sabato 21 gennaio 2023

4)- STRUTTURA ORIGINARIA CONTRADDITTORIAMENTE STRUTTURATA


La struttura originaria ( = S.O.) tematizzata dal filosofo Emanuele Severino nasce strutturalmente _ ab origine _ già inficiata dalla contraddizione (riconosciuta dallo stesso Severino) prima ancora di essere espressa/formulata/redatta, perché tale contraddittorietà comincia già nel <<pensiero malato>> (espressione di Severino) il quale si esprime a sua volta mediante il linguaggio altrettanto <<malato>> (anch’essa espressione di Severino, cfr. post n° 3).

Qual è la contraddizione in oggetto tal da render <<malato>> (secondo Severino) il pensiero?

È l’identità dei differenti, ossia la contraddizione che Severino crede di ravvisare nel divenire-altro, ma che, invece, sta di casa proprio nella S.O. e che qui indicherò come Struttura Predicativa Contraddittoria ( = SPC) concernente ogni pensiero e linguaggio e quindi ogni ente che da tale struttura è detto. 

Abbiamo già visto nel precedente post n° 3 che <<a esso [all’errore/individuo-Severino] non può apparire il destino della verità>>, giacché è <<impossibile che nel linguaggio della terra isolata [ = nell’errore/individuo] ci sia comprensione della verità del destino>>.

A ciò, aggiungiamo adesso la SPC.

Scrive Severino: <<Il linguaggio continua a dire che A è B; ma dice l’impossibile. Dice l’impossibile anche se A = B è pensato come (A = B) = (B = A)>>. (Severino, Tautótes. Adelphi 1995).

Dunque, lo stesso Severino riconosce che anche il suo <<linguaggio che tenta di mostrare il destino della verità>> sia interamente commisto con la contraddizione esemplificata da:

<<A è B>>.

Altrove, scrive sempre Severino: <<Affermare che questa estensione [A] è [ = ] rossa [B], significherà infatti affermare che questa estensione è non questa estensione [<A = ¬A>; ¬<A = A>] (stante che il colore di questa estensione appartiene all’orizzonte del contraddittorio di essa>> (Severino; La struttura originaria, pag. 269. Parentesi quadre mie: RF).

E prosegue: <<Aporia antichissima com’è noto, che già Platone discuteva (Sofista, 251 sg.), ma che da Platone fu piuttosto evitata che risolta [...] Aristotele aveva tentato di eliminare la difficoltà introducendo la distinzione di sostanza ed accidente: nulla impedisce che qualcosa (sostanza, o accidente in funzione di sostrato di un altro accidente) possa essere anche altro, oltre a ciò che esso è; ma questa alterità non è negazione della sostanza _ ossia non è un’altra determinazione sostanziale _ ma è l’ambito delle determinazioni accidentali della sostanza (Met. 1. IV, cap. 4). Il che può essere accettato, nel senso che allorché si afferma che questa estensione [A] è [ = ] rossa [B], non si nega che questa estensione sia un’estensione, ma si afferma che questa estensione _ che è come questa estensione _ è, appunto, rossa; ossia che l’identico (questa estensione che è questa estensione) è determinato in modo ulteriore rispetto a quello che costituisce la determinatezza dell’identità>>.

<<Senonché _ osserva Severino _, nonostante il chiarimento fatto, l’aporia permane egualmente: appunto in quanto l’identità è altro da sé. Ciò che provoca l’aporia è appunto _ per usare la terminologia aristotelica _ l’inesione della determinazione accidentale alla determinazione sostanziale; ossia è il fatto che l’una è in qualche modo l’altra. Ogni giudizio non tautologico ( = non identico) sembra pertanto una contraddizione. E quindi si dovrà dire che ogni complessità semantica avente valore apofantico è una contraddizione: nella misura in cui sembra che la complessità in questione non possa equivalere in quanto tale a un giudizio tautologico>> - (Ibid).

<<Poiché pensare che qualcosa (soggetto) è qualcosa (predicato) è identificazione dei non identici, perché soggetto e predicato sono isolati, sì che la loro relazione è prodotta dal divenire del pensiero che li unisce [...] il divenire che li unisce è identificazione dei non identici>> - (Severino; Tautòtes).

A ciò, la soluzione del filosofo bresciano consisterebbe nel <<giudizio tautologico>> i cui termini siano concepiti come originariamente (eternamente) insieme, anziché divenuti tali a partire dal loro iniziale isolamento:

<<Solo se al di sotto della forma linguistica “A è B” si pensa l’essere insieme a B da parte di A, si può continuare a dire che (A = B) = (B = A). La formula adeguata è dunque:

[A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A].

Tuttavia, anche il linguaggio che tenta di mostrare il destino della verità può continuare a dire (come accade anche in queste pagine) che A è B, che questa superficie è bianca, il cielo è sereno, Socrate è un uomo, quest’ombra è sulla parete, la lampada è accesa (cioè, come in queste esemplificazioni di “A è B”, può continuare ad esprimere come identità i contenuti non identici dell’interpretazione - e anche quei contenuti che invece non hanno questo carattere)>>. (Severino, Tautótes. Parentesi quadre nel testo).

Precisa inoltre Severino: <<in questo linguaggio appare l’impossibilità che A sia B (ossia non-A); ma dicendo che A “è” B, esso intende questo “essere” come un “essere insieme”; e dicendo (A = B) = (B = A) esso intende [A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A] (intende che è A-che-è-identico-al-suo-essere-insieme-a-B ad essere insieme a B, ossia a quell’essere-insieme-a-B che è identico ad A)>>.  (Tautótes; pag. 152. Parentesi quadre nel testo).

Andiamo per gradi.

Innanzitutto, come può <<in questo linguaggio>> <<malato>> apparire la non-malattia consistente nell’<<impossibilità che A sia B (ossia non-A)>>, visto e considerato che tale non-malattia ( = cioè tale presunta impossibilità) è essa stessa costituita come la stessa malattia ( = “A è B”) della quale il linguaggio malato ne dice l’impossibilità?

Poiché secondo Severino <<A è B>> è la malattia, allora, inevitabilmente, l’asserzione: <<A è B è la malattia>> è a sua volta una malattia, giacché <<è la malattia>> ripropone la stessa malattia cui è <<A è B>>!

Che è come dire che la contraddizione ( = il linguaggio malato) mostra/esprime senza-contraddizione ( = senza malattia) che essa, cioè la contraddizione, è impossibile…

Che è come dire, ancora, che il linguaggio (contraddittorio) mostra non-contraddittoriamente che esso stesso è contraddittorio, e quindi tale linguaggio non mostra alcunché; mostra-sé mostrando, di sé, che non è: non mostra tout court.

Torniamo alla ‘soluzione’ severiniana.

Essa recita che lo <<è>> di <<A è B>> vada pensato come <<l’essere insieme a B da parte di A>>.

Ossia il linguaggio malato <<intende questo “essere” come un “essere insieme”; e dicendo (A = B) = (B = A) esso intende [A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A] (intende che è A-che-è-identico-al-suo-essere-insieme-a-B ad essere insieme a B, ossia a quell’essere-insieme-a-B che è identico ad A)>> (parentesi quadre nel testo). 

Diciamo subito che affermare che il linguaggio <<intende questo “essere” come un “essere insieme”>> vuol dire che <<questo “essere”>> deve essere inteso come quell’altro-da- cui è l’<<essere insieme>>, giacché la differenza tra <<A è B>> ed <<essere insieme>> sarebbe (per Severino) la stessa differenza tra quegli infinitamente contraddittori cui sarebbero, rispettivamente, il nichilismo ( =  la contraddizione) è la verità del destino ( = la non-contraddizione)!

Per cui il filosofo bresciano offre come soluzione (ciò che sulla base della sua teoresi è) una contraddizione estrema, ossia (vuole) intendere la contraddizione <<A è B>> come se significasse incontraddittoriamente <<essere insieme>>!

Ma non è finita qui.

Come visto, secondo Severino <<A è B>> deve intendersi come <<essere insieme a>>, cioè:

<<(A = B) = (B = A)>>, il quale da Severino è inteso così:

<<[A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A]>>,

cioè <<(che è A-che-è-identico-al-suo-essere-insieme-a-B ad essere insieme a B, ossia a quell’essere-insieme-a-B che è identico ad A)>>. 

Siccome in OGNI sua ricorrenza lo <<è>> deve SEMPRE esser inteso come <<essere insieme a>> _ cioè come: <<è insieme a>> _, allora quest’ultimo <<è insieme a>> diviene:

<<insieme a insieme a>>,

dove lo <<insieme a>> è lo stesso <<è>> di: <<è insieme a>> il quale, perciò, si dovrà severinianamente ritradurre così:

<<insieme a insieme a>> (appunto perché ritraduce ‘veritativamente’ il ‘nichilistico’:

<<è insieme a>>).

E siccome anche lo <<è>> di <<è insieme a>> significa a sua volta: <<essere insieme a>>, allora abbiamo:

A insieme a insieme a B.

Ugualmente, la formula: <<[A = (insieme a B)] = [(insieme a B) = A]>>, ossia

<<[A è identico a (insieme a B)] che è identico a [(insieme a B) che è identico a A]>>

è da intendersi come:

<<[A insieme a identico a (insieme a B)] che insieme ad identico a [(insieme a B) che insieme a identico a A]>>.

Pertanto, anche la frase di Severino:

<<(che è A-che-è-identico-al-suo-essere-insieme-a-B ad essere insieme a B, ossia a quell’essere-insieme-a-B che è identico ad A)>>,

sarà da intendersi severinianamente (cioè, a suo dire: veritativamente!) così:

<<(che essere insieme a A-che-essere insieme a-identico-al-suo-essere insieme a-B ad essere

insieme a B, ossia a quell’essere insieme a-B che essere insieme a identico ad A)>>. 

Potremmo sfidare chiunque a tentar di pensare, parlare e scrivere intelligibilmente mediante l’‘intendimento’ severiniano di cui poc’anzi e che vorrebbe fungere da soluzione, cioè intendendo o sostituendo il verbo <<è>> con <<è insieme a>> e perciò con: insieme a insieme a;

essendo l’intendimento (a parer di Severino) incontraddittorio (di contro al presunto contraddittorio <<A è B>>), dovrebbe allora risultare eminentemente facile e consequenziale esprimerLo ed intelligerLo, il che è precisamente quanto non accade!

Un intendimento, perciò, che si rivela esser un completo fraintendimento!

Se la predicazione malata ( = SPC), espressione del <<pensiero malato>> (sempre secondo Severino) costituente qualsiasi discorso (anche questo) e qualsiasi tesi (di chiunque) non è trasformabile (lo vieta la tesi severiniana dell’eternità dell’ente e quindi della presunta impossibilità del suo trasformarsi/diventare-altro) in quell’altro da sé cui sarebbe la predicazione incontraddittoria (benché inintelligibile, come appena constatato, giacché nessuno potrebbe mai farsi comprendere pensando/parlando/scrivendo utilizzando l’espediente teoretico di Severino che legge <A è B> come fosse da intendere: <A è insieme a B> quindi: <A insieme a insieme a B>, confermando perciò stesso costitutivamente inaggirabile la SPC), allora tutto il sistema filosofico severiniano presuppone _ alla sua base e via via lungo tutto il suo percorso esplicativo, tratto per tratto, frase per frase _ ciò (-> la SPC) dalla quale egli vorrebbe liberarsi ma che in realtà non può non riproporre/utilizzare continuamente, essendovi infatti completamente immerso.

Come colui che, stando sott’acqua, tentasse insistentemente di tener l’ombrello aperto per ripararsi dalla pioggia…

 

Roberto Fiaschi

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