giovedì 28 novembre 2024

129)- INCOMPONIBILITÀ TRA “ASTRATTO” E “CONCRETO”: IL “TUTTO” (SEVERINIANO) NON È IL TUTTO CONCRETO

 

Ha scritto il filosofo Emanuele Severino:

<<E non si può ribattere che, allora, il concreto è pur sempre privo di qualcosa, cioè dell'astratto. Esser privi dell'astratto è infatti esser privi di una privazione, ed esser privi della privazione è non esser privi>>. (Severino: “Testimoniando il destino”).

Ma, se così come dice Severino, l’astratto NON dovrebbe affatto apparire, mentre, invece, esso appare come ciò di cui diciamo il suo esser FINITO, cioè privo della infinita concretezza della totalità del suo altro.

Per cui, se <<Esser privi dell'astratto>> fosse l’<<esser privi di una privazione, ed esser privi della privazione è non esser privi>>, allora non potrebbe esistere né apparire lo stesso finito, cioè l’ente astratto, per cui non potremmo parlare di ciò che non appare affatto, in quanto non-saputo, necessariamente ignorato.

Ma noi sappiamo che in Severino la distinzione tra finito ed infinito o tra astratto e concreto è fondamentale.

E se anche l’<<Esser privi dell'astratto>> fosse DAVVERO l’<<esser privi di una privazione, ed esser privi della privazione è non esser privi>>, discenderebbe che la presenza (l’apparire) o meno dell’astratto lascerebbe del tutto intonsa la concretezza della totalità, sì che, in tal caso, l’astratto sia da sempre concreto, perciò esso NON POTREBBE MAI APPARIRE come finito o come astratto o come parte; il che, nella filosofia severiniana, NON è.

Come detto, l’astratto APPARE. OGNI essente che appare è, infatti, un astratto e, come abbiamo letto, per Severino l’astratto è una PRIVAZIONE (della sua infinita concretezza).

Se così, allora, in tale infinita concretezza o totalità concreta, APPARENDO l’astratto, APPARE la PRIVAZIONE, o anche: APPARE la MANCANZA, quindi essa è MANCANTE.

Se essa è mancante, allora NON è la totalità concreta, in quanto mancante della mancanza o dell’astratto.

Ma, insiste Severino: <<esser privi della privazione è non esser privi>>.

Il che vuol dire che esser privi della privazione cioè dell’astratto è <<non esser privi>> cioè è esser concreti.

Ma, in tal caso, l’astratto NON POTREBBE MAI APPARIRE, quindi non ne avremmo alcuna coscienza.

Ma, si ripeta, l’astratto APPARE, e appare così innegabilmente tanto da dare luogo alla contraddizione C quale intrascendibile orizzonte del finito.

APPARENDO l’astratto, allora la totalità concreta NON è priva della privazione o dell’astratto.

Non essendone priva, la totalità concreta NON È CONCRETA poiché, appunto, essendo priva dell’astratto (mancando dell’astratto = mancando della mancanza), è priva simpliciter, o meglio: è MANCANTE DELLA MANCANZA o dell’ASTRATTO, sì da esser essa stessa ASTRATTA.

Quindi, alla suddetta totalità, l’astratto non manca (infatti APPARE), per cui essa NON è la totalità concreta in quanto è MANCANTE ( = è ASTRATTA essa stessa) dell’ASTRATTO o della PRIVAZIONE.

Conclusione:

(1)- se la totalità concreta NON è (astratta cioè NON è MANCANTE, non è) priva dell’esser priva o dell’astratto, allora va da sé che essa è ASTRATTA, cioè NON è la totalità concreta;  

(2)- se essa, invece, è PRIVA ( = MANCA) dell’esser priva o dell’astratto (in quanto la si vuole assolutamente concreta), va da sé che la totalità concreta sia appunto PRIVA ( = MANCHI) dell’astratto che pur innegabilmente APPARE, cosicché NON sia la totalità concreta.  

Se il finito, ogni finito ( = ogni ente) è l’astratto, allora la totalità concreta dovrebbe esser priva anche di ogni essente che appaia finitamente, visto che, nell’apparire finito, ogni essente è un astratto (o appare astrattamente) il quale, pur tendendo a ridurre via via la propria astrattezza e ad incrementare la propria concretezza (peraltro senza mai riuscirsi definitivamente) sotto il nome di contraddizione C, NON la riduce DIVENTANDO concreto da astratto che era, giacché in Severino il DIVENTARE-ALTRO è escluso, e ciò comporta che ANCHE nell’apparire infinito o totalità concreta, l’astratto sia e rimanga eternamente astratto ( = mancante) di ciò che purtuttavia non gli manca.

Nella totalità concreta, infatti, l’astratto è e resta eternamente astratto (giacché non può diventare altro-da-sé) ed al contempo non lo è (perché è da sempre in compagnia con la totalità concreta che da sempre ne ha tolto l’astrattezza).

In tal caso, la totalità concreta si costituisce essa stessa astrattamente, in quanto vi è in essa un residuo di astrattezza (di mancanza) che NON si lascia concretizzare.

 

Roberto Fiaschi

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