sabato 5 agosto 2023

72)- DIALOGO CON EGON KEY SUL RAPPORTO SEVERINIANO “ERRORE-VERITÀ”


In relazione al post n° 69, scrive Egon Key (d’ora in poi EK):

<<Nel rapporto tra Io del destino e io empirico, Severino si richiama all'identità di identità. Per cui, ciò che sperimenta l'io empirico è appropriato all'Io del destino: "[...] è l'Io stesso - è identico ad esso - non in quanto è una determinazione che differisce formalmente dall'Io, ma in quanto è lo "stare insieme all'Io" da parte di tale determinazione. Il dolore (o il piacere) non è l'Io: gli è appropriato, ed è l'Io stesso, non in quanto il dolore è dolore (o il piacere è il piacere), ossia qualcosa che non è l'Io, ma in quanto il dolore è (eternamente) insieme all'Io. L'Io non è il dolore, ma è l'esser insieme al dolore; e il dolore non è soltanto un dolore generico, ma è questo dolore che entra nel contenuto dell'Io e appare insieme ad esso. Sì che l'Io-che-è-includente-il-dolore è lo stesso dolore-che-è-incluso-nell'Io. Incontrando sé stesso in tutto ciò che accade (ogni accadimento essendo cioè il sopraggiungere di quell'eterno che è l'identità di identità [...] l'Io del destino sperimenta il dolore e l'angoscia, ma lascia che sia l'io dell'individuo a provare sconcerto, turbamento e la forma di dolore e di angoscia che ne conseguono; e vede in questa e in ogni altra forma dell'affettivita' la conseguenza inevitabile dell'errare in cui l'io dell'individuo consiste. Sa che tutto cioè che gli accade (ossia che appare, entrando nel cerchio finito dell'apparire) è quello che è solo in quanto gli è identico; e sa che l'angoscia dell'individuo di fronte alla vita è dovuta, da un lato, alla prevaricazione, nella solitudine della terra dove l'individuo resta evocato, del linguaggio che testimonia la terra isolata, e, dall'altro, all'assenza del linguaggio che testimonia il destino della verità e della terra - ossia testimonia lo stesso Io del destino. (La Gloria, pp. 65-66)>>.

Tutto perfetto, ma non vedo come tale brano possa smentire l’APORETICITÀ (nei termini descritti nei post 3, 61, 62, 63, 64, 65, 66, 68 e 69) del rapporto io empirico / Io del destino.

Infatti, colui che <<Sa che tutto cioè che gli accade (ossia che appare, entrando nel cerchio finito dell'apparire) è quello che è solo in quanto gli è identico; e sa che l'angoscia dell'individuo di fronte alla vita è dovuta, da un lato, alla prevaricazione, nella solitudine della terra dove l'individuo resta evocato, del linguaggio che testimonia la terra isolata, e, dall'altro, all'assenza del linguaggio che testimonia il destino della verità e della terra - ossia testimonia lo stesso Io del destino>>,

dicevo, colui che SA tutto ciò è l’Io finito del destino, NON l’io empirico, altrimenti quest’ultimo NON sarebbe ERRORE, se sapesse che <<tutto cioè che gli accade (ossia che appare, entrando nel cerchio finito dell'apparire) è quello che è solo in quanto gli è identico>> etc...

Che <<ciò che sperimenta l'io empirico [sia] appropriato all'Io del destino>> lo SA soltanto quest’ultimo, ripeto, NON l’io empirico, ed è proprio la nescienza dell’io empirico (quindi la loro irriducibile DIFFERENZA) a far sì che <<sia l'io dell'individuo a provare sconcerto, turbamento e la forma di dolore e di angoscia che ne conseguono>>, così come è SOLTANTO l’Io del destino a vedere <<in questa e in ogni altra forma dell'affettivita' la conseguenza inevitabile dell'errare in cui l'io dell'individuo consiste>>…

 

Roberto Fiaschi

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