Sfero parmenideo e SS. Trinità
Riporto un pregevole post del filosofo Marco Cavaioni ( = MC), allievo di Giovanni Romano
Bacchin (ooetpSrdsnl229 1i2t2fh87c52i06ct53m86m2135a4h1gi5hl9u9mlha4a):
<<P. Barzaghi insiste nel tentativo, a mio avviso
impossibile, di tener assieme assolutezza ovvero semplicità di Dio (infinito) e
mondo (finitezza, complessità, determinatezza). Egli, pur riconoscendo, come
già il suo maestro Bontadini, che il mondo ( = la dimensione del finito,
determinato) è "nulla come aggiunta" rispetto a Dio, nondimeno
pretende di concepire Dio (l'infinito, l'assoluto, il semplice) come
"immensità" che terrebbe ferme in se stessa le determinazioni (il
mondo, il finito). Così egli intenderebbe – secondo me, fraintendendolo
pesantemente – l'ápeiron, tema del seminario di cui è organizzatore e
relatore, assieme ad altri altrettanto prestigiosi, ma tutti – mi sembra –
omologati sulla linea bontadiniano-severiniana. In tal modo quelle
determinazioni sarebbero qualcosa di altro non "da Dio" ma "in
Dio". Il che, tuttavia, non toglie affatto che esse, non coincidendo e non
risolvendosi in Dio, permangano pur sempre distinte "da Dio",
ancorché ricadendo "in Dio" e tali da non "aggiungere
nulla" a Dio. In una parola, esse sarebbero il distinguersi di Dio in se
stesso, ma – va aggiunto – anche da se stesso. Il che è insensato, dacché
contraddice il suo essere assoluta semplicità (dunque, privo di relazionalità
sia estrinseca sia intrinseca). Pertanto, sarebbe da chiedere al Prof.
Barzaghi, perché – onde evitare di cadere nell'assurdità di un semplice
intrinsecamente distinto (appunto perché terrebbe in piedi, come
"poste", le determinazioni), dunque in una contraddittoria
"unitas multiplex" – non riconosce, piuttosto, che l'infinito
(semplice, assoluto) altro non è che la ragione della necessità di togliersi
del finito (molteplice, relazionale) o, meglio ancora, la ragione del suo non
riuscire mai a porsi veramente?>>
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In questo post è in gioco una ‘comprensione’ (per quel che è
possibile!) di Dio/Infinito/Assoluto che comunque mi concerne in quanto (tento
di esser) cristiano.
Infatti, ciò che divide la concezione dell’Assoluto della
Scuola facente capo al filosofo Bacchin (della quale l’autore del post, Marco
Cavaioni, è uno tra i massimi esponenti) dalla concezione cristiana, consiste
nel fatto che quest’ultima è da sempre portavoce di un Dio/Infinito PERFETTAMENTE-UNO-SEMPLICE-INDIVISIBILE
ed al contempo PERFETTAMENTE-TRINO, ossia intrinsecamente DISTINTO.
Qui, però, NON intendo descrivere NÉ difendere la legittimità
o meno del Dio trinitario rispetto all’<<assolutezza ovvero semplicità di Dio>>
sostenuta da MC.
No; qui, mi interessa rilevare solamente quanto segue:
per MC, si è visto, <<il distinguersi di Dio in se
stesso, ma – va aggiunto – anche da se stesso>> sarebbe <<insensato, dacché contraddice il suo essere
assoluta semplicità (dunque, privo di relazionalità sia estrinseca sia
intrinseca)>>, quindi, si deve <<evitare di cadere nell'assurdità di un semplice
intrinsecamente distinto>>.
Le parole chiave sono queste: <<insensato>>,
<<contraddice>>
e <<assurdità>>.
Cosa intendo dire?
Dico che egli applica ANCHE all’Assoluto ciò che lui
stesso ritiene valere SOLTANTO per il FINITO, per gli ENTI, ossia gli applica
il Principio di
non-contraddizione ( = PdNC), giacché è solo grazie a questo che MC
può ritenere <<insensato>>
un Assoluto che <<contraddica
il suo essere assoluta semplicità>> e che, perciò, sia un’<<assurdità>>,
appunto perché l’Assoluto auto-distinguentesi cioè cristianamente concepito,
VIOLEREBBE i dettami del PdNC secondo cui esso non può che <<essere
assoluta semplicità (dunque, privo di relazionalità sia estrinseca sia
intrinseca)>>.
Senonché, un Assoluto che sia LIGIO ai dettami del PdNC si
rivela ad esso SOTTOPOSTO, cessando di esser Assoluto e perciò passando lo
scettro dell’assolutezza al PdNC, proprio perché quest’ultimo funge da
struttura DETERMINANTE circa ciò che l’Assoluto può o non può ESCLUDERE.
Infatti, ritener che l’Assoluto sia in sé <<assoluta
semplicità>> vuol dire che esso neghi il <<finito (molteplice,
relazionale)>> mediante negazione ESCLUDENTE, esattamente come un ENTE nega ogni
altro ente ESCLUDENDOLO da (l’esser) sé.
A ciò, si potrà replicare che tale Assoluto, ESCLUDENDO il
<<finito (molteplice, relazionale)>>, ESCLUDA il
contraddittorio e che perciò lo stesso finito/contraddittorio sia <<la
ragione del suo [del finito] non riuscire mai a porsi veramente>>.
Infatti, sempre in quest’ottica, il Prof. Aldo Stella scrive
(parentesi quadre mie: RF):
<<V’è
un unico modo per superare la contraddizione [del determinato]:
intendere ciascuna determinazione come il proprio trascendersi e ciò in ragione del fatto che
ciascuna è, in sé, sé e il suo altro, ossia ciascuna è in sé il
proprio contraddirsi. Il togliersi delle determinazioni configura,
pertanto, quell’ablatio alteritatis che restituisce dialetticamente l’unità:
l’uno come togliersi [ = come ESCLUSIONE] del due>>. (Si legga l’intero,
bellissimo articolo qui: https://ritirifilosofici.it/determinazione-identita-distinti-severino/).
Per
cui, prosegue Stella, <<L’autentico infinito, invece, è
quell’assoluto in virtù del quale si rileva il limite del determinato, quel
limite che nel porre il
determinato insieme lo toglie [lo ESCLUDE appunto]. Lo toglie non nel senso che lo
cancella empiricamente, ma nel senso che toglie la pretesa che esso sia
veramente, come l’ordine empirico-formale attesterebbe>>.
Ma,
qui vi è da rilevare che, sebbene non lo cancelli empiricamente, tuttavia
cancellerà almeno <<la pretesa che esso sia veramente>>,
ovvero ESCLUDE tale pretesa.
Tal non-essere-veramente da parte dell’ente è la sua contingenza,
il suo dipendere da Dio, certamente. Ma ciò, nell’ottica cristiana, NON deve comportare
<<quell’ablatio alteritatis>> ( = la negazione ESCLUDENTE, dunque, dell’alterità, normata
dal PdNC applicato all’Assoluto) affinché l’Assoluto resti Uno e semplice,
giacché in tal caso avremmo già la posizione del DUE cioè della DISTINZIONE.
Notare ove egli scrive:
<<L’autentico
infinito, invece, è quell’assoluto in virtù del quale si rileva il limite
del determinato, quel limite che nel porre il
determinato insieme lo toglie>> cioè lo ESCLUDE dalla pura semplicità dell’Uno, sempre
in virtù del PdNC.
Infatti, <<porre il
determinato>>, anche
soltanto per poi toglierlo/escluderlo, è nuovamente già porre il DUE ( = la
DISTINZIONE) nonostante il toglimento del determinato, anzi, grazie ad esso.
Dunque, proprio quella negazione ESCLUDENTE preposta a
salvaguardare l’assolutezza e la semplicità dell’Uno, le INFICIA, perché ciò
che esso ( = l’Uno) esclude/nega è DISTINTO da sé, seppur come negato, ma pur
sempre ALTRO dall’Uno.
Il Dio UNI-TRINO (che non nega il PdNC) nega sì le differenze
(in sé e ‘fuori’ di sé), ma, al contrario dell’Uno quale <<assoluta
semplicità>>, NON
le ESCLUDE, restando perciò PERFETTAMENTE UNO-e-SEMPLICE e quindi NON soggiacente
al PdNC.
Si replicherà senz’altro:
ASSURDO! Com’è possibile ciò?
Questa domanda stupìta è ancora l’espressione del PdNC.
Accenno di risposta:
approfondendo il concetto di NEGAZIONE-NON-ESCLUDENTE ( ->
Massimo Donà), la cui ‘sobria’ presenza già informa l’ente sottoposto al (o
espressione del) PdNC.
Roberto Fiaschi
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