Riprendo, dal gruppo https://www.facebook.com/groups/filosofiaedestino, una serie di interventi
di Egon Key circa la tesi severiniana
dell’inesistenza (o l’illusorietà) dell’io-empirico, da lui riassunta in
questi termini:
<<non
c'è un "qualcuno",
inteso come soggetto
agente>>.
Non
posso che partir dal presupposto di esser io-empirico-Roberto, qui ed
ora, a scrivere ciò che voi-io-empirici state leggendo, così come non
potrete che esser voi-io-empirici a leggere
ciò che ho scritto. QUESTO è il mio nonché COMUNE/UNIVERSALE presupposto di
partenza.
Adesso, invece, andremo a cercare nei vari passaggi di Egon Key la DIMOSTRAZIONE
(filosofica) dell’esistenza dell’Io trascendentale e, quindi, della contigua
NEGAZIONE di tale
presupposto ossia dell’io-empirico,
la cui esistenza viene normalmente tacciata di INGENUITÀ pre-filosofica.
La filosofia ha la vocazione di sottoporre tutto a critica (altrimenti cosa ci
starebbe a fare?), per cui essa non si accontenta del senso comune e di ciò che
comunemente/universalmente appare.
Nell’eventuale
ASSENZA di esse (DIMOSTRAZIONE/NEGAZIONE), continuerò a
tenermi ben stretto il mio 'presupposto'.
Se
non altro perché non posso, io-empirico,
DIMOSTRARE questo mio presupposto di base, perché, per farlo, sarei pur sempre io-empirico (o qualcun
altro: e CHI,
se no?) a dover DIMOSTRARE in via non-presuppositiva di essere il consapevole
lettore/autore dei miei post (od un qualunque altro io: e CHI, se no?), trovandomi perciò nella bizzarra
situazione ove io,
in quanto PRESUPPOSTO INDIMOSTRATO, dovrei DIMOSTRARE non-presuppositivamente
di esser davvero io quel
<<"qualcuno", inteso come soggetto>> che effettua consapevolmente
una (o che è l’autore della) DIMOSTRAZIONE!
Cominciamo
perciò la ricerca di quella DIMOSTRAZIONE/NEGAZIONE, portandoci sul seguente brano di Severino che Egon Key riporta:
<<si potrebbe affermare con verità l'esistenza
di "qualcuno" "a" cui l'apparire apparisse e che si
costituisse come qualcosa di diverso dall'apparire stesso (ad esempio come
"individuo umano", "persona", "corpo",
"cervello", "mente", ecc), solo se tale esistenza fosse
qualcosa che appare "nel" cerchio dell'apparire del destino della
verità; ma allora il "qualcuno" non sarebbe qualcosa di diverso
dall'apparire, qualcosa "a" cui l'apparire dovrebbe apparire, ma
sarebbe, appunto, un contenuto dell'apparire>> - ("La Gloria", Adelphi, p.
213).
Altrove,
subito dopo questo brano di Severino, Egon Key fa seguire questa ulteriore precisazione:
<<Ad
abundantiam: l'apparire appare a sé stesso; se apparisse "a
qualcuno", questo qualcuno sarebbe, daccapo, "coscienza", ossia
apparire; e se si volesse affermare che anche quest'ultimo apparire apparisse
"a qualcuno" si incorrerebbe in un regressus in indefinitum
con la conseguente impossibilità della posizione dell'apparire, sicché nulla
mai potrebbe apparire>>.
Sempre in altro post, ma strettamente connesso al tema in
oggetto, Egon Key scrive:
<<Il "qualcuno" a cui l'apparire
apparirebbe, appare esso stesso nel cerchio dell'apparire, come un contenuto
tra i tanti che appaiono. Ossia: è un contenuto del cerchio dell'apparire anche
il (creduto) "mio" atto coscienziale: «l'attuale apparire [di
qualcosa] non è 'mio', ma sono io stesso» [in quanto cioè "Io del
destino"] ("La terra e l'essenza dell'uomo", p. 215). Scrive
ancora Severino: «l'apparire della verità non è un atto individuale, ma è il
mostrarsi di ciò che appare [...] Il mostrarsi ['questo' stesso mostrarsi] non
è il mio atto di coscienza, perché il 'mio' atto di coscienza è esso stesso una
delle cose che si mostrano. Perché diciamo: "Io esisto"? Perché
appaio (perché appare l'errore in cui io consisto). Se non apparissi insieme
alla libreria, al lampadario, alle stelle, non potrei dire che io esisto. Si
può affermare che "io esisto", perché appaio. E mi mostro in quale
luogo? In quel luogo dove è tutto ciò che si mostra. E allora io non sono il
lanternaio che fa' luce sui luoghi: la luce è luce che illumina i luoghi e io
appartengo a uno di questi luoghi [uno degli infiniti cerchi finiti
dell'apparire] . L'apparire della verità non è la coscienza che "uno"
ha della verità» ("La legna e la cenere"). D'altra parte, la dimostrazione
offerta
qui sopra è limpida e di facile comprensione: l'apparire appare a sé stesso, il
destino appare a sé stesso; se apparisse "a qualcuno", questo
qualcuno sarebbe, daccapo, "coscienza", ossia apparire; e se si
volesse affermare che anche quest'ultimo apparire apparisse "a
qualcuno" si incorrerebbe nel regressus in indefinitum con la
conseguente impossibilità della posizione dell'apparire, sicché nulla mai
potrebbe apparire>>.
Ecco, qui sopra Egon Key parla di <<dimostrazione>>.
A quale dimostrazione si riferisce?
A questa; rileggiamola:
<<Il mostrarsi ['questo' stesso mostrarsi] non è il
mio atto di coscienza, perché il 'mio' atto di coscienza è esso stesso
una
delle cose che si mostrano. Perché diciamo: "Io esisto"? Perché
appaio (perché appare l'errore in cui io consisto). Se non apparissi insieme
alla libreria, al lampadario, alle stelle, non potrei dire che io esisto. Si
può affermare che "io esisto", perché appaio. E mi mostro in quale
luogo? In quel luogo dove è tutto ciò che si mostra. E allora io non sono il
lanternaio che fa' luce sui luoghi: la luce è luce che illumina i luoghi e io
appartengo a uno di questi luoghi>>.
Come egli ha osservato, essa <<è limpida e di facile
comprensione>>, ma NON è una DIMOSTRAZIONE o, se intende esserla, a mio parere NON coglie nel segno.
Vediamo.
La DIMOSTRAZIONE,
secondo Egon Key, consisterebbe nel comprendere
che, SICCOME <<il 'mio' atto di coscienza è esso stesso una delle cose che si
mostrano>>, cioè <<Il "qualcuno" a cui l'apparire
apparirebbe, appare esso stesso nel cerchio dell'apparire, come un contenuto tra i tanti che
appaiono>>, ALLORA, con ciò, sarebbe DIMOSTRATO che <<io non sono il
lanternaio che fa' luce sui luoghi>>, appunto perché io-empirico
<<appartengo a
uno di questi luoghi>>.
Ma, ripeterei, questa NON è una DIMOSTRAZIONE bensì è
soltanto l’ESPLICITAZIONE di una tesi o, al meglio, è la PARVENZA di una
DIMOSTRAZIONE, giacché l’essere <<un contenuto tra i tanti che appaiono>>
NON esaurisce le alternative alla conclusione secondo la quale, ALLORA,
<<io non sono il lanternaio che fa' luce sui luoghi>>.
Infatti, il MIO essere <<un contenuto tra i tanti che appaiono>>
NON TOGLIE affatto che
quei <<tanti che appaiono>> siano illuminati da ME
nel mentre che io-empirico illumino ANCHE ME STESSO, cioè nel momento in
cui sono AUTO-cosciente del mio illuminarMI, oltre che cosciente di illuminare
anche i contenuti di cui sono cosciente (tra i quali, appunto, vi sono io).
Dunque, io-empirico sono <<il lanternaio che
fa' luce sui luoghi>> facendo luce anche su me stesso (cioè AUTO-illuminandomi)
come <<un contenuto>>
tra i tanti che MI appaiono, così come una lampada illumina ciò che le
sta intorno illuminando ANCHE SÉ STESSA come uno dei molti oggetti illuminati.
Io-empirico, perciò, sono illuminante ( = cosciente de) gli
oggetti, illuminante ME STESSO ( = AUTO-cosciente) nel mentre che so ( =
cosciente di essere AUTO-cosciente) di illuminare i tanti oggetti.
Quindi, se <<l'apparire appare a sé stesso>>, questo <<a sé stesso>> è il
MEDESIMO <<"a
qualcuno">>
_ è l’io-empirico
_ a cui l’apparire appare apparendo, appunto, <<a sé stesso>>.
Per
cui è tolto il <<regressus in indefinitum>> _, se a
sua volta <<quest'ultimo apparire
apparisse "a qualcuno">>…
L’io-empirico è lo stesso cerchio dell’apparire
FINITO, poiché tale <<"qualcuno">> non è <<qualcosa
di diverso dall'apparire>>, essendo, tale <<"qualcuno">>,
lo stesso io-empirico il quale, in quanto AUTO-cosciente ( = cosciente
di sé), appare-a-sé nelle vesti del ME, cioè appare a sé (anche) come CONTENUTO
riflessivo di sé stesso…
Egon Key precisa che <<l'Io è il trascendentale di cui tutto ciò
che appare è un contenuto; e il contenuto include il proprio apparire,
diversamente il contenuto medesimo non potrebbe apparire: è presente
(all'apparire trascendentale) la presenza (apparire empirico) del qualcosa,
vale a dire apparire dell'apparire, che è saputo come tale in quanto Io
(coscienza dell’autocoscienza). In tal senso, dunque, un qualsiasi contenuto
che appare NON è "mio", ma SONO IO STESSO, in quanto Io del destino).
Pertanto: all'apparire trascendentale che "io" sono (in quanto, in
verità, esser Io del destino, ossia uno degli infiniti cerchi finiti
dell'apparire) appare l'apparire empirico (l'apparire di un albero), cioè tale
contenuto coscienzale>>.
Ma che nell’Io trascendentale <<il contenuto
includ[a] il proprio apparire>> perché <<diversamente il
contenuto medesimo non potrebbe apparire>>, è asserzione che può
benissimo essere ascritta all’io-empirico.
Infatti, come già visto, l’io-empirico è una lampada
che, illuminando l’ambiente circostante (gli oggetti), ILLUMINA ANCHE SÉ
STESSA, il che vuol dire, fuor di metafora, che <<il contenuto include il proprio
apparire>> in quanto è AUTO-coscienza, coscienza di sé.
Infatti,
è presente all’io-empirico la presenza <<del qualcosa, vale a
dire apparire dell'apparire, che è saputo come tale in quanto Io (coscienza
dell’autocoscienza)>>; cioè all’io-empirico <<la
presenza (apparire empirico) del qualcosa>> è presente, è saputa,
giacché tale io è <<coscienza dell’autocoscienza>>,
cioè cosciente di SAPERE-di-SÉ, di essere AUTO-COSCIENTE.
Per
Severino <<Solamente il presupposto dell'inobiettivabilità del pensare
porta a ritenere che, pensando, si formi sì, all'interno del pensiero, uno
spettacolo, ma che l'apparire dello spettacolo non faccia parte dello
spettacolo stesso, ma che se ne stia dietro le spalle, come una sorgente
luminosa che illumina le altre cose, restando essa all'oscuro>> -
(“Essenza del nichilismo”).
Senonché,
il pensare è OBIETTIVABILE nella misura in cui sono conscio del (mio) pensare.
l’io-empirico,
proprio in quanto AUTO-cosciente, NON può essere paragonato a quella <<sorgente
luminosa che illumina le altre cose, restando essa all'oscuro>>, appunto perché l’AUTO-coscienza è precisamente
quello stare alla luce DI SÉ da parte di sé cioè dell’io, AUTO-coscienza
che invece Severino vorrebbe riferire soltanto ad
un RIDONDANTE Io
trascendentale.
L’<<apparire
dello spettacolo>> fa parte <<dello spettacolo stesso>>,
ed in ciò consiste l’AUTO-coscienza dell’io-empirico, altrimenti saremmo
soltanto coscienti, non AUTO-coscienti.
Giunto
al termine, dopo aver setacciato tutti i vari brani di Egon Key, nessuna DIMOSTRAZIONE è stata rintracciata;
soltanto il suo tono
ASSEVERATIVO ha potuto dare la falsa impressione di avere dinanzi un post che
DIMOSTRASSE la tesi da lui sostenuta.
Roberto Fiaschi
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