sabato 24 agosto 2024

119)- LA «SEMPLICITÀ DI DIO» ESCLUDE LA (SUA E ALTRUI) DISTINZIONE?

 

Sfero parmenideo e SS. Trinità

Riporto un pregevole post del filosofo Marco Cavaioni ( = MC), allievo di Giovanni Romano Bacchin (ooetpSrdsnl229 1i2t2fh87c52i06ct53m86m2135a4h1gi5hl9u9mlha4a):  

<<P. Barzaghi insiste nel tentativo, a mio avviso impossibile, di tener assieme assolutezza ovvero semplicità di Dio (infinito) e mondo (finitezza, complessità, determinatezza). Egli, pur riconoscendo, come già il suo maestro Bontadini, che il mondo ( = la dimensione del finito, determinato) è "nulla come aggiunta" rispetto a Dio, nondimeno pretende di concepire Dio (l'infinito, l'assoluto, il semplice) come "immensità" che terrebbe ferme in se stessa le determinazioni (il mondo, il finito). Così egli intenderebbe – secondo me, fraintendendolo pesantemente – l'ápeiron, tema del seminario di cui è organizzatore e relatore, assieme ad altri altrettanto prestigiosi, ma tutti – mi sembra – omologati sulla linea bontadiniano-severiniana. In tal modo quelle determinazioni sarebbero qualcosa di altro non "da Dio" ma "in Dio". Il che, tuttavia, non toglie affatto che esse, non coincidendo e non risolvendosi in Dio, permangano pur sempre distinte "da Dio", ancorché ricadendo "in Dio" e tali da non "aggiungere nulla" a Dio. In una parola, esse sarebbero il distinguersi di Dio in se stesso, ma – va aggiunto – anche da se stesso. Il che è insensato, dacché contraddice il suo essere assoluta semplicità (dunque, privo di relazionalità sia estrinseca sia intrinseca). Pertanto, sarebbe da chiedere al Prof. Barzaghi, perché – onde evitare di cadere nell'assurdità di un semplice intrinsecamente distinto (appunto perché terrebbe in piedi, come "poste", le determinazioni), dunque in una contraddittoria "unitas multiplex" – non riconosce, piuttosto, che l'infinito (semplice, assoluto) altro non è che la ragione della necessità di togliersi del finito (molteplice, relazionale) o, meglio ancora, la ragione del suo non riuscire mai a porsi veramente?>>

----

In questo post è in gioco una ‘comprensione’ (per quel che è possibile!) di Dio/Infinito/Assoluto che comunque mi concerne in quanto (tento di esser) cristiano.

Infatti, ciò che divide la concezione dell’Assoluto della Scuola facente capo al filosofo Bacchin (della quale l’autore del post, Marco Cavaioni, è uno tra i massimi esponenti) dalla concezione cristiana, consiste nel fatto che quest’ultima è da sempre portavoce di un Dio/Infinito PERFETTAMENTE-UNO-SEMPLICE-INDIVISIBILE ed al contempo PERFETTAMENTE-TRINO, ossia intrinsecamente DISTINTO.

Qui, però, NON intendo descrivere NÉ difendere la legittimità o meno del Dio trinitario rispetto all’<<assolutezza ovvero semplicità di Dio>> sostenuta da MC.

No; qui, mi interessa rilevare solamente quanto segue:

per MC, si è visto, <<il distinguersi di Dio in se stesso, ma – va aggiunto – anche da se stesso>> sarebbe <<insensato, dacché contraddice il suo essere assoluta semplicità (dunque, privo di relazionalità sia estrinseca sia intrinseca)>>, quindi, si deve <<evitare di cadere nell'assurdità di un semplice intrinsecamente distinto>>.

Le parole chiave sono queste: <<insensato>>, <<contraddice>> e <<assurdità>>.

Cosa intendo dire?

Dico che egli applica ANCHE all’Assoluto ciò che lui stesso ritiene valere SOLTANTO per il FINITO, per gli ENTI, ossia gli applica il Principio di non-contraddizione ( = PdNC), giacché è solo grazie a questo che MC può ritenere <<insensato>> un Assoluto che <<contraddica il suo essere assoluta semplicità>> e che, perciò, sia un’<<assurdità>>, appunto perché l’Assoluto auto-distinguentesi cioè cristianamente concepito, VIOLEREBBE i dettami del PdNC secondo cui esso non può che <<essere assoluta semplicità (dunque, privo di relazionalità sia estrinseca sia intrinseca)>>.

Senonché, un Assoluto che sia LIGIO ai dettami del PdNC si rivela ad esso SOTTOPOSTO, cessando di esser Assoluto e perciò passando lo scettro dell’assolutezza al PdNC, proprio perché quest’ultimo funge da struttura DETERMINANTE circa ciò che l’Assoluto può o non può ESCLUDERE.

Infatti, ritener che l’Assoluto sia in sé <<assoluta semplicità>> vuol dire che esso neghi il <<finito (molteplice, relazionale)>> mediante negazione ESCLUDENTE, esattamente come un ENTE nega ogni altro ente ESCLUDENDOLO da (l’esser) sé.

A ciò, si potrà replicare che tale Assoluto, ESCLUDENDO il <<finito (molteplice, relazionale)>>, ESCLUDA il contraddittorio e che perciò lo stesso finito/contraddittorio sia <<la ragione del suo [del finito] non riuscire mai a porsi veramente>>.

Infatti, sempre in quest’ottica, il Prof. Aldo Stella scrive (parentesi quadre mie: RF):

<<V’è un unico modo per superare la contraddizione [del determinato]: intendere ciascuna determinazione come il proprio trascendersi e ciò in ragione del fatto che ciascuna è, in sé, sé e il suo altro, ossia ciascuna è in sé il proprio contraddirsi. Il togliersi delle determinazioni configura, pertanto, quell’ablatio alteritatis che restituisce dialetticamente l’unità: l’uno come togliersi [ = come ESCLUSIONE] del due>>. (Si legga l’intero, bellissimo articolo qui: https://ritirifilosofici.it/determinazione-identita-distinti-severino/).

Per cui, prosegue Stella, <<L’autentico infinito, invece, è quell’assoluto in virtù del quale si rileva il limite del determinatoquel limite che nel porre il determinato insieme lo toglie [lo ESCLUDE appunto]. Lo toglie non nel senso che lo cancella empiricamente, ma nel senso che toglie la pretesa che esso sia veramente, come l’ordine empirico-formale attesterebbe>>.

Ma, qui vi è da rilevare che, sebbene non lo cancelli empiricamente, tuttavia cancellerà almeno <<la pretesa che esso sia veramente>>, ovvero ESCLUDE tale pretesa.

Tal non-essere-veramente da parte dell’ente è la sua contingenza, il suo dipendere da Dio, certamente. Ma ciò, nell’ottica cristiana, NON deve comportare <<quell’ablatio alteritatis>> ( = la negazione ESCLUDENTE, dunque, dell’alterità, normata dal PdNC applicato all’Assoluto) affinché l’Assoluto resti Uno e semplice, giacché in tal caso avremmo già la posizione del DUE cioè della DISTINZIONE.   

Notare ove egli scrive:

<<L’autentico infinito, invece, è quell’assoluto in virtù del quale si rileva il limite del determinatoquel limite che nel porre il determinato insieme lo toglie>> cioè lo ESCLUDE dalla pura semplicità dell’Uno, sempre in virtù del PdNC.

Infatti, <<porre il determinato>>, anche soltanto per poi toglierlo/escluderlo, è nuovamente già porre il DUE ( = la DISTINZIONE) nonostante il toglimento del determinato, anzi, grazie ad esso.

Dunque, proprio quella negazione ESCLUDENTE preposta a salvaguardare l’assolutezza e la semplicità dell’Uno, le INFICIA, perché ciò che esso ( = l’Uno) esclude/nega è DISTINTO da sé, seppur come negato, ma pur sempre ALTRO dall’Uno.

Il Dio UNI-TRINO (che non nega il PdNC) nega sì le differenze (in sé e ‘fuori’ di sé), ma, al contrario dell’Uno quale <<assoluta semplicità>>, NON le ESCLUDE, restando perciò PERFETTAMENTE UNO-e-SEMPLICE e quindi NON soggiacente al PdNC.

Si replicherà senz’altro:

ASSURDO! Com’è possibile ciò?

Questa domanda stupìta è ancora l’espressione del PdNC.

Accenno di risposta:

approfondendo il concetto di NEGAZIONE-NON-ESCLUDENTE ( -> Massimo Donà), la cui ‘sobria’ presenza già informa l’ente sottoposto al (o espressione del) PdNC.

 

Roberto Fiaschi

------------------------

Nessun commento:

Posta un commento