![]() |
In una pagina Facebook dedicata alla filowsofia e soprattutto al filosofo Emanuele Severino, un <<Esperto del gruppo>> rispondente al nome di Enrico
Andreoli, scrive infastidito:
<<è veramente paradossale che
decine e decine di credenti
si siano dati convegno su questa pagina dedicata al pensiero di un filosofo che
nega logicamente la
possibilità che qualcosa possa essere creato e distrutto dal e nel Nulla>>.
Ora, prima di scendere nel dettaglio, giova sapere che Enrico
Andreoli, davvero bravissimo scrittore,
è tuttavia un fervente CREDENTE-SEVERINIANO,
se non altro perché son diversi anni che va ripetendo UNICAMENTE, SEMPRE E SOLTANTO
il seguente mantra:
<<sono più di 50 che nessuno ha
confutato la risoluzione severiniana dell’aporia del nulla>>.
Lasciamoglielo CREDERE, visto che egli si
attiene (CREDE) strettamente a tale presunta risoluzione senza il minimo senso
critico, CREDENDO nella sua (presunta) inconfutabilità.
Pertanto, qui NON interessa commentare questa
sua FEDE esibita ad ogni piè sospinto a guisa di ‘litania’; essa
è stata commentata altrove, nel presente blog, ad esempio nei post nn. 5, 29, 53, 61, 83, 89, 98, 102, 103 e 104.
Qui interessa mostrare in primo luogo come ad
alcuni severiniani appaia insopportabile che, laddove il tema
centrale sia la filosofia di Severino, vi sia ancora qualche <<credente>>
che si ostini a non riconoscere il suo ‘Verbo’, sì, perché in una pagina
interamente dedicata al filosofo bresciano, tutti i suoi frequentatori
dovrebbero esser ormai edotti del, ed ALLINEATI al suo pensiero, possibilmente
senza manifestare troppi dubbi argomentati e critiche serrate poiché essi sarebbero
retaggio di chi, ancora <<credente>> e per giunta nichilista,
non avrebbe studiato (o compreso) abbastanza Severino.
Per quanto riguarda il post in oggetto di Enrico
Andreoli, mi domando:
è mai possibile che il discrimine per partecipare
alle discussioni debba consistere nel riconoscimento della negazione della <<possibilità
che qualcosa possa essere creato e distrutto dal e nel Nulla>>?
Come a dire: chi vuol discutere qui, DEVE
previamente aver accettato il dogma secondo cui NIENTE può <<essere
creato e distrutto dal e nel Nulla!>>
Questa davvero FARLOCCA concezione verrà
considerata in un post apposito.
Stando più sul generale, al nostro Enrico
Andreoli <<infastidisce interagire>> con la <<protervia con cui [i
<<credenti>>]
agiscono atti di pura fede indimostrabile ed illogici (naturalmente)
pretendendo che abbiano lo stesso valore, solidità e incontrovertibilità di
quelli basati sulla pura logica. Come S io, nel mio piccolo piccolo, non sono
contro né a favore della fede...dico solo che la fede non può presentarsi come
verità tout court>>.
Ora, lasciam da parte la solita, trita e
ritrita sciocchezza secondo la quale chi esercita degli atti di fede PRETENDEREBBE (!!!) <<che
abbiano lo stesso valore, solidità e incontrovertibilità di quelli basati sulla
pura logica>>.
Non so chi Enrico
Andreoli abbia conosciuto per poter attribuire una simile castroneria
ai <<credenti>>, come egli ama generalizzare.
Sebbene egli si picchi di scrivere <<il
sermone per la Messa di Natale>> per il suo <<amico parroco
della basilica di San Lorenzo in Milano>>, evidentemente si ferma lì,
per quanto riguarda la sua conoscenza del mondo cristiano, giacché penso che nessun
<<credente>> (forse neppure il più ottuso dei fondamentalisti)
si sognerebbe di affermare che la propria Fides quae PRETENDA
aver <<lo stesso valore, solidità e incontrovertibilità di quelli
basati sulla pura logica>>!
Naturalmente ciò NON significa affatto avallare totalmente il
Credo quia absurdum, bensì vuol dire che la fede può avanzare
anche delle RAGIONI per sé, certamente NON incontrovertibili ma pur sempre
RAGIONI, ben sapendo, tuttavia e fortunatamente, che esse NON esauriscono
l’intero Cristianesimo, altrimenti Dio sarebbe PRONO alle lenti di ingrandimento
della sola logica!
Per cui la <<protervia>> che il
Nostro attribuisce ai <<credenti>>, forse è innanzitutto un
proprio parto circa il quale egli pare NON possedere sufficienti ‘diottrie’ per
avvedersene.
Dopodiché osserva:
<<Come S[everino] io, nel mio
piccolo piccolo, non sono contro né a favore della fede...dico solo che la fede
non può presentarsi come verità tout court>>.
Ecco la sentenza scontata, mutuata acriticamente
da Severino, come si convien ad ogni buon RIPETITORE FEDELE al proprio dispensatore di
Verità pur millantando di esser completamente dalla parte della SOLA RATIO!
Il presupposto soggiacente a simile stramberia
consiste nella convinzione che la verità debba sempre e soltanto APPARIRE,
altrimenti, in caso contrario, NON sarebbe verità ma, appunto, ERRORE, cioè,
severinianamente: FEDE.
Vi son più presupposti fideistici in
tale convinzione che in tutte le religioni messe assieme!
Peraltro, per Severino, OGNI essere umano è
siffatto ERRORE/FEDE; infatti, Enrico
Andreoli dovrebbe sapere che
<<è impossibile che
nel linguaggio della terra isolata [quindi nell’errore/individuo] ci
sia comprensione della verità del destino, anche se formalmente le sue parole
suonano identiche al linguaggio che testimonia il destino. È cioè necessario
che il linguaggio malato,
proprio in quanto tale, non le possa
comprendere. Anche se le parole del linguaggio malato suonano simili a
quelle del linguaggio che testimonia il destino, e simili in maniera così
impressionante da poter vedere in ciò una certa “problematicità”, si deve
affermare la necessaria formalità di quella identità>>. (Nicoletta Cusano: Emanuele
Severino. Oltre il nichilismo, pag. 446).
E, sebbene per Severino <<il Destino della verità appare
ovunque ci sia un ascolto>>, quindi <<la verità appare,
splende sempre>> (da: La cosa e il segno. Intervista ad
Emanuele Severino su linguaggio, ontologia e Destino. Lo Sguardo -
rivista di filosofia - N. 15, 2014 (ii)), Enrico
Andreoli dovrebbe altresì accorgersi del carattere FIDEISTICO della
tesi secondo la quale <<la verità è nascosta alla testimonianza: essa
è nascosta,
dunque, al linguaggio di quel che chiamiamo prossimo, e non all’apparire>>,
cioè la verità è nascosta a
<<quegli enti che chiamiamo “uomini”>>, nonostante <<l’apparire della
verità costituisc[a] anche l’esser uomo in quanto tale>> e
nonostante l’uomo
sia <<destinato a non sentire la verità>> (La struttura
originaria, pag. 89), in quanto egli è strutturalmente <<errore>>,
tale da esser <<contraddittorio che l'individuo sia cosciente
della verità>> (Severino: La legna e la cenere).
Non sono, tutte queste, asserzioni da CREDERE in blocco,
nonostante la loro palese contraddittorietà?
Tanto più Enrico
Andreoli dovrebbe cominciare a porsi qualche domanda, soprattutto al
seguito della seguente curiosa ( = leggasi: FURBA) osservazione di Severino:
<<l’apparire della verità costituisce anche l’esser uomo
in quanto tale, ma non
ogni uomo è una
testimonianza: non
ogni uomo è unito al
linguaggio che testimonia questa presenza>>: soltanto Severino lo è…
Infatti, il filosofo bresciano è consapevole della
contraddittorietà rappresentata dalla sua tesi secondo la quale è impossibile
che un INDIVIDUO-ERRORE-FEDE
possa testimoniare il veritativamente il destino.
Però GLISSA abilmente, cercando di ritagliare per sé (derogando
alla sua tesi circa l’erroneità dell’individuo) la possibilità di esser uno di quegli uomini uniti <<al
linguaggio che testimonia questa presenza>>, visto che _ a suo dire _
<<non ogni
uomo è unito al linguaggio che testimonia questa presenza>>, tranne lui ed eventuali
altri…
CONTRAVVENENDO perciò a quanto letto sopra, ossia che
<<è impossibile che
nel linguaggio della terra isolata [quindi nell’individuo-errore-fede] ci
sia comprensione della verità del destino, anche se formalmente le sue parole
suonano identiche al linguaggio che testimonia il destino. È cioè necessario
che il linguaggio malato,
proprio in quanto tale, non le possa
comprendere. Anche se le parole del linguaggio malato suonano simili a
quelle del linguaggio che testimonia il destino, e simili in maniera così
impressionante da poter vedere in ciò una certa “problematicità”, si deve
affermare la necessaria formalità di quella identità>>.
(Cusano: op. cit.).
Sarebbe allora il caso che Enrico
Andreoli si domandasse perché, pur essendo <<contraddittorio che l'individuo sia cosciente della
verità>>, l’individuo-Severino
riesca, invece, a esserne un’ECCEZIONE.
QUESTA NON È FORSE FEDE, caro Enrico
Andreoli?
Qui (e altrove), Severino non è forse ritenuto alla stessa stregua
di un MESSIA (o LOGOS giovanneo) portatore della LIETA NOTIZIA
( = Evangelo) secondo cui tutti noi siamo già eternamente salvi? E come immancabilmente
lo stesso Enrico
Andreoli, da buon
CREDENTE in Severino _ quest’ultimo, infatti, è un autentico PRIVILEGIATO
ONTOLOGICO, perché, pur essendo UN individuo-errore (tra miliardi), guarda caso avrebbe avuto il PRIVILEGIO
( = la GRAZIA,
diremmo noi miseri CREDENTI) di essere <<unito al linguaggio che
testimonia questa presenza>> _, si è affrettato a RIPETERE il dogma:
<<basta che non sia un trascendente che
garantisca salvezza perché il mortale non ha alcun bisogno di essere salvo>>?
Stendiamo un velo pietoso e domandiamo:
Può, il nostro Enrico
Andreoli (ma
prima ancora lo stesso Severino), legittimamente ASTRARSI dalla
categoria dei CREDENTI per collocarsi comodamente ed un po’ altezzosamente in
quella dei testimoni della Verità?
A voi la risposta...
Roberto Fiaschi
------------------------

Nessun commento:
Posta un commento