Intendo commentare la replica di Angelo Santini ( = AS) al precedente post n° 68:
DIALOGO CON GIULIO
GOGGI SUL RAPPORTO SEVERINIANO “ERRORE-VERITÀ”.
Scrive AS:
<<In
risposta alle obiezioni di Roberto: l'Io del Destino che siamo, in quanto è
finito, è caratterizzato dall'apparire del contrasto tra la verità e l'errore.
Questo percorso è il risolvimento della contraddizione C, che appare come se
fosse in progressivo nella prospettiva interna del nostro Io del Destino,
mentre risulta al contempo già eternamente dispiegato e compiuto nella
dimensione dell'apparire infinito. Il fatto che lo stesso Io del Destino possa,
da una parte, comprendere la verità del Destino indicata negli scritti di
Severino e dall'altra possa comunque trovarsi a sperimentare la persuasione di
credere vero un errore dipende semplicemente dalla contraddizione C, ovvero dal
fatto che la verità che appare nell'Io finito del Destino è il concreto
dell'astratto, che pur essendo un tratto della verità, non coincide con la
verità che appare nello sguardo dell'apparire infinito. Questo scarto tra il
modo di apparire finito e processuale di un tratto della verità del Destino,
nell'io finito del Destino, è responsabile anche del fatto che, in quanto la
verità appare processualmente, possa comportare anche l'apparire di momenti in
cui vi sia la persuasione che la verità sia errore e viceversa (questo
spiegherebbe come mai il contenuto indicato negli scritti di Severino possa
essere qualcosa di testimoniato dal suo Io del Destino e che nonostante ciò il
loro sviluppo processuale sia stato caratterizzato da alcune correzioni.
Tuttavia, la correzione di quelli che potrebbero sembrare errori in alcuni
testi di Severino non sarebbe altro che l'apparire di strati più profondi della
verità del Destino non apparsi in precedenza. Per questo non segue che, se il
contenuto indicato negli scritti di Severino fosse stato testimoniato dallo
stesso Destino, allora risulterebbe che il Destino stesso possa sbagliarsi
perché noi, pur essendo Destino, siamo un suo modo finito di essere tale e nel
quale la verità, pur essendo inconsciamente presente e sfondo dell'intero
percorso, si mostra processualmente in una dialettica caratterizzata
esattamente dal progressivo risolvimento della contraddizione C)>>.
Inoltre:
<<Sono
d'accordo che l'io empirico non possa comprendere la verità, e difatti ritengo
che sia l'Io del Destino il solo a poter comprendere la verità del Destino
stesso, ma senza che ciò comporti che il Destino stesso sia effettivamente in
errore (pur quando nel nostro Io finito del Destino appare la persuasione
nell'errore). Se infatti si considera il percorso del nostro Io finito del
Destino come già dispiegato e compiuto (ovvero, per come è realmente nello
sguardo dell'apparire infinito), allora il nostro Io del Destino non risulta
mai veramente in errore perché qualsiasi persuasione nell'errore possa
apparire, è già da sempre congiunta al suo oltrepassamento nella verità
sopraggiungente che ne mostra l'autonegazione. Se non si isola l'errore dal suo
essere momento astratto della posizione concreta della verità, risulta che l'Io
finito del Destino si trovi sempre e innanzitutto nel fondamento della verità e
che le persuasioni nell'errore siano parti della posizione concreta della
verità>>.
Innanzitutto, prendo
atto con piacere del suo accordo, ove afferma:
<<Sono d'accordo che l'io
empirico non possa comprendere la verità,
e difatti ritengo che sia l'Io del Destino il solo a poter comprendere la verità del Destino stesso>>;
tale riconoscimento non
è poco, anzi, È TUTTO.
Naturalmente, AS
converrà che l’io empirico sia CIASCUNO DI NOI che ci troviamo qui a
dibattere, leggendo e scrivendo, per cui lasciamolo un momento da parte, e
concentriamoci sull’Io del destino il quale è <<il solo a poter
comprendere la verità del Destino stesso>>.
Scrive Severino che
il <<cerchio finito dell’apparire del destino>> o <<Io
del destino>>, <<è la stessa verità originaria>> solo sul cui
fondamento <<può apparire la non verità in cui consiste l’io empirico>>, per cui,
ripetiamolo, <<l’Io finito del destino è il cerchio finito della verità>> il cui
inconscio è <<l’apparire infinito>> (Severino: La Gloria,
pp. 59 ss).
Se il cerchio finito
del destino è <<in contraddizione con sé stesso>>, come
osservava AS parlando della contraddizione C, l’io dell’individuo
o io empirico, invece, <<è la contraddizione della non verità>> il
quale <<esiste soltanto come contenuto di una fede _ come contraddizione,
essere in contraddizione da parte di una fede>> (Severino: La
Gloria).
Senonché, gli ERRORI
teoretici emersi negli scritti di Severino attengono NON tanto alla
costitutiva ed ineliminabile contraddizione C del finito (sebbene
essa funga da loro premessa), bensì, piuttosto, alla <<contraddizione
della non verità>> cui è
l’io empirico-Severino (e tutti noi).
AS nega che <<che
il Destino stesso sia effettivamente in errore (pur quando nel nostro Io finito del
Destino appare la persuasione nell'errore)>>.
Anche ammettendo per
un momento che tale destino NON sia MAI in errore, sta però di
fatto che nei testi severiniani ( = nella testimonianza del destino) sono
comparsi errori (vedasi post n° 70).
Ciò deve
voler dire:
(a)- o che tali
scritti siano testimonianze dell’io empirico-errore-Severino, e allora si spiegano quegli
errori;
(b)- oppure sono
testimonianze dell’Io finito del destino cioè della <<stessa verità originaria>>,
ma allora NON
è più possibile sostener l’impossibilità <<che il Destino stesso sia
effettivamente in errore>>.
AS precisa che
l’<<Io del Destino non risulta mai veramente in errore>>
giacché <<risulta che l'Io finito del Destino si trovi sempre e
innanzitutto nel fondamento della verità>>;
ma, se così, allora gli
errori nella
testimonianza del destino presente negli scritti di Severino non può che essere
la testimonianza dell’errore-io
empirico, anziché dell’Io del destino.
Per cui non è
accettabile l’osservazione secondo la quale
<<Il fatto
che lo stesso Io del Destino possa, da una parte, comprendere la verità del
Destino indicata negli scritti di Severino e dall'altra possa comunque trovarsi a sperimentare la
persuasione di credere vero un errore dipende semplicemente dalla
contraddizione C, ovvero dal fatto che la verità che appare nell'Io finito del
Destino è il concreto dell'astratto, che pur essendo un tratto della verità,
non coincide con la verità che appare nello sguardo dell'apparire infinito>>,
perché l’Io del
destino NON
può MAI <<trovarsi a sperimentare la persuasione di credere vero un errore>>, non
solo perché esso <<non
crede in nulla>>
tout court (Severino: Intorno al senso del nulla, pag. 211),
giacché l’Io del destino <<non crede in nessuno dei contenuti del destino che il
linguaggio testimoniante il destino va indicando>> (idem),
quindi non può nemmeno <<credere vero
un errore>>, ma
altresì perché CHI crede
vero un errore (senza neppur
sapere di esser errore) è soltanto l’io empirico-errore, ossia colui che tenta di
testimoniare il destino.
Per cui tutto ciò NON <<dipende
semplicemente dalla contraddizione C>>, bensì, all’opposto, dipende
dalla <<non
verità in cui
consiste l’io empirico>> (Severino: La Gloria, cit.).
Pertanto, che
<<la verità appa[ia] processualmente>> e quindi che <<possa
comportare anche l'apparire di momenti in cui vi sia la persuasione che la verità
sia errore e viceversa>> è evenienza che NON intacca l’Io del destino (il quale,
ripeto, <<non crede in nessuno dei contenuti del destino che il linguaggio
testimoniante il destino va indicando>> e perciò, men che meno, crede
<<che la verità sia errore e viceversa>>), ma spetta SOLTANTO
alla <<non
verità in cui
consiste l’io empirico>>, altrimenti AS NON avrebbe potuto scrivere:
<<ritengo
che sia l'Io del Destino il
solo a poter
comprendere la verità del Destino stesso>>.
Quindi, l’Io del
destino e la sola contraddizione C NON spiegano
<<come mai
il contenuto indicato negli scritti di Severino possa essere qualcosa di
testimoniato dal suo Io del Destino e che nonostante ciò il loro sviluppo
processuale sia stato caratterizzato da alcune correzioni>>,
giacché a spiegare
tali errori e correzioni è innanzitutto l’IMPOSSIBILITÀ che l'io
empirico <<possa comprendere la verità>> che intende
testimoniare, tant’è vero che, ricordo ancora una volta, lo stesso AS ha
affermato esser <<l'Io del Destino il solo a poter comprendere la verità del Destino stesso>>…
Concludendo.
Gli errori teoretici
di Severino NON possono perciò essere scambiati per <<l'apparire di
strati più profondi della verità del Destino non apparsi in precedenza>>
poiché, in questo caso sì,
il non-apparire di quegli <<strati più profondi>> chiama in
causa soltanto la contraddizione C.
Roberto Fiaschi
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