lunedì 5 maggio 2025

174)- «LEGGERE I TESTI SACRI PORTA ALL'ATEISMO»?

Riporto un post di Lillo Paris Bobigny (tnresdSopo01ogg904guaura ah 6emghu6gt1:066ei i l26o1lau0g173), intitolato: 

<<QUANDO LEGGERE I TESTI SACRI PORTA ALL'ATEISMO>>.

Esso recita:

<<È opinione diffusa che la lettura delle Scritture rafforzi la fede. Ma, per molti, avviene l’esatto contrario: leggere i testi sacri è proprio ciò che li conduce a metterla in discussione, fino ad abbandonarla del tutto. Non si tratta di un paradosso, ma di un'esperienza che accomuna numerosi ex credenti, per i quali il contatto diretto con la Bibbia, il Corano o altri testi religiosi ha rappresentato un punto di rottura, non di conversione. Come mai? Il primo motivo, spesso sottovalutato, è la distanza tra le aspettative e la realtà del testo. Chi si accosta alle Scritture aspettandosi parole elevate, rivelazioni divine e saggezza eterna, si imbatte frequentemente in genealogie infinite, norme arcaiche, prescrizioni tribali e racconti violenti. Scoprire che il "libro più letto del mondo" contiene incitamenti allo sterminio di interi popoli, regolamenti su come acquistare e trattare gli schiavi, punizioni per chi lavora di sabato o per i figli disobbedienti, può risultare sconcertante. La Bibbia, ad esempio, non nasconde l’uccisione sistematica dei nemici di Israele per ordine divino, né l’idea che le donne siano subordinate, impure durante il ciclo mestruale o colpevoli del peccato originale. Il Corano, a sua volta, prescrive punizioni corporali, legittima la poligamia e dedica ampio spazio alla guerra contro gli “infedeli”. Non si tratta solo di interpretazioni: questi contenuti sono testualmente presenti, e molti lettori li incontrano per la prima volta con incredulità. Un secondo motivo di distacco è legato al linguaggio dogmatico. I testi sacri non presentano tesi argomentate, ma verità proclamate. Chi è abituato al pensiero critico, al dubbio, alla ricerca razionale, può provare disagio davanti a una narrazione che non ammette replica, né confronto. Versetti che iniziano con “Così dice il Signore” o “Questo è il vero Dio, fuori di Lui non ve n’è alcun altro” non lasciano spazio a dialogo o verifica: impongono. E in un contesto culturale in cui la libertà di pensiero e il metodo scientifico sono valori fondanti, questa pretesa assolutistica può risultare respingente. Anche le contraddizioni interne giocano un ruolo importante. L’immagine di Dio nei testi sacri è tutt’altro che coerente. È misericordioso ma stermina popoli, è onnipotente ma deluso dal peccato, è onnisciente ma pone domande retoriche all’uomo, è giusto ma punisce intere generazioni per le colpe dei padri. Il teologo tedesco Hans Küng parlava di “antinomie” teologiche, cioè di opposti inconciliabili che la fede cerca di tenere insieme, ma che a una mente razionale appaiono come veri e propri cortocircuiti logici. L’annosa questione del male ne è un esempio: come può un Dio onnipotente, onnisciente e buono tollerare il dolore innocente? Le risposte tradizionali – il libero arbitrio, il peccato originale, la giustizia postuma – appaiono spesso come giustificazioni ex post, non soluzioni convincenti. C’è poi l’aspetto storico e mitologico. Leggere i testi sacri senza filtri apologetici fa emergere la loro natura composita, redatta in epoche diverse da autori diversi, spesso in polemica tra loro. I due racconti della creazione in Genesi 1 e 2, le incongruenze tra i Vangeli (sulla genealogia di Gesù, sulla data della crocifissione, sulla scoperta della tomba vuota), le evidenti influenze mesopotamiche nei racconti del Diluvio o della torre di Babele, portano molti a concludere che non si tratti di rivelazioni divine, ma di testi religiosi prodotti da culture antiche, in risposta ai loro bisogni simbolici e identitari. In altre parole: non parole di Dio, ma parole su Dio. Un ulteriore elemento di rottura è l’etica. Chi ritiene che la morale debba basarsi sull’empatia, sull’esperienza e sulla dignità umana, difficilmente potrà accettare un’etica rivelata che giustifica la schiavitù, la sottomissione della donna, la pena di morte per l’adulterio o la lapidazione per l’omosessualità. L’idea che il bene e il male dipendano dalla volontà divina – per cui ciò che è comandato da Dio è giusto in quanto tale – contrasta con la sensibilità moderna, per cui l’etica precede la religione e non può derivare dalla paura dell’inferno o dalla speranza del paradiso. Infine, molti lettori si confrontano con un problema più radicale: l’assenza di prove. I testi sacri fanno affermazioni straordinarie – la creazione del mondo in sei giorni, i miracoli, le resurrezioni, le apparizioni – ma non forniscono elementi verificabili. L’invito a “credere senza vedere” può apparire nobile a chi è già credente, ma per altri è un campanello d’allarme. In ambito scientifico, chi afferma qualcosa ha l’onere della prova. Se un libro sostiene che il sole si è fermato nel cielo (come in Giosuè 10,13) o che un profeta è salito in cielo su un carro di fuoco (2 Re 2,11), il lettore critico non si accontenta del “lo dice la Scrittura”. Pretende riscontri. E in mancanza di questi, sospende il giudizio. O lo rigetta del tutto. Leggere i testi sacri può essere un'esperienza illuminante anche per chi non crede. Ma l'effetto non è necessariamente quello auspicato dalle istituzioni religiose. Per molti, è proprio lo studio diretto delle Scritture che li conduce a dubitare, a prendere distanza, o a diventare atei. Non per ribellione o superficialità, ma per coerenza con i propri strumenti critici, per rispetto della ragione e per onestà intellettuale. LPB Lillo Paris Bobigny>>.

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Dunque, LPB esordisce scrivendo:

<<È opinione diffusa che la lettura delle Scritture rafforzi la fede. Ma, per molti, avviene l’esatto contrario: leggere i testi sacri è proprio ciò che li conduce a metterla in discussione, fino ad abbandonarla del tutto. Non si tratta di un paradosso, ma di un'esperienza che accomuna numerosi ex credenti, per i quali il contatto diretto con la Bibbia, il Corano o altri testi religiosi ha rappresentato un punto di rottura, non di conversione>>.

È vero, può succedere che <<la lettura delle Scritture>> possa condurre <<a metterla in discussione, fino ad abbandonarla del tutto>>.

Ma se questa osservazione intende essere un’apologia della falsità della Bibbia, allora LPB prende un abbaglio; la reazione di rifiuto del singolo di per sé NON attesta affatto la verità di quella reazione, o meglio: non attesta affatto la falsità di ciò che ha causato quel rifiuto; dedurre ciò sarebbe prova di un semplicismo disarmante.

E ciò NON è neppure <<un paradosso>>, giacché la Bibbia non sfolgora di evidenze abbacinanti, tali da costringere sempre e comunque all’assenso verso di essa.

Qui, il discorso di LPB si mostra si dal principio VIZIATO dal PREGIUDIZIO secondo cui, poiché essa è ritenuta “Parola di Dio”, allora debba per forza impedire qualsiasi reazione critica nei suoi confronti e conseguente abbandono di essa e della fede.

D’altronde, ciò NON deve affatto stupire, giacché <<conversioni>> o <<rotture>> sono all’ordine del giorno, sotto ogni latitudine:

si cambia (si rinnega) una fede/religione;

si cambia (si rinnega) il proprio ateismo;

si cambia (si rinnega) un partito politico;

si cambia (si rinnega) una squadra di calcio;

si cambia (si rinnega) un’etica;

si cambia (si rinnega) un’opinione…

Senonché, LPB subito dopo chiede:

<<Come mai?>>

Leggiamo le sue risposte:

<<Il primo motivo, spesso sottovalutato, è la distanza tra le aspettative e la realtà del testo. Chi si accosta alle Scritture aspettandosi parole elevate, rivelazioni divine e saggezza eterna, si imbatte frequentemente in genealogie infinite, norme arcaiche, prescrizioni tribali e racconti violenti. Scoprire che il "libro più letto del mondo" contiene incitamenti allo sterminio di interi popoli, regolamenti su come acquistare e trattare gli schiavi, punizioni per chi lavora di sabato o per i figli disobbedienti, può risultare sconcertante. La Bibbia, ad esempio, non nasconde l’uccisione sistematica dei nemici di Israele per ordine divino, né l’idea che le donne siano subordinate, impure durante il ciclo mestruale o colpevoli del peccato originale. Il Corano, a sua volta, prescrive punizioni corporali, legittima la poligamia e dedica ampio spazio alla guerra contro gli “infedeli”. Non si tratta solo di interpretazioni: questi contenuti sono testualmente presenti, e molti lettori li incontrano per la prima volta con incredulità>>.

Per lui, una motivazione per <<mettere in discussione>> la fede <<fino ad abbandonarla del tutto>>, è costituito dall’ASPETTATIVA, leggendo la Bibbia, di trovarsi dinanzi <<parole elevate>>.

Purtroppo, qui, LPB misconosce del tutto lo statuto complessivo della Bibbia.

Essa è un testo multiforme, che include numerosi generi letterari alquanto differenti. La Bibbia non disdegna neppure di includere situazioni storiche senza addolcimenti idealizzanti, quali appunto guerre, stermini, abomini morali, etc.

Evidentemente LPB nutre anche il PRECONCETTO che, laddove Dio parla, tutto debba essere sempre e comunque avvolto in un manto di rose e caramelle…

Egli si LIMITA a menzionare SOLTANTO (ed in ciò lo capisco, visto che egli, in ossequio al suo pregiudizio, deve in qualche modo corroborare la propria mal celata ostilità alla Bibbia):

<<genealogie infinite, norme arcaiche, prescrizioni tribali e racconti violenti. […] incitamenti allo sterminio di interi popoli, regolamenti su come acquistare e trattare gli schiavi, punizioni per chi lavora di sabato o per i figli disobbedienti […] l’uccisione sistematica dei nemici di Israele per ordine divino, […] l’idea che le donne siano subordinate, impure durante il ciclo mestruale o colpevoli del peccato originale>>,

come se tali elementi costituissero non solo LA TOTALITÀ del contenuto biblico, ma fossero altresì prescrizioni da seguire da parte dei suoi eventuali seguaci in ogni tempo e luogo, senza perciò operare _ da parte di LPB _ la benché minima distinzione tra ciò che era allora situazione normale e ciò che invece oggi non è più accettabile; non distingue tra il caduco ed il permanente, ignora le differenze storico-culturali in nome di un male inteso senso dell’ispirazione biblica.

La concezione (storicamente situata) del divino da parte del popolo ebraico di allora presente nella Bibbia, non è monolitica, ma va progressivamente rischiarandosi e perciò con avvedutezza ci si deve avvicinare, non già mossi dal pio desiderio di reperirvi unicamente <<parole elevate, rivelazioni divine e saggezza eterna>>.

Nella stessa Bibbia alcune caratteristiche di Dio vengono via via relativizzate ed infine abbandonate, ripeto, INTERNAMENTE ALLA STESSA BIBBIA, non altrove!

Per quanto concerne le guerre di Dio, le stragi da Lui ordinate etc., la concezione di Dio posseduta dagli ebrei di allora era connotata dalla potenza/forza (El Gibbor: Dio della forza. <<A number of scholars have traced the etymology to the Semitic root *yl, 'to be first, powerful', despite some difficulties with this view. Elohim is thus the plural construct 'powers'. Hebrew grammar allows for this form to mean "He is the Power (singular) over powers (plural)" [...]>>   (https://en.wikipedia.org/wiki/Names_of_God_in_Judaism#cite_ref-50), quale segno distintivo della Sua presenza efficace in mezzo al popolo ebraico circondato da vicini ed imperi ostili; potenza/forza, poi, che andrà lasciando il passo _ sempre internamente alla stessa Bibbia _ ad una concezione di Dio più matura e perciò sempre meno contaminata da connotati bellici/tribali ed arcaici.

Ciò detto, passiamo al <<secondo motivo di distacco>> dalla fede che LPB avrebbe individuato, motivo <<legato al linguaggio dogmatico. I testi sacri non presentano tesi argomentate, ma verità proclamate>>.

Ma una persona che si avvicinasse alla Bibbia col presupposto di rinvenire in essa <<tesi argomentate>>, si muoverebbe già con una pre-comprensione che non potrà non condurlo ad una conclusione SCETTICO/NEGATIVA nei riguardi della Bibbia.

Che LPB metta in campo questa evenienza, dimostra unicamente come in realtà sia innanzitutto LUI ad approcciarsi ad essa con intenti puramente polemici, mosso cioè da intenzioni unicamente screditanti.

Tanto più che la Bibbia NON è affatto un testo di filosofia, per cui in essa NON vi possono essere <<tesi argomentate>> così come Aristotele argomenta ad esempio nella sua Metafisica; credo che ciò lo sappiano persino i ragazzini del Catechismo…

La Bibbia, non essendo, ripeto, un testo filosofico, presenta i suoi convincimenti MEDIANTE LA FEDE e, come già indicato, non pochi di tali convincimenti vengono gradualmente relativizzati e addirittura condannati (come ad esempio l’abitudine di offrire sacrifici animali…).

Proseguiamo.

Scrive LPB: <<Chi è abituato al pensiero critico, al dubbio, alla ricerca razionale, può provare disagio davanti a una narrazione che non ammette replica, né confronto>>.

Chi fosse <<abituato al pensiero critico, al dubbio, alla ricerca razionale>> dovrebbe essere abbastanza intelligente da sapere come sia da perfetti sciocchi avvicinarsi alla Bibbia con l’intenzione di reperirvi VERITÀ d’ordine teologico (a maggior ragione naturalistico-biologico) validabili scientificamente e/o razionalmente.

Per cui è da sciocchi ritener che il contenuto della Bibbia <<non ammett[a] replica, né confronto>>; significa nuovamente non aver capito nulla di essa.

Peraltro, a proposito del <<dubbio>>, ad esempio nella tradizione rabbinica ogni versetto biblico è passibile di una molteplicità di interpretazioni DIFFERENTI, e allorquando si giungesse all’unanimità interpretativa, ciò NON verrebbe visto di buon occhio…

LPB:

<<Versetti che iniziano con “Così dice il Signore” o “Questo è il vero Dio, fuori di Lui non ve n’è alcun altro” non lasciano spazio a dialogo o verifica: impongono>>.

Ecco qui un altro non-senso.

Innanzitutto, l’espressione: “Così dice il Signore” non intende ratificare una TESI bensì esprime un ammonimento o un giudizio che Dio fa pervenire attraverso le parole del profeta.

In secondo luogo, l’espressione: “Questo è il vero Dio, fuori di Lui non ve n’è alcun altro”, era (ed è) tale soltanto per coloro (appunto gli ebrei) che lo accolsero PER FEDE.

Una volta COSÌ accolto, esso certamente diventa vincolante in quanto sancisce il Patto tra Dio e gli ebrei; ma, ripeto, tale vincolo è stato ACCOLTO PER FEDE/FIDUCIA, NON a loro IMPOSTO!

Per cui NON HA SENSO affermare che entrambe le espressioni <<non lasciano spazio a dialogo o verifica: impongono>>, anche perché LPB retroproietta indebitamente i concetti tipicamente moderni di <<dialogo>> e di <<verifica>> nel contesto geo-culturale di un’epoca storica sostanzialmente alieno da essi…

LPB:

<<E in un contesto culturale in cui la libertà di pensiero e il metodo scientifico sono valori fondanti, questa pretesa assolutistica può risultare respingente>>.

Sin qui, si è visto come non sussista alcuna <<pretesa assolutistica>>, bensì soltanto l’infantile pretesa di leggere un testo antico coi presupposti della modernità, anziché con la dovuta contestualizzazione.

Infatti, NON ci si può accostare alla Bibbia come ci accosteremmo ad un trattato scientifico o fisico o matematico… Si deve essere introdotti con accortezza in un universo di idee e simboli ormai lontano dal nostro, ma NON per questo MUTO rispetto al bisogno di senso, giacché la Bibbia non è affatto interessata a dirci COME sia fatto il mondo (men che meno SCIENTIFICAMENTE!), bensì intende indicarci IL SENSO ed IL VALORE di esso, in riferimento a Dio.

LPB:

<<Anche le contraddizioni interne giocano un ruolo importante. L’immagine di Dio nei testi sacri è tutt’altro che coerente. È misericordioso ma stermina popoli, è onnipotente ma deluso dal peccato, è onnisciente ma pone domande retoriche all’uomo, è giusto ma punisce intere generazioni per le colpe dei padri. Il teologo tedesco Hans Küng parlava di “antinomie” teologiche, cioè di opposti inconciliabili che la fede cerca di tenere insieme, ma che a una mente razionale appaiono come veri e propri cortocircuiti logici>>.

Come accennato poc’anzi, l’<<immagine di Dio>> nella Bibbia si presenta con alcune differenziazioni.

Il Dio degli eserciti, forte/potente in guerra, si presenta altresì come il Dio che PERDONA fino alla millesima generazione, e via discorrendo…

Ora, premesso che Dio NON deve sottoporsi ai NOSTRI criteri di logicità e coerenza, va ribadito che alla Bibbia _ ma ciò vale per qualsiasi altro testo antico, religioso o meno _, ci si deve accostare cum grano salis, giacché essa è un testo innanzitutto COMUNITARIO (Chiesa, Sinagoga…), per cui è fondamentale l’introduzione costituita appunto dalla comunità, sia essa la Chiesa, la Sinagoga etc.

Senza di ciò, sarebbe un testo sottoposto all’imperizia dell’arbitrio soggettivo, come dimostra la lettura fattane qui da LPB.

LPB:

<<L’annosa questione del male ne è un esempio: come può un Dio onnipotente, onnisciente e buono tollerare il dolore innocente? Le risposte tradizionali – il libero arbitrio, il peccato originale, la giustizia postuma – appaiono spesso come giustificazioni ex post, non soluzioni convincenti>>.

NESSUNO possiede <<soluzioni convincenti>> per tale questione (come per altre). Neppure la Bibbia fornisce una risposta a livello puramente razionale. Ciò, però, non rappresenta una NEGAZIONE di Dio, giacché _ lo ripeto ancora _, il credente si pone in rapporto a Dio PER FEDE, non grazie a risposte previamente dimostrate scientificamente e/o razionalmente.

LPB:

<<C’è poi l’aspetto storico e mitologico. Leggere i testi sacri senza filtri apologetici fa emergere la loro natura composita, redatta in epoche diverse da autori diversi, spesso in polemica tra loro. I due racconti della creazione in Genesi 1 e 2, le incongruenze tra i Vangeli (sulla genealogia di Gesù, sulla data della crocifissione, sulla scoperta della tomba vuota), le evidenti influenze mesopotamiche nei racconti del Diluvio o della torre di Babele, portano molti a concludere che non si tratti di rivelazioni divine, ma di testi religiosi prodotti da culture antiche, in risposta ai loro bisogni simbolici e identitari. In altre parole: non parole di Dio, ma parole su Dio>>.

Le differenze storico-letterarie interne alla Bibbia non solo sono note a tutti, ma non impediscono affatto che Dio scriva diritto su righe storte, tanto per riportare una citazione di (forse) Jacques Bossuet.

Come già accennato, molti, incluso LPB, nutrono l’ingenua concezione che laddove dovesse parlare Dio, allora tutto debba scorrere beatamente liscio, senza intoppi né scandali.

Invece è proprio l’opposto, appunto perché la Bibbia è un testo UMANO con tutte le sue MISERIE, INCERTEZZE, CONTRADDIZIONI ed OSCURITÀ!

Senonché, internamente a queste, coloro che hanno FEDE incontrano una PRESENZA ALTRA rispetto alle turbolente vicissitudine storiche e dentro le quali tale PRESENZA si cela e si rivela al contempo.

Le <<parole su Dio>> coincidono con le <<parole di Dio>>, e ovviamente ciò NON è dimostrabile scientificamente/razionalmente, lo preciso per tranquillizzare LPB…

Pertanto non vi è nessun <<filtro apologetico>>, bensì un approccio ALTRO rispetto ai pur doverosi approcci storici, e che perciò intravede ALTRO rispetto a ciò che vedono gli storici.

LPB:

<<Un ulteriore elemento di rottura è l’etica. Chi ritiene che la morale debba basarsi sull’empatia, sull’esperienza e sulla dignità umana, difficilmente potrà accettare un’etica rivelata che giustifica la schiavitù, la sottomissione della donna, la pena di morte per l’adulterio o la lapidazione per l’omosessualità. L’idea che il bene e il male dipendano dalla volontà divina – per cui ciò che è comandato da Dio è giusto in quanto tale – contrasta con la sensibilità moderna, per cui l’etica precede la religione e non può derivare dalla paura dell’inferno o dalla speranza del paradiso>>.

Mi pare che LPB continui a stravolgere l’approccio al testo biblico leggendolo da FONDAMENTALISTA, ossia ritenendolo un manuale di comportamento in conformità al quale giustificare o praticare <<la schiavitù, la sottomissione della donna, la pena di morte per l’adulterio o la lapidazione per l’omosessualità>>.

Oggi nessuno (se non appunto i vari fondamentalismi) accetta e pratica simili azioni.

Ma è la stessa Bibbia ad instradarci al loro SUPERAMENTO!

Poi, NESSUNO ha mai negato che <<l’etica precede la religione>>.

In realtà, l’etica precede segue la religione, bensì vi è contemporanea, si ‘muove’ con essa.

Che poi LPB lasci intendere che l’etica possa <<derivare dalla paura dell’inferno o dalla speranza del paradiso>>, costituisce una voluta DEFORMAZIONE del rapporto etica-inferno/paradiso, ove egli ritiene che l’effetto ( = l’inferno) sia la causa ( = l’etica).

Infatti, quando mai l’etica è stata DERIVATA <<dalla paura dell’inferno o dalla speranza del paradiso>>?

Forse nei casi in cui tale paura veniva biecamente strumentalizzata dalla Chiesa per fini di potere, certo, però questo NON ha nulla ha a che fare con lo spirito del Cristianesimo, purtroppo troppo spesso stravolto dalla stessa Chiesa che a volte sfruttò tali paure/speranze in Suo nome!

Sono ben consapevole che anche nelle parole di Gesù figuri l’inferno/la condanna e le ACCETTO in pieno; per chi ha fede, l’inferno è una POSSIBILITÀ (NON una necessità ineluttabile!) che l’uomo deve prendere seriamente in considerazione.

Ma dire ciò, significa tutt’altro dal dire che l’etica DERIVI <<dalla paura dell’inferno o dalla speranza del paradiso>> giacché, AL CONTRARIO, è l’inferno che PUÒ (visto che esso non è una legge inesorabile) derivare da un’etica calpestata e vilipesa, o meglio:

l’inferno PUÒ derivare da una vita eticamente mal spesa in quanto vissuta solo per sé e/o ai danni dell’altro, chiunque egli sia.

Se ben ricordo, Martin Lutero diceva che si deve AMARE Dio anche se fossimo irrimediabilmente destinati all’inferno, per cui figuriamoci se per un cristiano avveduto dall’inferno possa mai derivare l’etica!

LPB:

<<Infine, molti lettori si confrontano con un problema più radicale: l’assenza di prove. I testi sacri fanno affermazioni straordinarie – la creazione del mondo in sei giorni, i miracoli, le resurrezioni, le apparizioni – ma non forniscono elementi verificabili. L’invito a “credere senza vedere” può apparire nobile a chi è già credente, ma per altri è un campanello d’allarme. In ambito scientifico, chi afferma qualcosa ha l’onere della prova. Se un libro sostiene che il sole si è fermato nel cielo (come in Giosuè 10,13) o che un profeta è salito in cielo su un carro di fuoco (2 Re 2,11), il lettore critico non si accontenta del “lo dice la Scrittura”. Pretende riscontri. E in mancanza di questi, sospende il giudizio. O lo rigetta del tutto>>.

Anche qui, una soverchiante ingenuità pervade il brano di LPB.

Una FEDE che esigesse <<prove>> non sarebbe più fede, è ovvio no?

Le cosiddette <<affermazioni straordinarie>> della Bibbia che egli menziona, non sono affermazioni con pretese di scientificità _ aspetto estraneo agli scrittori della Bibbia _, per cui esse NON devono essere considerate affermazioni SCIENTIFICHE su come sia fatto il mondo, bensì intendono testimoniare, NELLA FEDE, l’opera di Dio dietro/attraverso gli eventi.

Egli precisa:

<<L’invito a “credere senza vedere” può apparire nobile a chi è già credente, ma per altri è un campanello d’allarme. In ambito scientifico, chi afferma qualcosa ha l’onere della prova>>;

mi si perdonerà, ma che sciocchezza è mai questa?

Poiché la Bibbia NON è un testo scientifico intende esserlo, allora che SENSO potrà mai avere affermare:

<<In ambito scientifico, chi afferma qualcosa ha l’onere della prova>>?

Nessun senso, appunto perché, parlando della Bibbia, NON siamo in quell’ambito in cui <<chi afferma qualcosa ha l’onere della prova>>!

Ed osserva ancora LPB:

<<Se un libro sostiene che il sole si è fermato nel cielo (come in Giosuè 10,13) o che un profeta è salito in cielo su un carro di fuoco (2 Re 2,11), il lettore critico non si accontenta del “lo dice la Scrittura”. Pretende riscontri. E in mancanza di questi, sospende il giudizio. O lo rigetta del tutto>>.

Avrà mai sentito parlare, LPB, almeno delle metafore bibliche? Dei suoi simboli? Delle sue interpretazioni teologiche in seno ad eventi nei quali si ‘vedeva’ (e si ‘vede’ tutt’ora, per chi ha FEDE) la ‘mano’ di Dio?

Ed ancora, avrà egli contezza delle saghe, dei racconti eziologici, dei miti presenti in alcuni testi della Bibbia?

Dubito fortemente, visto l’andazzo del suo post…

È abbastanza divertente come egli sentenzi: <<il lettore critico non si accontenta del “lo dice la Scrittura”. Pretende riscontri>>.

<<Pretende riscontri>>?

Questa è davvero grossa!

Ripeto: colui che dovesse approcciarsi alla Bibbia pretendendo <<riscontri>> (è sottinteso: scientifici, provati, dimostrati…), NON avrebbe capito niente di essa NÉ gli interesserebbe capirla, giacché partirebbe già ‘forte’ del suo bagaglio di pre-comprensioni con l’unica finalità di evidenziarne storture, incongruenze, violenze, contraddizioni…, esattamente come sta facendo LPB…

Avviandosi alla conclusione, scrive:

<<Leggere i testi sacri può essere un'esperienza illuminante anche per chi non crede. Ma l'effetto non è necessariamente quello auspicato dalle istituzioni religiose. Per molti, è proprio lo studio diretto delle Scritture che li conduce a dubitare, a prendere distanza, o a diventare atei. Non per ribellione o superficialità, ma per coerenza con i propri strumenti critici, per rispetto della ragione e per onestà intellettuale. LPB Lillo Paris Bobigny>>.

Sì, certo: <<l'effetto non è necessariamente quello auspicato dalle istituzioni religiose>> _ anche qui: ma CHI ha mai preteso ciò? LPB lancia accuse generiche, spara nel mucchio sperando di colpire qualcosa _, proprio perché vi sono persone come LPB che mettono mano a tematiche che ignorano vistosamente, cosicché il risultato che essi spargono sia una grossolana quanto distorta ‘visione’ della Bibbia confezionata alla bell’e meglio nonché ad uso e consumo per coloro in cerca di facili capri espiatori; pertanto non ci si può stupire se, per alcuni, nel leggere i testi sacri <<l'effetto non è necessariamente quello auspicato dalle istituzioni religiose>>.

E aggiunge: <<Per molti, è proprio lo studio diretto delle Scritture che li conduce a dubitare, a prendere distanza, o a diventare atei>>;

può darsi, come d’altronde avviene in QUALSIASI altro contesto; a mio parere, ciò che davvero <<conduce a dubitare, a prendere distanza, o a diventare atei>> consiste nel leggere la Bibbia esattamente COME CE L’HA QUI PRESENTATA LPB, giacché è palese che la sua ‘lettura’ sia in realtà una raccolta di sedimentati luoghi comuni acriticamente accolti, buttati in pasto ai lettori senza il benché minimo discernimento, per poi concludere grossolanamente quanto indebitamente tirando in ballo una presunta <<coerenza con i propri strumenti critici, per rispetto della ragione e per onestà intellettuale>>, appunto:

quell’<<onestà intellettuale>> che LPB si è dimostrato ben lungi dal far fruttare…


Roberto Fiaschi

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