In
relazione al mio post n° 110,
riporto dal link
https://www.academia.edu/122425303/La_contraddizione_C_e_lapparire_infinito_in_Severino_secondo_Roberto_Fiaschi, il seguente bell’articolo
di Italo Nobile intitolato:
<<La contraddizione C e l’apparire infinito
in Severino secondo Roberto Fiaschi. Riflessioni e
divagazioni a partire da una critica di Roberto Fiaschi ad Emanuele Severino>>.
<<La tesi di Roberto Fiaschi
Secondo il
filosofo Emanuele Severino, l’apparire infinito è ciò che TOGLIE da sempre (ha
da sempre TOLTO) la peraltro ineliminabile (nel finito) contraddizione C cioè
la parzialità/astrattezza dell’ente-x (e di
qualsiasi altro ente) che appare qui, nell’apparire finito, perché esso
(l’ente) è privo delle (non appaiono le) sue costanti (tutti gli altri enti)
che fanno di x quell’ente-x che appunto esso è nell’apparire finito, giacché
l’infinito è la com-presenza esaustiva e simultanea dell’apparire della
totalità infinita e concreta di tutti gli essenti.
Stante ciò,
vi è allora da domandarsi COME l’indiveniente apparire infinito ‘veda’
(esperisca, sia cosciente de) il diveniente ente-x libero (risolto)
dalla contraddizione C.
Varie
alternative.
1) Lo
‘vede’ esattamente COME lo vediamo noi, nel finito, cioè parzialmente/astrattamente;
In tal caso
la contraddizione C dell’ente-x, nell’infinito NON È
AFFATTO TOLTA, appunto perché, nell’infinito, x apparirebbe
COME lo vede il finito ossia in modo parziale/astratto in
forza della contraddizione C, quindi SENZA le sue (di x)
costanti che invece non possono apparire nel finito in modo definitivo ed
esaustivo ma procrastinate diacronicamente all’infinito. Per cui x,
nell’infinito, non differirebbe affatto da x nel finito,
quindi x rimarrebbe eternamente astratto (SENZA
la totale presenza delle sue necessarie costanti ipo- ed iper-sintattiche)
ANCHE nell’apparire infinito.
2) L’infinito
‘vede’ x esattamente COME lo vediamo noi nel finito ED ALTRESÌ
lo vede LIBERO dalla contraddizione C, ossia lo ‘vede’ insieme alla
totalità delle sue costanti, l’apparire simultaneo delle quali, perciò,
TOGLIEREBBERO (avrebbero da sempre tolto) la contraddizione C di x nell’infinito.
Ma, se
fosse così, nell’apparire infinito avremmo DUE enti-x reciprocamente
DIFFERENTI e solo UNO dei quali apparirebbe nella sua
concretezza _ cioè l’ente-x ‘visto’ nell’apparire infinito insieme
alla simultaneità di tutte le sue (di x) infinite costanti; ciò, in
forza del fatto che, secondo Severino, un ente NON POSSA MAI DIVENTARE (TRASFORMARSI in)
un altro.
Mentre,
invece, il primo x, identicamente al caso (1), rimarrebbe
eternamente astratto ANCHE nell’apparire infinito; ma ciò,
allora, si deve dire di TUTTI gli enti che appaiono nel finito!
Cosicché,
in realtà, non solo di NESSUN ente, nel finito, accada MAI il toglimento
progressivo della propria parzialità/astrattezza, ma nel
finito NON VI PUÒ ESSER ALCUNA contraddizione C (grazie al
progressivo toglimento della quale la concretezza degli enti che appaiono
andrebbe vieppiù concretandosi), proprio perché tutti gli enti, nell’apparire
infinito, verrebbero ‘visti’ esattamente COME il nostro ente-x cioè
COME li vediamo qui nel finito, cioè astrattamente come al
punto (1).
3)
L’infinito ‘vede’ x SOLTANTO nella sua concretezza cioè da
sempre libero dalla contraddizione C. Ma, in tal caso, che ne è,
nell’apparire infinito, dell’ente-x astrattamente inteso
ovvero afflitto qui, nel finito, dalla contraddizione C?
L’unica
soluzione per questi tre casi consiste nell’introdurre il DIVENIRE inteso come
TRASFORMAZIONE da astratto a concreto…
Infatti, la
severiniana INDIVENIENZA dell’ente, rende IMPOSSIBILE: o l’indiveniente apparire
infinito, oppure rende IMPOSSIBILE la contraddizione C.
Riflessioni
la prima domanda che mi viene in mente
è: l’Apparire infinito è una coscienza che vede qualcosa? O un punto di vista
da cui si vede qualcosa? O un orizzonte
con un numero infinito di oggetti che appaiono ad una coscienza situata in un
determinato punto di vista? Me lo domando perché, avendo approfondito
soprattutto gli scritti giovanili di Severino posso difenderlo (se è il caso)
solo ipotizzando cosa si possa rispondere alla critica di Fiaschi partendo dal
suo punto di vista (quello di Severino non di Fiaschi), un punto di vista però
che corrisponde più alla mia istanza neoparmenidea che cerca di avvicinarsi a
Severino come se fosse un affine (senza esserne sicuro). Il coraggio di fare
questo azzardo ermeneutico e polemico me lo dà il fatto che Severino, per
quanto rivendichi a piè sospinto la sua originalità se non la sua eccezionale
unicità, fa parte a pieno titolo di una tradizione di pensiero e da questa trae
motivi, metafore, intenti. Intendo il monismo o quella che Beierwaltes chiama
la tradizione idealistica (da Platone a Hegel ma forse, direi io, da Eraclito a
Royce). O addirittura potremmo allargare questa famiglia anche all’Oriente se
pensiamo alle comparazioni fatte da numerosi filosofi (ad es. Sarvepalli
Radhakrishnan) e numerosi studiosi (ad es. Rudolf Otto) tra misticismo
orientale e misticismo occidentale. Fatta questa premessa, mi chiedo: pur
ammettendo che anche in Spinoza si parli di sub
specie aeternitatis (ossia di un punto di vista dell’eternità) non possiamo
ipotizzare che nell’apparire infinito non ci possa essere un punto di vista? Se
cioè nell’apparire infinito tutto è interrelato con tutto, il fatto che
qualcuno veda qualcosa non presuppone ancora quel mondo dove quel qualcuno e
quel qualcosa sono separati l’uno dall’altro per cui qualcuno può permettersi
di vedere qualcosa? Ovvero
non è che l’apparire infinito somigli più all’ottava figura delle icone del
bufalo (o del bue)
del Buddhismo Zen, quella cioè dove non c’è più né bufalo né mandriano (in
sintesi né oggetto né soggetto)? Qualcuno obietterebbe che allora non ci
sarebbe apparire. E non può essere allora che l’attributo “infinito” massacri il termine che si predica di tale attributo così
come vorrebbe il filosofo analitico del linguaggio I.T. Ramsey e come evidenzia
il grande neoplatonico dell’Umanesimo Nicola Cusano? Il passaggio nell’apparire
infinito non fa sparire il terminus a quo
allo stesso modo di una scala di corda che viene raggomitolata una volta
servita allo scopo? La seconda domanda che mi pongo è: quello di Fiaschi è un
cosiddetto esperimento mentale? O domandarsi cosa si veda dal punto di vista
dell’apparire infinito è una semplice dimostrazione per assurdo? Le due cose
non sono lo stesso? Oppure lo sono? E fare un esperimento mentale è compatibile
con la prospettiva di Severino? Ovvero si può uscire dalla propria pelle
secondo Severino? Possiamo ipotizzare qualcosa di assolutamente altro dalle
condizioni che accompagnano le nostre asserzioni? Fino a quando possiamo
assumere il punto di vista di chi la pensa diversamente da noi? Se arriviamo al
punto di poterlo confutare possiamo pensare di esserci immedesimati abbastanza?
O lo possiamo confutare perché non ci siamo immedesimati abbastanza? Da dove
parla Roberto Fiaschi quando articola le diverse ipotesi in cui Severino
sarebbe quasi ingabbiato? Un severiniano potrebbe domandare a Fiaschi se parla
stando nell’apparire finito o nell’apparire infinito e se l’impasse severiniana
che egli denuncia non sia condizionata da questo punto di partenza (che sarebbe
quello dell’apparire finito). Un severiniano potrebbe dire che, stando dal
punto di vista dell’apparire finito, le alternative poste da Fiaschi non
rispecchiano la reale situazione di chi parla dal punto di vista dell’apparire
infinito. E qui però facciamo un’altra domanda (perché i problemi in questo
caso non sarebbero da una parte sola): dove sta lo stesso Severino quando parla
di apparire finito e apparire infinito? Ipotizziamo che Severino ancora vivente
avesse scritto altre opere in cui avrebbe ancora allargato la prospettiva. Come
avrebbe dovuto considerare le opere scritte in precedenza? E ancora sorge un
altro terribile problema per gli stessi severiniani: se non è possibile
trascendere le condizioni del proprio asserire, come sarebbe possibile l’elenchos se questo appunto presuppone
l’assunzione del punto di vista dello scettico radicale o di ogni altra
posizione che all’elenchos sarebbe
soggetta? La ragione per cui dunque l’elenchos
si chiude sarebbe la stessa ragione per cui l’elenchos non si potrebbe nemmeno innescare. Fiaschi o qualsiasi
altro potrebbe rispondere perché si dovrebbe stare in un qualsiasi posto per
svolgere una critica alla filosofia di Severino. A sua volta il severiniano
potrebbe dire che, non stando nell’apparire infinito, non si può sapere se e
cosa si vede dal punto di vista dell’apparire infinito. Né si può sapere se le
implicazioni delle diverse alternative siano quelle esposte da Fiaschi. Perché
infatti dal punto di vista dell’apparire infinito la x astratta e la x concreta
dovrebbero essere alternative tra loro? Perchè, se vedi sia la x astratta che
la x concreta dovresti vedere due enti? Perché se vediamo la x concreta non
vediamo anche la x astratta, essendo esse lo stesso ente? Certo Severino
contesta che la legna sia cenere perché sarebbe a suo dire una contraddizione e
contesta che la legna diventi cenere perché ciò implicherebbe a suo dire che la
legna sia cenere. Egli contesta anche che qualsiasi cosa che duri nel tempo sia
qualcosa di unitario e di identico a se stesso. Ma negherebbe che lo stesso
ente possa essere visto da prospettive diverse? Se lo nega effettivamente
Fiaschi lo ha messo nei guai. Ma se non lo nega si potrebbe adottare la terza
alternativa ipotizzata da Fiaschi per cui nell’apparire infinito si vede la x
concreta che è la stessa x astratta che si vedeva nell’apparire finito. Se cioè
legna e cenere sono due, se la legna che si vorrebbe diventi cenere rimangono
sempre due, se l’ente che dura nel tempo è in realtà una serie di un certo
numero di enti, tuttavia l’x astratto e l’x concreto sono lo stesso ente, visto
sbiadito e isolato nell’apparire finito e concreto e interrelato con tutto il
resto nell’apparire infinito. Oppure, sempre scegliendo la terza alternativa,
si potrebbe dire che nell’apparire infinito si vede la x concreta perché la x
astratta è da sempre tolta essendo contraddittoria. E almeno nel Severino che
nel pensier mi fingo, un ente contraddittorio non deve essere necessariamente conservato
anche nella prospettiva dell’apparire infinito.
Concludendo
l’apparire
infinito può riservare problemi sia a Severino che ai suo critici a causa della
sua natura controversa (è un punto di vista? È trattabile con un esperimento
mentale? Il passaggio all’apparire infinito è un divenire per i contenuti che
appaiono?). Forse perchè possa essere tematizzato con maggiore successo sarebbe
necessario utilizzare la riflessione buddista (anche di tipo logico) sul
passaggio dalla prospettiva prima dell’illuminazione a quella dopo
l’illuminazione. In un certo senso perciò l’apparire infinito costringe il
severinismo a ricongiungersi alla philosophia
perennis alla quale è sempre appartenuto nonostante la sua arrogante
pretesa di unicità>>.
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Rispondo alle
domande che mi riguardano direttamente.
Italo Nobile chiede:
(1)- <<La
seconda domanda che mi pongo è: quello di Fiaschi è un cosiddetto esperimento
mentale?>>
Sì, nella
misura in cui Severino, parlando di apparire infinito nel quale
gli essenti sono da sempre liberi dalla contraddizione C, stia
effettuando anch’egli un <<esperimento mentale>>.
No, nella
misura in cui tale apparire sia, per Severino, soltanto una
conseguenza teoretica derivante da premesse.
(2)-
<<E fare un esperimento mentale è compatibile con la prospettiva di
Severino? Ovvero si può uscire dalla propria pelle secondo Severino? >>
Come la
risposta (1).
(3)-
<<Possiamo ipotizzare qualcosa di assolutamente altro dalle condizioni
che accompagnano le nostre asserzioni?>>
Per
Severino, qualsivoglia <<assolutamente altro>> che sia
interno all’essere è impossibile, giacché l’unico <<assolutamente
altro>>, sempre a suo dire, è soltanto il nihil absolutum.
(4)- <<Fino
a quando possiamo assumere il punto di vista di chi la pensa diversamente da
noi?>>
Fino al
punto in cui tale <<punto di vista>> viene proposto in via
filosofico-argomentativa accessibile a tutti coloro che lo leggono.
(5)-
<<Se arriviamo al punto di poterlo confutare possiamo pensare di
esserci immedesimati abbastanza? O lo possiamo confutare perché non ci siamo
immedesimati abbastanza?>>
Opterei per
la prima prospettiva, ma non escludo la seconda.
(6)-
<<Da dove parla Roberto Fiaschi quando articola le diverse ipotesi in
cui Severino sarebbe quasi ingabbiato?>>
Parlo dal
medesimo punto di vista in cui parla Severino allorquando egli ci spiega la contraddizione
C e l’apparire infinito, se non altro perché le sue
spiegazioni MI appaiono qui, cioè nella stessa ‘dimensione’ nella quale esse sono
state concepite da Severino.
(7)-
<<Un severiniano potrebbe domandare a Fiaschi se parla stando
nell’apparire finito o nell’apparire infinito e se l’impasse severiniana che
egli denuncia non sia condizionata da questo punto di partenza (che sarebbe
quello dell’apparire finito)>>.
A tale
domanda, rispondo di parlare esattamente nel luogo in cui Severino stesso sta
parlando, dal momento che anch’egli è un individuo che, come me, parla e vive
nel medesimo mondo in cui parlo e vivo io.
(8)-
<<Un severiniano potrebbe dire che, stando dal punto di vista
dell’apparire finito, le alternative poste da Fiaschi non rispecchiano la reale
situazione di chi parla dal punto di vista dell’apparire infinito>>.
Avevo
precisato nel mio post su riportato:
<<vi
è allora da domandarsi COME l’indiveniente apparire infinito ‘veda’ (esperisca, sia
cosciente de) il diveniente ente-x libero (risolto) dalla contraddizione C>>.
Quindi sì,
le mie critiche sorgono <<dal punto di vista dell’apparire infinito>>,
FINGENDO, cioè, di pormi in esso, come FINGE anche Severino ed ogni
severiniano, poiché l’individuo è FINITO e si colloca _ scrive, parla _ NELL’apparire
FINITO, e ciò rende IMPOSSIBILE parlare <<dal punto di vista
dell’apparire infinito>>,
ANCHE DA PARTE DI Severino!
(9)-
<<[I]l severiniano potrebbe dire che, non stando nell’apparire
infinito, non si può sapere se e cosa si vede dal punto di vista dell’apparire
infinito>>.
NEMMENO il
severiniano sta <<nell’apparire infinito>> per poter
affermare che in esso ogni contraddizione sia da sempre tolta e che perciò ogni
ente appaia nella sua concretezza.
(10)-
<<Perché infatti dal punto di vista dell’apparire infinito la x
astratta e la x concreta dovrebbero essere alternative tra loro?>>
Non sono
alternative, anzi, come detto nel post, esse DEVONO ESSERE ENTRAMBE PRESENTI
nell’apparire infinito.
(11)-
<<Perchè, se vedi sia la x astratta che la x concreta dovresti vedere
due enti?>>
Perché <<Il “concetto astratto dell’astratto” è
l’apparire della determinazione particolare dell’originario, come
determinazione che non solo è distinta, ma è separata dalle altre determinazioni dell’originario.
Ogni concetto astratto dell’astratto è una negazione dell’originario, appunto perché esso è,
esplicitamente o implicitamente, negazione del nesso necessario in cui la struttura originaria
consiste>>. (Emanuele Severino: La struttura originaria;
Introduzione, pag. 43).
Per cui è chiaro che il medesimo
ente non possa apparire, al contempo, come concreto e come negazione di tale
concretezza.
(12)- <<Perché se vediamo la x concreta non vediamo
anche la x astratta, essendo esse lo stesso ente?>>
Infatti io sostengo che nell’apparire
infinito DEVONO vedersi AMBEDUE
le x.
(13)- <<Certo Severino contesta
che la legna sia cenere perché sarebbe a suo dire una contraddizione e contesta
che la legna diventi cenere perché ciò implicherebbe a suo dire che la legna
sia cenere. Egli contesta anche che qualsiasi cosa che duri nel tempo sia
qualcosa di unitario e di identico a se stesso. Ma negherebbe che lo stesso
ente possa essere visto da prospettive diverse? Se lo nega effettivamente
Fiaschi lo ha messo nei guai. Ma se non lo nega si potrebbe adottare la terza
alternativa ipotizzata da Fiaschi per cui nell’apparire infinito si vede la x
concreta che è la stessa x astratta che si vedeva nell’apparire finito>>.
L’astratto ed il concreto NON sono due semplici
<<prospettive diverse>>, bensì sono reciprocamente ESCLUDENTISI (vedasi il
brano di Severino al punto 11).
(14)- <<Se cioè legna e cenere
sono due, se la legna che si vorrebbe diventi cenere rimangono sempre due, se
l’ente che dura nel tempo è in realtà una serie di un certo numero di enti,
tuttavia l’x astratto e l’x concreto sono lo stesso ente, visto sbiadito e
isolato nell’apparire finito e concreto e interrelato con tutto il resto
nell’apparire infinito>>.
Ma, ben appunto, <<l’x astratto e
l’x concreto sono lo
stesso ente, visto sbiadito e isolato nell’apparire finito e concreto e
interrelato con tutto il resto nell’apparire infinito>>, pertanto SIA l’esser <<visto
sbiadito e isolato>> CHE l’esser <<concreto e interrelato>>
debbono essere ENTRAMBI
presenti nell’apparire infinito, cosicché l’x astratto dell’apparire
finito NON sia mai libero dalla contraddizione C e dall’isolamento,
NEPPURE nell’apparire infinito, proprio perché in quest’ultimo, l’x libero
dalla contraddizione C ossia l’x concreto appare come ALTRO dall’x finito e
isolato.
(15)- <<Oppure, sempre scegliendo
la terza alternativa, si potrebbe dire che nell’apparire infinito si vede la x
concreta perché la x astratta è da sempre tolta essendo contraddittoria. E
almeno nel Severino che nel pensier mi fingo, un ente contraddittorio non deve
essere necessariamente conservato anche nella prospettiva dell’apparire
infinito>>.
Sebbene la
x astratta sia, nell’apparire infinito, <<da sempre tolta essendo
contraddittoria>>, essa, nell’apparire finito, appare ANCHE come
AFFERMATA, altrimenti non potrebbe mai liberarsi diacronicamente dalla propria
astrattezza, per cui la x astratta, COSÌ COME ESSA APPARE nell’apparire finito, DEVE altresì apparire
(come AFFERMATA) nell’apparire infinito.
Roberto
Fiaschi
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www.gianfrancobertagni.it/materiali/zen/migi.pdf