Emanuele Severino è il filosofo dell’eternità di ogni essente e, perciò, della sua immutabilità o impossibilità del suo diventare-altro-da-sé.
La struttura ontologica nella quale si radicherebbe tale
convinzione è compendiabile così:
ogni ente è incontraddittoriamente identico a sé e differente dal proprio altro;
questa è ciò che possiam chiamare la distinzione originaria, che tutto
informa di sé.
Se ogni ente fosse differente da sé e identico al
proprio altro, avremmo un mondo in qualche modo opposto a quello presente (o non lo
avremmo affatto?), perlomeno tanto quanto opposti sono tra loro i significati di identità
e di differenza.
Per cui, ogni qual volta ci imbattiamo nel significato identità,
ci troviamo dinanzi a ciò che è/significa sempre non-differenza
e quindi non
può mai
significare differenza, ad esempio:
‘x = x’ esprime l’identità; se infatti significasse differenza,
allora ‘x = x’ significherebbe che x differisce da sé, cioè che x non è
sé, non è x.
Pertanto l’identità è indicata dalla copula: è ( = ).
Così, dinanzi al significato differenza, ci troviamo alle
prese con ciò che è/significa sempre non-identità e
quindi non
può mai
significare identità, ad esempio:
‘x ≠ y’ esprime la differenza; se infatti significasse identità,
allora ‘x ≠ y’ significherebbe che x è identico a (quell’altro da sé che è)
y, cioè che x è y(non-x).
Pertanto la differenza è indicata dalla negazione: non è ( ≠ ).
Dunque, identità esclude di significare differenza,
sempre; e viceversa.
Perciò identità e differenza viaggiano sempre
insieme, inseparabilmente.
Questa unità è la loro concretezza, sì che, come dice Severino:
<<essere con, è essere non>>, ossia l’essere-insieme da
parte dell’identità e della differenza comporta che l’una differisca dall’altra
e quindi che l’una non
sia (identica
a) l’altra, il che sancisce la loro reciproca, innegabile nonché
incontraddittoria differenza.
Ma, insieme a ciò, proprio tale <<essere con, è essere non>>
sancisce altresì la posizione della loro altrettanto innegabile contraddittorietà.
Tale che ciascun dei due significati sia in sé contraddittoriamente
doppio, poiché ciascuno di essi significa sé-e-l’altro-da-sé.
Ovvero:
identità significa: identità-e-differenza, cioè: identità-e-non-identità, al contempo e sotto il medesimo
rispetto;
differenza significa: differenza-e-identità, cioè: differenza-e-non-differenza,
al contempo e sotto il medesimo
rispetto.
Sì che l’identità e la differenza
si rivelino esser indistinguibili
pur nella loro palese distinzione; contraddittorie pur nel loro incontraddittorio
significare.
Ciò accade perché identità e differenza differiscono e,
differendo, l’identità
è differente; è
identità-non-identità, è identica a ciò (alla differenza) dalla quale dovrebbe sempre
differire, appunto perché identità significa (è) identità e non significa (non è, cioè differisce
dalla) differenza, ma, al contempo, l’identità non dovrebbe mai
differire, onde poter restare identità.
L’identità deve sempre
significare identità, cioè l’è, mai il non è (cioè la differenza), perché, se
l’è
significasse anche il non
è, affermando appunto che l’identità differisce rispetto
ad (non è)
altro, affermeremmo che l’è
(l’identità), differendo, è
non è (->
identità non-identità).
L’aporia delle aporie consiste
perciò nel rilievo secondo cui l’identità, per significare sempre
e soltanto identità,
deve al contempo non significare mai differenza, quindi
deve sempre restar differente dalla differenza, giacché se
non si differenziasse dalla differenza, sarebbe identica ad essa; al
contempo, proprio differenziandosene,
è l’identità stessa a costituirsi come differenza, cioè come quell’altro
da sé cui è la differenza, cosicché la differenza non sia più il suo altro,
distinto dall’identità, perché tale differenza è la stessa identità.
I due differenti sono simul
perfettamente in-differenti.
Tutto ciò, sul piano trascendentale-ontologico dei
due significati.
Sul piano ontico-manifestativo,
si potrebbe subito far notare come l’ente-x sia sì identico ed al
contempo differente, ma identico rispetto a sé e
differente rispetto al proprio altro (y), senza contraddizione,
poiché i rispetti sono appunto differenti.
Ad esempio: un uomo è contemporaneamente
alto-e-basso; ma è alto rispetto ad una formica, ed è basso rispetto
ad un albero.
Senonché, sul piano ontico, i due
rispetti salvaguardano l’ente dalla simultanea contraddittorietà
che invece investe i significati di identità e differenza del piano
ontologico, giacché alto e basso, o bianco e nero (etc…) sono determinazioni
ontiche, non
trascendentali.
Quindi sì, se s’afferma che un
uomo è alto-e-basso secondo rispetti differenti, non c’è contraddizione;
ma se dello stesso uomo si afferma che l’identità (uomo) differisce
dall’albero e dalla formica, si afferma quella contraddizione consistente nel
fare dell’identità (e qui ci ricatapultiamo sul piano trascendentale)
una differenza (in quanto, appunto, l’identità-differisce: l’identità-è-differenza
o non-identità.
Tornando ai due differenti rispetti,
che si ritengono capaci di evitare la contraddizione circa l’identità e la
differenza; in realtà la ri-confermano.
Infatti, i due differenti rispetti
sono riferiti alla medesima
identità la quale, perciò, si ritrova esser in sé doppia,
poiché essa, essendo simultaneamente relata a due differenti rispetti,
è simultaneamente
identità-e-differenza in uno cioè, appunto, in sé,
ove il suo esser differenza (cioè l’altro rispetto) non subentra
in un momento successivo al primo rispetto, quasi che l’identità possa esser
identità rispetto a sé senza al contempo tener conto del (o
prescindendo dal) secondo rispetto all’altro da sé, giacché
questo altro è ciò che determina l’identità come identità (e che al
contempo la toglie come identità), e quindi esso è simultaneo al primo rispetto,
sì che l’esser identità-e-differenza da parte dell’identità non sia una
diacronìa (cioè: prima l’identità è identità, poi è differenza) bensì un atto unico,
diacronico essendo soltanto il riverbero di tale contraddittorietà ontologica nell’identità
ontica (nell’ente) il cui toglimento (dell’identità dell’ente)
costituisce il proprio divenire-altro.
D’altronde questo è il destino di
ogni
identità ontica (non astrattamente intesa) o di ogni ente: porsi-e-togliersi
ossia non riuscire mai a porsi, appunto: il divenire-altro.
Mentre, a monte, il
destino dell’identità-differenza è costituito nell’esser, ciascuna, sé e l’opposto di sé.
Dunque, anche affermare
l’identità rispetto a sé e la differenza rispetto all’altro da
sé, significa ri-affermare
che l’identità, differendo
rispetto ad altro, è differente.
A ulteriore conferma di quanto
detto, domandiamoci:
nell’ente, in
un qualsiasi ente, (a) l’identità-con-sé si differenzia dalla sua _ del medesimo
ente _ (b) differenza-dal-proprio-altro?
Oppure sono
identiche e perciò indistinguibili?
Evidentemente si differenziano, tanto quanto l’esser sé si differenzia dall’altro da sé, altrimenti potremmo affermare indifferentemente l’identità-con-il-proprio-altro e la differenza-da-sé senza mutar i significati delle due locuzioni (a) e (b), il che non accade, almeno non nell’ontologia severiniana nella quale le ultime due espressioni rappresentano l’essenza stessa della contraddizione.
Quindi (a) e (b) si differenziano, pur essendo inscindibili in quanto, appunto, co-implicantesi (proprio per questo si differenziano, giacché non c’è co-implicazioni tra in-distinguibili).
Ma, così differenziandosi, l’identità, nuovamente, si differenzia-da-sé, ovvero essa è sé ed il proprio-altro.
Poiché l’identità di x differisce da quel differente-da-x cui è y (o differisce dall’identità di y), allora l’identità (di x) differisce (in x) dal proprio (di x) differire da y, perché, se non differisse, l’identità di x e il suo non esser y (e il suo differire da y) non si distinguerebbero, e non potremmo perciò neppure parlare di identità con sé (di x) e della sua differenza da y.
Sì che la differenza da sé, l’identità (di x) ce l’abbia in casa propria; cioè è essa stessa _ in uno (in x) _ la propria contraddittoria identità-non-identità.
Importa perciò rilevare che l’identità-con-sé differisce dal suo stesso esser differenza dal proprio altro allo stesso modo in cui l’ente x differisce dall’altro-da-x, cioè da y.
Ciò Significa, nuovamente, che affermando (1) l’identità nonché la sua (2) differenza dal proprio altro _ e ciò dovrebbe costituire la supposta incontraddittorietà dell’identità _ s’afferma altresì che l’identità è, al contempo, identità-e-differenza-in-sé, quindi è differenza-da-sé, ossia che è contraddittoria…
Tutto quanto sin qui tratteggiato comporta la preponderanza dell’altro significato in esame, ossia della differenza la quale, però, va anch’essa incontro alla propria contraddittorietà.
Al prossimo post…
Roberto Fiaschi
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