sé (di x) e della sua
differenza da y.
Sì che la DIFFERENZA DA
SÉ, l’identità (di x) ce l’abbia in casa propria; cioè è essa stessa
_ IN UNO (in x) _ la propria contraddittoria IDENTITÀ-NON-IDENTITÀ.
Importa perciò rilevare che l’identità-con-sé
differisce
dal suo stesso esser differenza dal proprio altro allo stesso modo in
cui l’ente x differisce dall’altro-da-x, cioè da y.
Ciò Significa, nuovamente, che affermando (1) l’identità
nonché la sua (2) differenza dal proprio altro _ e ciò dovrebbe
costituire la supposta incontraddittorietà dell’identità _ s’afferma altresì
che l’identità è, AL CONTEMPO, IDENTITÀ-E-DIFFERENZA-IN-SÉ, quindi è DIFFERENZA-DA-SÉ, ossia che è contraddittoria…
Roberto Fiaschi
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