sabato 5 agosto 2023

71)- SECONDO DIALOGO CON ANGELO SANTINI SUL RAPPORTO SEVERINIANO “ERRORE-VERITÀ”

 

In relazione al post n° 69, così replica Angelo Santini (d’ora in poi AS):

<<Ciao Roberto. Incomincio con il rispondere che dissento sul ritenerci Io empirici. Chi sperimenta ciò che appare nel nostro Cerchio finito del Destino è il nostro Io finito del Destino, non l'io empirico (che si potrebbe definire una sorta di "avatar" che rappresenta la persona che appare nel nostro cerchio finito del destino). L'io empirico non ha realtà propria ed esiste come contenuto della fede (la fede che esista fisicamente la persona, anziché l'insieme delle determinazioni che ne rappresentano il fittizio agire, ovvero la persuasione di agire, secondo la filosofia sostenuta da Severino). Il nostro Io finito del Destino può essere "persuaso" dell'errore solo nel senso che in esso non appaiono ancora le configurazioni che ne mostrano l'erroneità (e come ho detto in commenti precedenti, l'errore che appare processualmente nel cerchio finito del Destino non solo è dovuto alla contraddizione C, ma non è separato dal suo essere originariamente oltrepassato dalla verità che lo nega, appunto, originariamente. Occorre sempre tener presente che la realtà dell'apparire finito è l'apparire infinito e che dunque anche ciò che appare processualmente nel cerchio finito del Destino è da sempre e per sempre congiunto con il percorso infinito del cerchio finito dl Destino, destinato ad apparirgli da sempre, che già appare da sempre nell'apparire infinito). Secondo la filosofia di Severino non vi è in noi un soggetto che abbia fede, pensi e si rappresenti la realtà, ma solo l'apparire di configurazioni coscienziali in cui si inscena questo e la identificazione con un io empirico calato in un presunto mondo esterno, creduto diveniente. Di conseguenza l'apparire della persuasione nell'errore non intacca l'Io finito del Destino, il quale non è che "creda" nell'errore quando gli appare, quanto piuttosto è pervaso in quel momento principalmente da quella particolare serie di configurazioni coscienziali che inscenano la persuasione dell'essere un io empirico che ha fede in qualcosa, mentre l'oltrepassamento dell'errore (già originariamente avvenuto nell'apparire infinito) è semplicemente l'apparire di configurazioni coscienziali in cui è da sempre presente la comprensione dell'errore in quanto errore, e della verità in quanto tale. L'unico vero protagonista che esperisce tutto è sempre e solo l'apparire infinito che, nel tratto del nostro cerchio finito del Destino, sperimenta soltanto alcune sue porzioni coscienziali alla volta in cui la verità appare contrastata dall'errore, in un percorso dialettico che è esattamente il progressivo risolvimento della contraddizione C. Non è l'io empirico Severino ad aver indicato la verità del Destino ai nostri io empirici o al nostro Io finito del Destino, ma è l'Io Infinito del Destino che, in questo tratto di realtà della terra isolata, appare processualmente e parzialmente in sé e a sé ospitando solo alcuni tratti coscienziali di se stesso e che quindi autoappare a sé in questo modo parziale, nel quale è inscenato un contrasto tra la verità e l'errore che passa anche per equivoci come quelli secondo cui a testimoniare e indicare il Destino sia un io empirico anziché l'Io finito del Destino (che è una porzione dell'Io infinito del Destino). In altre parole, ad aver indicato la verità del Destino è il Destino stesso a sé stesso e in se stesso (in questo tratto della terra isolata, nella forma processuale inscenata dal contesto stesso della terra isolata, quale contrasto tra la verità e l'errore e l'idea che siano gli individui a testimoniare qualcosa. Il Destino, in questa parte dell'apparire infinito che è la nostra esperienza attuale dell'apparire processuale, mostra in se stesso la sua verità nella forma fittizia di un io empirico che apparentemente la comunica ad altri, ma che in realtà è sempre e solo Io del Destino in cui appare la persuasione nichilista del divenire, ma anche il suo progressivo risolvimento). Se tenendo presente ciò si considerano le precedenti osservazioni che ho esposto, dovrebbe risultare chiaro il perché l'apparire delle "correzioni" nei testi di Severino sia semplicemente l'apparire processuale della verità dell'Io finito del Destino in sé stesso, attraverso il progressivo risolvimento della contraddizione C, senza che ciò comporti le contraddizioni che ritieni di aver rilevato. Ricordo che secondo la filosofia severiniana il concreto è l'intero, l'astratto è la parte e la posizione astratta dell'astratto è il considerare la prospettiva della parte come se fosse a sé stante (quando invece rispetto all'apparire infinito, la parte è un suo momento, aspetto, non autosussistente in sé, sicché lo stesso Io finito del Destino è in realtà una porzione dell'Io infinito del Destino in cui appare tutta l'infinita serie di configurazioni coscienziali che lo caratterizzano, ma non tutte quelle esistenti da sempre apparenti solo nell'Io infinito del Destino>>.

Rispondo punto per punto.

Scrive AS:

<<Ciao Roberto. Incomincio con il rispondere che dissento sul ritenerci Io empirici. Chi sperimenta ciò che appare nel nostro Cerchio finito del Destino è il nostro Io finito del Destino, non l'io empirico (che si potrebbe definire una sorta di "avatar" che rappresenta la persona che appare nel nostro cerchio finito del destino)>>.

Temo che Severino NON sia d’accordo con AS.

Vediamo. Scrive il filosofo bresciano:

<<l'Io del destino sperimenta il dolore e l'angoscia, MA LASCIA CHE SIA L'IO DELL'INDIVIDUO A PROVARE SCONCERTO, TURBAMENTO E LA FORMA DI DOLORE E DI ANGOSCIA CHE NE CONSEGUONO; e vede in questa e in ogni altra forma dell'affettivita' la conseguenza inevitabile dell'errare in cui l'io dell'individuo consiste. Sa che tutto cioè che gli accade (ossia che appare, entrando nel cerchio finito dell'apparire) è quello che è solo in quanto gli è identico; e sa che l'angoscia dell'individuo di fronte alla vita è dovuta, da un lato, alla prevaricazione, nella solitudine della terra dove l'individuo resta evocato, del linguaggio che testimonia la terra isolata, e, dall'altro, all'assenza del linguaggio che testimonia il destino della verità e della terra - ossia testimonia lo stesso Io del destino>> (Severino: La Gloria, pag. 66. Maiuscoli miei: RF).

Dunque, è chiaro: ANCHE l’io empirico PROVA o SPERIMENTA <<SCONCERTO, TURBAMENTO E LA FORMA DI DOLORE E DI ANGOSCIA CHE NE CONSEGUONO>>, così come egli PROVA gioia e quant’altro…

Anche volendolo considerare soltanto un <<avatar>>, l’io empirico rappresenta pur sempre <<la persona che appare nel nostro cerchio finito del destino)>> e, poiché appare, essa è <<la persona>> specifica che dice di essere.

D’altronde, se davvero _ come sostiene AS _, dissentissimo dal <<ritenerci Io empirici>>, dovremmo altresì dissentire da quanto afferma lo stesso Severino, ove osserva che:

<<Nelle pagine che precedono viene mostrata l’impossibilità di tener ferma la tesi, sostenuta nella Gloria, che tutte le terre entrano nei cerchi della costellazione infinita in un unico evento, non contenente in sé alcuna successione di altri eventi. Il linguaggio che afferma di testimoniare il destino nega cioè sé stesso. E non solo in questa circostanza. Accade sin dalla Struttura originaria, rispetto ai precedenti scritti dello stesso autore, e poi anche negli scritti successivi. Che il percorso da essi compiuto risulti complessivamente compatto non esclude che al suo interno esso si proponga più volte come negazione di alcuni dei propri passi precedenti>>.

Tale <<negazione>> non è la semplice contraddizione C, negata progressivamente dall’implemento del contenuto empirico nell’apparire finito, bensì è la contraddizione normale, ossia quella dal contenuto NULLO.

Inoltre, nel libro: Intorno al senso del nulla, pag. 191 ss., leggiamo ancora:

<<Nel cerchio originario del destino _ quello cioè in cui appare la terra isolata che include il “mio esser uomo” _, il linguaggio che testimonia la terra isolata precede il sopraggiungere del linguaggio che testimonia il destino […]. Il linguaggio che testimonia la terra isolata è il linguaggio dell’errare. […] Per quanto compatto tale linguaggio si presenti nel suo testimoniare il destino e per quanto addietro nel tempo sia sopraggiunto il suo inizio, anche questo linguaggio è stato un errare. L’esempio più recente riguarda _ come si è mostrato nella prima parte di questo scritto [Intorno al senso del nulla] _ il modo in cui nella Morte e la terra è stata considerata l’aporia determinata dalla contraddizione del significato non è (la contraddizione Un)>>.

Come appare evidente, il linguaggio che testimonia il destino NON è il linguaggio dell’Io del destino, bensì è <<il linguaggio che testimonia la terra isolata>> cioè, appunto, il linguaggio dell’io empirico o <<linguaggio dellerrare>>.

Ma proseguiamo con le pur sempre ottime osservazioni di AS:

<<L'io empirico non ha realtà propria ed esiste come contenuto della fede (la fede che esista fisicamente la persona, anziché l'insieme delle determinazioni che ne rappresentano il fittizio agire, ovvero la persuasione di agire, secondo la filosofia sostenuta da Severino). Il nostro Io finito del Destino può essere "persuaso" dell'errore solo nel senso che in esso non appaiono ancora le configurazioni che ne mostrano l'erroneità (e come ho detto in commenti precedenti, l'errore che appare processualmente nel cerchio finito del Destino non solo è dovuto alla contraddizione C, ma non è separato dal suo essere originariamente oltrepassato dalla verità che lo nega, appunto, originariamente. Occorre sempre tener presente che la realtà dell'apparire finito è l'apparire infinito e che dunque anche ciò che appare processualmente nel cerchio finito del Destino è da sempre e per sempre congiunto con il percorso infinito del cerchio finito dl Destino, destinato ad apparirgli da sempre, che già appare da sempre nell'apparire infinito)>>.

Dissento, ma non tanto io, bensì lo stesso Severino, in riferimento a ciò che AS afferma:

<<Il nostro Io finito del Destino può essere "persuaso" dell'errore solo nel senso che in esso non appaiono ancora le configurazioni che ne mostrano l'erroneità>>, giacché l’Io finito del destino NON può persuadersi di alcunché se non della verità che esso è.

A persuadersi, infatti, è sempre e soltanto l’io empirico, il quale, essendo errore, non può che errare, anche e soprattutto nel suo testimoniare il destino tramite il <<linguaggio dell’errare>>.

Come avevo già indicato nel post n° 69 dove rispondevo ad AS, l’Io finito del destino NON può MAI <<trovarsi a sperimentare la persuasione di credere vero un errore>>, non solo perché esso <<non crede in nulla>> tout court (Severino: Intorno al senso del nulla, Adelphi 2013, pag. 211), giacché l’Io del destino <<non crede in nessuno dei contenuti del destino che il linguaggio testimoniante il destino va indicando>> (idem), quindi non può nemmeno <<credere vero un errore>>, ma altresì perché CHI crede vero un errore (senza neppur sapere di esser errore) è soltanto l’io empirico, non a caso ritenuto errore, ossia colui che tenta di testimoniare il destino.

Dunque, un Io finito del destino che fosse <<"persuaso" dell'errore solo nel senso che in esso non appaiono ancora le configurazioni che ne mostrano l'erroneità (e come ho detto in commenti precedenti, l'errore che appare processualmente nel cerchio finito del Destino non solo è dovuto alla contraddizione C, ma non è separato dal suo essere originariamente oltrepassato dalla verità che lo nega, appunto, originariamente>>, implicherebbe la sua (dell’Io del destino) NESCIENZA circa l’esser <<separato dal suo [dell’errore] essere originariamente oltrepassato dalla verità che lo nega, appunto, originariamente>>.

Invece, l’Io del destino NON ignora tale <<essere originariamente oltrepassato dalla verità che lo nega>>, poiché esso NON è separato da sé, cioè dalla verità cui esso è…

Ripeterei: ad esser <<"persuaso" dell'errore>> è SOLTANTO l’io empirico-errore, il quale è ERRORE senza nemmeno saperlo…

AS: <<Secondo la filosofia di Severino non vi è in noi un soggetto che abbia fede, pensi e si rappresenti la realtà, ma solo l'apparire di configurazioni coscienziali in cui si inscena questo e la identificazione con un io empirico calato in un presunto mondo esterno, creduto diveniente. Di conseguenza l'apparire della persuasione nell'errore non intacca l'Io finito del Destino, il quale non è che "creda" nell'errore quando gli appare, quanto piuttosto è pervaso in quel momento principalmente da quella particolare serie di configurazioni coscienziali che inscenano la persuasione dell'essere un io empirico che ha fede in qualcosa, mentre l'oltrepassamento dell'errore (già originariamente avvenuto nell'apparire infinito) è semplicemente l'apparire di configurazioni coscienziali in cui è da sempre presente la comprensione dell'errore in quanto errore, e della verità in quanto tale. L'unico vero protagonista che esperisce tutto è sempre e solo l'apparire infinito che, nel tratto del nostro cerchio finito del Destino, sperimenta soltanto alcune sue porzioni coscienziali alla volta in cui la verità appare contrastata dall'errore, in un percorso dialettico che è esattamente il progressivo risolvimento della contraddizione C>>.

Affermare: <<Secondo la filosofia di Severino non vi è in noi un soggetto che abbia fede, pensi e si rappresenti la realtà>>, significa affermare che secondo il <<soggetto>> Severino, <<non vi è in noi un soggetto>> di nome Severino che <<abbia fede, pensi e si rappresenti la realtà>> attraverso la sua filosofia.

Per cui tale affermazione della <<filosofia di Severino>> cioè del <<soggetto>> Severino, negando che vi sia <<un soggetto che abbia fede, pensi e si rappresenti la realtà>> mediante la sua filosofia, nega che quest’ultima tesi appartenga alla <<filosofia di Severino>> cioè di un <<soggetto>>.

Il che vuol dire che <<Secondo la filosofia di Severino>> NON vi è alcuna <<filosofia di Severino>>, per cui non vi è neppure la negazione di <<un soggetto che abbia fede, pensi e si rappresenti la realtà>> mediante ciò che è stata chiamata <<la filosofia di Severino>>:

non rimane nulla…

Poi, se <<Secondo la filosofia di Severino non vi è in noi un soggetto che abbia fede, pensi e si rappresenti la realtà>>, vi è però tale FEDE o SOGNO, al cui interno noi (io, te, loro…) agiamo come io empirici.

Come dice esplicitamente Severino, questa FEDE NON SA di esser tale, ossia di essere ERRORE, ed a maggior ragione non può costitutivamente sapere alcunché circa la verità del destino.

Tant’è vero che <<è necessario che la FEDE in cui consiste l'io empirico NON CAPISCA CON VERITÀ il linguaggio testimoniante il destino, che tale fede crede di capire>>. (E. Severino, La morte e la terra, pag. 138. Maiuscoli miei: RF).

E siamo di nuovo punto e a capo.

Ossia: siccome tutti noi siamo (la FEDE di esser) venuti a conoscenza del destino di cui parla Severino tramite i suoi libri/conferenze, ma se tale destino è testimoniato SOLTANTO dall’Io del destino, allora non ha alcun senso sostener <<che la FEDE in cui consiste l'io empirico NON CAPISCA CON VERITÀ il linguaggio testimoniante il destino>>, perché se a testimoniare il destino fosse davvero l’Io del destino (anziché noi io empirici), allora noi, in quanto io empirici-FEDE, NON potremmo SAPERLO CAPIRLO, potremmo saper di esser FEDE, perché per saperlo, dovremmo aver già presente la verità del destino.

Non solo, MA NON POTREBBE MAI REALIZZARSI l’evenienza in cui <<Per quanto compatto tale linguaggio si presenti nel suo testimoniare il destino e per quanto addietro nel tempo sia sopraggiunto il suo inizio, anche questo linguaggio è stato un errare>>.

Il che vuol dire che il linguaggio che testimonia il destino NON può essere ‘opera’ dell’Io del destino, ma soltanto dell’io empirico-errore, altrimenti, se fosse diretta testimonianza del primo, sarebbe allora FALSO

- o (AUT) che <<che la FEDE in cui consiste l'io empirico NON CAPISCA CON VERITÀ il linguaggio testimoniante il destino>>, visto che i testi dai quali siamo venuti a conoscenza del destino sono dell’io empirico-errore-Severino,

- oppure (AUT) sarebbe FALSO che l’Io del destino sia la stessa VERITÀ del destino ( = la struttura originaria).

Senonché, AS osserva che:

<<Non è l'io empirico Severino ad aver indicato la verità del Destino ai nostri io empirici o al nostro Io finito del Destino, ma è l'Io Infinito del Destino che, in questo tratto di realtà della terra isolata, appare processualmente e parzialmente in sé e a sé ospitando solo alcuni tratti coscienziali di se stesso e che quindi autoappare a sé in questo modo parziale, nel quale è inscenato un contrasto tra la verità e l'errore che passa anche per equivoci come quelli secondo cui a testimoniare e indicare il Destino sia un io empirico anziché l'Io finito del Destino (che è una porzione dell'Io infinito del Destino). In altre parole, ad aver indicato la verità del Destino è il Destino stesso a sé stesso e in se stesso (in questo tratto della terra isolata, nella forma processuale inscenata dal contesto stesso della terra isolata, quale contrasto tra la verità e l'errore e l'idea che siano gli individui a testimoniare qualcosa. Il Destino, in questa parte dell'apparire infinito che è la nostra esperienza attuale dell'apparire processuale, mostra in se stesso la sua verità nella forma fittizia di un io empirico che apparentemente la comunica ad altri, ma che in realtà è sempre e solo Io del Destino in cui appare la persuasione nichilista del divenire, ma anche il suo progressivo risolvimento)>>.

Nel precedente intervento, AS aveva sostenuto

<<che sia l'Io [finito] del Destino il solo a poter comprendere la verità del Destino stesso>>.

Adesso, però, subentra un altro protagonista, ossia <<l'Io Infinito del Destino>>.

Ma ciò AGGRAVA INFINITAMENTE L’APORIA da me indicata, perché se fosse davvero <<l'Io Infinito del Destino>> <<ad aver indicato la verità del Destino ai nostri io empirici>>, allora esso sarebbe ancor MENO ‘scusabile’ o giustificabile per gli ERRORI apparsi in tale testimonianza (notare: una testimonianza DI SÉ SU DI SÉ), senza neppure poter addurre la scusante della contraddizione C, giacché nell’Io infinito, <<le configurazioni che ne mostrano l'erroneità (e come ho detto in commenti precedenti, l'errore che appare processualmente nel cerchio finito del Destino non solo è dovuto alla contraddizione C, ma non è separato dal suo essere originariamente oltrepassato dalla verità che lo nega, appunto, originariamente)>> sono da sempre già tutte presenti cioè compiute-risolte, e quindi l’ERRORE è da sempre visto-risolto-negato…

Per cui, se si sostiene _ come sostiene AS _ che <<ad aver indicato la verità del Destino è il Destino stesso a sé stesso e in se stesso>>, mostrando <<in se stesso la sua verità nella forma fittizia di un io empirico che apparentemente la comunica ad altri, ma che in realtà è sempre e solo Io del Destino in cui appare la persuasione nichilista del divenire, ma anche il suo progressivo risolvimento)>>,

allora non solo _ come già visto _ è il <<Destino stesso>> ( = l’apparire infinito) il responsabile degli errori SU DI SÉ, appunto perché <<Non è l'io empirico Severino ad aver indicato la verità del Destino ai nostri io empirici o al nostro Io finito del Destino, ma è l'Io Infinito del Destino>>,

ma allora, ciò rende FALSA la tesi severiniana secondo la quale

<<la FEDE in cui consiste l'io empirico NON CAPISCA CON VERITÀ il linguaggio testimoniante il destino>>,

e che

<<proprio perché è fede, è destinato a non sentire la verità: in quanto ascoltata da “me”, cioè dalla fede in cui “io” come individuo mortale consisto, la verità non può essere verità, e io sono destinato ad essere soltanto il desiderio, in indefinitum, della verità>>. - (La struttura originaria, pag. 89),

appunto perché, se davvero fosse <<l'Io Infinito del Destino>> ad indicare <<la verità del Destino ai nostri io empirici o al nostro Io finito del Destino>>, esso avrebbe dovuto sapere che l’io empirico è IMPOSSIBILITATO A CAPIRE <<CON VERITÀ il linguaggio testimoniante il destino>>, per cui sarebbe del tutto VANO indicar loro tale verità.

Come infatti conferma il filosofo bresciano:

<<l'individuo è il non illuminabile. Perché l'individuo è errore>>. - Severino: La legna e la cenere).

Perciò, ripeto, è del tutto INUTILE indicare la verità agli io empirici: essi NON sono illuminabili

Col che, l’Io infinito del destino si troverebbe nuovamente in errore, proprio nell’indicare <<la verità del Destino ai nostri io empirici>> i quali sono costitutivamente impossibilitati a CAPIRLA <<CON VERITÀ>>.

Non solo, ma se davvero <<Non è l'io empirico Severino ad aver indicato la verità del Destino ai nostri io empirici o al nostro Io finito del Destino, ma è l'Io Infinito del Destino>>,

allora non si capisce perché egli ( = l’Io infinito del destino) ‘utilizzi’ <<il linguaggio dell’errare>>, come lo chiama Severino, ossia dal linguaggio che <<nega cioè sé stesso>> in quanto <<al suo interno esso si propon[e] più volte come negazione di alcuni dei propri passi precedenti>>.

Qui, <<negazione>>, vuol dire: contraddizione normale…

D’altronde, è ovvio che se il destino è testimoniato dal <<linguaggio dell’errare>>, risulta impossibile ritener che tale testimonianza sia ascrivibile alla verità o all’Io infinito del destino.

Poiché, perciò, il destino è testimoniato dal <<linguaggio dell’errare>>, allora, inevitabilmente, il destino è testimoniato dall’errore-io empirico, e NON dall’Io del destino…

Infine, conclude AS:

<<Se tenendo presente ciò si considerano le precedenti osservazioni che ho esposto, dovrebbe risultare chiaro il perché l'apparire delle "correzioni" nei testi di Severino sia semplicemente l'apparire processuale della verità dell'Io finito del Destino in sé stesso, attraverso il progressivo risolvimento della contraddizione C, senza che ciò comporti le contraddizioni che ritieni di aver rilevato>>.

Ho tenuto sì presente le precedenti osservazioni di AS, ma esse NON giustificano gli errori teoretici commessi (ed ammessi) dallo stesso Severino (vedasi post n° 70), ossia tali ERRORI (AS scrive: "correzioni" ma non scrive: ERRORI, sebbene Severino definisca il linguaggio testimoniante il destino come il <<linguaggio dell’errare>>) NON SONO <<semplicemente l'apparire processuale della verità dell'Io finito del Destino in sé stesso, attraverso il progressivo risolvimento della contraddizione C>>, giacché tali errori sono rappresentati da contraddizioni normali, la cui risoluzione impone la negazione del loro contenuto, NON già l’incremento o la processualità di ulteriori essenti come vuole la contraddizione C.

Dunque, posto il nostro (di noi io empirici) essere ERRORI interni al SOGNO-ERRORE, ma, al contempo, posto anche questo nostro SAPERE di essere errori interni al sogno-errore che, in realtà, dice Severino, NON POSSIAMO AFFATTO SAPERLO giacché l’errore NON SA di essere tale, allora abbiamo l’io empirico che è errore ma, SAPENDO DI ESSERLO, NON è errore, appunto perché, che egli sia errore, sarebbe una verità del destino che l’io empirico NON può sapere…

Concludendo.

Se <<Non è l'io empirico Severino ad aver indicato la verità del Destino ai nostri io empirici>>, men che meno può essere <<l'Io Infinito del Destino>>, non solo perché avrebbe trovato un ‘terreno’ ( = l’io empirico) INCAPACE di recepirla, ma soprattutto perché l’<<Io [finito] del destino – la struttura originaria del destino – non crede di essere l’apparire del destino della verità, non crede in nessuno dei contenuti del destino che il linguaggio testimoniante il destino va indicando […]. Non crede in nulla perché [l’Io finito del destino] è l’apparire della verità>>, senza dover perciò scomodare l’Io infinito (Severino: Intorno al senso… Op. cit., pag. 211).

Ciò vuol dire che l’Io finito del destino, essendo <<l’apparire della verità>>, NON può mai indicare ERRORI, altrimenti NON sarebbe <<l’apparire della verità>> il quale, perciò, può indicare soltanto verità.

Dall’altro lato, <<la fede in cui consiste l'io empirico NON CAPISC[E] con verità il linguaggio testimoniante il destino>>, cosicché a nulla servirebbe che l’Io finito (ma anche l’Io infinito) del destino possa indicare la verità <<ai nostri io empirici>>: questi NON la capirebbero…

Altrettanto APORETICA è perciò la tesi secondo la quale il <<Destino>> debba mostrare <<in se stesso la sua verità nella forma fittizia di un io empirico che apparentemente la comunica ad altri, ma che in realtà è sempre e solo Io del Destino>>, perché se il protagonista è sempre e soltanto quest’ultimo, allora tra l’io empirico-ERRORE e l’Io del destino-VERITÀ NON sussiste più alcuna differenza, giacché l’io empirico sarebbe capace di (saprebbe la) verità, e l’Io del destino sarebbe capace dell’ERRORE (come appare negli scritti di Severino), indistinguibilmente, sì da far venir meno la loro differenza, cioè la differenza tra verità ed errore, tra Io del destino ed io empirico.

Inoltre, mostrare <<in se stesso la sua [dell’Io del destino] verità nella forma fittizia di un io empirico>>, significa mostrare una NON-verità, perché la <<forma fittizia di un io empirico>> non può altro che errare attraverso il <<linguaggio dell’errare>>, cosicché dovremmo credere che l’Io del destino mostri la propria verità ATTRAVERSO L’ERRORE!

Insomma, vi sarebbero da scrivere ancora fiumi di righe, ma per ora termino qui.

 

Roberto Fiaschi

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