Scrive A.V. nel gruppo Facebook Officina di filosofia teoretica (dretspSoona9c5:e5fl66l 430u5r1z35a0255 63oi 2um1tg0042o51r e):
<<LO SO. Che il prima diventi il poi. Che l'essere stato diventi l'esser ora. Che il prima non sia più prima. Che l'essere stato non è più l'esser stato. Perché sono divenuti l'esser poi e l'essere ora. È la follia che a tutti sembra l'evidenza assoluta. Nessuno è disposto a dire che il prima è il poi. E nessuno è disposto a dire che l'essere stato è l'essere ora. Ma poi si dimentica che per diventarlo il prima non è stato ma è (divenutolo) il poi. Strani i sostenitori di un processo in cui definiscono che il prima non SIA il poi ma insieme che lo SIA divenendolo. In actu exercito affermano la differenza tra prima e poi o tra esser stato e esser ora ma in actu signatu la negano. Affermare e negare insieme le differenze o affermare che i differenti sono identici è negazione del primo principio assoluto di non contraddizione e inviolabile per la vera conoscenza. Si decidano. Non vi sembra una follia quella affermazione che si nega da sé e pretende pure di essere il reale che appare? Una CONTRADDIZIONE APPUNTO. Per sostenere che il prima diventi il poi si deve sostenere che il prima non è il poi e sostenere insieme che il prima è il poi. Sostenere l'impossibile divenire>>.
(NOTA: per agevolare la lettura onde evitar
di ‘perdersi’, evidenzio coi seguenti tre colori i termini di passato, presente e futuro).
Il tema di questo post (ma vedasi anche il
post n° 21) è il
DIVENIRE degli ETERNI il quale, secondo Severino,
con comporterebbe affatto il <<diventare altro>> da parte di
nessun eterno ( = ente), quindi, neppure di quell’ente (qualsiasi esso sia)
circa il quale siamo soliti dire che è stato futuro, che è ora presente e che sarà passato, perché
nell’ottica severiniana e come ha ben esemplificato A.V. nel suo scritto su
riportato, ciascun ente è e resta immutabilmente ciò che da sempre, eternamente
è, cosicché severinianamente abbiamo:
(1) x-presente mai diverrà quell’altro da sé che è x-passato;
(2) x-presente mai è stato quell’altro da sé cui è x-futuro;
(3) x-futuro mai diverrà quell’altro da sé cui è x-presente;
(4) x-passato mai è stato quell’altro da sé che è
x-presente.
***
In questo post tratterò soltanto del punto (1):
x-presente mai diverrà quell’altro da sé
che è x-passato.
Scrive Severino: <<il
presente non diventa un passato, non diventa altro da
sé: ciò che incomincia ad apparire come passato è l’incominciare ad apparire di ciò che
eternamente è un passato
e che permane nel presente, nel senso che ha in
comune col presente quei tratti che è necessario che appaiano affinché il presente possa apparire come
sopraggiungente>> - (E. Severino: Oltrepassare, Adelphi,
pag. 340).
Come evitare, dunque, la
(presunta) contraddizione secondo la quale x-presente sia divenuto quell’altro da sé cui è x-passato?
La soluzione di Severino l’abbiamo appena
letta.
Funziona?
Temo di no.
L’<<incominciare ad apparire di ciò
[x-passato]
che eternamente è un passato>>, sopraggiunge su ciò (su x-presente) che non può mai
diventare quell’altro da sé cui è x-passato.
Quindi, l’<<incominciare ad
apparire di ciò [x-passato]
che eternamente è un passato>>,
sopraggiungendo, NON trasforma x-presente facendolo diventare x-passato e insieme (simul) LO
TRASFORMA in x-passato,
perché adesso, essendo sopraggiunto x-passato, x-presente NON è più presente.
Certo, l’<<incominciare ad apparire
di ciò che eternamente è un passato>>
<<permane nel presente>>,
ossia x-presente
continua ad apparire come x-presente,
altrimenti non potremmo indicare il passare di x senza riferirlo a ciò (x-presente) che non passa.
Ma adesso domandiamoci:
cominciando ad apparire x-passato come
<<ciò che eternamente è un passato e che permane nel presente>>, x-presente continua forse a restar IDENTICO a
lo x-presente
COME ERA PRIMA che cominciasse ad apparire x-passato?
No: l’allieva di Severino, la prof.ssa Nicoletta
Cusano, scrive:
<<è necessario affermare che ciò [x-presente] che non
appare più [poiché è ormai passato e quindi adesso appare x-passato] continua
ad apparire, seppure diversamente
da come appariva [quando appariva come x-presente], ed è presente in ciò [in x-passato] che
sopraggiunge proprio in quanto sopraggiunge: è, per così dire, la natura del
sopraggiungere a portare con sé la necessità di quel permanere [di
x-presente],
di quel continuare a essere presente [da
parte di x-presente].
Il sopraggiungere [di x-passato], proprio in quanto tale, non può che includere
l’apparire di ciò [di x-presente] che non appare più [poiché adesso è
apparso/è sopraggiunto x-passato].
Ciò [x-presente] che
non appare più smette di
essere presente [smette
di esser x-presente] come era prima [che sopraggiungesse x-passato], ma continua a essere presente [continua ad esser x-presente] come
contenuto incluso o implicato in ciò [in x-passato] che
sopraggiunge: ciò [x-presente] che non appare più [poiché è passato] continua
ad apparire [ad esser presente],
ossia permane [è presente],
nel sopraggiungente [in x-passato]>>.
(N. Cusano: Emanuele Severino. Oltre il
nichilismo. Morcelliana; pag. 327).
X-presente, che continua <<a essere presente come contenuto
incluso o implicato in ciò [in x-passato] che sopraggiunge>> DIFFERISCE da
x-presente <<che
non appare più>> (nonostante il permanere degli elementi tra loro
identici o comuni) il quale, perciò, <<smette di essere presente come era prima [cioè
prima che sopraggiungesse x-passato]>>.
Questo cessar <<di essere presente come era prima>>
indica l’esser ormai DIVENTATO un passato da parte di x-presente-come-era-prima,
ove il come-era-prima è appunto lo x-presente come era prima che
sopraggiungesse x-passato.
Dunque, x-presente deve TRASFORMARSI DIVENTANDO x-passato, giacché
se mai x-presente
diventasse altro da sé (cioè x-passato), allora mai potremmo
ritener che x-presente <<smetta di essere presente come era prima>> che
sopraggiungesse x-passato,
appunto perché x-presente
sarebbe rimasto nella sua eterna ed indivenibile permanenza come x-presente, quindi non avrebbe
potuto cessare <<di essere presente come era prima>>.
Secondo la Cusano, abbiamo x-presente il quale
<<continua a essere presente come contenuto incluso o implicato in ciò [in
x-passato] che
sopraggiunge>> e che <<continua [x-presente] ad apparire,
ossia permane, nel sopraggiungente [cioè in x-passato]>>.
Per cui, attenzione:
x-presente <<continua ad apparire>> (continua
ad essere x-presente)
sì, ma NON come
era prima!
Cosa vuol dire?
Vuol dire che l’esser presente da parte di x come
era prima che sopraggiungesse x-passato può essere oramai un passato soltanto
nel senso che è DIVENUTO altro da
sé, appunto perché il suo (di x-presente) continuare <<a essere
presente come contenuto incluso o implicato in ciò [in x-passato] che
sopraggiunge>> di modo che x-presente continui <<ad apparire, ossia
permane, nel sopraggiungente [in x-passato]>>, costituisce l’esser passato di x-presente nell’accezione
severiniana (a suo dire non-nichilistica),
ma in tal caso quel residuo di x-presente che invece
<<smette di
essere presente come
era prima [cioè quando era x-presente]>> non potrà che esser DIVENUTO ormai
un passato nel
senso nichilistico o non-severiniano, altrimenti x-presente-come-era-prima continuerebbe ad
apparire precisamente e letteralmente <<come era prima>>, e non come <<contenuto
incluso o implicato in ciò [in x-passato] che sopraggiunge>>.
Pertanto, è proprio in virtù del loro innegabile
differenziarsi,
che x-presente DIVENTA
x-passato ANCHE
nel divenire severiniano inteso, cioè, come l’apparire e lo scomparire degli eterni…
Roberto Fiaschi
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