Riporto dalla pagina: https://www.fondazionegraziottin.org/it/articolo.php/Uomini-e-animali-ci-ritroveremo-nella-gioia?EW_CHILD=23950, il seguente articolo (21/02/2018) del pastore Paolo Ricca, teologo della Chiesa Evangelica Valdese.
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«FIDO» È MORTO: CHE NE SARÀ DI LUI?
“Nei giorni scorsi è morto il mio cane: una cardiopatia
associata a un edema polmonare lo ha stroncato nel giro di poche (ma quanto sofferte!)
ore di agonia. Vorrei sapere: per i nostri animali domestici, c’è speranza? La
loro fine segna il loro definitivo distacco dalla vita? Saranno tutti, e per
sempre, dissolti nel nulla? Non li rivedremo mai più? Che senso ha, allora, il
loro dolore? Il cristianesimo non ha nulla da dire su di loro e per loro?
Grazie”.
Così ho riassunto la lettera del nostro lettore, che pone una bella domanda,
ahimè alquanto trascurata dalla teologia cristiana sia classica sia moderna,
con pochissime eccezioni. La prima è ovviamente quella di Francesco d’Assisi (1182-1226),
che secondo quanto scrive il suo primo biografo Tommaso da Celano «chiama col
nome di fratello tutti gli animali, benché in ogni specie prediliga quelli
mansueti».
Una seconda eccezione è Albert Schweitzer (1875-1965), che riassunse la sua vita e il
suo pensiero nel principio del “rispetto per la vita” in ogni sua
manifestazione: «Un uomo è morale soltanto quando considera sacra la vita come
tale, quella delle piante e degli animali tanto quanto quella dei suoi simili,
e quando si dedica ad aiutare ogni vita che ne ha bisogno».
Una terza eccezione è Karl Barth (1886-1968), che nella sua “Dogmatica” ha
dedicato agli animali (ma anche alle piante) molte pagine estremamente
suggestive e istruttive, nel quadro della dottrina della creazione, ma non
solo.
Queste eccezioni, purtroppo, non hanno fatto scuola. La pur bella e pregevole
“Encyclopédie du protestantisme” pubblicata a Ginevra e Parigi in prima
edizione nel 1995 e in seconda “rivista, corretta e accresciuta” nel 2006,
contiene una voce sugli angeli (il che va benissimo), ma non una sugli animali
e tanto meno sulle piante (il che va malissimo). Speriamo in una terza edizione
ulteriormente “corretta e accresciuta” che contenga queste voci ora mancanti.
La loro mancanza rivela una lacuna, per non dire un vuoto, che sta dentro di
noi. Anche la “Dogmatica” in tre volumi di Gerhard Ebeling, peraltro
eccellente, parla molto della Natura, ma non specificatamente di animali e
piante. Ne parla invece il nostro lettore, con una domanda molto
specifica: c’è un aldilà per gli animali? Per quelli
domestici, dice lui, ma io allargherei il discorso a tutti.
La sua domanda però ne contiene molte altre, a cominciare da quella
fondamentale della differenza tra l’uomo e l’animale, molto netta nel racconto
biblico, che parla di un “dominio” dell’uomo sugli animali (Genesi 1, 28).
Va però precisato che
questo dominio non comportava, all’inizio, il diritto dell’uomo di uccidere gli
animali per cibarsene. Questo diritto venne affermato solo più tardi, dopo il diluvio (Genesi 9, 3).
La differenza tra l’uomo e l’animale è stata espressa, tra
gli altri, in termini classici da Tommaso d’Aquino il quale, pur
sostenendo che Dio è in qualche modo “presente” in tutte le cose da lui create,
quindi anche negli animali, afferma però che tutti gli animali, anche quelli
superiori, sono «situati a grande distanza dall’immagine di Dio» (“longe a
similitudine divina remota”), «mentre l’uomo si dice formato “a immagine e
somiglianza” di Dio». La differenza, secondo la tradizione biblica, è
questa, ed è grande. In altre tradizioni religiose invece, soprattutto
orientali, la differenza sembra meno netta, tanto che in quelle che credono
nella reincarnazione (il Buddismo e alcune correnti dell’Induismo) la
differenza è così labile che l’anima dell’uomo può cadere così in basso da
finire, almeno provvisoriamente, nel corpo di un animale – dottrina, questa,
impensabile nel quadro del pensiero biblico.
Detto questo, resta però il fatto innegabile – tutti lo
sanno, ma non sempre lo ricordano – che l’uomo è un mammifero come tanti altri
animali, è dunque anche lui anzitutto un animale. Aristotele lo
definiva animale “razionale” (in greco: loghikón) e “politico” (in greco:
politikón), ma pur sempre un animale. Prima di lui già il racconto biblico della creazione
aveva significativamente accostato l’uomo al mondo animale, collocando la sua creazione non
in un giorno speciale riservato a lui solo, ma associandolo nello stesso
giorno, il sesto, alla creazione degli animali terrestri. Prima di parlare della
differenza, occorrerebbe dunque illustrare la vicinanza e comune
appartenenza delle due condizioni, quella animale (che tra l’altro ha la
precedenza nell’ordine della creazione) e quella umana (che segue). In
questo quadro non è forse inutile riferire una considerazione di carattere
generale sul rapporto uomo-animali fatta dallo scrittore francese Montaigne (1533-1592),
segnalatami dal pastore Angelo Cassano di Locarno (Ticino), che ringrazio. Nei
suoi celebri “Essais” Montaigne rimprovera all’uomo il suo orgoglio e la sua
presunzione quando si arroga il diritto di giudicare gli animali:
«Come può l’uomo conoscere, con la forza della sua
intelligenza, i moti interni e segreti degli animali? Da quale confronto fra
essi e noi deduce quella bestialità che attribuisce loro? Quando mi trastullo
con la mia gatta, chi sa se essa non faccia di me il suo passatempo più di
quanto io faccia con lei?».
Noi li consideriamo bestie; forse anche loro ci considerano
bestie. In fondo, comprendiamo poco di loro, come loro comprendono poco di noi.
Perciò «bisogna che osserviamo la parità che c’è tra noi. Noi comprendiamo
approssimativamente il loro sentimento, così le bestie il nostro, pressappoco
nella stessa misura». Dunque, dice Montaigne, il rapporto uomo-animali non
va impostato in termini di superiorità e inferiorità, ma di parità. Queste
considerazioni ci introducono bene alla domanda del nostro lettore:
«C’è
un aldilà per gli animali?».
A questa domanda non c’è, che io sappia, nella Sacra
Scrittura, che è la nostra guida e norma nelle questioni di fede e vita, una
risposta diretta ed esplicita. Ci sono però tre ordini di pensieri che consentono una risposta
relativamente sicura, benché indiretta. Il primo è la creazione, il
secondo è il patto, il terzo è la promessa messianica.
1. Nella visione biblica la creazione è anzitutto creazione di
animali (e piante). L’uomo
viene dopo, ed è confinato sulla terra, mentre gli animali popolano
anche il cielo e il mare. Come sarebbe vuoto il creato se ci fosse solo l’uomo!
Non sarebbe il creato uscito dalle mani di Dio. Un creato senza animali
è biblicamente impensabile. Ecco perché insieme a Noè vengono salvati nell’arca anche gli animali:
questo può valere come
figura di una salvezza comune. Persino il Mar Morto, secondo il profeta
Ezechiele, non resterà per sempre morto e quindi senza pesci: dal Tempio uscirà
un torrente che vi si immergerà rendendo le sue acque “sane” (47, 5) e quindi
anch’esse popolate di animali marini (v. 9).
Insomma, gli animali fanno parte integrante della
creazione, e non
c’è alcun motivo per ritenere che non facciano parte (in forme che, certo, non
possiamo immaginare) della nuova creazione, cioè di un nuovo cielo e
una nuova terra (il mare, a quanto pare, purtroppo, non ci sarà più, secondo
Apocalisse 21, 1, a meno di una bella sorpresa finale; comunque ci sarà un
grande fiume e acqua in abbondanza).
2. Non
solo gli animali sono benedetti da Dio, come la coppia
umana, in vista della procreazione (Genesi 1, 22 e 28), ma essi sono inclusi ed esplicitamente
menzionati nel Patto che Dio stabilisce con Noè, il cui simbolo è
l’arcobaleno (Genesi 9, 8-17). Questo patto è “perpetuo” (v. 16) e il suo contenuto è la
vita che, in tutte le sue espressioni e manifestazioni, non sarà più distrutta.
Chi è nel Patto – e gli
animali ci sono – non è nella morte, ma nella vita. L’uomo e gli animali
sono ugualmente mortali (Ecclesiaste 3, 19-21!!), ma, in virtù del Patto, la
loro morte non è definitiva.
3. Secondo Isaia
11, 6-9 la promessa messianica è un mondo animale riconciliato
al suo interno («il lupo abiterà con l’agnello») e con l’uomo («il lattante si
trastullerà sul buco del serpente»). Questa promessa, che associa uomini e animali, può essere
collegata con il discorso di Paolo sulla creazione che ora è «sottoposta alla vanità»,
cioè alla morte, e perciò «geme insieme ed è in travaglio», ma «sarà anch’ella liberata dalla
servitù della corruzione», cioè restituita a una vita senza la morte
dentro (Romani 8, 20-23).
In questa creazione liberata, come ho detto al punto 1, ci sono anche gli animali.
C’è dunque speranza per «Fido»? Sì, come c’è per il suo padrone e per tutti.
C’è però una sottile insidia che può annidarsi nella domanda del nostro lettore
e che è bene segnalare. L’insidia è di considerare l’Aldilà una sostanziale
fotocopia dell’Aldiquà e il mondo futuro una semplice replica (migliorata) di
quello attuale. Sarà invece un mondo nuovo, e non si insisterà mai abbastanza
sulla portata di questo aggettivo. I rapporti tra le persone e quelli con gli
animali non saranno più quelli odierni, ma saranno trasfigurati, cioè
trasformati in rapporti completamente diversi, luminosi, trasparenti,
felici, perché saranno unificati in Dio, che sarà «tutto in tutti» (I Corinzi 15, 28).
Paolo Ricca
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Biografia
Paolo Ricca nasce a Torre Pellice (in provincia di Torino) nel 1936.
Dopo aver conseguito la maturità classica a Firenze, studia Teologia a Roma,
negli Stati Uniti e a Basilea (Svizzera), ove consegue il dottorato con una
tesi sull’escatologia del Vangelo secondo Giovanni. Consacrato pastore della
Chiesa valdese nel 1962, esercita il ministero a Forano e a Torino, e segue il
Concilio Vaticano II per conto dell’Alleanza Riformata Mondiale. Dal 1976 al
2002 insegna Storia della Chiesa e, per alcuni anni, Teologia Pratica presso la
Facoltà Valdese di Teologia di Roma. Membro per quindici anni della Commissione
“Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Ginevra), opera in
diversi organismi ecumenici ed è per due mandati presidente della Società
Biblica in Italia. Attualmente è professore ospite presso il Pontifico Ateneo
Sant’Anselmo di Roma e dirige la collana “Lutero. Opere scelte” dell’editrice
Claudiana di Torino.

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