Scrive Elisa de Silva (d’ora in poi: EDS):
<<Partiamo dal fatto che l’io (del destino e
empirico) è lo stesso io, medesima coscienza, medesimo cerchio finito
dell’apparire (empirico e trascendentale). Ciò che si frappone tra l’esser sé e
il sé (cioè tra l’io empirico e l’io del destino) è la volontà (ente che
esprime una contraddizione normale, dunque, dal contenuto nullo) la volontà è
l’errore che pone la separazione tra sé e sé (io trascendentale e io empirico)
come? Ponendo la divisione nel VOLER essere un io, che d’altra parte è già da
sempre (ecco l’evocato), dunque l’incoscio dell’inconscio che è l’io
trascendentale, e sa dell’errore di quella parte di sé che è la volontà, ciò
che dell’io è l’empirico (interpretazione), appunto, tras-figura-nte. Dunque
l’io sa del suo empirico (errore) e del suo essere già da sempre oltre
l’errore. Non è quello che appare anche in ogni fede in un oltre? Non esclusa
quella cristiana? Cioè il sapere di essere errore oltrepassantesi, che dovrà
trascendersi>>.
<<L’io empirico che scrive è lo stesso io
trascendentale. Cioè che permane tra le due è l’ “io” appunto, al quale apppare
(trascendentale, apparire trascendentale) l’apparire dell’io (empirico,
apparire empirico). Ecco che la volontà separante subito dice: eh no! Cioè che
appare è solo l’io empirico dimenticandosi (inconscio dell’inconscio,
contraddizione che appare come negata) che l’io empirico appare al suo apparire
che è l’io trascendentale, volendo che l’empirico sia il tutto. I due io non
sono differenti, sono proprio l’identità dell’identità, che vuol dire lo stesso
io. Ciò che differisce è l’empirico (astratto formale del tutto concreto) dal
trascendentale (tutto formale del tutto concreto). In distanza l’io sa ma non
VUOLE sapere perché vuole determinarsi, mentre è già da sempre un determinato
cerchio finito dell’apparire, parte del tutto concreto>>.
<<Tutti siamo parziale e inconsapevole espressione
della verità dell’essere, dove inconsapevole è la volontà di voler essere,
mentre l’io sa benissimo, altrimenti non parleremmo di inconscio e di inconscio
dell’inconscio [etc…]>>…
---------
Prendo le mosse da qui, ove EDS esordisce:
<<Partiamo dal fatto che l’io (del destino e
empirico) è lo stesso io,
medesima coscienza,
medesimo cerchio finito dell’apparire (empirico e trascendentale)>>,
per poi aggiungere la convinzione secondo la quale
<<L’io
empirico che scrive è lo stesso io trascendentale. Cioè che permane tra
le due è l’ “io” appunto, al quale appare (trascendentale, apparire
trascendentale) l’apparire dell’io (empirico, apparire empirico). Ecco che la
volontà separante subito dice: eh no! Cioè che appare è solo l’io empirico
dimenticandosi (inconscio dell’inconscio, contraddizione che appare come
negata) che l’io empirico appare al suo apparire che è l’io trascendentale,
volendo che l’empirico sia il tutto. I due io non sono differenti, sono proprio l’identità
dell’identità, che vuol dire lo stesso io>>.
Premetto che se il pensiero qui sopra espresso da EDS intende
esser una sua personale elaborazione filosofica, allora perfetto, niente
da eccepire.
Diverso, invece, se esso si pone come esegesi (o
apologia) del pensiero di Severino.
In quest’ultimo caso, direi subito che _ stando alla
connotazione severiniana dell’io empirico e dell’Io del destino _ il
rapporto tra i due io è assolutamente ASIMMETRICO.
Ovvero, l’Io del destino include e quindi SA dell’io
empirico, ma NON È VERO il contrario, cioè non è vero che l’io empirico
sappia dell’Io del destino, perché, se così fosse, VERREBBE MENO LA DIFFERENZA tra i due io.
Il che equivale a dire che VERREBBE MENO LA DIFFERENZA tra _
rispettivamente _ la verità e l’errore, ed anche tra l’essere
ed il nulla, giacché, per Severino, l’io empirico è soltanto il positivo
significare del NULLA.
In un certo senso, sempre stando al punto di vista
severiniano, si può dire <<che l’io (del destino e empirico) è lo
stesso io, medesima coscienza>>, ma soltanto nel senso che l’Io del
destino costituisce l’ESSENZA autentica del fittizio io empirico,
il quale, come detto, è soltanto un positivo significare del nulla, NEGATO
perciò dall’Io del destino, ed in quanto negato, NON può certo costituire un’IDENTITÀ con
quest’ultimo:
sarebbe come parlar di IDENTITÀ tra l’essere ed il nulla,
o tra la verità e l’errore…
Con l’aggravante, dunque, che tutto ciò è
costitutivamente IGNORATO dall’io dell’individuo, giacché
<<l’io dell’individuo, in quanto non verità, NON PUÒ
VEDERE LA VERITÀ DEL DESTINO, in cui appare il concerto di tutto con tutto; e
anche quando tentasse di comprenderla e di allearvisi, NON POTREBBE SCORGERLA –
appunto perché LO SGUARDO DELLA NON VERITÀ È DESTINATO A NON VEDERE ALTRO CHE NON VERITÀ anche quando
tenta di volgersi verso la verità>> (Severino: La Gloria, pag.
65. Maiuscoli miei: RF).
Pertanto, <<L’io dell’individuo può ILLUDERSI DI “CAPIRE” L’IO
DEL DESTINO. Ma egli è l’io della terra che si è isolata dal destino e all’interno
della quale IL DESTINO NON
PUÒ APPARIRE>>. (Idem,
pag. 76).
È chiaro:
non solo l’io dell’individuo NON può sapere alcunché del
destino, visto che <<ALL’INTERNO della terra che si è isolata dal
destino IL DESTINO NON PUÒ
APPARIRE>>, ma altresì ciò ci costringerà a NEGARE vieppiù la
loro identità, postulata da EDS, ove ha scritto:
<<Partiamo dal fatto che l’io (del destino e
empirico) è LO STESSO io, MEDESIMA COSCIENZA, medesimo cerchio finito
dell’apparire (empirico e trascendentale)>>, così come bisognerà NEGARE
che
<<L’io empirico che scrive è lo stesso io trascendentale […] I
due io non sono
differenti, sono proprio l’identità dell’identità, che vuol dire lo stesso io.
Ciò che differisce è l’empirico (astratto formale del tutto concreto) dal
trascendentale (tutto formale del tutto concreto)>>.
Anche perché l’io empirico o dell’individuo non si
costituisce (sempre secondo Severino) come <<astratto formale del
tutto concreto>>, bensì come vero e proprio NULLA, seppur il suo
significare come io empirico NON sia un nulla, ma appunto un positivo.
Tant’è vero che il filosofo bresciano precisa:
<<la sua [ = dell’io dell’individuo] È LA CONTRADDIZIONE DELLA NON VERITÀ, che è NEGATA non nel concreto
apparire dell’individuo [quale sarebbe la contraddizione C], ma
nell’apparire che questo io, in quanto contraddittorietà, È UN NIENTE, ossia
esiste soltanto come contenuto di una fede – come contraddizione>>.
(Severino; La Gloria, pag. 61).
Dopodiché EDS osserva:
<<Tutti siamo parziale e inconsapevole espressione
della verità dell’essere, dove inconsapevole è la volontà di voler essere,
mentre l’io sa benissimo, altrimenti non parleremmo di inconscio e di inconscio
dell’inconscio>>.
Ma, osserverei anch’io, in quanto <<inconsapevole espressione
della verità dell’essere>>, l’io empirico NON PUÒ appunto esser consapevole di ciò nei confronti del quale è
<<inconsapevole>>…
Allora, <<Si deve pertanto
concludere che nel pensiero dell’isolamento un LAMPO DI COMPRENSIONE AUTENTICA È IMPOSSIBILE (nello stesso
senso e per lo stesso motivo per cui LO SI DEVE ESCLUDERE IN RELAZIONE ALL’IO DELL’INDIVIDUO): è
necessario che, all’interno del suo isolamento dalla verità del destino, il
pensiero mortale [dell’io individuale, dunque] FRAINTENDA, SEMPRE E INEVITABILMENTE, le
tracce della Gioia. Se dunque “anche nell’isolamento della terra il destino
lascia la propria traccia”, questa “non può non essere AMBIGUA, SVIANTE, cioè non può condurre gli abitatori della terra isolata
alla luce del destino. Altrimenti la terra non sarebbe isolata”>>. – (N. Cusano: Emanuele
Severino. Oltre il nichilismo. Morcelliana 2011, pag. 447. Maiuscoli miei:
RF).
Roberto Fiaschi
----------------------------------------

Nessun commento:
Posta un commento