mercoledì 1 febbraio 2023

14)- LA FEDE "DI" SEVERINO

Riporto alcuni brevi stralci da un lungo articolo di Emanuele Severino (dal Corriere della Sera del 27 giugno 1980) intitolato: <<SI PUO' GUARIRE CON UN VELENO?>>.

I restanti più ampi passaggi verranno di volta in volta riportati e commentati nei prossimi post.

Scrive Severino:

<<Senza una fede - si dice - non si può vivere. Sì; ma proprio perché la vita è fede, la vita è errore. Non semplicemente nel senso che la vita sia lo spazio al cui interno può accaderci di errare, ma nel senso che é proprio in quanto si vive che si erra. La violenza è l'aspetto più visibile dell'errare. La vita è violenza proprio in quanto fede. Da sempre e ovunque la vita dell'uomo è completamente immersa nella fede. Giacché, fede, non è soltanto quella religiosa, ma anche tutte le altre infinite forme di fede: anche il senso comune, il "buon senso" degli uomini; anche il non sentire alcun bisogno di Dio; e anche l'amore, l'odio, la volontà di dominio, la poesia, ogni forma di ideologia, di legge e di violazione della legge; e perfino la scienza. E' fede anche ciò che la civiltà occidentale ha chiamato "verità". E l'incredulità e il dubbio non sono che il risvolto di una certa fede, che rifiuta quelle antagoniste ed è indubbio su quelle che per il momento non la mettono a repentaglio. […] Che cosa dovremo fare, allora, per evitare l'errore e la violenza? ma è proprio necessario che si debba fare qualcosa? Il "fare" è uno dei tanti nomi della vita; e se la vita è errore, anche la domanda "che fare?" è errore ed è errore rispondervi (ma anche l'inerzia e la rinuncia alla vita sono modi di fare, cioè di vivere). […] Ma la fede è veramente un errare perché va errando non rispetto a ciò che è semplicemente ratum da uomini o da dei, ma rispetto a ciò che sta e che né uomini né dei possono smuovere e, così stando, riesce ad essere la gloria del "si". […]>>.

 

Come appena letto sin dall’inizio dell’articolo di Severino, per lui non solo la vita,

<<proprio perché […] è fede, la vita è errore>>, ma fede (quindi errore) <<non è soltanto quella religiosa, ma anche tutte le altre infinite forme di fede: anche il senso comune, il "buon senso" degli uomini; anche il non sentire alcun bisogno di Dio; e anche l'amore, l'odio, la volontà di dominio, la poesia, ogni forma di ideologia, di legge e di violazione della legge; e perfino la scienza. È fede anche ciò che la civiltà occidentale ha chiamato "verità">>…

Di più; anche <<ogni rimedio contro la violenza, proposto dalla "nostra" civiltà, è destinato a fallire. Innanzitutto per quanto si è qui incominciato ad accennare: ogni rimedio è una fede e la fede ha la stessa anima della violenza>>.

Altrove, Severino scrisse che <<L’uomo si lascia alle spalle il pensiero del rimedio quando comprende che la paura della propria distruzione non ha alcun fondamento: l’essere non può diventare nulla>>.

Bene.

Tuttavia, è difficile evitar di scorgere come la presunta comprensione <<che la paura della propria distruzione non ha alcun fondamento: l’essere non può diventare nulla>> abbia anch’essa le caratteristiche del rimedio.

Infatti, alla <<paura della propria distruzione>>, il rimedio consisterebbe nel comprendere che <<l’essere non può diventare nulla>>.

Per cui, <<se la vita è errore>>, e se <<anche la domanda "che fare?" è errore ed è errore rispondervi>>, allora sarà inevitabile concludere come anche queste risposte date da Severino circa la vita, la fede e l’errore siano a loro volta tutte errori.

E sarà altresì errore anche il mal camuffato rimedio poc’anzi proposto da Severino.

Naturalmente, Severino nega che la suddetta ‘comprensione’ sia una fede, quindi nega che sia un rimedio.

Senonché, colui che scrive tutto ciò è appunto l’errore-Severino, la cui vita <<è completamente immersa nella fede>> al pari di tutti noi erranti, come egli ha precisato all’inizio.

Oltretutto, vi è da notare come il filosofo bresciano abbia avuto cura di precisare che <<la vita è fede, la vita è errore. Non semplicemente nel senso che la vita sia lo spazio al cui interno può accaderci di errare, ma nel senso che è proprio in quanto si vive che si erra>>.

Il che aggrava infinitamente questa sua stessa tesi.

Sì, giacché anche Severino non è qualcuno a cui possa accadere a volte <<di errare>>, no, peggio:

egli stesso è un siffatto errare simpliciter, ossia erra costitutivamente (in quanto è appunto errore), giacché <<è proprio in quanto>> egli vive, che erra.

Essendo anch’egli un errore/errante, vi è chiedersi come riesca a sottrarre le sue tesi (in quanto pensate/espresse da un errore) dall’esser, anch’esse, errori.

A tal proposito, nel post n° 3 <<“L’OCCHIO CIECO” E LA TESTIMONIANZA DELLA VERITÀ DEL DESTINO>> (a cui rimando per i dettagli), è già emersa tutta la contraddittorietà che comporta ritener l’io-empirico esser errore/fede (un “occhio cieco”) internamente ad un sistema filosofico (quello severiniano) che pretenda costituirsi come negazione di ogni fede (in quanto esso sarebbe fondato su <<ciò che sta e che né uomini né dèi possono smuovere>>) e quindi come negazione della possibilità che l’io empirico possa aver contezza della verità del destino.

Qui, mi limito a riportare quanto ha scritto la Prof.ssa Nicoletta Cusano nel suo libro: Emanuele Severino. Oltre il nichilismo; Morcelliana. Brescia 2011:

<<La testimonianza attuale del destino è affermazione della impossibilità che l’io mortale [l’io dell’errore/individuo] comprenda la verità del destino porta con sé la necessità di abbandonare ogni velleità veritativa in relazione alla propria coscienza individuale>>. (pag. 437);

<<è impossibile che nel linguaggio della terra isolata [quindi nell’errore/individuo] ci sia comprensione della verità del destino, anche se formalmente le sue parole suonano identiche al linguaggio che testimonia il destino>> (pag. 446).

Ma se è <<impossibile>> che vi sia siffatta <<comprensione della verità del destino>>, allora non è affatto vero ciò che ha scritto Severino, ossia che <<L’uomo si lascia alle spalle il pensiero del rimedio quando comprende [la tesi severiniana] che la paura della propria distruzione non ha alcun fondamento: l’essere non può diventare nulla>>!

Una comprensione impossibile che perciò non accadrà mai, ma che, nonostante ciò, Severino invita a comprenderla al fine di lasciarsi alle spalle <<il pensiero del rimedio>>!  

Poiché impossibile, tale comprensione non sarà tale neppure per l’errore-Severino, nonostante egli creda di averla compresa scrivendone abbondantemente.  

E non la può comprendere proprio in nome della sua stessa tesi secondo la quale:

<<Se ci si rende conto che l'individuo è errore, allora la verità non ha il compito di rendere verità l'errore>> (Severino: La legna e la cenere);

il che va di male in peggio, giacché che l’individuo sia errore, non è qualcosa che possa esser compreso/sentito dall’io empirico/errore _ come ha spesso ricordato Severino _, ma può apparire soltanto all’io del destino (a meno che nel o all’errore ogni tanto faccia capolino l’io del destino per suggerire alcune verità che l’errore è costitutivamente impossibilitato a recepire, per cui non le comprenderebbe ugualmente, nemmeno con l’ausilio diretto dell’io del destino…).

Pertanto, ove Severino scrive: <<Se ci si rende conto che l'individuo è errore>>, scrive qualcosa che contraddice il suo stesso dettato teoretico, appunto perché l’errore non può rendersi conto che egli, cioè <<che l'individuo è errore>>!

Insomma, neppure le tesi di Severino riescono davvero ad uscire dall’ambito della fede, nonostante egli creda di riferirsi <<a ciò che sta e che né uomini né dèi possono smuovere e, così stando, riesce ad essere la gloria del "si">> giacché quel <<ciò che sta>>, egli (Severino) <<proprio perché è fede, è destinato a non sentire la verità: in quanto ascoltata da “me”, cioè dalla fede in cui “io” come individuo mortale consisto, la verità non può essere verità, e io sono destinato ad essere soltanto il desiderio, in indefinitum, della verità>>. - (La struttura originaria, pag. 89).

 

Roberto Fiaschi

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