martedì 7 febbraio 2023

23)- L’“ANALISTA DELLA PAROLA”: «DIO C'È...? E COME FACCIAMO A SAPERLO....?»

<<Dio c'è...? E come facciamo a saperlo....?>>

Già, come facciamo? Ce lo spiega lei, l’Analista della Parola ( = AdP) della quale abbiam già fatto una prima conoscenza nel post n° 10.

Riporto la trascrizione del suo video alla pagina https://www.youtube.com/watch?v=BJ7Sr6H88fs:

<<Dio c’è? Come facciamo a saperlo? Beh, prima di tutto, occorre poter considerare la sua esistenza o meno; cioè una persona si mette lì, fa due conti, e vai a prima l’una e poi all’altra ipotesi, o no? Se una persona è onesta, sì, cioè non prende per buona la prima ipotesi che le capita sotto tiro, semplicemente perché magari le piace esteticamente, vaglia, indaga, interroga, rileva, riferisce il confronto, analizza, conclude, se è una persona seria che considera seriamente la questione di Dio. Ecco che nel fare ciò utilizza qualcosa, ovviamente, qualcosa che non può essere la fede, perché io posso anche, una volta costruito il ragionamento, vagliate entrambe le ipotesi, giungere a concludere che Dio esiste e a quel punto, dato che non ho alcuna dimostrazione, a parte, appunto, il mio ragionamento, cominciare a credere che sia così. Non è necessario che lo faccia, tuttavia lo posso fare, ma lo posso fare appunto soltanto dopo che ho costruito il mio ragionamento, tant’è, che se nel vagliare entrambe le ipotesi costruisco un ragionamento che giunge a concludere che Dio non esiste, ecco che la fede non si pone proprio. Quindi, ciò che determina o meno l’insorgere della fede, non è altro che un ragionamento. Un ragionamento che cos’è? È un procedimento logico. Ecco che allora, come anche molti credenti affermano, a monte della questione sull’esistenza di Dio non c’è la fede, c’è la logica; cioè non è la fede che pone questa questione, è la logica che la pone. Ma è la stessa logica con cui si tenta di rispondere? Ecco, qui la questione è tanto si infittisce quanto si fa interessante perché, dato che c’è una logica da cui proviene la questione di Dio, allora, per una questione di onestà intellettuale, oltre che per cognizione di causa, occorre utilizzare quella stessa logica per rispondere, perché si tratta della causa prima di qualunque affermazione, qualunque questione su Dio. Dio, che altro non è considerato che appunto come la causa prima di qualunque cosa. Per cui ecco che qualunque obiezione, qualunque affermazione, qualunque istanza nei confronti di Dio, e a cui la religione ha tentato invano di rispondere, ha la sua causa prima proprio in Dio. Allora ecco che per rispondere occorre cercare in Dio, non nella religione; religione che tra l’altro è l’unica che afferma che Dio non segue la logica, ma questo è soltanto un modo molto subdolo che essa utilizza per poter affermare qualunque cosa in merito, a suo piacimento, così, e convenienza, tant’è che la fede, dinanzi a qualunque obiezione, non fa altro che porre dei paradossi e delle contraddizioni, non può perché non sa fare altro, come quando dice che la fede stessa non segue la logica; la fede è una conseguenza della logica, per cui una persona può anche ignorare la fede, anzi, è preferibile che lo faccia, è l’unica cosa da cui dovrebbe riguardarsi dal fare soprattutto se ha a cuor Dio. Ma la logica, da cui provengono le domande e le risposte, è qualcosa a cui si dovrebbe interessare ancora prima di rispondere alla domanda se esiste o non esiste Dio. Per cui ecco, anche se ammettessimo e concedessimo che la fede non segue la logica, non dovremmo pertanto concludere che la fede stessa non segue Dio? La fede può anche dire di non utilizzare la logica, ma per poterlo dire, o anche soltanto pensare, deve utilizzare la logica. […]>>.

Il suo primo passo falso consiste nel ritener che la fede possa costituirsi soltanto al seguito di un ragionamento logico, visto che _ a dire di AdP _ qualora costruissimo <<un ragionamento che giunge a concludere che Dio non esiste, ecco che la fede non si pone proprio>>.

È vero l’esatto contrario.

Già un ragionamento logico che dimostrasse l’esistenza di Dio non sarebbe sufficiente a far nascere la fede, come ad esempio ha ben evidenziato il cristiano Blaise Pascal:

<<Le prove metafisiche di Dio sono così lontane dal comune modo di pensare degli uomini e così astruse che riescono poco efficaci; e, quand’anche fossero adatte per taluni, servirebbero loro solo per il breve momento in cui hanno dinanzi agli occhi la dimostrazione; ma un’ora dopo, temono già d’essersi ingannati>>. - (Pensieri, 543).

A maggior ragione, perciò, un ragionamento che giunga <<a concludere che Dio non esiste>> men che meno potrebbe impedire il sorgere della fede in Dio, appunto perché la genesi di tale fede non risiede in alcun tipo di ragionamento (altrimenti la fede non sarebbe fede ma teorema logico-oggettivo; né d’altronde il concetto di “Dio” è noto grazie al ragionamento, essendo infatti presente, pur tra numerose differenze accomunate comunque da un tratto comune, già agli albori delle più antiche società cosiddette ‘primitive’:

<<Se tu andassi in giro per il mondo, potresti trovare città prive di mura, che ignorano la scrittura, non hanno re, case e ricchezze, non fanno uso di monete, non conoscono teatri e palestre; ma nessuno vide né mai vedrà una città senza templi e senza divinità>>. - (Plutarco, 46-127 d.C.),

cosicché il concetto di “Dio” faccia la propria comparsa in virtù di una presa di posizione soggettivo-esistenziale nei confronti della travagliata finitezza del proprio esserci.

Per cui non è vero che <<ciò che determina o meno l’insorgere della fede, non è altro che un ragionamento>> (quest’ultimo può al massimo seguire la fede quale tentativo filosofico di sciogliere in modo logico-razionale il nodo circa ciò che è già emerso intuitivamente o “per fede”, ossia l’esistenza di Dio).

Certo, il ragionamento logico è importantissimo, imprescindibile direi, nessuno nega ciò; ma non sempre assurge ad attore protagonista, giacché laddove esso non riesca a conseguire alcun risultato (pro o contro una tesi), non per questo vien messa fuori gioco l’opzione-fede, o l’intuito, o la scelta/scommessa (impegno) esistenziale, anche contro gli eventuali responsi negativi da parte di accurati ragionamenti logici rispetto alla questione di “Dio”.

Dopodiché, AdP si chiede: 

<<Un ragionamento che cos’è? È un procedimento logico. Ecco che allora, come anche molti credenti affermano, a monte della questione sull’esistenza di Dio non c’è la fede, c’è la logica; cioè non è la fede che pone questa questione, è la logica che la pone>>.

AdP ripropone qui il medesimo abbaglio di cui poc’anzi; se la <<questione sull’esistenza di Dio>> non fosse innanzitutto esistenziale, prima ancora che logico-argomentativa, allora essa sarebbe questione nata ex abrupto con la nascita della stessa filosofia greca, mentre, invece, innumerevoli “Dèi” pre-esistevano di gran lunga al suo esordio, e pre-esistevano “per fede”, non certo in virtù di ragionamenti logici.  

Proseguiamo.

Il discorso di AdP si fa ora vieppiù farraginoso, giacché passa, con un curioso salto logico, dalla logica (dalla quale, secondo lei proverrebbe <<la questione di Dio>>) a Dio stesso il quale, essendo considerato <<la causa prima di qualunque cosa>> e quindi anche della logica, allora <<qualunque obiezione, qualunque affermazione, qualunque istanza nei confronti di Dio, e a cui la religione ha tentato invano di rispondere, ha la sua causa prima proprio in Dio. Allora ecco che per rispondere occorre cercare in Dio, non nella religione>>!

Se con: <<occorre cercare in Dio, non nella religione>> AdP intende forse sostenere un contatto diretto con Dio cercando, perciò, <<in Dio>> ossia in quella logica grazie alla quale sarebbe costruita <<qualunque obiezione, qualunque affermazione, qualunque istanza nei confronti di Dio>>, visto che la logica <<ha la sua causa prima proprio in Dio>>, allora sarebbe da far notare come anche la fede e l’intuizione (e tutto il resto) abbiano la loro <<causa prima proprio in Dio>>.

Inoltre, farei altresì notare l’insensatezza dell’affermazione secondo la quale <<la religione ha tentato invano di rispondere>> a <<qualunque obiezione, qualunque affermazione, qualunque istanza nei confronti di Dio>>.

Sì, giacché la religione non è in primo luogo preposta a rispondere in senso logico-razionale alla questione di Dio; la religione non è filosofia, non è un sistema speculativo bensì _ giova ripetere _ è un approccio esistenziale al ‘divino’ (in senso lato) e come tale è innanzitutto un ‘organismo’ cultural-esistenziale costituito da culti, preghiere, riti, precetti, atteggiamenti e prassi indirizzati alla divinità e, certo, anche da ragionamenti. 

Prosegue AdP: <<religione che tra l’altro è l’unica che afferma che Dio non segue la logica>>.

Ora, se intende affermare che Dio (soggetto originario) non segue la logica, AdP avrebbe il dovere di documentare la fonte di tale tesi, perché detta così è soltanto una boutade, un suo personalissimo dogma sparato lì, tanto per dire qualcosa…

Se invece intende dire che il discorso razional-filosofico su Dio (come oggetto d’indagine) <<non segue la logica>>, ebbene, anche qui si sbaglia grandemente, basterebbe infatti prendersi la briga di studiare Tommaso d’Aquino, Anselmo d’Aosta… G. W. F. Hegel, Antonio Rosmini, Etienne Gilson, Jaques Maritain, etc…, per sincerarsi dell’esatto contrario.

Certo, internamente al Cristianesimo vi è anche un orientamento _ Pascal, Kierkegaard, Karl Barth… _ che utilizza il paradosso come condizione per il salto della fede, a riprova del fatto di come AdP generalizzi <<a suo piacimento e convenienza>>,  piacimento e convenienza che invece attribuisce alla religione _ ai credenti _ ove afferma che la presunta tesi dei credenti secondo la quale il non seguir la logica da parte di Dio <<è soltanto un modo molto subdolo che essa [la religione] utilizza per poter affermare qualunque cosa in merito, a suo piacimento, così, e convenienza>>, il che, nuovamente, non risponde affatto alla realtà della situazione, giacché la Teologia è bel lungi dall’<<affermare qualunque cosa in merito, a suo piacimento>> proprio in virtù di quei ‘dogmi’ ovvero di quegli aspetti non negoziabili della fede.

E aggiunge: <<tant’è che la fede, dinanzi a qualunque obiezione, non fa altro che porre dei paradossi e delle contraddizioni, non può perché non sa fare altro, come quando dice che la fede stessa non segue la logica>>.

Senonché, farei nuovamente notare la scarsa lucidità del discorso di AdP, poiché inizialmente ha asserito che <<Ecco che allora, come anche molti credenti affermano, a monte della questione sull’esistenza di Dio non c’è la fede, c’è la logica; cioè non è la fede che pone questa questione, è la logica che la pone>>;

adesso, invece, sostiene che la fede (quindi credenti) <<non segue la logica>>.

AdP deve perciò mettersi d’accordo con se stessa:

- AUT i <<molti credenti>> (quindi la loro fede) affermano che <<a monte della questione sull’esistenza di Dio non c’è la fede, c’è la logica>>;

- AUT la fede (quindi la fede dei credenti) <<non segue la logica>>…

Il video di AdP si avvia alla conclusione con affermazioni tanto perentorie quanto piuttosto arbitrarie:

<<la fede è una conseguenza della logica, per cui una persona può anche ignorare la fede, anzi, è preferibile che lo faccia, è l’unica cosa da cui dovrebbe riguardarsi dal fare soprattutto se ha a cuor Dio. Ma la logica, da cui provengono le domande e le risposte, è qualcosa a cui si dovrebbe interessare ancora prima di rispondere alla domanda se esiste o non esiste Dio. Per cui ecco, anche se ammettessimo e concedessimo che la fede non segue la logica, non dovremmo pertanto concludere che la fede stessa non segue Dio? La fede può anche dire di non utilizzare la logica, ma per poterlo dire, o anche soltanto pensare, deve utilizzare la logica. […]>>.

Per AdP <<una persona>> <<è preferibile>> che ignori la fede (e ciò in perfetta consonanza con il suo dogma laico visto all’inizio, recitante: <<la fede è, per definizione, uno squilibrio mentale>>) <<se ha a cuor Dio>>, appunto perché, a suo dire, Dio sarebbe conseguibile unicamente (o addirittura si identificherebbe?) con la logica.

Ma, se <<la fede è una conseguenza della logica>>, allora <<ignorare la fede>> comporterebbe ignorare anche la logica della quale la fede sarebbe <<una conseguenza>>! E se ignoriamo una delle conseguenze della logica (cioè se ignoriamo la fede), perché, allora, non dovremmo sentirci autorizzati ad ignorare anche tutte le altre conseguenze della logica (anziché soltanto la fede)?

Appunto perché, essendo conseguenze, si differenziano dalla logica, pertanto esse non sono la logica dalla quale si differenziano e quindi _ secondo le premesse di AdP _ sono anch’esse passibili di venir ignorate, col risultato illogico che la logica avrebbe conseguenze ignorabili.

Poiché ha posto una distinzione tra logica e fede proprio consigliando di ignorare quest’ultima, allora AdP riconosce suo malgrado come la fede non sia ri(con)ducibile alla logica simpliciter per quel tanto che esse differiscono tra loro, sì che perda ogni sensatezza il ‘consiglio’ di <<ignorare la fede>>.

Se invece AdP ammette e concede <<che la fede non segue la logica>>, allora non è vero che <<la fede è una conseguenza della logica>>, appunto perché AdP, avendo ammesso e concesso che la fede costituisca un ambito differente dalla logica, sarebbe autonoma (altra) rispetto a quest’ultima. In questo caso, viene destituita di legittimità la conclusione della sua precedente affermazione:

<<Per cui ecco, anche se ammettessimo e concedessimo che la fede non segue la logica, non dovremmo pertanto concludere che la fede stessa non segue Dio?>>

No, non dovremmo potremmo concludere così, proprio in forza della differenza riconosciuta dalla stessa AdP tra logica (da coltivare) e fede (da ignorare!), differenza atta a negare il pan-logicismo di cui AdP si fa vessillifera (o differenza atta a negare l’eventuale identificazione di Dio con la logica tout court), cosicché non s’imponga alcuna necessità che la fede debba seguire la logica perché altrimenti, secondo AdP, <<non segue Dio>>, appunto perché Dio non è identificabile con la logica soltanto. In quest’ultimo caso, infatti, la fede resterebbe al di fuori di Dio e così Dio si ridurrebbe a parte (cioè come un qualsiasi altro ente finito) cui consiste la logica in quanto differenziantesi dalla fede!

Conclude AdP: <<La fede può anche dire di non utilizzare la logica, ma per poterlo dire, o anche soltanto pensare, deve utilizzare la logica. […]>>.

Qui siamo nei pressi di un ragionamento élenchico nello stile di Emanuele Severino (a cui, in questo Blog, sono già stati e saranno ancora dedicati molti post).

Ciò nonostante, che per dire e per pensare <<di non utilizzare la logica>> si debba <<utilizzare la logica>> non solo significa riaffermare, da parte di AdP, il presupposto (la fede) dell’ineludibilità della logica internamente ad un’affermazione logica, ma altresì ciò non costituisce negazione di un’alternativa alla logica, poiché tale élenchos dice soltanto che la logica serve sia per affermare che per negare internamente ad un discorso logico, ma non dice che ciò che viene affermato ( = il dover <<utilizzare la logica>> per affermare <<di non utilizzare la logica>> da parte della fede) si costituisca come (auto-)negazione della non-utilizzazione della logica internamente alla fede! 

Ora, è chiaro che AdP, parlando di <<ragionamento logico>>, intenda più esattamente la parola, la quale è certamente intrascendibile, come vedremo meglio nei prossimi post, senza che ciò, però, comporti le conseguenze o le convinzioni che AdP prospetta nei confronti del mondo, di Dio e della fede.


Roberto Fiaschi

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