Proseguo il discorso affrontato nel post n° 69.
Scrive Severino in Oltrepassare,
pag. 453:
<<Nelle
pagine che precedono viene mostrata l’impossibilità di tener ferma la tesi,
sostenuta nella Gloria, che tutte le terre entrano nei cerchi della
costellazione infinita in un unico evento, non contenente in sé alcuna
successione di altri eventi. Il linguaggio che afferma di testimoniare il
destino nega cioè sé stesso. E non
solo in questa circostanza. Accade sin dalla Struttura originaria,
rispetto ai precedenti scritti dello stesso autore, e poi anche negli scritti
successivi. Che il percorso da essi compiuto risulti complessivamente compatto
non esclude che al suo interno esso si proponga più volte come negazione di alcuni dei
propri passi precedenti>>.
Nel libro: Intorno
al senso del nulla, pag. 191 ss., osserva nuovamente Severino:
<<Nel
cerchio originario del destino _ quello cioè in cui appare la terra isolata che
include il “mio esser uomo” _, il linguaggio che testimonia la terra isolata
precede il sopraggiungere del linguaggio che testimonia il destino […].
Il linguaggio che testimonia la terra isolata è il linguaggio dell’errare. […] Per quanto
compatto tale linguaggio si presenti nel suo testimoniare il destino e per
quanto addietro nel tempo sia sopraggiunto il suo inizio, anche questo linguaggio è stato
un errare.
L’esempio più recente riguarda _ come si è mostrato nella prima parte di questo
scritto [Intorno al senso del nulla] _ il modo in cui nella Morte
e la terra è stata considerata l’aporia determinata dalla contraddizione
del significato non è (la contraddizione Un)>>.
Segue così la
domanda del filosofo bresciano:
<<Ma,
allora, che cosa garantisce che anche la configurazione attuale del
linguaggio che, testimoniando il destino, ha mostrato il proprio passato errare non sia a sua volta un
errare?>>.
La risposta a tale
domanda è la stessa fornitami a suo tempo dal prof. Giulio Goggi nel post n° 68 a cui rimando.
Prosegue Severino
osservando come <<d’altra parte, che il sogno [ = l’errore] della
terra isolata esista è
SOLTANTO il destino a mostrarlo incontrovertibilmente, ed è solo
sul fondamento dell’apparire del destino che tale sogno può apparire – come si
mostra nei miei scritti>>
(maiuscolo mio: RF).
Notare che Severino
precisa: <<come si mostra nei miei
scritti>>.
Il che vuol dire che
quanto sopra affermato da Severino si mostra nei SUOI scritti ALL’INTERNO del sogno/errore.
Ciò sta a significare
che a testimoniare il destino sia proprio l’io empirico-errore, giacché,
ripetiamolo, <<che il sogno [ = l’errore] della terra isolata
esista è soltanto il destino a mostrarlo
incontrovertibilmente>>, NON l’io empirico, poiché <<è necessario
che la fede in cui consiste l'io empirico NON CAPISCA CON
VERITÀ il
linguaggio testimoniante il destino, che tale fede crede di capire>>.
(E. Severino, La morte e la terra, pag. 138. Maiuscoli miei: RF).
Perciò, tale io
empirico NON
POTRÀ neppure affermare che sia <<solo sul fondamento
dell’apparire del destino che tale sogno può apparire>>, appunto
perché l’io empirico NON
PUÒ CAPIRE quel fondamento e quindi NON può affermarlo come fondamento.
Tant’è vero che
<<Nemmeno la volontà di testimoniare
il destino della verità può ottenere ciò che essa vuole. Anche questa
testimonianza fallisce>>. (Severino:
La Gloria, pag. 397).
E fallisce perché ciò che
tale volontà ottiene NON può essere il destino, ma qualcosa d’ALTRO…
Essa è una testimonianza che testimonia ALTRO da ciò che vorrebbe testimoniare,
perché il destino, ad essa (alla volontà-errore), NON può apparire, sì che resti
un perfetto SCONOSCIUTO...
Ogni contenuto all’interno
del sogno, come ad esempio <<la legna che diventa cenere, il corpo
caldo che diventa freddo, l’uomo felice che diventa infelice, ecc. sono
contenuti dell’interpretare, appartengono cioè alla terra isolata. CHE PERÒ NON PUÒ SAPERLO>>
(Severino: La morte e la terra, pag. 386. Maiuscoli mei: RF).
Abbiamo capito bene?
La terra isolata,
cioè l’io empirico, <<NON PUÒ
SAPERLO>>
(di essere terra isolata/errore; se lo sapesse, ciò vorrebbe dire che
gli appaia il destino; se gli apparisse il destino, vorrebbe dire che l’io
empirico POSSA SAPERE ciò che poco sopra
è stato negato).
Ciò nonostante, sempre
ne La Gloria, Pag. 475, il filosofo bresciano cerca di ricomporre i
pezzi, osservando:
<<[…] per
vedere che il destino sia nella parola è cioè necessario che la volontà [ =
l’io empirico-errore] veda
il destino; ma, si è rilevato, è impossibile che ciò che appare all’interno di una fede sia il
destino della verità. Ma questo non significa che, dunque, la verità sia
impossibile. Infatti la volontà [ = l’io empirico-errore] può voler assegnare la parola al destino – e, innanzitutto, può isolare
la terra – solo in quanto il destino appare già da sempre al di fuori dell’isolamento
della terra e del linguaggio>>.
Tuttavia il destino,
proprio perché <<appare già da sempre al di fuori
dell’isolamento della terra e del linguaggio>>, NON può essere VISTO dall’io empirico-errore
il quale è invece INTERNO
al sogno-errore (senza poter rendersene conto) e quindi NIENTE PUÒ
SAPERE di un destino <<al di fuori>> di sé!
Pertanto NON È VERO che <<il
destino appa[ia] già da sempre al
di fuori dell’isolamento della
terra e del linguaggio>> cioè che esso sia VISTO anche dalla
volontà-io empirico, perché, se ciò fosse VERO, allora sarebbe FALSO che sia <<necessario
che la fede in cui consiste l'io empirico NON CAPISCA CON
VERITÀ il
linguaggio testimoniante il destino>>.
Lo
conferma lo stesso Severino, ove dice che il cammino per giungere a (e quindi
per testimoniare) la verità da parte dell’io empirico <<sarebbe
compiuto nella NON-VERITÀ,
nell’ERRORE, e da
lì NON È POSSIBILE
GIUNGERE alla VERITÀ>>. (Da: Luca Taddio, Messaggero Veneto;
22 gennaio 2020).
Quindi,
dapprima la volontà-io-empirico è necessario che <<veda il destino>>;
al contempo, però, è altrettanto <<necessario che la fede in cui consiste l'io
empirico NON CAPISCA CON VERITÀ il linguaggio
testimoniante il destino, che tale fede crede di capire>>.
Lo vede ( = lo
capisce) ma al contempo NON
lo capisce ( = non lo vede)!
Laddove
tale ‘vedere’, è palese, non è riferito alla visione oculare…
Pertanto,
la testimonianza
del presunto destino NON
può fondarsi sulla necessità che <<il destino appa[ia] già da sempre
al di fuori dell’isolamento della terra e del linguaggio>>, perché
questo suo apparire NON è saputo ( = visto) dall’io empirico testimoniante
attraverso i propri scritti.
D’altronde, qualora
si insistesse nel sostenere <<che il sogno [ = l’io empirico-errore]
della terra isolata esista>> SUL FONDAMENTO DELL’APPARIRE DEL DESTINO,
si dovrà inevitabilmente concludere con la FALSITÀ della tesi secondo la quale <<l'io
empirico NON CAPISC[E] con verità il linguaggio
testimoniante il destino, che tale fede crede di capire>> e di tutto
ciò che è relato ad essa…
Roberto Fiaschi
------------------------------------------

Nessun commento:
Posta un commento