La struttura
originaria tematizzata da Emanuele Severino è ritenuta esser innegabile,
giacché la sua negazione comporterebbe l’autonegazione da parte
del negatore.
Sì, a patto,
però, che il suo negatore SAPPIA la verità da negare.
Ed è proprio internamente
al sistema filosofico severiniano che tale negatore NON PUÒ SAPERE alcunché di essa.
Perché?
Perché, secondo Severino,
il negatore (
= ogni individuo: il mortale) è ERRORE, con l’aggravante di ignorar di esser tale, cosicché
NULLA possa SAPERE della verità da negare, essendo SOLTANTO la
verità a SAPERE
dell’errore e di sé.
E chi/cos’è
l’errore?
L’errore
è colui/ciò che è IMPOSSIBILITATO a conoscere la verità;
è colui/ciò che IGNORA
la verità.
Quindi sì, l’errore
è negazione della verità ed in tal senso sussiste, ma come mera PARVENZA
giacché, NON SAPENDO di esser negazione della
verità, grazie alla quale saprebbe della verità nonché di sé come negazione di essa, è
come se non esistesse, essendo infatti simile a quella <<pianta (phyton)>>
di aristotelica memoria, incapace di proferire parola contro la verità che
IGNORA, cosicché NON
possa neppure negarla NÉ,
quindi, autonegarsi.
Se l’errore
sapesse di sé in quanto negazione della verità, cesserebbe di essere
(o non sarebbe mai stato) errore, perché _ secondo Severino _ tra
verità ed errore NON si dà un terzo, per cui sarebbe esso stesso
verità, o indistinguibile da essa.
È sì vero che,
secondo l’errore-Severino, l’errore è SAPUTO ( = appare) sul fondamento
dell’apparire della verità.
Tuttavia, anche
il SAPERE (
= l’apparire) di questa verità è SAPUTO SOLTANTO dalla ( = appare SOLTANTO
alla) verità, NON da(a)ll’errore-Severino.
E poi, siccome ciò
è saputo e detto dall’errore-Severino che ne ha scritto, allora, che l’errore
sia SAPUTO (
= appaia) sul fondamento dell’apparire della verità, sarà a sua volta:
(1)- o una
non-verità, un errore;
(2)- oppure, se
fosse verità, l’errore
NON sarebbe errore bensì verità.
Lo aveva ben
capito Blaise Pascal:
<<Se
l’uomo non fosse mai stato corrotto
[in termini severiniani: errore], godrebbe sicuro, nella propria innocenza, della verità e della felicità.
E se fosse sempre stato
corrotto, NON AVREBBE NESSUNA IDEA NÉ DELLA VERITÀ né della
felicità>>. (Pensieri 434. Maiuscolo mio: RF).
A ciò, Severino
replica che la negazione della verità ( = l’errore) sia da sempre UNITA/INSIEME alla verità circa
la quale si pone come negazione. Ma ciò non fa che riconfermare come tale negazione
SAPPIA della
verità da negare, essendo da essa inscindibile e quindi avendola sempre
dinanzi, e ciò dovrebbe condurre a riconoscere _ contro Severino _ che l’errore, negante
la verità, sia ben CONSAPEVOLE
della ( = gli appaia la) verità da negare.
Ciò comporta però
che l’errore NON
sia (più, o mai stato) errore o negazione della verità, ma che sia UNO con essa, indistinguibile
da quest’ultima, appunto perché il presunto errore (o la presunta negazione) SA DI SÉ come
errore/negazione della verità e perciò SA della verità; SA la verità, può
TESTIMONIARLA, cosicché NON POSSA ESSERNE SUA NEGAZIONE:
sarebbe come se negasse
sé stesso…
Pertanto, internamente
al sistema severiniano, data l’imprescindibilità dell’errore,
paradossalmente NON
PUÒ ESISTERE alcuna REALE
negazione autonegantesi della verità, ma soltanto una PARVENZA
di negazione, una FINTA
negazione, una negazione APPARENTE, ILLUSORIA che, in realtà,
prima ancora d’esser negazione, l’errore è già posto
(ab origine) come
AFFERMAZIONE della verità pur paludandosi
come sua negazione (cosicché tale verità non sarà neppure AUTENTICA verità bensì
anch’essa PARVENZA, appunto perché priva di REALE negazione grazie alla quale
determinarsi come verità-e-negazione-dell’errore).
Quindi la
negazione della verità non
è NÉ negazione di essa NÉ, perciò, è negazione autonegantesi,
appunto perché l’errore non
può negare ciò che IGNORA.
Ricapitolando:
(A)- o noi umani
NON siamo errori;
e allora
sappiamo (siamo consci de) la verità del destino e perciò NON possiamo negarla,
sì che, come detto, NON
esista alcuna negazione di essa, NÉ, perciò, alcuna verità del destino.
(B)- Oppure, siamo errori;
e allora NON
possiamo negare ciò che ignoriamo, NON sappiamo di (non abbiamo accesso
ad) alcuna verità del destino; dunque, NON possiamo negarla autonegandoci
perché, se la negassimo, la conosceremmo, e perciò saremmo come al punto (A),
cioè l’errore sarebbe verità (la verità NON può negare se
stessa, altrimenti essa sarebbe al contempo verità-e-non-verità, o
al contempo affermante sé stessa e negante sé stessa).
Roberto Fiaschi
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