mercoledì 2 agosto 2023

70)- SE LA VERITÀ DEL DESTINO SEVERINIANO ERRA…


Proseguo il discorso affrontato nel post n° 69.

Scrive Severino in Oltrepassare, pag. 453:

<<Nelle pagine che precedono viene mostrata l’impossibilità di tener ferma la tesi, sostenuta nella Gloria, che tutte le terre entrano nei cerchi della costellazione infinita in un unico evento, non contenente in sé alcuna successione di altri eventi. Il linguaggio che afferma di testimoniare il destino nega cioè sé stesso. E non solo in questa circostanza. Accade sin dalla Struttura originaria, rispetto ai precedenti scritti dello stesso autore, e poi anche negli scritti successivi. Che il percorso da essi compiuto risulti complessivamente compatto non esclude che al suo interno esso si proponga più volte come negazione di alcuni dei propri passi precedenti>>.

Nel libro: Intorno al senso del nulla, pag. 191 ss., osserva nuovamente Severino:

<<Nel cerchio originario del destino _ quello cioè in cui appare la terra isolata che include il “mio esser uomo” _, il linguaggio che testimonia la terra isolata precede il sopraggiungere del linguaggio che testimonia il destino […]. Il linguaggio che testimonia la terra isolata è il linguaggio dell’errare. […] Per quanto compatto tale linguaggio si presenti nel suo testimoniare il destino e per quanto addietro nel tempo sia sopraggiunto il suo inizio, anche questo linguaggio è stato un errare. L’esempio più recente riguarda _ come si è mostrato nella prima parte di questo scritto [Intorno al senso del nulla] _ il modo in cui nella Morte e la terra è stata considerata l’aporia determinata dalla contraddizione del significato non è (la contraddizione Un)>>.

Segue così la domanda del filosofo bresciano:

<<Ma, allora, che cosa garantisce che anche la configurazione attuale del linguaggio che, testimoniando il destino, ha mostrato il proprio passato errare non sia a sua volta un errare?>>.

La risposta a tale domanda è la stessa fornitami a suo tempo dal prof. Giulio Goggi nel post n° 68 a cui rimando.

Prosegue Severino osservando come <<d’altra parte, che il sogno [ = l’errore] della terra isolata esista è SOLTANTO il destino a mostrarlo incontrovertibilmente, ed è solo sul fondamento dell’apparire del destino che tale sogno può apparire – come si mostra nei miei scritti>> (maiuscolo mio: RF).

Notare che Severino precisa: <<come si mostra nei miei scritti>>.

Il che vuol dire che quanto sopra affermato da Severino si mostra nei SUOI scritti ALL’INTERNO del sogno/errore.

Ciò sta a significare che a testimoniare il destino sia proprio l’io empirico-errore, giacché, ripetiamolo, <<che il sogno [ = l’errore] della terra isolata esista è soltanto il destino a mostrarlo incontrovertibilmente>>, NON l’io empirico, poiché <<è necessario che la fede in cui consiste l'io empirico NON CAPISCA CON VERITÀ il linguaggio testimoniante il destino, che tale fede crede di capire>>. (E. Severino, La morte e la terra, pag. 138. Maiuscoli miei: RF).

Perciò, tale io empirico NON POTRÀ neppure affermare che sia <<solo sul fondamento dell’apparire del destino che tale sogno può apparire>>, appunto perché l’io empirico NON PUÒ CAPIRE quel fondamento e quindi NON può affermarlo come fondamento.

Tant’è vero che <<Nemmeno la volontà  di testimoniare il destino della verità può ottenere ciò che essa vuole. Anche questa testimonianza fallisce>>. (Severino: La Gloria, pag. 397).

E fallisce perché ciò che tale volontà ottiene NON può essere il destino, ma qualcosa d’ALTRO… Essa è una testimonianza che testimonia ALTRO da ciò che vorrebbe testimoniare, perché il destino, ad essa (alla volontà-errore), NON può apparire, sì che resti un perfetto SCONOSCIUTO...

Ogni contenuto all’interno del sogno, come ad esempio <<la legna che diventa cenere, il corpo caldo che diventa freddo, l’uomo felice che diventa infelice, ecc. sono contenuti dell’interpretare, appartengono cioè alla terra isolata. CHE PERÒ NON PUÒ SAPERLO>> (Severino: La morte e la terra, pag. 386. Maiuscoli mei: RF).

Abbiamo capito bene?

La terra isolata, cioè l’io empirico, <<NON PUÒ SAPERLO>> (di essere terra isolata/errore; se lo sapesse, ciò vorrebbe dire che gli appaia il destino; se gli apparisse il destino, vorrebbe dire che l’io empirico POSSA SAPERE ciò che poco sopra è stato negato).

Ciò nonostante, sempre ne La Gloria, Pag. 475, il filosofo bresciano cerca di ricomporre i pezzi, osservando:

<<[…] per vedere che il destino sia nella parola è cioè necessario che la volontà [ = l’io empirico-errore] veda il destino; ma, si è rilevato, è impossibile che ciò che appare all’interno di una fede sia il destino della verità. Ma questo non significa che, dunque, la verità sia impossibile. Infatti la volontà [ = l’io empirico-errore] può voler  assegnare la parola al destino – e, innanzitutto, può isolare la terra – solo in quanto il destino appare già da sempre al di fuori dell’isolamento della terra e del linguaggio>>.

Tuttavia il destino, proprio perché <<appare già da sempre al di fuori dell’isolamento della terra e del linguaggio>>, NON può essere VISTO dall’io empirico-errore il quale è invece INTERNO al sogno-errore (senza poter rendersene conto) e quindi NIENTE PUÒ SAPERE di un destino <<al di fuori>> di sé!

Pertanto NON È VERO che <<il destino appa[ia] già da sempre al di fuori dell’isolamento della terra e del linguaggio>> cioè che esso sia VISTO anche dalla volontà-io empirico, perché, se ciò fosse VERO, allora sarebbe FALSO che sia <<necessario che la fede in cui consiste l'io empirico NON CAPISCA CON VERITÀ il linguaggio testimoniante il destino>>.

Lo conferma lo stesso Severino, ove dice che il cammino per giungere a (e quindi per testimoniare) la verità da parte dell’io empirico <<sarebbe compiuto nella NON-VERITÀ, nell’ERRORE, e da lì NON È POSSIBILE GIUNGERE alla VERITÀ>>. (Da: Luca Taddio, Messaggero Veneto; 22 gennaio 2020).

Quindi, dapprima la volontà-io-empirico è necessario che <<veda il destino>>; al contempo, però, è altrettanto <<necessario che la fede in cui consiste l'io empirico NON CAPISCA CON VERITÀ il linguaggio testimoniante il destino, che tale fede crede di capire>>.

Lo vede ( = lo capisce) ma al contempo NON lo capisce ( = non lo vede)!

Laddove tale ‘vedere’, è palese, non è riferito alla visione oculare

Pertanto, la testimonianza del presunto destino NON può fondarsi sulla necessità che <<il destino appa[ia] già da sempre al di fuori dell’isolamento della terra e del linguaggio>>, perché questo suo apparire NON è saputo ( = visto) dall’io empirico testimoniante attraverso i propri scritti.

D’altronde, qualora si insistesse nel sostenere <<che il sogno [ = l’io empirico-errore] della terra isolata esista>> SUL FONDAMENTO DELL’APPARIRE DEL DESTINO, si dovrà inevitabilmente concludere con la FALSITÀ della tesi secondo la quale <<l'io empirico NON CAPISC[E] con verità il linguaggio testimoniante il destino, che tale fede crede di capire>> e di tutto ciò che è relato ad essa…

 

Roberto Fiaschi

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