Riporto alcuni brevi stralci da un lungo articolo di Emanuele Severino (dal Corriere della Sera del 27 giugno 1980) intitolato: <<SI PUO' GUARIRE CON UN VELENO?>>.
I restanti più ampi passaggi verranno di volta in volta riportati e commentati nei prossimi post.
Scrive Severino:
<<Senza una fede - si dice - non si può vivere. Sì; ma proprio perché la vita è fede, la vita è errore. Non semplicemente nel senso che la vita sia lo spazio al cui interno può accaderci di errare, ma nel senso che é proprio in quanto si vive che si erra. La violenza è l'aspetto più visibile dell'errare. La vita è violenza proprio in quanto fede. Da sempre e ovunque la vita dell'uomo è completamente immersa nella fede. Giacché, fede, non è soltanto quella religiosa, ma anche tutte le altre infinite forme di fede: anche il senso comune, il "buon senso" degli uomini; anche il non sentire alcun bisogno di Dio; e anche l'amore, l'odio, la volontà di dominio, la poesia, ogni forma di ideologia, di legge e di violazione della legge; e perfino la scienza. E' fede anche ciò che la civiltà occidentale ha chiamato "verità". E l'incredulità e il dubbio non sono che il risvolto di una certa fede, che rifiuta quelle antagoniste ed è indubbio su quelle che per il momento non la mettono a repentaglio. […] Che cosa dovremo fare, allora, per evitare l'errore e la violenza? ma è proprio necessario che si debba fare qualcosa? Il "fare" è uno dei tanti nomi della vita; e se la vita è errore, anche la domanda "che fare?" è errore ed è errore rispondervi (ma anche l'inerzia e la rinuncia alla vita sono modi di fare, cioè di vivere). […] Ma la fede è veramente un errare perché va errando non rispetto a ciò che è semplicemente ratum da uomini o da dei, ma rispetto a ciò che sta e che né uomini né dei possono smuovere e, così stando, riesce ad essere la gloria del "si". […]>>.
Come appena letto sin dall’inizio dell’articolo di Severino, per lui
non solo la vita,
<<proprio perché […] è fede, la vita è errore>>, ma fede (quindi errore) <<non
è soltanto quella religiosa, ma anche tutte le altre infinite forme di fede: anche il senso
comune, il "buon senso" degli uomini; anche il non sentire alcun
bisogno di Dio; e anche l'amore, l'odio, la volontà di dominio, la poesia, ogni
forma di ideologia, di legge e di violazione della legge; e perfino la scienza.
È fede anche ciò che la civiltà occidentale ha chiamato "verità">>…
Di più; anche <<ogni rimedio contro la violenza, proposto dalla "nostra" civiltà, è destinato a fallire. Innanzitutto per quanto si è qui incominciato ad accennare: ogni rimedio è una fede e la fede ha la stessa anima della violenza>>.
Altrove, Severino scrisse che <<L’uomo si lascia alle spalle
il pensiero del rimedio
quando comprende
che la paura della propria distruzione non ha alcun fondamento: l’essere non
può diventare nulla>>.
Bene.
Tuttavia, è difficile evitar di scorgere come la presunta
comprensione <<che la paura della propria distruzione non ha alcun
fondamento: l’essere non può diventare nulla>> abbia anch’essa le
caratteristiche del rimedio.
Infatti, alla <<paura della propria distruzione>>,
il rimedio
consisterebbe nel comprendere che <<l’essere non può diventare nulla>>.
Per cui, <<se
la vita è errore>>,
e se <<anche la domanda "che fare?" è errore ed è errore
rispondervi>>, allora sarà inevitabile concludere come anche queste
risposte date da Severino circa la vita, la fede e l’errore siano a loro
volta tutte errori.
E
sarà altresì errore
anche il mal camuffato rimedio
poc’anzi proposto da Severino.
Naturalmente, Severino nega che la suddetta ‘comprensione’
sia una fede, quindi nega che sia un rimedio.
Senonché, colui che scrive tutto ciò è appunto l’errore-Severino, la cui
vita <<è completamente immersa nella fede>> al pari di tutti noi
erranti, come egli ha precisato all’inizio.
Oltretutto, vi è da notare come il filosofo bresciano abbia avuto
cura di precisare che <<la
vita è fede, la
vita è errore. Non
semplicemente nel senso che la vita sia lo spazio al cui interno può accaderci
di errare, ma nel senso che è
proprio in quanto si vive che si erra>>.
Il che aggrava
infinitamente questa sua
stessa tesi.
Sì, giacché anche Severino non è qualcuno a cui possa accadere
a volte <<di
errare>>, no, peggio:
egli
stesso è un siffatto errare
simpliciter, ossia erra
costitutivamente (in quanto è appunto errore), giacché <<è proprio in
quanto>> egli vive, che erra.
Essendo anch’egli un errore/errante,
vi è chiedersi come riesca a sottrarre le sue tesi (in quanto pensate/espresse
da un errore)
dall’esser, anch’esse, errori.
A tal
proposito, nel post n° 3 <<“L’OCCHIO
CIECO” E LA TESTIMONIANZA DELLA VERITÀ DEL DESTINO>> (a
cui rimando per i dettagli), è già emersa tutta la contraddittorietà
che comporta ritener l’io-empirico esser errore/fede (un “occhio cieco”) internamente ad
un sistema filosofico (quello severiniano) che pretenda costituirsi come
negazione di ogni fede (in quanto esso sarebbe fondato su <<ciò che sta e che né uomini né dèi possono smuovere>>) e quindi come negazione della possibilità che l’io
empirico possa aver contezza della verità del destino.
Qui, mi
limito a riportare quanto ha scritto la Prof.ssa Nicoletta Cusano nel suo
libro: Emanuele Severino. Oltre il nichilismo; Morcelliana. Brescia 2011:
<<La testimonianza attuale del destino è affermazione della impossibilità
che l’io mortale [l’io dell’errore/individuo] comprenda la verità del destino porta
con sé la necessità di abbandonare ogni velleità veritativa in relazione alla propria
coscienza individuale>>. (pag. 437);
<<è impossibile che nel linguaggio della terra isolata [quindi
nell’errore/individuo] ci sia comprensione della verità del destino, anche
se formalmente le sue parole suonano identiche al linguaggio che testimonia il
destino>> (pag. 446).
Ma se è <<impossibile>> che vi sia siffatta <<comprensione della
verità del destino>>, allora non è affatto
vero ciò che ha
scritto Severino, ossia che <<L’uomo
si lascia alle spalle il pensiero del rimedio quando comprende [la tesi severiniana] che
la paura della propria distruzione non ha alcun fondamento: l’essere non può
diventare nulla>>!
Una comprensione impossibile
che perciò non accadrà mai, ma che, nonostante ciò, Severino invita a comprenderla al
fine di lasciarsi alle spalle <<il pensiero del rimedio>>!
Poiché impossibile, tale comprensione non sarà tale neppure per l’errore-Severino, nonostante egli creda di averla compresa scrivendone abbondantemente.
E non la può comprendere proprio in nome della sua stessa tesi
secondo la quale:
<<Se ci
si rende conto che l'individuo è errore, allora la verità non ha il compito di
rendere verità l'errore>> (Severino: La legna e la cenere);
il che va di male in peggio, giacché che l’individuo
sia errore, non
è qualcosa che possa esser compreso/sentito dall’io empirico/errore _ come ha spesso
ricordato Severino _, ma può apparire soltanto all’io del destino (a meno che nel
o all’errore ogni tanto faccia capolino l’io del destino per suggerire
alcune verità che l’errore è costitutivamente impossibilitato a recepire,
per cui non le comprenderebbe
ugualmente, nemmeno con l’ausilio diretto dell’io del destino…).
Pertanto, ove Severino scrive: <<Se ci si rende conto che
l'individuo è errore>>, scrive qualcosa che contraddice il
suo stesso dettato teoretico, appunto perché l’errore non può rendersi conto
che egli, cioè <<che l'individuo è errore>>!
Insomma, neppure le tesi di Severino riescono davvero ad uscire dall’ambito
della fede,
nonostante egli creda
di riferirsi <<a
ciò che sta e che né uomini né dèi possono smuovere e, così stando, riesce ad essere
la gloria del "si">>
giacché quel <<ciò che sta>>, egli (Severino) <<proprio perché è fede, è destinato a non sentire la
verità: in quanto ascoltata da
“me”, cioè dalla
fede in cui “io” come individuo mortale consisto, la verità non può essere verità, e io sono
destinato ad essere soltanto il desiderio, in indefinitum, della verità>>.
- (La struttura originaria, pag. 89).
Roberto Fiaschi
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