Riprendo brevemente la tematica sviluppata nei post nn. 86, 90 e 92.
L’essere-degli-enti è scritto tutto attaccato, per fugare
il sospetto che l’accezione di essere sia qui intesa come SEPARATA dall’ente, mentre, al
contrario, è proprio la sua INSCINDIBILITÀ da quest’ultimo a costituire la CONTRADDITTORIETÀ dell'essere.
Dunque, l’essere
NON è UN ente
(o UNA determinazione
o quiddità)
tra gli altri, bensì è ciò che accomuna ogni ente costituendolo originariamente
(assecondando, senza condividerla, la tesi severiniana secondo la quale gli enti sono eterni),
per cui esso NON ha una propria quiddità ( = essenza) come invece
hanno (o sono)
gli enti; se
l’avesse, l’essere
sarebbe una determinazione
o un ente e
così dovrebbe a sua volta distinguersi (che non vuol dire SEPARARSI!) dal suo atto
d’essere…
Infatti l’essere,
negli enti (quindi,
ripeto, NON astrattamente/separatamente da questi), dice sempre,
invariabilmente IL MEDESIMO, ossia dice un significato SEMPRE UGUALE per
ciascun ente,
ché, se esso si dicesse differentemente, allora affermare che gli enti SONO, significherebbe
affermare, degli enti,
qualcosa di SEMPRE DIVERSO dal loro essere (ma di differente dall’essere vi è soltanto il nihil absolutum),
il che è del tutto impossibile!
Al contempo, però, e CONTRADDITTORIAMENTE, l’essere-degli-enti È una quiddità sempre
differente dal proprio NON avere alcuna quiddità, appunto
perché ogni ente
ha una (o È la)
propria quiddità differente da tutte le altre, ed ogni ente/quiddità
è INTEGRALMENTE essere,
per cui l’essere
dice SEMPRE la CONTRADDITTORIA
differenza DA ed IN sé stesso.
Roberto Fiaschi
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