lunedì 13 febbraio 2023

28)- SEVERINO: «UN TENTATIVO DI TESTIMONIANZA» È «UNA TESTIMONIANZA FALLITA»


Riporto un’intervista a Emanuele Severino tratta da: La cosa e il segno. Intervista ad Emanuele Severino su linguaggio, ontologia e Destino. Lo Sguardo - rivista di filosofia - N. 15, 2014 (ii).

<<Davide Grossi: A proposito del contenuto dei Suoi scritti Lei utilizza l’espressione “testimonianza” allo scopo di indicare ciò che non è il prodotto di una volontà o il contenuto di una coscienza. Tuttavia anche la testimonianza è una volontà. In che modo la volontà della testimonianza, pur essendo avvolta dalla fede - dalla volontà di dire e quindi dall’errare -, riesce ad indicare quell’assolutamente altro dall’errore che è il Destino? La verità non può non apparire, perché fintanto che qualcosa appare, appare la sintassi del Destino; ma il modo in cui appare il Destino alla testimonianza è diverso o no dal modo col quale esso appare alla non testimonianza?

Severino: Dunque la domanda contiene molti temi. Cominciamo a dire che il Destino della verità appare ovunque ci sia un ascolto, ovunque ci sia una presenza del mondo laddove intendendo per presenza del mondo non esclusivamente quel che si costituisce solo all’interno di quegli enti che chiamiamo “uomini” o di quell’insieme di enti che chiamiamo “prossimi”. Allora, l’apparire della verità costituisce anche l’esser uomo in quanto tale, ma non ogni uomo è una testimonianza: non ogni uomo è unito al linguaggio che testimonia questa presenza. Quando dico che anche il più semplice degli esseri è in rapporto alla verità, penso che si debba distinguere questo essere in rapporto tra presenza della verità, che costituisce l’esser uomo d’ogni uomo, e testimonianza della verità, una testimonianza che si faccia capire - che presumibilmente si faccia capire - cosa che è problematico che accada in quei linguaggi che sono non temprati dalla tradizione linguistica. E cioè v’è l’uomo che parla del Destino, del Destino della verità, secondo il linguaggio che si fa capire e che quindi è un linguaggio “tecnico” capace di farsi capire nel contesto della storia del pensiero filosofico, oppure v’è solo un tentativo di testimonianza, e quindi direi una testimonianza fallita. In questa situazione che la testimonianza del Destino sia una condizione necessaria perché tramonti il velo che nasconde la verità al linguaggio - che nasconde il destino alla testimonianza - rimane un problema: rimane un problema se il voler parlare della verità sia una condizione necessaria affinché cada quel velo. E dico cada il velo che nasconde la verità alla testimonianza, perché la verità non può essere un che di nascosto, il Destino della verità non può essere qualcosa che uscendo dall’ombra del nascondimento, del non apparire, ad un certo momento occupi la mente dell’uomo e la riempia. No! Se ciò fosse si dovrebbe dire che quell’occupazione, quell’ente in cui consiste l’occupazione, è un ente che esce dal nulla, e cioè è un impossibile. Quindi per questo parlo di nascondimento alla testimonianza: la verità appare, splende sempre. Non occorre uscire dalla caverna della non verità per vedere finalmente la verità. E però la verità è nascosta alla testimonianza: essa è nascosta, dunque, al linguaggio di quel che chiamiamo prossimo, e non all’apparire. In questo senso il discorso che tenta di indicare ciò che abbiamo chiamato Destino della Necessità è il tentativo di indicare qualcosa che come tale non è un tentativo. Il linguaggio ha tentato di indicare il non tentativo. Perché il tentativo può riuscire o non riuscire là dove la scelta della parola “Destino” indica quella stabilità che non è soggetta al fallimento, il Destino non è un tentativo anche se esso appare nella dimensione in cui si manifesta ogni tentativo. Ossia ogni volontà, perché ogni tentare è un tentare di realizzare una qualsiasi situazione nel mondo. Il Destino non è un tentativo ma è l’orizzonte all’interno del quale appare ogni tentativo, e ogni volontà, giacché non c’è tentativo senza volontà, e non c’è volontà che non sia volontà di ottenere qualcosa, e dunque volontà di potenza. E la radice della volontà di potenza e ciò che chiamiamo isolamento della terra. Il destino è il non tentativo che include le forme crescenti della volontà di potenza sempre più espandentesi che oggi costituiscono ciò che venne chiamata civiltà della tecnica.

Davide Grossi: Ma il non tentativo appare all’interno del tentativo cioè della volontà di testimoniare il non-tentativo…

Severino: Certo, anche il linguaggio che testimonia il destino, è la volontà che qualcosa sia linguaggio che testimonia il destino. Voler che qualcosa sia parola di una cosa, dove qualcosa è il segno tracciato, voler che un evento sia parola di una certa cosa, è un volere. Chi vuole questo fa diventare l’evento altro da ciò che esso è, lo fa diventare parola. Volere che un certo evento sia segno significa volere che qualcosa sia altro da sé. E difatti l’essere parola è formalmente identico all’esser cosa, all’esser questo evento qui che è fatto diventare parola>>.

Dunque, secondo Severino: <<il Destino della verità appare ovunque ci sia un ascolto>>, quindi <<la verità appare, splende sempre>>.

Tuttavia _ precisa il filosofo bresciano _, <<la verità è nascosta alla testimonianza: essa è nascosta, dunque, al linguaggio di quel che chiamiamo prossimo, e non all’apparire>>.

Per cui la verità appare sempre, non è mai nascosta; e però è nascosta a <<quegli enti che chiamiamo “uomini”>>, nonostante <<l’apparire della verità costituisc[a] anche l’esser uomo in quanto tale>>.

A questi essa è nascosta, perché _ com’è noto _, per Severino l’uomo <<è destinato a non sentire la verità>> (La struttura originaria, pag. 89), in quanto egli è strutturalmente <<errore>>, tale da esser <<contraddittorio che l'individuo sia cosciente della verità>> (Severino: La legna e la cenere).

Come ha ben esplicitato Nicoletta Cusano:

<<è impossibile che nel linguaggio della terra isolata [quindi nell’errore/individuo] ci sia comprensione della verità del destino, anche se formalmente le sue parole suonano identiche al linguaggio che testimonia il destino. È cioè necessario che il linguaggio malato, proprio in quanto tale, non le possa comprendere. Anche se le parole del linguaggio malato suonano simili a quelle del linguaggio che testimonia il destino, e simili in maniera così impressionante da poter vedere in ciò una certa “problematicità”, si deve affermare la necessaria formalità di quella identità>>. (Cusano: Emanuele Severino. Oltre il nichilismo, pag. 446).

Rispetto a questi brani appena letti (e a molti altri che ho omesso), nell’intervista in oggetto curiosamente Severino precisa:

<<l’apparire della verità costituisce anche l’esser uomo in quanto tale, ma non ogni uomo è una testimonianza: non ogni uomo è unito al linguaggio che testimonia questa presenza>>.

Probabilmente conscio della contraddittorietà rappresentata da un individuo-errore che intenda testimoniare veritativamente il destino, qui, pare davvero che Severino voglia ritagliare per sé (derogando alla sua tesi circa l’erroneità dell’individuo) la possibilità di esser uno di quegli uomini uniti <<al linguaggio che testimonia questa presenza>>, visto che _ a suo dire _ <<non ogni uomo è unito al linguaggio che testimonia questa presenza>>, tranne lui ed eventuali altri…

Ciò, però, non cambia affatto quanto detto sopra, cioè che sia <<contraddittorio che l'individuo sia cosciente della verità>>, anche se <<unito al linguaggio che testimonia questa presenza>>.

Già, perché a quella testimonianza <<la verità è nascosta>> e quindi viene SMENTITO che <<il Destino della verità appare ovunque ci sia un ascolto>>, perché s’è appena letto che l’uomo <<è destinato a non sentire la verità>> cioè a non essere una forma di <<ascolto>> di essa, per cui la verità, all’uomo, non appare, è appunto <<nascosta>> dal <<velo che nasconde la verità alla testimonianza>> dell’individuo che dovrebbe testimoniarla, essendo al contempo <<contraddittorio che l'individuo sia cosciente della verità>>!  

Mi pare perciò vano precisare che <<la verità è nascosta alla testimonianza: essa è nascosta, dunque, al linguaggio di quel che chiamiamo prossimo, e non all’apparire>>, perché se davvero essa non fosse nascosta <<all’apparire>>, la testimonianza dovrebbe scorgerla appunto perché appare; ma, evidentemente, la verità non appare all’individuo, per cui salvaguardare nell’apparire il non-nascondimento della verità, serve poco o niente, se <<quel che chiamiamo prossimo>> non può affatto scorgerla…

E siccome la verità non appare all’individuo (o al linguaggio che vorrebbe testimoniarla), allora CHI sta testimoniando che <<la verità appare, splende sempre>>?

Colui (Severino) a cui è impossibile che essa appaia?

A chi, o per chi <<la verità appare, splende sempre>>, se chi deve testimoniare ciò non può esserne testimone?

Infine, Severino osserva come <<il discorso che tenta di indicare ciò che abbiamo chiamato Destino della Necessità è il tentativo di indicare qualcosa che come tale non è un tentativo. Il linguaggio ha tentato di indicare il non tentativo. Perché il tentativo può riuscire o non riuscire là dove la scelta della parola “Destino” indica quella stabilità che non è soggetta al fallimento, il Destino non è un tentativo anche se esso appare nella dimensione in cui si manifesta ogni tentativo>>.

Ma se quel [2]<<qualcosa che come tale non è un tentativo>> è stato indicato da un [1]<<tentativo>>, allora anche quel [2]<<qualcosa>> sarà inevitabilmente soggetto alla riuscita o alla non-riuscita di [1], e questo anche se <<la scelta della parola “Destino” indica quella stabilità che non è soggetta al fallimento>>, giacché se la parola “Destino” fosse davvero non soggetta al fallimento, allora [1] non sarebbe affatto stato un tentativo, bensì un’autentica, veridica testimonianza del destino, evenienza preclusa, s’è visto, dalla stessa ascosità della verità nei confronti di chi vorrebbe testimoniarla ma che, invece, <<è destinato a non sentire la verità>>.

Tutto ciò tanto più _ secondo le parole di Severino _ che dove <<v’è solo un tentativo di testimonianza>>, egli la dichiarerebbe <<una testimonianza fallita>>…

 

Roberto Fiaschi

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