Scrive Severino: <<La fede (e la fede originaria è la terra isolata) è il sogno in cui appaiono tutti quei contenuti (cose, situazioni, domande, risposte, azioni, passioni) di cui si crede che costituiscano il mondo con il quale si ha a che fare e nel quale si vive. Ciò che nel destino appare incontrovertibilmente è la fede in quei contenuti, ossia non quei contenuti in quanto tali, ma quei contenuti in quanto contenuti della fede e del sogno (cioè dell’interpretare, della volontà). D’altra parte, che il sogno della terra isolata esista è soltanto il destino a mostrarlo incontrovertibilmente, ed è solo sul fondamento dell’apparire del destino che tale sogno può apparire – come si mostra nei miei scritti. Ma anche quest’ultima espressione, così ripetuta nei miei scritti, e anche l’asserire che sia così ripetuta appartengono a quel sogno. Al quale appartengono anche sia la fede che “io” sia un produttore e un portatore del linguaggio che testimonia il destino, sia, e innanzitutto, la fede nell’esistenza di tale linguaggio. È quindi impossibile che il contenuto del sogno, e propriamente l’errare della testimonianza del destino, possa mettere in questione il destino, ossia ciò soltanto sul cui fondamento l’esistenza del sogno può essere incontrovertibilmente affermata e può apparire – dove quel mettere in questione è appunto il supporre, all’interno del sogno, che l’attuale testimonianza del destino possa essere a sua volta un errare, come lo è stata in passato>>. (Intorno al senso del nulla. Adelphi 2013, 192 ss.)
Dunque, il presente brano di Severino (come ogni
suo scritto) ed anche questo mio scriverne qui ed ora, appartengono al
<<sogno
in cui appaiono tutti quei contenuti (cose, situazioni, domande, risposte,
azioni, passioni) di cui si crede che costituiscano il mondo con il quale si ha
a che fare e nel quale si vive>>,
e ne scriviamo mediante il <<linguaggio
che testimonia la terra isolata>> che è <<il linguaggio
dell’errare>>.
Tuttavia, internamente a questo <<errare>>, il
contenuto del discorso di Severino intende porsi come testimonianza non-erronea
del destino, perché, nonostante esso sia stato scritto con <<il
linguaggio dell’errare>>
e <<all’interno del sogno>>, è <<impossibile che il
contenuto del sogno,
e propriamente l’errare
della testimonianza del destino, possa mettere in questione il destino, ossia
ciò soltanto sul cui fondamento l’esistenza del sogno può essere
incontrovertibilmente affermata e può apparire>>.
Il che vuol dire che il destino appare anche
adesso, qui ed ora <<all’interno del sogno>> ( = dell’errare)
dove appare quell’errore secondo cui sia il sottoscritto che Severino
saremmo gli autori di questo nostro scriverne.
E ciò vuole anche dire che, pur errando cioè credendo
di essere l’autore di questa testimonianza, Severino abbia comunque scritto la verità del destino,
consistente, oltre a quanto appena letto, anche nel dire che:
<<Per indicare l’Errare è necessario esserne
al di fuori:
solo in quanto il destino della verità è già da sempre aperto qualcosa può
apparire come l’Errare>>,
in quanto
<<proprio perché è fede, [l’io empirico-Severino]
è destinato a non
sentire la verità: in quanto
ascoltata da “me”, cioè dalla fede in cui “io” come individuo mortale consisto,
la verità non può
essere verità, e io sono destinato ad essere soltanto il desiderio, in
indefinitum, della verità>>. - (La struttura originaria,
pag. 89),
etc., etc…
Il filosofo bresciano ha
precisato:
<<che il sogno della terra isolata
esista è soltanto
il destino a mostrarlo incontrovertibilmente>>,
e non l’io empirico-Severino il quale _
ricordiamolo _ <<è destinato a non sentire la verità>>.
Quindi
<<è solo sul
fondamento dell’apparire del destino che tale sogno può apparire – come si
mostra nei miei
scritti. Ma anche quest’ultima espressione, così ripetuta nei miei scritti, e anche
l’asserire che sia così ripetuta appartengono a quel sogno>>.
I <<miei scritti>> sono gli scritti di colui
che <<è destinato a non sentire la
verità>>, ed anche queste espressioni, perciò, <<appartengono a
quel sogno>>
cioè all’errare.
Per cui TUTTO ciò che di Severino
abbiamo sin qui letto, appartiene <<a quel sogno>> e
quindi anche tutti gli altri suoi scritti appartengono a quel sogno <<destinato a non sentire la
verità>>.
Ora, poiché <<è SOLTANTO il destino>> a
mostrare incontrovertibilmente l’esistenza del sogno della terra isolata,
appunto perché <<Per indicare l’Errare è necessario esserne AL DI
FUORI>>,
cioè AL DI FUORI del sogno/errore,
chiedo:
come è possibile che <<all’INTERNO del sogno>>
gli scritti di un errante, ossia di colui che <<è destinato a non
sentire la verità>>, possano scrivere con verità tutto quanto abbiamo appena letto e che, per
esser VERO, <<è necessario>> che tale errante sia <<AL DI FUORI>> del sogno/errore?
Si risponderà:
è possibile perché sempre e
ovunque appare il destino come <<ciò soltanto sul cui fondamento
l’esistenza del sogno può essere incontrovertibilmente affermata e può apparire>>.
Senonché, quando Severino scrive quest’ultima
frase, la scrive (appare)
<<all’interno
del sogno>> (anche tutti i suoi
scritti <<appartengono
a quel sogno>>)
e non certo al di fuori di esso,
come sarebbe stato necessario che fosse…
E, ricordiamolo ancora:
<<all’interno del sogno>> ( = cioè <<nei
miei scritti>>) l’io empirico-Severino
<<è destinato a non sentire la verità>>,
giacché
<<[L]’io individuale non può pensare la verità del
destino, ANCHE SE QUESTA È, COME INCONSCIO
DELL’INCONSCIO, LA
VERITÀ DEL SUO APPARIRE ED ESSERE: l’io
dell’individuo non è e non può essere cosciente del proprio
essere veritativo. Tale coscienza appartiene SOLO all’Io del destino>>.
(Nicoletta Cusano: Emanuele Severino.
Oltre il nichilismo, Morcelliana 2011, pag. 434. Maiuscolo mio: RF).
Pertanto:
- o (aut) l’individuo-Severino
è lo stesso Io del destino (e perciò la
terra isolata non
è affatto isolata dall’Io del destino) che mostra con verità sé stesso nei
suoi scritti <<all’interno del sogno>>, pur avendo egli
riconosciuto che <<anche questo linguaggio [che testimonia
il destino] è stato un errare>> (il
che è sufficiente per scartare questa evenienza).
Anche perché Severino (che soltanto per
fede/erroneamente sarebbe il loro autore) insiste affermando non-erroneamente
(!) che nei suoi scritti si TENTA di testimoniare il destino, quindi afferma
implicitamente che il loro autentico autore non è neppure l’Io del destino,
altrimenti non sarebbero tentativi o erranze bensì testimonianze sempre
necessariamente coronate da successo, giacché chi va per tentativi è sempre ed
unicamente l’Errante.
- Oppure (aut) è FALSO che <<all’interno del sogno>>
l’individuo-Severino,
coi suoi scritti, sia <<destinato a non sentire la verità: in quanto
ascoltata da “me”, cioè dalla fede in cui “io” come individuo mortale consisto>>!
Ma, se fosse FALSO, cadrebbe la differenza tra Io
del destino-verità ed io individuale-Errante/errore (appunto perché che
Severino, come Errante, scriva intorno al non-Errante cioè al destino, implica
che egli SAPPIA
_ che sia consapevole
_ dell’errore e a maggior ragione della verità).
Infatti,
se <<che il sogno della
terra isolata esista è soltanto
il destino a mostrarlo incontrovertibilmente>>,
cioè se l’incontrovertibile ( = l’autonegazione della negazione dell’esser sé
dell’essente e del suo differire dall’altro da sé, etc…) apparisse ANCHE <<all’interno del sogno>> ossia a colui (Severino) che <<è destinato a non
sentire la verità>>,
allora non avrebbe più alcun senso ritenere
l’individuo un errore, né il suo linguaggio un errare, perché
egli sarebbe consapevole di ciò di cui è già da sempre consapevole l’Io del
destino, visto che <<Tale coscienza appartiene
SOLO all’Io del
destino>>…
Roberto Fiaschi
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