Qual è la contraddizione in oggetto tal da render <<malato>>
(secondo Severino) il pensiero?
È l’identità dei differenti, ossia
la contraddizione che Severino crede di ravvisare nel divenire-altro, ma che,
invece, sta di casa proprio nella S.O. e che qui indicherò come Struttura Predicativa Contraddittoria (
= SPC) concernente ogni pensiero e linguaggio e quindi ogni ente
che da tale struttura è detto.
Abbiamo già visto nel precedente post
n° 3 che <<a
esso [all’errore/individuo-Severino] non può apparire il
destino della verità>>, giacché è <<impossibile che nel linguaggio della terra isolata [ =
nell’errore/individuo] ci sia comprensione della verità del destino>>.
A ciò, aggiungiamo adesso la SPC.
Scrive Severino: <<Il linguaggio continua
a dire che A è B; ma dice l’impossibile.
Dice l’impossibile anche se A = B è pensato come (A = B) = (B = A)>>. (Severino, Tautótes.
Adelphi 1995).
Dunque, lo stesso Severino riconosce che anche il suo <<linguaggio che tenta di
mostrare il destino della verità>> sia interamente commisto con la contraddizione
esemplificata da:
<<A è B>>.
Altrove, scrive sempre Severino: <<Affermare che questa estensione [A] è [ = ] rossa [B],
significherà infatti affermare che questa estensione è non questa estensione [<A =
¬A>; ¬<A = A>] (stante che il colore di questa
estensione appartiene all’orizzonte del contraddittorio di essa>>
(Severino; La struttura originaria, pag. 269. Parentesi quadre mie: RF).
E prosegue: <<Aporia
antichissima com’è noto, che già Platone discuteva (Sofista, 251 sg.), ma che
da Platone fu piuttosto evitata che risolta [...] Aristotele aveva
tentato di eliminare la difficoltà introducendo la distinzione di sostanza ed
accidente: nulla impedisce che qualcosa (sostanza, o accidente in funzione di
sostrato di un altro accidente) possa essere anche altro, oltre a ciò
che esso è; ma questa alterità non è negazione della sostanza _ ossia non è
un’altra determinazione sostanziale _ ma è l’ambito delle determinazioni
accidentali della sostanza (Met. 1. IV, cap. 4). Il che può essere accettato,
nel senso che allorché si afferma che questa estensione [A] è [ = ]
rossa [B], non si nega che questa estensione sia un’estensione, ma si
afferma che questa estensione _ che è come questa estensione _ è, appunto,
rossa; ossia che l’identico (questa estensione che è questa estensione) è
determinato in modo ulteriore rispetto a quello che costituisce la
determinatezza dell’identità>>.
<<Senonché _ osserva
Severino _, nonostante il chiarimento fatto, l’aporia permane egualmente: appunto in quanto l’identità è altro da sé. Ciò che
provoca l’aporia è appunto _ per usare la terminologia aristotelica _ l’inesione
della determinazione accidentale alla determinazione sostanziale; ossia è il
fatto che l’una è in qualche modo l’altra. Ogni giudizio non tautologico ( = non identico) sembra
pertanto una contraddizione. E quindi si dovrà dire che ogni complessità
semantica avente valore apofantico è una contraddizione: nella misura in cui sembra che la
complessità in questione non possa equivalere in quanto tale a un giudizio
tautologico>> - (Ibid).
<<Poiché pensare che
qualcosa (soggetto) è
qualcosa (predicato) è identificazione dei non identici, perché soggetto e
predicato sono isolati, sì che la loro relazione è prodotta dal divenire del
pensiero che li unisce [...] il divenire che li unisce è identificazione dei non
identici>> - (Severino; Tautòtes).
A ciò, la soluzione del filosofo bresciano
consisterebbe nel <<giudizio tautologico>> i cui termini
siano concepiti come originariamente (eternamente) insieme, anziché
divenuti tali a partire dal loro iniziale isolamento:
<<Solo se al di sotto della forma
linguistica “A è B”
si pensa l’essere
insieme a B da parte di A, si può continuare a dire che (A = B) = (B = A). La formula
adeguata è dunque:
[A = (insieme a B)] =
[(insieme a B) =
A].
Tuttavia, anche il linguaggio che tenta di mostrare
il destino della verità può continuare a dire (come accade anche in queste
pagine) che A è B,
che questa superficie è
bianca, il cielo è
sereno, Socrate è
un uomo, quest’ombra è
sulla parete, la lampada è
accesa (cioè, come in queste esemplificazioni di “A è B”, può continuare ad esprimere come identità i contenuti non
identici dell’interpretazione - e anche quei contenuti che invece non hanno
questo carattere)>>. (Severino, Tautótes. Parentesi
quadre nel testo).
Precisa inoltre Severino: <<in
questo linguaggio appare l’impossibilità
che A sia B (ossia non-A); ma dicendo che A “è” B, esso intende questo “essere” come un “essere insieme”;
e dicendo (A = B) =
(B = A) esso intende [A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A] (intende che è
A-che-è-identico-al-suo-essere-insieme-a-B ad essere insieme a B, ossia a
quell’essere-insieme-a-B che è identico ad A)>>. (Tautótes; pag. 152. Parentesi quadre
nel testo).
Andiamo per gradi.
Innanzitutto, come può <<in questo
linguaggio>> <<malato>> apparire la non-malattia consistente
nell’<<impossibilità che A sia B (ossia non-A)>>, visto e
considerato che tale non-malattia ( = cioè tale presunta impossibilità)
è essa stessa costituita come
la stessa malattia ( = “A è
B”) della quale il linguaggio malato ne dice l’impossibilità?
Poiché secondo Severino <<A
è B>> è la malattia,
allora, inevitabilmente, l’asserzione: <<A è B è la malattia>> è a sua volta una
malattia, giacché <<è
la malattia>> ripropone la stessa malattia cui è <<A è B>>!
Che è come dire che la contraddizione ( =
il linguaggio malato) mostra/esprime senza-contraddizione ( =
senza malattia) che essa, cioè la contraddizione, è impossibile…
Che è come dire, ancora, che il linguaggio (contraddittorio)
mostra non-contraddittoriamente che esso stesso è contraddittorio, e
quindi tale linguaggio non mostra alcunché; mostra-sé mostrando, di sé,
che non è: non mostra tout
court.
Torniamo alla ‘soluzione’ severiniana.
Essa recita che lo <<è>> di <<A
è B>>
vada pensato come <<l’essere insieme a B da parte di A>>.
Ossia il linguaggio malato <<intende questo “essere”
come un “essere insieme”; e dicendo (A = B) = (B = A) esso intende [A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A] (intende che è
A-che-è-identico-al-suo-essere-insieme-a-B ad essere insieme a B, ossia a
quell’essere-insieme-a-B che è identico ad A)>> (parentesi quadre nel
testo).
Diciamo subito che affermare che il linguaggio
<<intende
questo “essere” come un “essere insieme”>> vuol dire che <<questo
“essere”>> deve essere inteso come quell’altro-da-sé cui è
l’<<essere insieme>>, giacché la differenza tra <<A
è B>> ed
<<essere insieme>> sarebbe (per Severino) la stessa
differenza tra quegli infinitamente contraddittori cui sarebbero,
rispettivamente, il nichilismo ( = la
contraddizione) è la verità del destino ( = la non-contraddizione)!
Per cui il filosofo bresciano offre come soluzione
(ciò che sulla base della sua teoresi è) una contraddizione estrema,
ossia (vuole) intendere
la contraddizione <<A è B>> come se significasse incontraddittoriamente
<<essere insieme>>!
Ma non è finita qui.
Come visto, secondo Severino <<A è B>> deve
intendersi come <<essere
insieme a>>, cioè:
<<(A = B) = (B = A)>>, il quale da Severino è inteso
così:
<<[A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A]>>,
cioè <<(che è A-che-è-identico-al-suo-essere-insieme-a-B ad essere insieme a B, ossia
a quell’essere-insieme-a-B
che è identico ad
A)>>.
Siccome in OGNI sua ricorrenza lo <<è>> deve SEMPRE
esser inteso come <<essere
insieme a>> _ cioè
come: <<è insieme a>> _, allora
quest’ultimo <<è
insieme a>> diviene:
<<insieme a insieme a>>,
dove lo <<insieme a>> è lo stesso <<è>> di:
<<è insieme a>> il quale,
perciò, si dovrà severinianamente ritradurre così:
<<insieme a insieme a>>
(appunto perché ritraduce ‘veritativamente’ il ‘nichilistico’:
<<è insieme
a>>).
E siccome anche lo <<è>> di <<è insieme a>> significa a sua volta: <<essere insieme a>>,
allora abbiamo:
A insieme a insieme
a B.
Ugualmente, la formula: <<[A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A]>>, ossia
<<[A è identico
a (insieme a B)] che è identico a [(insieme a B)
che è identico a A]>>
è da intendersi come:
<<[A insieme a identico a (insieme
a B)] che insieme ad
identico a [(insieme a B) che insieme a identico a A]>>.
Pertanto, anche la frase di Severino:
<<(che è A-che-è-identico-al-suo-essere-insieme-a-B ad essere insieme a B, ossia a
quell’essere-insieme-a-B
che è identico ad A)>>,
sarà da intendersi severinianamente (cioè, a suo
dire: veritativamente!) così:
<<(che
essere insieme a A-che-essere insieme a-identico-al-suo-essere insieme a-B ad essere
insieme a
B, ossia a quell’essere
insieme a-B che essere
insieme a identico
ad A)>>.
Potremmo sfidare chiunque a tentar di pensare,
parlare e scrivere intelligibilmente mediante l’‘intendimento’ severiniano
di cui poc’anzi e che vorrebbe fungere da soluzione, cioè intendendo o
sostituendo il verbo <<è>> con <<è insieme a>>
e perciò con: insieme a
insieme a;
essendo l’intendimento (a parer di
Severino) incontraddittorio (di contro al presunto contraddittorio <<A
è B>>),
dovrebbe allora risultare eminentemente facile e consequenziale esprimerLo ed intelligerLo,
il che è precisamente quanto non accade!
Un intendimento, perciò, che si rivela esser un
completo fraintendimento!
Se la predicazione malata ( = SPC), espressione
del <<pensiero malato>> (sempre secondo Severino) costituente
qualsiasi discorso (anche questo) e qualsiasi
tesi (di chiunque) non è trasformabile (lo
vieta la tesi severiniana dell’eternità dell’ente e quindi della presunta
impossibilità del suo trasformarsi/diventare-altro) in quell’altro da sé cui sarebbe la
predicazione incontraddittoria (benché inintelligibile, come appena constatato,
giacché nessuno potrebbe mai farsi comprendere
pensando/parlando/scrivendo utilizzando l’espediente teoretico di Severino che
legge <A è
B> come fosse da intendere: <A è insieme a B> quindi: <A insieme a insieme a B>, confermando
perciò stesso costitutivamente inaggirabile la SPC), allora tutto il sistema
filosofico severiniano presuppone _ alla sua base e via via lungo tutto il suo
percorso esplicativo, tratto per tratto, frase per frase _ ciò (-> la SPC)
dalla quale egli vorrebbe liberarsi ma che in realtà non può non
riproporre/utilizzare
continuamente, essendovi infatti completamente immerso.
Come colui che, stando sott’acqua, tentasse
insistentemente di tener l’ombrello aperto per ripararsi dalla pioggia…
Roberto Fiaschi
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