venerdì 28 giugno 2024

106)- SE SEVERINO SMENTISCE SE STESSO…

1)- L’INDIVIDUO Emanuele Severino HA SCRITTO i libri che portano il suo nome, ritenendo di testimoniare in ed attraverso essi il destino dell’essente.

2)- L’asserto espresso in (1) NON È UNA VERITÀ del destino bensì sarebbe, secondo Severino, una persuasione ERRONEA, una FEDE, all’interno della quale appare la persuasione che un individuo rispondente al nome di Emanuele Severino sia l’autore dei propri testi. Infatti il filosofo bresciano NEGA il punto (1) perché, se egli fosse l’autore ossia <<Se fosse L'INDIVIDUO a testimoniare la verità, allora la testimonianza sarebbe per definizione individuale, cioè ridotta allo spazio, al tempo e ai limiti DELL'INDIVIDUO>>. (Severino: “La legna e la cenere”, Rizzoli. Maiuscoli miei).

3)- Invece, prosegue Severino, <<Bisogna vedere l'errore del concetto che "Io vado verso la verità" e che "se mi va bene, a un certo momento la vedrò". No! PERCHÉ SE "IO" È AD ESEMPIO IL SOTTOSCRITTO, CON QUESTA STRUTTURA FISICA DETERMINATA, ALLORA SAREBBE COME DIRE CHE UN OCCHIO CIECO PUÒ VEDERE LA VERITÀ. Perché un occhio cieco? Appunto in quanto dominato dai condizionamenti che costituiscono l'individuo. […] L'apparire della verità non è la mia coscienza della verità. All'opposto: io sono uno dei contenuti che appaiono. […] Invece dobbiamo dire che l'individuo è il non illuminabile. Perché L'INDIVIDUO È ERRORE. Se ci si rende conto che l'individuo è errore, allora la verità non ha il compito di rendere verità l'errore. […] All'opposto, la verità include me e te, e gli altri come conformazioni specifiche dell'errore>>. (Severino. Op. cit. Maiuscoli e parentesi quadre miei: RF).

4)- Dunque, egli ha appena affermato che <<BISOGNA VEDERE L'ERRORE del concetto che "Io vado verso la verità" e che "se mi va bene, a un certo momento la vedrò" [ = la testimonierò]>> e che <<Se CI SI RENDE CONTO che l'individuo è errore [etc…], allora [etc…]>>.

5)- Al contempo, però, si è appena visto che <<l'individuo è il non illuminabile. Perché L'INDIVIDUO È ERRORE>>.

Sorge la domanda:

6)- A CHI è riferito il DOVERE di <<VEDERE L'ERRORE>> e il RENDERSI CONTO <<che l'individuo è errore>>?

7)- NON CERTO al destino o all’io del destino, giacché _ secondo il filosofo bresciano _, esso lo vede e se ne rende conto DA SEMPRE.

8)- Allora, è palese, non può che esser riferito allo stesso INDIVIDUO, cioè ad una qualsiasi persona che legge (o ascolta) le parole dell’INDIVIDUO Severino.

9)- Peccato, però, che l’INDIVIDUO Severino _ in base alle sue stesse parole _ NON possa invitare altri INDIVIDUI a VEDERE e a RENDERSI CONTO di ciò ( = della verità del punto (3)) che NEPPURE LUI (perciò NEANCHE i suoi libri) può vedere e rendersi conto!

10)- Affinché l’INDIVIDUO SI RENDA CONTO con verità <<che l'individuo è errore>>, sarebbe però necessario che il punto (3) SMENTISSE SE STESSO, cioè che NEGASSE che <<"io" ad esempio il sottoscritto, con questa struttura fisica determinata>> sia come <<UN OCCHIO CIECO>> che NON possa <<VEDERE LA VERITÀ>>, giacché RENDERSI CONTO <<che l'individuo è errore>> implica che "io" NON sia come <<UN OCCHIO CIECO>>, appunto perché VEDREI la verità secondo la quale <<l'individuo è errore>>!  

11)- Se, invece, (3) NON SMENTISCE SE STESSO, allora è IMPOSSIBILE che l’individuo veda e si renda conto della (presunta!) verità secondo la quale <<l'individuo è errore>> impossibilitato a vedere ( = a testimoniare!!!) la verità!

Parimenti, se (3) NON SMENTISCE SE STESSO, è altresì IMPOSSIBILE che Severino ( = qualsiasi individuo) veda e si renda conto della (presunta!) verità secondo la quale (1) è FALSO!

12)- Poiché egli NON può affatto SMENTIRE il punto (3), che funge da asse portante di tutta la sua impalcatura filosofico-ontologica, allora è FALSO che (1) sia FALSO!

13)- Ripetiamolo: se fosse VERO che (1) sia FALSO, infatti, dovremmo NEGARE (3), altrimenti, come detto in (11), sarebbe IMPOSSIBILE che egli veda e si renda conto della (presunta!) verità secondo la quale (1) è FALSO…

14)- Ma siccome (1) NON È FALSO, allora Severino (o qualsiasi altro individuo) NON PUÒ AFFATTO TESTIMONIARE alcun fantomatico destino il quale, sostiene lo stesso Severino, NON può esser testimoniato da un individuo <<con questa struttura fisica determinata>> cioè dall’individuo del punto (1), perché <<sarebbe come dire che un OCCHIO CIECO PUÒ VEDERE LA VERITÀ>>.

Come dite? Severino sostiene che la VERITÀ APPAIA SEMPRE e OVUNQUE, e che <<[…] per vedere che il destino sia nella parola è cioè necessario che la volontà [ = l’individuo-errore] veda il destino>>?  (Severino: La Gloria, Pag. 475).

Nel prossimo post…

 

Roberto Fiaschi

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domenica 23 giugno 2024

105)- SEVERINO E IL TERRAPIATTISMO

 

Cosa c’entra la filosofia di Emanuele Severino con il “terrapiattismo”?

Apparentemente niente, tanto lontani sembrerebbero i due àmbiti.

Eppure c’entra, tant’è vero che un filosofo, tra i più impegnati divulgatori della filosofia severiniana, si è cimentato in una difesa del terrapiattismo:

Difendo il terrapiattismo con logica rigorosa: confronto pubblico aperto a tutti”.

Ed in che modo c’entra?

Per Severino, ogni verità che non sia il DESTINO DELL’ESSENTE (cioè ogni ‘verità’ la cui negazione NON sia auto-negazione), è una verità CONTROVERTIBILE, in ultima analisi un ERRORE cioè una FEDE (secondo l’accezione negativa severiniana).

La negazione che la Terra sia sferica NON è una negazione auto-negantesi.

Pertanto, la SFERICITÀ della Terra è un ERRORE (e con essa tutta, o quasi, la Scienza, la Logica, la Matematica, etc…).

Ecco il NESSO gnoseologistico tra severinismo e terrapiattismo.

Ciò accade perché la filosofia severiniana inocula in non pochi suoi estimatori (tutti?) una vera e propria OSSESSIONE consistente nell’ABORRIRE ogni FEDE (fides quae), anzi, la FEDE (fides qua) in quanto tale, nel senso più ampio possibile, giacché essi oramai si sono convinti ( = HANNO FEDE, sebbene celino tale fede dietro la barriera fumogena di un’argomentazione apparentemente razionale, in realtà sofistica) che la FEDE sia sinonimo di ERRORE.

Il severiniano perciò vede FEDE/ERRORE ovunque, anche nel fatto che ora qualcuno stia leggendo queste righe, ed è altresì FEDE/ERRORE che tali righe le abbia scritte io o qualsiasi altra persona ( = qualsiasi altro ERRORE).

In sostanza, per il suddetto filosofo, <<pensare che la Terra sia tonda è una fede perché non possiamo avere la certezza al 100% che lo sia>> dove, tale <<certezza al 100%>>, equivarrebbe all’impossibilità che la negazione dell’ipotesi contraria sia AUTO-NEGANTESI.

Poiché non lo è, allora la SFERICITÀ della Terra è una fede (Sic!) ossia un ERRORE (Sic!)

 

Roberto Fiaschi

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venerdì 14 giugno 2024

104)- PERCHÉ LA “RISOLUZIONE” DELL’APORIA DEL NULLA NON LA RISOLVE MA LA RINFORZA

Tenendo presente i contenuti dei post nn. 1o2 e 103, qui riporto un altro brano del filosofo introdotto nel post 102:

<<Prima di considerare le insidie della aporetica del nulla, sarebbe opportuno tener presente dei fatti incontrovertibili:

1) il nulla-momento come assoluta nullità e insignificanza del nulla è un significato che appare, di cui si ha contezza e di cui é impossibile negare l'apparire;

2) Tutto ciò che appare, a qualsiasi livello, non é nulla ma é qualcosa (é ciò che é).

Tenendo presente questi due fatti incontrovertibili, veri in quanto la loro negazione é immediatamente autonegaantesi, si può procedere con la giusta consapevolezza nella analisi della aporia del nulla e della risoluzione che ne ha dato Severino. In una tale analisi si può osservare che negare l'esistenza del nulla assoluto denotato dal positivo significare del termine nulla considerato da Severino è già l'affermazione della opposizione (come differenza) tra Essere e Nulla, ovvero è già affermazione implicita e immediata del fatto che l'Essere non é come il Nulla (che non é e non esiste). É vero che all'Essere non si oppone ontologicamente un Nulla ontologico, ma ciò non é necessario per affermare il fatto che l'Essere sia differente dal Nulla: siccome l'Essere é includente il piano della semantica (perché non é nulla privo di significato) che eccede il linguaggio storicamente determinato (ogni aspetto essente della realtà significa originariamente ciò che é, a prescindere dai segni denotanti), l'Essere, escludendo di significare il Nulla, esclude anche di esserlo. In ogni caso 3) é nello stesso affermare che l'Essere non sia Nulla che si afferma la differenza semantica tra di essi (in quanto che qualcosa non sia qualcos'altro significa che non vi coincida, e il fatto che non vi coincida significa che ne sia differente). Tenendo presente che negare che l'Essere sia Nulla é già implicato nell'asserire che il Nulla non esista, segue che in tale asserire sia implicato che l'Essere sia differente dal Nulla e dunque sia implicata la affermazione implicita della opposizione tra Essere e Nulla sostenuta da Severino (si aggiunga, per ulteriore chiarezza, che il termine Essere, nella ontologia severiniana, sta a indicare qualsiasi essente, tale per cui la totalità infinita di tutti gli aspetti della realtà é posta come un insieme di infiniti esseri. Che l'Essere sia vuol dire, dunque, che ogni essente è ciò che é, ovvero una positività essente e non nulla)>>.

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Il filosofo severiniano NON approfondisce come tale innegabile DIFFERENZA (o OPPOSIZIONE) tra Essere e Nulla sia proprio ciò che, sub eodem, la DESTITUISCA, e NON in un secondo momento bensì co-originariamente alla loro DIFFERENZA semantica e ontologica.

Infatti, <<l'affermazione della opposizione (come differenza) tra Essere e Nulla>> è esattamente ciò che rende il Nulla un ESSENTE e, parimenti, è ciò che rende l’Essere INDISTINGUIBILE dal Nulla, pur distinguendovisi.

Perché?

Come già indicato nel post n° 103, tale <<opposizione (come differenza) tra Essere e Nulla>> implica che ANCHE il Nulla sottostìa alla legge dell’Essere secondo la quale OGNI <<significare è positività (e anzi è la positività stessa, lo stesso esser essente), appartiene cioè all’essente>> (Severino: Intorno al senso del nulla. Adelphi 2013, pag. 112).

Come potrebbe il Nulla DIFFERIRE dall’Essere, se tale DIFFERIRE non inerisse allo stesso Nulla quale SUA caratteristica ontologica?

Se il Nulla non sottostesse al nomos dell’Essere, il Nulla (o il non-Essere, l’assoluto negativo, sia in senso ontologico che semantico) NON DIFFERIREBBE dall’Essere.    

A ciò, l’autore del brano precisa:

<<É vero che all'Essere non si oppone ontologicamente un Nulla ontologico, ma ciò non é necessario per affermare il fatto che l'Essere sia differente dal Nulla: siccome l'Essere é includente il piano della semantica (perché non é nulla privo di significato) che eccede il linguaggio storicamente determinato (ogni aspetto essente della realtà significa originariamente ciò che é, a prescindere dai segni denotanti), l'Essere, escludendo di significare il Nulla, esclude anche di esserlo>>.

Senonché all'Essere si OPPORREBBE un Nulla semantico e questi deve necessariamente indicare come proprio referente il Nulla ontologico realmente OPPONENTESI all’Essere, altrimenti avremmo un Nulla semantico che si OPPORREBBE all’Essere non-ontologicamente!

Sì che l’Essere NON possa OPPORSI ontologicamente al Nulla.

Il filosofo severiniano farà senz’altro notare che l’Essere sia <<già affermazione implicita e immediata del fatto che l'Essere non é come il Nulla (che non é e non esiste)>> e che <<l'Essere, escludendo di significare il Nulla, esclude anche di esserlo>>.

Senonché, quest’osservazione attiene innanzitutto alla semplice DIFFERENZA tra Essere e Nulla, non essendo ancora pervenuta all’impossibilità di mantenere tale DIFFERENZA senza al contempo rilevarne la NEGAZIONE ossia L’INDIFFERENZIAZIONE dei due termini.

Tornando al Nulla-solo-semantico, se questi si RISOLVE INTERAMENTE nel <<piano della semantica>> cioè della <<positività stessa>> o dello <<stesso esser essente>> (Severino), allora l’Essere non si oppone affatto a ciò che è INTERAMENTE RISOLTO NELL’Essere, è palese, poiché anche quel Nulla-solo-semantico sarà INTERAMENTE SOLO Essere, SOLA positività!  

In altre parole, ciò vuol dire il Nulla ontologico (quale referente del Nulla semantico) NON si OPPONE all’Essere perché il Nulla semantico NON ha un referente ontologico, sì che, non avendolo, il nulla semantico NON POSSA RIFERIRSI al Nulla ontologico ma soltanto a sé stesso unicamente in quanto semantema cioè in quanto positivo, ESSENTE.

L’Essere, perciò, se dovesse opporsi soltanto al Nulla-solo-semantico, SI OPPORREBBE SOLTANTO A SÉ STESSO, cioè ad un altro positivo, visto che OGNI <<significare è positività (e anzi è la positività stessa, lo stesso esser essente), appartiene cioè all’essente>>.  (Severino, op. cit.).

E poiché l’Essere si OPPONE SOLTANTO A SÉ STESSO (e questa è un’altra APORIA, giacché l’Essere sarebbe L’IDENTICO-A-SÉ per eccellenza), allora l’Essere NON è l’Essere, perché NON SI OPPONE al Nulla in quanto quest’ultimo è soltanto una positività dell’Essere senza alcun referente ontologico che possa ONTOLOGICAMENTE OPPORSI all’Essere.

Qualsiasi parte semantica dell’Essere, dunque anche il Nulla, proprio in virtù del suo (del Nulla) essere un significato, seppur significante l’assolutamente negativo, <<è positività (e anzi è la positività stessa, lo stesso esser essente)>>.

Quindi l’Essere è INDETERMINATO cioè è non-Essere, visto che il non-Essere (o il Nulla), DIFFERENDO dall’Essere, è anch’esso Essere.

Pertanto, L’ESSERE DIFFERISCE-E-INSIEME-NON-DIFFERISCE-DAL-NULLA;

È IDENTICO A SÉ ED INSIEME NON LO È.

 

Roberto Fiaschi

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mercoledì 12 giugno 2024

103)- “IL SIGNIFICARE DEL NULLA NON APPARTIENE AL NULLA”?


Così scrive Emanuele Severino:

<<che il nulla sia “significante” non significa che il nulla esplichi una certa forma di attività, quale appunto sarebbe il significare. Il significare del nulla non appartiene al nulla, perché il nulla non è un essente a cui questo significare o qualsiasi altra proprietà o attività possano appartenere. Il significare del nulla, in quanto il significare è positività (e anzi è la positività stessa, lo stesso esser essente), appartiene cioè all’essente, e propriamente alla totalità dell’essente in quanto essa appare, nella struttura originaria della verità, come ciò di cui il nulla è nulla>>. (Intorno al senso del nulla. Adelphi 2013, pag. 112).   

Se, come afferma Severino, <<Il significare del nulla non appartiene al nulla, perché il nulla non è un essente a cui questo significare o qualsiasi altra proprietà o attività possano appartenere>>,

allora, un significare che NON appartenga a ciò (al nulla) che è COSÌ significato dal PROPRIO stesso significare, NON è il significare COME nulla da parte di quel termine (cioè del nulla) che pur tuttavia COSÌ significa.

Un’autentica contraddizione:

un significato (il nulla) a cui questo significare (come nulla) NON gli (al nulla) appartiene!

Dunque NON gli appartiene nemmeno di significare la sua (del nulla) OPPOSIZIONE all’essere/ente.

Ma attenzione, non si tratta della contraddizione del significato concreto NULLA quale sintesi di due momenti reciprocamente contraddicentisi.

No; il problema è che la significazione del nulla-momento la si vuol far ricadere TUTTA nell’altro momento cui è il suo POSITIVO significare, cosicché quest’ultimo sia il POSITIVO significare di un significato (il nulla) che NON PUÒ SIGNIFICARE NEPPURE il suo (del nulla) significare-come-nulla (altrimenti NON SAREBBE VERO che <<Il significare del nulla non appartiene al nulla, perché il nulla non è un essente a cui questo significare o qualsiasi altra proprietà o attività possano appartenere>>).

Se il nulla non significasse già di per sé il nulla a priori rispetto al suo POSITIVO significare, allora quest’ultimo NON potrebbe riferirsi ad esso come al nulla-che-non-significa-essere; in tal caso, semplicemente, non esisterebbe alcun referente a cui il POSITIVO significare possa rivolgersi e conseguentemente non esisterebbe neppure questo stesso POSITIVO significare né tale sintesi.

Ora, Severino ha sempre precisato che entrambi i due momenti della sintesi sono significanti, OGNUNO incontraddittoriamente significa CIÒ che significa:

(1)- il nulla come nulla,

e

(2)- il POSITIVO significare come POSITIVO significare del nulla (1).

Senonché, ripeterei, se teniam per vero (come vuole Severino) che <<Il significare del nulla NON appartiene al nulla>> bensì <<appartiene all’essente>> cioè al suo (del nulla) POSITIVO significare, allora il nulla, DISTINTAMENTE (NON: separatamente!!!) dal suo POSITIVO significare, NON significa neppure il nulla, altrimenti gli spetterebbe/gli apparterrebbe di significare ALMENO il nulla e, in quanto già così significante, per quanto negativamente significante lo si voglia, ANCHE del nulla dovremmo affermare il suo <<stesso esser essente>>, appunto perché <<in quanto il significare è positività (e anzi è la positività stessa, lo stesso esser essente), appartiene cioè all’essente>>.

 

Roberto Fiaschi

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domenica 9 giugno 2024

102)- AUTONEGAZIONE DELL’OPPOSIZIONE ‘ORIGINARIA’ “ESSERE/NULLA”


Traggo dal WEB (2023) un brano di un filosofo nonché studioso del pensiero di Emanuele Severino:

<<solo ciò che esiste può essere identico a sé (ciò che non esiste in alcun modo in che modo potrebbe essere identico a sé? L'identità è una proprietà di ciò che è ed esiste, non del "nulla". Ciò che è ritenuto inesistente non può avere alcuna proprietà, neanche quella di essere identico a sé)>>.

Orbene, è ovvio che se l’essere è caratterizzato dall’esser IDENTICO-A-SÉ e DIFFERENTE-DAL-PROPRIO-ALTRO, per quanto riguarda il suo opposto, cioè il nulla, basterà ribaltare i termini, altrimenti il nulla avrebbe le medesime caratteristiche dell’essere e sarebbe da esso indistinguibile.

Perciò diciamo:

(1) il nulla è DIFFERENTE-DA-SÉ e IDENTICO-AL-PROPRIO-ALTRO.

Ma, come si vede, qualcosa non torna.

Infatti, se il nulla fosse IDENTICO-AL-PROPRIO-ALTRO, sarebbe IDENTICO all’essere, e quindi il nulla non sarebbe il nulla né, perciò, sarebbe OPPOSTO all’essere.

Allora non resta che ribadire sì la negazione dell’IDENTITÀ-CON-SÉ del nulla, come afferma il filosofo nel suo suddetto brano, ma bisognerà NEGARE che il nulla sia IDENTICO-AL-PROPRIO-ALTRO per affermare, invece, il suo esser DIFFERENTE-DAL-PROPRIO-ALTRO, di modo tale che l’OPPOSIZIONE ( = la DIFFERENZA) tra essere e nulla venga mantenuta.

(2) Quindi avremo:

il nulla è sia DIFFERENTE-DA-SÉ che DIFFERENTE-DAL-PROPRIO-ALTRO, cioè pura differenza.

Però neppure qui i conti tornano.

Perché l’esser DIFFERENTE-DAL-PROPRIO-ALTRO (così come l’IDENTITÀ-CON-SÉ) è caratteristica dell’essere, e se questa fosse condivisa anche dal nulla, allora il nulla, DIFFERENDO dall’essere, ubbidirebbe alla sua (dell’essere) legge (che sancisce la DIFFERENZA TRA OGNI ESSENTE) e quindi il nulla sarebbe un ESSENTE ( = un essere).

Inoltre, sempre restando alla concezione di Severino, anche questa pura DIFFERENZA è comunque un ESSENTE; se non lo fosse, nessun essente di differenzierebbe dal proprio altro, appunto perché la DIFFERENZA, se non fosse essente, non sarebbe del tutto, e quindi non esisterebbe neppure il DIFFERIRE tra gli enti.

(3) Da ciò deriva che l’innegabile DIFFERENZA tra i due significati si traduca (o meglio: si sia già da sempre tradotta) nella loro IN-DISTINZIONE.

E qui risiede L’AUTO-CONTRADDITTORIETÀ o L’AUTO-NEGAZIONE DELL’OPPOSIZIONE ORIGINARIA.

Sì, giacché essa, proprio in forza dell’innegabile DIFFERENZA vigente tra essere e nulla, sia al contempo NEGAZIONE di tale DIFFERENZA (poiché il nulla è essere e, quindi, l’essere è nulla).

Perciò, l’opposizione originaria è sub eodem OPPOSIZIONE-E-NON-OPPOSIZIONE, è INNEGABILE-E-NEGABILE, sì che tale aporeticità la predisponga all’esser TRASCESA.

 

Roberto Fiaschi

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