sabato 18 febbraio 2023

29)- TRIPLICE APORETICITÀ DELL’ESSERE

Premessa:

L’intento di questo post è di evidenziare tre aporie concernenti la distinzione tra essere ( = E) e determinazione ( = D; plurale DD), della quale distinzione l’ente ne costituisce la sintesi (E + D).

Normalmente, ogni qualvolta venga indicata un’aporia nel sistema filosofico di Emanuele Severino, fa immancabilmente seguito la solita osservazione _ la quale, tuttavia, rafforza le tre aporie qui esposte _, tesa a rilevare che l’indesiderato esito dipenda dall’aver indebitamente astratto/separato/isolato l’E dalla sua inscindibile D, cosicché esso si ritrovi come essere-semplice/formale ( = l’ “è”) vuoto di contenuto o di D e, in quanto così separato, inesistente.

Tale osservazione, però, pare si lasci continuamente sfuggire che:

(A)- o l’E si distingue realmente dalla (sua) D (della quale è atto);

in tal caso, bisognerà che l’E sia analizzabile/significabile distintamente dalla D, giacché il saperlo distinto deve comportare il suo apparire e quindi il suo significare così distintamente, con le conseguenze che ne derivano e che ho cercato di evidenziare nel presente post.

Pertanto, l’E-distinto-dalla-D deve potersi offrire alla significazione quale atto-distinto-dalla-D, consentendoci di poter rispondere alla domanda:

che cos’è (o cosa significa), nell’ente, l’E distintamente considerato dalla D?

(B)- Oppure, nessuna distinzione è possibile tra E e D;

in tal caso:

(B1) l’E è sempre differente-da-sé, non essendovi alcun E che sia predicabile universalmente ( = identicamente) per ogni ente (per ogni D), poiché in ciascun caso _ in ciascuna D _ esso assumerà forme sempre diverse quante sono le determinazioni ( = DD).

(B2) Se l’E è sempre differente-da-sé, non avrà alcun senso continuare a chiamarlo ‘essere’ perché, non essendo mai identico-a-sé in ognuna delle D, non potrà neppure costituirne il trascendentale che tutto accomuna e che ne presuppone perciò l’identità-con-sé.

(B3) Non avendo più alcun senso continuare a chiamarlo ‘essere’, esso _ sempre nell’accezione severiniana _ non si opporrà neppure al nulla, perché una volta venuto meno l’E, viene meno anche la posizione semantica del suo opposto _ il nulla _ solo nell’opposizione al quale l’E trae _ sempre secondo Severino _ la propria identità.   

(B4) In ogni caso _ lo vedremo _, che l’E sia distinto o meno dalla D, il risultato finale reciterà sempre il medesimo verdetto:

nell’ente, l’E è indistinguibile dal nulla;

dell’E di ogni ente, davvero, non ne è nulla

***

1)- PRIMA aporia dell’E.

1.a Com’è noto, gli enti si differenziano l’un l’altro in virtù della loro determinatezza ( = D).

Inoltre, in ogni ente si suol distinguere (non separare!) la sua specifica D dal suo essere ( = E) o, come dice Severino, dal suo non-essere-un-nulla, il quale E è comune ad ogni ente, identicamente: l’atto d’E non cambia mai.

1.b Per capirci meglio con un esempio: se l’atto-del-CORRERE (equivalente all’E) cambiasse in coloro-che-CORRONO (gli equivalenti delle DD), i CORRENTI non sarebbero accomunati dal CORRERE e quindi non tutti CORREREBBERO, appunto perché non avrebbero in comune il (loro) CORRERE.

Pertanto, per predicare il CORRERE col medesimo significato per ognuno dei CORRENTI, esso deve esser distinguibile dal CORRENTE/CORRIDORE in quanto il CORRERE-non-CORRE, o non-è-un-CORRENTE (non è una D).

1.c Certo, il CORRERE non fa essere (non crea) i CORRENTI; esso è ciò che unifica i CORRENTI nel loro CORRERE.

Per tale ragione, il CORRERE può anche cessare senza che i CORRENTI cessino a loro volta con esso, giacché il CORRENTE eccede il suo essere-CORRENTE, essendo anche molto altro (è uomo, è vivente, è riposante, mangiante, dormiente, bianco, magro, operaio, italiano etc…) rispetto ad esso.

1.d Neppure l’E fa essere le DD; esso è ciò che unifica le DD nel loro E.

Ma, a differenza di quanto appena detto riguardo al CORRERE ed al CORRENTE, per quanto concerne l’E, le DD non possono mai cessare di essere DD per esser anche altro rispetto al loro essere DD, poiché esse sono integralmente E, a differenza del CORRENTE il quale, invece, eccede il (suo) CORRERE.

1.e È per tale distinzione che la D, nell’ente, non coincide ‘simpliciter’ con l’E perché quest’ultimo non può avere quiddità propria, ossia non può essere a sua volta una (altra) D altrimenti, se cioè fosse (una) D esso stesso, non potrebbe mai costituirsi come l’E-di-ogni-D _ non sarebbe la condizione del loro darsi o dell’apparire di ogni D _ bensì si darebbe come un’altra D tra molteplici DD:

se il CORRERE CORRESSE, sarebbe una D, cioè un CORRENTE…

1.f Le DD non possono perciò mai eccedere l’E, perché oltre l’E non vi è alcunché (sempre stando a Severino) che possa sopravanzarlo.

Così l’E, non avendo altro oltre sé in quanto è il solo mono-agonista, non si distingue da niente, nient’altro essendovi all’infuori dell’E da cui distinguersi giacché tutto rientra in esso (anche il non-essere!); al contempo l’E, non avendo una  propria specifica D, si distingue da essa, da tutte le DD!

1.g Da questo consegue che nell’ente, l’E è al contempo identico-a-sé (è tutto l’ente di ogni ente) e distinto-da-sé (in quanto è distinto dalla D).

O anche: l’ente è tale distinzione, ossia è distinzione di-sé-da-sé da parte dell’E, ove quel ‘da-sé’ è la D distinta dall’E.

Il che è come dire che l’ente è il ‘luogo’ in cui l’E ha o è altro oltre sé, precisamente ha (o è) la D la quale, distinguendosi dall’E, è non-E.   

1.h Se la D è ciò (è la ‘cosa’) che appare, e se ogni differenza è lo stesso apparire di ogni D, e poiché l’E è l’atto mediante il quale ogni D appare (e quindi l’E non può esser esso stesso alcuna D), allora l’ineliminabile distinzione _ nell’ente _ tra l’E e la D (distinzione che fa sì che l’E non sia mai alcuna D in nessun ente) che cosa distingue?

Distinguerà _ sempre in ogni ente _ la D da ciò che non-è-alcuna-D, ossia dal suo E.

Per cui l’ente non-è-sé;  

è E-e-non-è-E,

perché è D-e-non-è-D;

è E-e-N o non-E:

è, appunto ente, cioè E-e-D (o E + D); il che ci conduce alla seconda aporia dell’E.

***

2)- SECONDA aporia dell’E.

2.a Da quanto appena tratteggiato, segue che l’E è sempre l’E-di-qualcosa (D) ma, proprio per questo, essendo cioè analizzabile distintamente dalla D della quale esso ne è l’E (se non fosse così analizzabile, infatti, non potremmo neppure affermare che l’E è sempre l’E-di-qualcosa perché, affermando ciò, saremmo comunque costretti a porre una dualità quindi una distinzione tra l’E ed il ‘qualcosa’ di cui esso è atto), allora:

non tutto è D e non tutto è E!

2.b Che è come dire che tra l’E ed il nulla vi è un terzo _ la D _ che rientra-e-non-rientra nell’E; e rientra-e-non-rientra-nel non-E, appunto:

un terzo tra l’E ed il non-E!

2.c Questo ci dice, allora, che il divenire è caratterizzato proprio da quell’epamphoterizein platonico che Severino ha tentato di bollare come nichilistico ritenendolo impossibile:

epamphoterizein quale oscillazione o contesa tra l’E ed il nulla da parte di ogni D, che a rigor di termini si riduce ad oscillazione tra ‘due’ nulla quali sono l’E (in quanto distinto dalla D) ed il nulla, ovvero ad oscillazione _ dell’ente _ di sé da sé.

2.d Nell’ente, la D si ritrova cioè indecisa tra sé in quanto non-E, e tra l’E (o nulla in quanto distinto dalla D) in quanto non-D!

Ogni ente è tale originaria indecisione

(Si veda subito sotto per quanto riguarda l’indistinguibilità tra l’E ed il nulla).

***

3)- TERZA aporia dell’E.

3.a Il non esser/aver D alcuna, fa perciò dell’E _ sempre considerato nell’ente distintamente dalla D _ un non-determinato ( = non-D); infatti, l’apparire della distinzione (tra enti) nient’altro è che l’apparire della D degli enti la quale D è, perciò, l’apparire della differenza che caratterizza ciascun ente in quanto D, ossia in quanto de-terminatamente differ-ente dal proprio altro.

3.b Severino suol far notare che l’ente (o la D) è un non-nulla, ossia che è appunto interamente ed unicamente E.

Pertanto, ciò che ‘tiene fuori’ dal nulla la D (o l’ente) è appunto il suo (atto d’) E.

Da ciò sembrerebbe poter senz’altro facilmente concludere che tra l’E e il nulla vi corra un’abissale differenza/distanza ontologica, la massima estraneità/opposizione reciproca che sia dato riscontrare.

Ma sarà davvero così?

3.c Se fosse così, ovvero se l’E fosse totalmente altro dal nulla, l’ente non dovrebbe costituirsi come sintesi tra i distinti E e D.

Nella misura, però, in cui ne consiste (e tale misura non risparmia nessun ente), allora, ad opporsi al nulla quale massima alterità ontologica saranno soltanto le DD, appunto perché sono esse a marcare le differenze tra enti, essendo invece il loro atto d’E non-D, ossia distinguibile dalle DD e come tale non rientrante in ciò (le DD) che sanciscono le differenze.

3.d Cosicché l’atto d’E-distinto-dalla-D sia identico al nulla nei confronti del quale esso (l’E) vorrebbe valere come massima, abissale alterità.

Ma tale alterità è già intrinseca all’ente, alterità appunto tra l’E e la D.

Quindi, ciò che rende non-nulla ogni D è proprio un E non-distinguibile DAL nulla, o un nulla indistinguibile dall’E.

Ricordiamo, infatti, come ogni distinzione possa darsi soltanto tra DD appunto distinte l’una dall’altra, e poiché l’E _ nell’ente _ non può aver di proprio né può essere alcuna D, allora è chiaro come esso sia non-determinato (non-D) e pertanto stia nella massima alterità non con il nulla bensì con la D!

3.e Perciò, ricapitoliamo:

o l’E non si distingue DA nulla;

e allora non si distinguerà neppure dalla (sua) D nell’ente di volta in volta considerato, di modo tale che l’E si riduca ad una D tra molte altre, ogni volta (cioè IN o COME ogni ente) tanto diverso-da-sé quanto ogni D è diversa dalle altre.

Se, perciò, l’E non si distingue dalla D, esso sarà, di ente in ente, differente-da-se-stesso perché ogni D differisce dall’altra, quindi sarà non-E = nulla, venendo così meno la necessità di continuare a considerarlo essere (per poterlo fare, l’E deve distinguersi dalla D), con la conseguente scomparsa anche degli essenti.

Come il CORRERE, qualora non si distinguesse dal CORRENTE, sarebbe esso stesso un CORRENTE:

il CORRERE CORRE o il CORRERE è (un) CORRENTE;

costituendosi perciò come uno-tra-i-CORRENTI, anziché come loro trascendentale o denominatore comune, cadendo così la necessità di continuare a considerarlo il CORRERE di ogni CORRENTE, con la conseguente scomparsa anche dei correnti.

3.f Oppure:

l’E si distingue _ nell’ente _ dalla D, come s’è visto;

e allora esso sarà inevitabilmente IN-DISTINGUIBILE DAL nulla (non: DA nulla!, come invece in 3.e) poiché l’E, non essendo alcuna D (dalla quale  deve distinguersi in quanto non-D), conferma la propria indistinguibilità DAL nulla.  

Ripetiamo: proprio perché l’E è non-D, non riesce a distinguersi DAL nulla.

3.g Ma perché diciamo: indistinguibile DAL nulla?

Forse, che non vi sia differenza tra l’atto d’essere e il non-esserci da parte di un ente?

Eppure siamo tutti convinti che tra l’esserci ed il non-esserci di qualcosa passi una differenza incolmabile…

E allora _ ridomando _ perché diciamo che l’E (distintamente dalla D) è indistinguibile DAL nulla?

3.h Perché nemmeno il nulla ha alcuna quiddità; esso è il non-determinato per eccellenza, il non-individuabile per definizione, non essendo alcuna D (sempre assecondando l’accezione severiniana di nulla):

Esattamente come l’E.

3.i A ciò, si potrà certo obiettare che l’E è ‘qualcosa’ ossia, l’E è comunque atto d’E, vero; ma daccapo, poiché tale atto non è/ha alcuna D, questo atto come potrà distinguersi da ciò che non è/ha alcuna D come appunto il nulla?

3.l O l’atto è a sua volta (una) D; e allora si ritorna all’E come una D tra le tante altre, quindi come non-E e non-trascendentale.

3.m Oppure non si distinguerà DAL nulla

3.n Si dirà che l’E è distinguibile DAL nulla attraverso-la-D della quale esso funge da inseparabile atto d’E.

Ovvero, l’E si individua in o come ogni D manifesta e così individuandosi, non potrà esser equiparato al nulla il quale, invece, non si individuerebbe mai, non essendo l’atto di alcunché.

Nuovamente d’accordo: ma torna daccapo la domanda di come l’atto d’E possa render non-nulla la D, manifestandola, se esso stesso è appunto distinguibile dalla D e perciò in-distinguibile DAL nulla?

Che cosa si individua, se tale E, non essendo D, non possiede una natura individuabile (né, a questo punto, individuante)?

3.o Che differenza vi sarebbe tra due indistinguibili (quali l’E ed il nulla)?

Nessuna; appunto perché, essendo non-distinguibili, non saranno neppure (distinguibili come) due!

3.p Inoltre, quanto detto nel punto 3.n richiama per un attimo la sintesi cui _ secondo Severino _ consiste il termine ‘nulla’, sintesi cioè tra il momento del positivo significare ed il contenuto valevole come ‘nulla assoluto’ di tale positivo significare.

Egli ritiene che tale sintesi consenta al contenuto di quel termine di porsi e rimanere significante come ‘nulla assoluto’;

parimenti, aggiungo io, la sintesi tra E e D costituente l’ente consente all’E dell’ente di porsi distintamente/distinguibilmente dalla D, di porsi cioè come non-D e la D come non-E, onde il rilievo esposto al punto 3.n non abbia più motivo di sussistere.

3.q D’altronde, l’inanità dell’accusa di separare l’E dalla D si evidenzia anche qualora assegnassimo alla D il valore positivo-determinato di 1 (appunto perché è D) e all’E, in quanto è non-D, il valore né positivo né negativo di 0 (zero).

In tal modo si palesa come da 1 + 0 (cioè da D + E) = 1, cioè risulti sempre D, non potendo ciò (l’E) che non è alcuna D aggiungervi nulla, cosicché dire D + E (cioè 1 + 0) equivalga a dire: D + nulla = D, confermando perciò l’indistinguibilità dell’E DAL nulla e parimenti, confermando il non-E della D.

3.r Ma proprio per quanto appena detto, il severiniano potrebbe ribadire con maggior giustificata forza _ ove ho scritto che da D + E = D (da 1 + 0 = 1) risulta sempre D, non potendo l’E, che non è alcuna D, aggiungere nulla alla D _ di aver separato l’E dalla D, giacché non mi sarei accorto come la D sia già essa stessa l’E, o sia con esso inscindibilmente nonché originariamente unita cosicché, che l’E non aggiunga nulla alla D, si riveli un ingenuo errore derivante dal non aver visto che dire D è già dire (il suo) E!

3.s Ma che l’ente sia ritenuto sintesi inscindibile ed originaria tra E e D non può togliere, però, la distinzione tra i due termini.

Non potendo toglierla, D in quanto così distinta, stando al rilievo del 3.r, si troverebbe in sintesi inscindibile con (o sarebbe essa stessa!) l’E, ovvero sarebbe essa stessa ciò (l’E) che è distinto-da-sé cioè dalla D.

Ma se la distinzione è inaggirabile, saremmo punto e a capo, giacché non c’è originaria-inscindibilità che tenga dinanzi alla sola, semplice distinzione tra ciò che è tutto senza alcunché al di fuori di sé: l’E, e ciò che da questo si distingue, appunto, senza però potersene affatto distinguere: la D.

3.t Concludendo: come anticipato al punto (B4), che l’E sia distinguibile o meno dalla D, il risultato finale reciterà sempre il medesimo verdetto:

- nell’ente, la D è non-E;

- nell’ente, l’E è in-distinguibile DAL nulla;

- dell’E e della D di ogni ente, davvero, non ne è nulla

 

Roberto Fiaschi

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