lunedì 2 dicembre 2024

131)- SE IL CREDENTE-SEVERINIANO NON TOLLERA I DIVERSAMENTE-CREDENTI POICHÉ NON SI RITIENE UN CREDENTE…

 

In una pagina Facebook dedicata alla filowsofia e soprattutto al filosofo Emanuele Severino, un <<Esperto del gruppo>> rispondente al nome di Enrico Andreoli, scrive infastidito:

<<è veramente paradossale che decine e decine di credenti si siano dati convegno su questa pagina dedicata al pensiero di un filosofo che nega logicamente la possibilità che qualcosa possa essere creato e distrutto dal e nel Nulla>>.

Ora, prima di scendere nel dettaglio, giova sapere che Enrico Andreoli, davvero bravissimo scrittore, è tuttavia un fervente CREDENTE-SEVERINIANO, se non altro perché son diversi anni che va ripetendo UNICAMENTE, SEMPRE E SOLTANTO il seguente mantra:

<<sono più di 50 che nessuno ha confutato la risoluzione severiniana dell’aporia del nulla>>.

Lasciamoglielo CREDERE, visto che egli si attiene (CREDE) strettamente a tale presunta risoluzione senza il minimo senso critico, CREDENDO nella sua (presunta) inconfutabilità.

Pertanto, qui NON interessa commentare questa sua FEDE esibita ad ogni piè sospinto a guisa di ‘litania’; essa è stata commentata altrove, nel presente blog, ad esempio nei post nn. 5, 29, 53, 61, 83, 89, 98, 102, 103 e 104.

Qui interessa mostrare in primo luogo come ad alcuni severiniani appaia insopportabile che, laddove il tema centrale sia la filosofia di Severino, vi sia ancora qualche <<credente>> che si ostini a non riconoscere il suo ‘Verbo’, sì, perché in una pagina interamente dedicata al filosofo bresciano, tutti i suoi frequentatori dovrebbero esser ormai edotti del, ed ALLINEATI al suo pensiero, possibilmente senza manifestare troppi dubbi argomentati e critiche serrate poiché essi sarebbero retaggio di chi, ancora <<credente>> e per giunta nichilista, non avrebbe studiato (o compreso) abbastanza Severino.

Per quanto riguarda il post in oggetto di Enrico Andreoli, mi domando:

è mai possibile che il discrimine per partecipare alle discussioni debba consistere nel riconoscimento della negazione della <<possibilità che qualcosa possa essere creato e distrutto dal e nel Nulla>>?

Come a dire: chi vuol discutere qui, DEVE previamente aver accettato il dogma secondo cui NIENTE può <<essere creato e distrutto dal e nel Nulla!>>

Questa davvero FARLOCCA concezione verrà considerata in un post apposito.

Stando più sul generale, al nostro Enrico Andreoli <<infastidisce interagire>> con la <<protervia con cui [i <<credenti>>] agiscono atti di pura fede indimostrabile ed illogici (naturalmente) pretendendo che abbiano lo stesso valore, solidità e incontrovertibilità di quelli basati sulla pura logica. Come S io, nel mio piccolo piccolo, non sono contro né a favore della fede...dico solo che la fede non può presentarsi come verità tout court>>.

Ora, lasciam da parte la solita, trita e ritrita sciocchezza secondo la quale chi esercita degli atti di fede PRETENDEREBBE (!!!) <<che abbiano lo stesso valore, solidità e incontrovertibilità di quelli basati sulla pura logica>>.

Non so chi Enrico Andreoli abbia conosciuto per poter attribuire una simile castroneria ai <<credenti>>, come egli ama generalizzare.

Sebbene egli si picchi di scrivere <<il sermone per la Messa di Natale>> per il suo <<amico parroco della basilica di San Lorenzo in Milano>>, evidentemente si ferma lì, per quanto riguarda la sua conoscenza del mondo cristiano, giacché penso che nessun <<credente>> (forse neppure il più ottuso dei fondamentalisti) si sognerebbe di affermare che la propria Fides quae PRETENDA aver <<lo stesso valore, solidità e incontrovertibilità di quelli basati sulla pura logica>>!

Naturalmente ciò NON significa affatto avallare totalmente il Credo quia absurdum, bensì vuol dire che la fede può avanzare anche delle RAGIONI per sé, certamente NON incontrovertibili ma pur sempre RAGIONI, ben sapendo, tuttavia e fortunatamente, che esse NON esauriscono l’intero Cristianesimo, altrimenti Dio sarebbe PRONO alle lenti di ingrandimento della sola logica!

Per cui la <<protervia>> che il Nostro attribuisce ai <<credenti>>, forse è innanzitutto un proprio parto circa il quale egli pare NON possedere sufficienti ‘diottrie’ per avvedersene.

Dopodiché osserva:

<<Come S[everino] io, nel mio piccolo piccolo, non sono contro né a favore della fede...dico solo che la fede non può presentarsi come verità tout court>>.

Ecco la sentenza scontata, mutuata acriticamente da Severino, come si convien ad ogni buon RIPETITORE FEDELE al proprio dispensatore di Verità pur millantando di esser completamente dalla parte della SOLA RATIO!

Il presupposto soggiacente a simile stramberia consiste nella convinzione che la verità debba sempre e soltanto APPARIRE, altrimenti, in caso contrario, NON sarebbe verità ma, appunto, ERRORE, cioè, severinianamente: FEDE.

Vi son più presupposti fideistici in tale convinzione che in tutte le religioni messe assieme!

Peraltro, per Severino, OGNI essere umano è siffatto ERRORE/FEDE; infatti, Enrico Andreoli dovrebbe sapere che

<<è impossibile che nel linguaggio della terra isolata [quindi nell’errore/individuo] ci sia comprensione della verità del destino, anche se formalmente le sue parole suonano identiche al linguaggio che testimonia il destino. È cioè necessario che il linguaggio malato, proprio in quanto tale, non le possa comprendere. Anche se le parole del linguaggio malato suonano simili a quelle del linguaggio che testimonia il destino, e simili in maniera così impressionante da poter vedere in ciò una certa “problematicità”, si deve affermare la necessaria formalità di quella identità>>. (Nicoletta Cusano: Emanuele Severino. Oltre il nichilismo, pag. 446).

E, sebbene per Severino <<il Destino della verità appare ovunque ci sia un ascolto>>, quindi <<la verità appare, splende sempre>> (da: La cosa e il segno. Intervista ad Emanuele Severino su linguaggio, ontologia e Destino. Lo Sguardo - rivista di filosofia - N. 15, 2014 (ii)), Enrico Andreoli dovrebbe altresì accorgersi del carattere FIDEISTICO della tesi secondo la quale <<la verità è nascosta alla testimonianza: essa è nascosta, dunque, al linguaggio di quel che chiamiamo prossimo, e non all’apparire>>, cioè la verità è nascosta a <<quegli enti che chiamiamo “uomini>>, nonostante <<l’apparire della verità costituisc[a] anche l’esser uomo in quanto tale>> e nonostante l’uomo sia <<destinato a non sentire la verità>> (La struttura originaria, pag. 89), in quanto egli è strutturalmente <<errore>>, tale da esser <<contraddittorio che l'individuo sia cosciente della verità>> (Severino: La legna e la cenere).

Non sono, tutte queste, asserzioni da CREDERE in blocco, nonostante la loro palese contraddittorietà?

Tanto più Enrico Andreoli dovrebbe cominciare a porsi qualche domanda, soprattutto al seguito della seguente curiosa ( = leggasi: FURBA) osservazione di Severino:

<<l’apparire della verità costituisce anche l’esser uomo in quanto tale, ma non ogni uomo è una testimonianza: non ogni uomo è unito al linguaggio che testimonia questa presenza>>: soltanto Severino lo è…

Infatti, il filosofo bresciano è consapevole della contraddittorietà rappresentata dalla sua tesi secondo la quale è impossibile che un INDIVIDUO-ERRORE-FEDE possa testimoniare il veritativamente il destino.

Però GLISSA abilmente, cercando di ritagliare per sé (derogando alla sua tesi circa l’erroneità dell’individuo) la possibilità di esser uno di quegli uomini uniti <<al linguaggio che testimonia questa presenza>>, visto che _ a suo dire _ <<non ogni uomo è unito al linguaggio che testimonia questa presenza>>, tranne lui ed eventuali altri…

CONTRAVVENENDO perciò a quanto letto sopra, ossia che

<<è impossibile che nel linguaggio della terra isolata [quindi nell’individuo-errore-fede] ci sia comprensione della verità del destino, anche se formalmente le sue parole suonano identiche al linguaggio che testimonia il destino. È cioè necessario che il linguaggio malato, proprio in quanto tale, non le possa comprendere. Anche se le parole del linguaggio malato suonano simili a quelle del linguaggio che testimonia il destino, e simili in maniera così impressionante da poter vedere in ciò una certa “problematicità”, si deve affermare la necessaria formalità di quella identità>>. (Cusano: op. cit.).

Sarebbe allora il caso che Enrico Andreoli si domandasse perché, pur essendo <<contraddittorio che l'individuo sia cosciente della verità>>, l’individuo-Severino riesca, invece, a esserne un’ECCEZIONE.

QUESTA NON È FORSE FEDE, caro Enrico Andreoli?

Qui (e altrove), Severino non è forse ritenuto alla stessa stregua di un MESSIA (o LOGOS giovanneo) portatore della LIETA NOTIZIA ( = Evangelo) secondo cui tutti noi siamo già eternamente salvi? E come immancabilmente lo stesso Enrico Andreoli, da buon CREDENTE in Severino _ quest’ultimo, infatti, è un autentico PRIVILEGIATO ONTOLOGICO, perché, pur essendo UN individuo-errore (tra miliardi), guarda caso avrebbe avuto il PRIVILEGIO ( = la GRAZIA, diremmo noi miseri CREDENTI) di essere <<unito al linguaggio che testimonia questa presenza>> _, si è affrettato a RIPETERE il dogma:

<<basta che non sia un trascendente che garantisca salvezza perché il mortale non ha alcun bisogno di essere salvo>>?

Stendiamo un velo pietoso e domandiamo:

Può, il nostro Enrico Andreoli (ma prima ancora lo stesso Severino), legittimamente ASTRARSI dalla categoria dei CREDENTI per collocarsi comodamente ed un po’ altezzosamente in quella dei testimoni della Verità?

A voi la risposta...

 

Roberto Fiaschi

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