giovedì 20 febbraio 2025

156)- EGON KEY: «DIMOSTRAZIONE» DELL’IO DEL DESTINO?

Riprendo, dal gruppo https://www.facebook.com/groups/filosofiaedestino, una serie di interventi di Egon Key circa la tesi severiniana dell’inesistenza (o l’illusorietà) dell’io-empirico, da lui riassunta in questi termini:

<<non c'è un "qualcuno", inteso come soggetto agente>>.

Non posso che partir dal presupposto di esser io-empirico-Roberto, qui ed ora, a scrivere ciò che voi-io-empirici state leggendo, così come non potrete che esser voi-io-empirici a leggere ciò che ho scritto. QUESTO è il mio nonché COMUNE/UNIVERSALE presupposto di partenza.

Adesso, invece, andremo a cercare nei vari passaggi di Egon Key la DIMOSTRAZIONE (filosofica) dell’esistenza dell’Io trascendentale e, quindi, della contigua NEGAZIONE di tale presupposto ossia dell’io-empirico, la cui esistenza viene normalmente tacciata di INGENUITÀ pre-filosofica. La filosofia ha la vocazione di sottoporre tutto a critica (altrimenti cosa ci starebbe a fare?), per cui essa non si accontenta del senso comune e di ciò che comunemente/universalmente appare.

Nell’eventuale ASSENZA di esse (DIMOSTRAZIONE/NEGAZIONE), continuerò a tenermi ben stretto il mio 'presupposto'.

Se non altro perché non posso, io-empirico, DIMOSTRARE questo mio presupposto di base, perché, per farlo, sarei pur sempre io-empirico (o qualcun altro: e CHI, se no?) a dover DIMOSTRARE in via non-presuppositiva di essere il consapevole lettore/autore dei miei post (od un qualunque altro io: e CHI, se no?), trovandomi perciò nella bizzarra situazione ove io, in quanto PRESUPPOSTO INDIMOSTRATO, dovrei DIMOSTRARE non-presuppositivamente di esser davvero io quel <<"qualcuno", inteso come soggetto>> che effettua consapevolmente una (o che è l’autore della) DIMOSTRAZIONE!

Cominciamo perciò la ricerca di quella DIMOSTRAZIONE/NEGAZIONE, portandoci sul seguente brano di Severino che Egon Key riporta:

<<si potrebbe affermare con verità l'esistenza di "qualcuno" "a" cui l'apparire apparisse e che si costituisse come qualcosa di diverso dall'apparire stesso (ad esempio come "individuo umano", "persona", "corpo", "cervello", "mente", ecc), solo se tale esistenza fosse qualcosa che appare "nel" cerchio dell'apparire del destino della verità; ma allora il "qualcuno" non sarebbe qualcosa di diverso dall'apparire, qualcosa "a" cui l'apparire dovrebbe apparire, ma sarebbe, appunto, un contenuto dell'apparire>> - ("La Gloria", Adelphi, p. 213).

Altrove, subito dopo questo brano di Severino, Egon Key fa seguire questa ulteriore precisazione:

<<Ad abundantiam: l'apparire appare a sé stesso; se apparisse "a qualcuno", questo qualcuno sarebbe, daccapo, "coscienza", ossia apparire; e se si volesse affermare che anche quest'ultimo apparire apparisse "a qualcuno" si incorrerebbe in un regressus in indefinitum con la conseguente impossibilità della posizione dell'apparire, sicché nulla mai potrebbe apparire>>.

Sempre in altro post, ma strettamente connesso al tema in oggetto, Egon Key scrive:

<<Il "qualcuno" a cui l'apparire apparirebbe, appare esso stesso nel cerchio dell'apparire, come un contenuto tra i tanti che appaiono. Ossia: è un contenuto del cerchio dell'apparire anche il (creduto) "mio" atto coscienziale: «l'attuale apparire [di qualcosa] non è 'mio', ma sono io stesso» [in quanto cioè "Io del destino"] ("La terra e l'essenza dell'uomo", p. 215). Scrive ancora Severino: «l'apparire della verità non è un atto individuale, ma è il mostrarsi di ciò che appare [...] Il mostrarsi ['questo' stesso mostrarsi] non è il mio atto di coscienza, perché il 'mio' atto di coscienza è esso stesso una delle cose che si mostrano. Perché diciamo: "Io esisto"? Perché appaio (perché appare l'errore in cui io consisto). Se non apparissi insieme alla libreria, al lampadario, alle stelle, non potrei dire che io esisto. Si può affermare che "io esisto", perché appaio. E mi mostro in quale luogo? In quel luogo dove è tutto ciò che si mostra. E allora io non sono il lanternaio che fa' luce sui luoghi: la luce è luce che illumina i luoghi e io appartengo a uno di questi luoghi [uno degli infiniti cerchi finiti dell'apparire] . L'apparire della verità non è la coscienza che "uno" ha della verità» ("La legna e la cenere"). D'altra parte, la dimostrazione offerta qui sopra è limpida e di facile comprensione: l'apparire appare a sé stesso, il destino appare a sé stesso; se apparisse "a qualcuno", questo qualcuno sarebbe, daccapo, "coscienza", ossia apparire; e se si volesse affermare che anche quest'ultimo apparire apparisse "a qualcuno" si incorrerebbe nel regressus in indefinitum con la conseguente impossibilità della posizione dell'apparire, sicché nulla mai potrebbe apparire>>.

Ecco, qui sopra Egon Key parla di <<dimostrazione>>.

A quale dimostrazione si riferisce?

A questa; rileggiamola:

<<Il mostrarsi ['questo' stesso mostrarsi] non è il mio atto di coscienza, perché il 'mio' atto di coscienza è esso stesso una delle cose che si mostrano. Perché diciamo: "Io esisto"? Perché appaio (perché appare l'errore in cui io consisto). Se non apparissi insieme alla libreria, al lampadario, alle stelle, non potrei dire che io esisto. Si può affermare che "io esisto", perché appaio. E mi mostro in quale luogo? In quel luogo dove è tutto ciò che si mostra. E allora io non sono il lanternaio che fa' luce sui luoghi: la luce è luce che illumina i luoghi e io appartengo a uno di questi luoghi>>.

Come egli ha osservato, essa <<è limpida e di facile comprensione>>, ma NON è una DIMOSTRAZIONE o, se intende esserla, a mio parere NON coglie nel segno.

Vediamo.

La DIMOSTRAZIONE, secondo Egon Key, consisterebbe nel comprendere che, SICCOME <<il 'mio' atto di coscienza è esso stesso una delle cose che si mostrano>>, cioè <<Il "qualcuno" a cui l'apparire apparirebbe, appare esso stesso nel cerchio dell'apparire, come un contenuto tra i tanti che appaiono>>, ALLORA, con ciò, sarebbe DIMOSTRATO che <<io non sono il lanternaio che fa' luce sui luoghi>>, appunto perché io-empirico <<appartengo a uno di questi luoghi>>. 

Ma, ripeterei, questa NON è una DIMOSTRAZIONE bensì è soltanto l’ESPLICITAZIONE di una tesi o, al meglio, è la PARVENZA di una DIMOSTRAZIONE, giacché l’essere <<un contenuto tra i tanti che appaiono>> NON esaurisce le alternative alla conclusione secondo la quale, ALLORA, <<io non sono il lanternaio che fa' luce sui luoghi>>. 

Infatti, il MIO essere <<un contenuto tra i tanti che appaiono>> NON TOGLIE affatto che quei <<tanti che appaiono>> siano illuminati da ME nel mentre che io-empirico illumino ANCHE ME STESSO, cioè nel momento in cui sono AUTO-cosciente del mio illuminarMI, oltre che cosciente di illuminare anche i contenuti di cui sono cosciente (tra i quali, appunto, vi sono io).

Dunque, io-empirico sono <<il lanternaio che fa' luce sui luoghi>> facendo luce anche su me stesso (cioè AUTO-illuminandomi) come <<un contenuto>> tra i tanti che MI appaiono, così come una lampada illumina ciò che le sta intorno illuminando ANCHE SÉ STESSA come uno dei molti oggetti illuminati. 

Io-empirico, perciò, sono illuminante ( = cosciente de) gli oggetti, illuminante ME STESSO ( = AUTO-cosciente) nel mentre che so ( = cosciente di essere AUTO-cosciente) di illuminare i tanti oggetti.

Quindi, se <<l'apparire appare a stesso>>, questo <<a stesso>> è il MEDESIMO <<"a qualcuno">> _ è l’io-empirico _ a cui l’apparire appare apparendo, appunto, <<a stesso>>.

Per cui è tolto il <<regressus in indefinitum>> _, se a sua volta <<quest'ultimo apparire apparisse "a qualcuno">>…

L’io-empirico è lo stesso cerchio dell’apparire FINITO, poiché tale <<"qualcuno">> non è <<qualcosa di diverso dall'apparire>>, essendo, tale <<"qualcuno">>, lo stesso io-empirico il quale, in quanto AUTO-cosciente ( = cosciente di sé), appare-a-sé nelle vesti del ME, cioè appare a sé (anche) come CONTENUTO riflessivo di sé stesso…

Egon Key precisa che <<l'Io è il trascendentale di cui tutto ciò che appare è un contenuto; e il contenuto include il proprio apparire, diversamente il contenuto medesimo non potrebbe apparire: è presente (all'apparire trascendentale) la presenza (apparire empirico) del qualcosa, vale a dire apparire dell'apparire, che è saputo come tale in quanto Io (coscienza dell’autocoscienza). In tal senso, dunque, un qualsiasi contenuto che appare NON è "mio", ma SONO IO STESSO, in quanto Io del destino). Pertanto: all'apparire trascendentale che "io" sono (in quanto, in verità, esser Io del destino, ossia uno degli infiniti cerchi finiti dell'apparire) appare l'apparire empirico (l'apparire di un albero), cioè tale contenuto coscienzale>>.

Ma che nell’Io trascendentale <<il contenuto includ[a] il proprio apparire>> perché <<diversamente il contenuto medesimo non potrebbe apparire>>, è asserzione che può benissimo essere ascritta all’io-empirico.

Infatti, come già visto, l’io-empirico è una lampada che, illuminando l’ambiente circostante (gli oggetti), ILLUMINA ANCHE SÉ STESSA, il che vuol dire, fuor di metafora, che <<il contenuto include il proprio apparire>> in quanto è AUTO-coscienza, coscienza di sé.

Infatti, è presente all’io-empirico la presenza <<del qualcosa, vale a dire apparire dell'apparire, che è saputo come tale in quanto Io (coscienza dell’autocoscienza)>>; cioè all’io-empirico <<la presenza (apparire empirico) del qualcosa>> è presente, è saputa, giacché tale io è <<coscienza dell’autocoscienza>>, cioè cosciente di SAPERE-di-SÉ, di essere AUTO-COSCIENTE.

Per Severino <<Solamente il presupposto dell'inobiettivabilità del pensare porta a ritenere che, pensando, si formi sì, all'interno del pensiero, uno spettacolo, ma che l'apparire dello spettacolo non faccia parte dello spettacolo stesso, ma che se ne stia dietro le spalle, come una sorgente luminosa che illumina le altre cose, restando essa all'oscuro>> - (“Essenza del nichilismo”).

Senonché, il pensare è OBIETTIVABILE nella misura in cui sono conscio del (mio) pensare.

l’io-empirico, proprio in quanto AUTO-cosciente, NON può essere paragonato a quella <<sorgente luminosa che illumina le altre cose, restando essa all'oscuro>>, appunto perché l’AUTO-coscienza è precisamente quello stare alla luce DI SÉ da parte di sé cioè dell’io, AUTO-coscienza che invece Severino vorrebbe riferire soltanto ad un RIDONDANTE Io trascendentale.

L’<<apparire dello spettacolo>> fa parte <<dello spettacolo stesso>>, ed in ciò consiste l’AUTO-coscienza dell’io-empirico, altrimenti saremmo soltanto coscienti, non AUTO-coscienti.

Giunto al termine, dopo aver setacciato tutti i vari brani di Egon Key, nessuna DIMOSTRAZIONE è stata rintracciata; soltanto il suo tono ASSEVERATIVO ha potuto dare la falsa impressione di avere dinanzi un post che DIMOSTRASSE la tesi da lui sostenuta.

 

Roberto Fiaschi

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