Rieccomi qua con un altro post (il terzo, per la precisione)
sulle tesi di Lillo Paris Bobigny di cui i due precedenti
commenti sono reperibili ai nn. 174 e 175.
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Il titolo del suo pezzo è:
<<L'ATEISMO NON È UNA RELIGIONE: SMASCHERARE
L’OSSIMORO DELLA "RELIGIONE ATEA">>
Eccolo:
<<Definire l’ateismo come una religione è un
esercizio di acrobazia retorica che regge solo finché si resta nel vago, nel
caricaturale o nel polemico. Non appena si entra nel merito, però, il concetto
implode. Perché l’ateismo, nella sua accezione più basilare e rigorosa, non è
altro che la semplice assenza di credenza in una o più divinità. Non un sistema
filosofico, non una dottrina morale, non una fede alternativa: solo un rigetto,
o una sospensione del consenso, nei confronti dell’affermazione “Dio esiste”.
Tutto il resto – dal razionalismo all’umanesimo laico, dallo scientismo al
materialismo – può accompagnarsi all’ateismo, ma non lo definisce. L’equivoco
nasce da un uso improprio del termine “religione”. Tradizionalmente, una
religione si fonda su almeno tre pilastri: il riferimento a un principio
trascendente o soprannaturale, un insieme codificato di credenze (i dogmi), e
una pratica rituale o comunitaria. Nessuna di queste caratteristiche si applica
all’ateismo in quanto tale. Non c’è dogma, perché non c’è verità rivelata. Non
c’è trascendenza, perché manca l’oggetto trascendente. Non ci sono riti, se non
quelli parodici e autoironici di qualche gruppo goliardico come la “Chiesa del
Mostro di Spaghetti Volante”, nata per dimostrare l’assurdità dell’insegnamento
del creazionismo nelle scuole statunitensi. Chi sostiene che l’ateismo sia una
religione, spesso lo fa con intento polemico: per suggerire che anche gli atei
abbiano una "fede", e quindi non siano più razionali o fondati dei
credenti. Ma questo è un falso simmetrico. Credere in qualcosa senza prove è
una scelta attiva; non credere in qualcosa in assenza di prove non è “credere
al contrario”, ma semplicemente astenersi dal dare credito a un’ipotesi non
corroborata. È come non credere all’esistenza di unicorni, fate o draghi: non
serve fede per dubitare di ciò che non ha evidenza. Un altro malinteso
frequente è legato alla presunta “militanza” di alcuni atei. Se una persona
difende con passione la scienza, la razionalità o i diritti umani, non sta
fondando una religione, né agendo da "devoto del razionalismo". Sta
difendendo metodi o valori che sono, per loro natura, falsificabili,
autocorrettivi, sottoponibili a critica. Al contrario, la religione si fonda su
verità per definizione non negoziabili, perché rivelate da un’autorità
trascendente. L’epistemologia scientifica è, in tal senso, esattamente
l’opposto del dogmatismo: ogni affermazione è valida solo finché regge alla
prova dei fatti. Si potrebbe obiettare che anche tra gli atei esistano visioni
del mondo strutturate, comunità organizzate, eventi collettivi o addirittura
cerimonie “laiche” – come i funerali umanisti o i matrimoni civili celebrati
con una certa solennità. Ma la presenza di una ritualità non implica
automaticamente una religione, così come una squadra di calcio non diventa un
culto solo perché ha i suoi cori, i suoi simboli e i suoi “santi” in maglietta
numero 10. Una comunità non è una chiesa solo perché ha una struttura; ciò che
la definisce è il tipo di autorità su cui si fonda. E in una comunità laica o
atea, nessuno invoca la volontà divina o un ordine soprannaturale. Si cita
talvolta, in chiave di confronto, l’esistenza di religioni prive di divinità,
come certe correnti del buddhismo o del taoismo. Ed è vero: esistono religioni
non teistiche. Ma queste restano religioni proprio per via della dimensione
rituale, spirituale o mistica, per la loro visione ciclica del tempo, per il
senso di sacro attribuito alla realtà. L’ateismo, per sua definizione, non
contempla alcuna dimensione sacra o metafisica. Non offre redenzione, né
rivelazione, né illuminazione. Non pretende risposte ultime, ma lascia spazio a
interrogativi aperti. Infine, va riconosciuto che alcune persone che si
dichiarano atei adottano posizioni fortemente identitarie, a tratti settarie.
Ma anche questo non prova nulla: ogni gruppo umano può degenerare in
tribalismo, anche una comunità scientifica o politica. L’errore sta nel
confondere la sociologia con la filosofia: il fatto che certi atei si
comportino come se avessero una “fede” non trasforma l’ateismo in fede, così
come un fanatico della medicina non trasforma l’evidence-based medicine in
superstizione. Il termine “religione atea” resta dunque un ossimoro: un gioco
retorico che tradisce più il bisogno di screditare l’avversario che la volontà
di capirlo. È un’arma polemica, non un concetto serio. Chi la usa confonde
l’oggetto con la sua negazione, l’affermazione con la sospensione, la credenza
con il dubbio. E se la religione implica, come etimologicamente suggerisce, il
“legarsi” a qualcosa di superiore, l’ateismo è esattamente il gesto contrario:
il rifiuto di legarsi a ciò che non si può dimostrare. LPB Lillo Paris Bobigny>>.
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Vediamo passaggio per passaggio.
Secondo LPB, <<l’ateismo, nella sua accezione più
basilare e rigorosa, non è altro che la semplice assenza di credenza in una o
più divinità. Non un sistema filosofico, non una dottrina morale, non una fede
alternativa: solo un rigetto, o una sospensione del consenso, nei confronti
dell’affermazione “Dio esiste”. Tutto il resto – dal razionalismo all’umanesimo
laico, dallo scientismo al materialismo – può accompagnarsi all’ateismo, ma non
lo definisce>>.
Ad un’analisi un po’ più accurata, l’ateismo NON è <<solo un
rigetto, o una sospensione del consenso, nei confronti dell’affermazione “Dio
esiste”>>.
Dietro a tale <<rigetto>> vi è quasi
sempre una serie di apporti ulteriore al semplice <<rigetto>>.
Tali apporti si esplicano, infatti, nelle motivazioni addotte
al fine di rigettare l’<<affermazione “Dio esiste”>> o
affermare: <<l’ateismo non è una religione>>.
Tali motivazioni possono esser le più svariate ed hanno la
fatale tendenza a tramutarsi in DOGMI laici (vedi sotto).
Ma leggiamo ancora LPB:
<<L’equivoco nasce da un uso improprio del termine “religione”. Tradizionalmente,
una religione si fonda su almeno tre pilastri: il riferimento a un principio
trascendente o soprannaturale, un insieme codificato di credenze (i dogmi), e
una pratica rituale o comunitaria. Nessuna di queste caratteristiche si applica
all’ateismo in quanto tale. Non c’è dogma, perché non c’è verità rivelata. Non
c’è trascendenza, perché manca l’oggetto trascendente. Non ci sono riti, se non
quelli parodici e autoironici di qualche gruppo goliardico come la “Chiesa del
Mostro di Spaghetti Volante”, nata per dimostrare l’assurdità dell’insegnamento
del creazionismo nelle scuole statunitensi>>.
Vediamo chi usa IMPROPRIAMENTE il <<termine “religione”>>.
Esso <<deriva dal latino relìgio, la cui
etimologia non è del tutto chiarita. Il verbo religere (dal latino religāre) significa legare, ossia legarsi a principi e/o valori>> (https://it.wikipedia.org/wiki/Religione#cite_note-3).
LPB RESTRINGE
arbitrariamente il significato di “religione”, confinandolo unicamente in quel che egli, qui
sopra, ha chiamato i <<tre pilastri>>.
Eppure, tra quei <<principi e/o valori>> ai quali <<legarsi>>, spiccano
senza dubbio anche <<principi e/o valori>>
LAICI, per cui la sua indebita restrizione del significato del termine “religione” pare
finalizzato a marcare un ABISSO che separi la “religione” dall’ateismo.
Vediamo dunque il primo <<pilastro>>:
la religione si riferirebbe <<a un principio
trascendente o soprannaturale>>;
è vero che all’ateismo <<manca l’oggetto
trascendente>>, ma questo NON è sufficiente per escludere che esso sia
una religione,
perché solitamente anche l’ateo più distratto non potrà non esser LEGATO ad un determinato
sistema di <<principi
e/o valori>>
che perciò, come tali, fanno di lui un religioso (un LEGATO), seppur non nei confronti di <<un
principio trascendente o soprannaturale>>. Ma l’assenza del
trascendente/soprannaturale importa ben poco, dal momento che LPB, già dal
titolo: <<L'ATEISMO NON È UNA RELIGIONE>>, si prefigge appunto di negare che l’ateismo
sia una religione…
Per quanto concerne il secondo pilastro ovvero <<un
insieme codificato di credenze (i dogmi)>>, direi che NON sia propriamente così,
infatti, innumerevoli volte ho avuto modo di constatare come TUTTI gli atei con
i quali sono venuto in contatto, costellassero i propri discorsi con
riferimenti (per loro) INDISCUTIBILI, INTOCCABILI, quasi SACRI, quindi veri e
propri DOGMI laici che ormai
campeggiano come mantra sulla bocca di tutti, quali ad esempio:
“la LOGICA
impone di negare la contraddittorietà delle affermazioni cristiane”;
“la SCIENZA
dimostra, la fede no”;
“la RAGIONE
nega ciò che è indimostrabile”;
“gli scienziati hanno DIMOSTRATO che…”;
“la maggior parte degli SCIENZIATI è atea”;
“la TEORIA
DELL’EVOLUZIONE darwiniana
ha dimostrato che…”;
“la Bibbia è IRRAZIONALE”,
etc…
Quanto al terzo pilastro: <<una pratica rituale o
comunitaria>>, ebbene, anche qui non è propriamente vero.
La notissima associazione UAAR, cioè l’“Unione degli atei e
degli agnostici razionalisti”, ha affermato che anche l’ateismo è una religione:
<<l’UAAR si interpreta come religione>>
e
<<l’ateismo non potrebbe nemmeno essere distinto
dalla religione>>.
Essa ha altresì espresso il <<soddisfacimento del
bisogno religioso
dell’ateo>> il quale <<si manifesta nella critica alle
religioni>> (vedi qui -> https://www.uccronline.it/wp-content/uploads/2016/04/UAAR-Ricorso-al-Capo-dello-Stato.jpg).
E come ogni religione, anche l’UAAR possiede una sua PRATICA <<comunitaria>>
come ad esempio ATTIVITÀ DI PROSELITISMO (sbattezzo, riviste, etc…) in
varie città d’Italia, appiccicando i loro cartelloni un po’ ovunque.
Pertanto, direi che i tre pilastri esposti da LPB per dimostrare
che l’ateismo non sia una religione
MANCANO il
bersaglio.
Ancora LPB:
<<Chi sostiene che l’ateismo sia una religione, spesso lo fa con
intento polemico: per suggerire che anche gli atei abbiano una "fede", e quindi non
siano più razionali o fondati dei credenti. Ma questo è un falso simmetrico. Credere
in qualcosa senza prove è una scelta attiva; non credere in qualcosa in assenza
di prove non è “credere al contrario”, ma semplicemente astenersi dal dare
credito a un’ipotesi non corroborata. È come non credere all’esistenza di
unicorni, fate o draghi: non serve fede per dubitare di ciò che non ha evidenza>>.
Nessun <<intento polemico>> perché, che
anche gli atei <<abbiano una "fede">>, è un dato antropologico
difficilmente discutibile.
Non importa che egli NON CREDA <<all’esistenza di
unicorni, fate o draghi>>; quel che importa è che, comunque, egli NON
possa MAI prescindere da una qualche forma di FEDE/CREDENZA.
La nostra vita è costantemente sorretta da atti di
FEDE più o meno consapevoli, poiché il futuro che ci sta dinanzi è per
definizione ignoto, per cui ogni nostro progetto esistenziale, per
quanto a corto raggio sia, presuppone il CREDERE che esso troverà soddisfazione
nel suo realizzarsi ancora futuro, quindi, soddisfazione non immediatamente
EVIDENTE né immediatamente (o forse mai) DIMOSTRABILE.
È sì vero che un qualsiasi nostro progetto non venga
solitamente affrontato ciecamente ma ponderato sulla base di ciò che già
conosciamo e che prevediamo possa aiutarci a conseguirlo.
Ma questo NON TOGLIE che il risultato voluto/sperato NON sia
affatto garantito a priori, ed è per tale incertezza che la FEDE è il
costante substrato senza la quale non faremmo neppure un passo…
Torniamo a LPB:
<<Credere in qualcosa senza prove è una scelta
attiva; non credere in qualcosa in assenza di prove non è “credere al
contrario”, ma semplicemente astenersi dal dare credito a un’ipotesi non
corroborata. È come non credere all’esistenza di unicorni, fate o draghi: non
serve fede per dubitare di ciò che non ha evidenza>>.
Solo APPARENTEMENTE vero.
Infatti, il <<non credere in qualcosa [unicorni, fate o
draghi] in assenza di prove>> implica di per sé la FEDE che in
assenza di prove, tale <<qualcosa>> NON esista.
Così come l’<<astenersi dal dare credito a
un’ipotesi non corroborata>>, implica la FEDE che <<a
un’ipotesi non corroborata>> NON si debba dare credito, mentre,
invece, potremmo benissimo (ed il più delle volte lo facciamo) dare credito
anche a ciò che non sia stato corroborato.
Ad esempio, l’<<astenersi dal dare credito>>
all’esistenza di Dio sol perché essa non sarebbe <<un’ipotesi non
corroborata>>, significa CREDERE che finché tale esistenza non venga
corroborata, Dio non esiste.
LPB ribatte:
<<non serve fede per dubitare di ciò che non ha
evidenza>>;
certo, ma serve FEDE per concludere l’inesistenza <<di
ciò che non ha evidenza>>.
Ancora LPB:
<<Un altro malinteso frequente è legato alla
presunta “militanza” di alcuni atei. Se una persona difende con passione la
scienza, la razionalità o i diritti umani, non sta fondando una religione, né
agendo da "devoto del razionalismo". Sta difendendo metodi o valori
che sono, per loro natura, falsificabili, autocorrettivi, sottoponibili a
critica. Al contrario, la religione si fonda su verità per definizione non
negoziabili, perché rivelate da un’autorità trascendente. L’epistemologia
scientifica è, in tal senso, esattamente l’opposto del dogmatismo: ogni
affermazione è valida solo finché regge alla prova dei fatti>>.
Qui abbiamo un minestrone ove egli mescola cose diverse
facendo accostamenti che non stanno né in cielo né in terra.
Parlando di religione, LPB continua a tirare in ballo (vedi
anche il post n° 174)
l’<<epistemologia scientifica>> nella quale <<ogni
affermazione è valida solo finché regge alla prova dei fatti>>,
credendo così di sminuire la religione sol perché essa esula dall’orizzonte
immanentistico in quanto attiene al FONDAMENTO e quindi al SENSO dell’esserci…
Si cimenta nell’APOLOGIA della scienza e della razionalità
senza però rendersi conto di brandire scienza e razionalità come armi
ideologiche per sorreggere un castello ‘metafisico’ di pregiudizi previamente
orientati in senso immanentistico/ateistico.
Già il fatto che egli abbia redatto un post come questo
dimostra chiaramente come la sua ‘difesa’ dei <<metodi o valori che
sono, per loro natura, falsificabili, autocorrettivi, sottoponibili a critica>>
sia tale da rappresentare una DIFESA nei confronti di ciò che non rientra nella
mai definitiva <<prova dei fatti>>, salvo poi dimenticarsi
che ANCHE internamente alla scienza (nonché alla filosofia) vi troneggiano i
suoi bravi DOGMI
come quelli accennati sopra e che ogni buon ateo non manca mai di snocciolare
ad ogni piè sospinto, alla faccia del presunto anti-dogmatismo laico/ateistico…
Proseguiamo ancora un po’.
LPB:
<<Si potrebbe obiettare che anche tra gli atei
esistano visioni del mondo strutturate, comunità organizzate, eventi collettivi
o addirittura cerimonie “laiche” – come i funerali umanisti o i matrimoni
civili celebrati con una certa solennità. Ma la presenza di una ritualità non
implica automaticamente una religione,
così come una squadra di calcio non diventa un culto solo perché ha i suoi
cori, i suoi simboli e i suoi “santi” in maglietta numero 10. Una comunità non
è una chiesa solo perché ha una struttura; ciò che la definisce è il tipo di
autorità su cui si fonda. E in una comunità laica o atea, nessuno invoca la
volontà divina o un ordine soprannaturale>>;
poco cambia, perché <<in una comunità laica o atea>>
verranno invocati altri <<principi e/o valori>>
ai quali i suoi componenti saranno ad essi LEGATI da un vincolo non dissimile da quello religioso.
L’esempio ce lo fornisce lo stesso LPB dove scrive che <<una
squadra di calcio non diventa un culto solo perché ha i suoi cori, i suoi simboli
e i suoi “santi” in maglietta numero 10>>.
Ed invece sì, se si evita di RESTRINGERE indebitamente
<<un culto>> alla sola entità trascendente, giacché
un atteggiamento religioso
RESTA TALE anche in assenza di trascendenza, come è ben evidenziato in ambito
calcistico ove si sprecano i continui riferimenti alla religiosità tradizionale.
Giocatori assurti oramai a IDOLI onnipresenti e visti come i
salvatori della squadra del cuore e della vetta in classifica; non a
caso si parla di SALVEZZA…
Inoltre, chiunque avrà avuto modo di incrociare per strada
persone che vestono (legittimamente) la maglietta (o sciarpa, cappellino…)
della propria squadra a guisa di ‘portafortuna’ o di segnale ‘identitario’,
squadra verso la quale è esplicita la dichiarazione di FEDE in essa.
Come ‘catechismo’ per i più piccoli non mancano neppure i
‘santini’, ossia le figurine dei calciatori; per non parlare dei laicissimi
scontri violenti tra FEDI-religioni
calcistiche diverse…
LPB:
<<Una comunità non è una chiesa solo perché ha una
struttura>>;
etimologicamente sì, è anch’essa una CHIESA ( = <<nel
gr. classico ἐκκλησία, der. di ἐκκαλέω «chiamare»,
significa «adunanza,
assemblea»>> https://www.treccani.it/vocabolario/chiesa/); LAICA quanto si vuole
ma è comunque un’<<ἐκκλησία>>, cambia soltanto il ‘dio’ di riferimento,
trascendente o immanente, ma sempre di religione trattasi…
Ciò è confermato dallo stesso LPB, dove osserva:
<<va riconosciuto che alcune persone che si dichiarano
atei adottano posizioni fortemente identitarie, a tratti settarie. Ma anche
questo non prova nulla: ogni gruppo umano può degenerare in tribalismo, anche
una comunità scientifica o politica. L’errore sta nel confondere la sociologia
con la filosofia: il fatto che certi atei si comportino come se avessero una
“fede” non trasforma l’ateismo in fede, così come un fanatico della medicina
non trasforma l’evidence-based medicine in superstizione>>.
Invece, <<il fatto che certi atei si comportino come
se avessero una “fede”>> ATTESTA che nemmeno loro possono evitar di
esternare una qualche forma di FEDE soggiacente al loro sentire ed al loro
vivere.
Egli, furbescamente, chiama ciò: DEGENERAZIONE tribalistica
ciò che invece è un tratto universale presente in ogni cultura di ogni epoca:
<<Se tu percorrerai la terra, potrai trovare città
senza mura, senza lettere, senza re, senza case, senza ricchezze, senza monete,
senza teatri e palestre; ma
nessuno vide mai né mai vedrà una città senza templi e senza dèi>>.
Plutarco, Adversus Colotem XXXI, 4-5.
Così conclude LPB:
<<Il termine “religione atea” resta dunque un
ossimoro: un gioco retorico che tradisce più il bisogno di screditare
l’avversario che la volontà di capirlo. È un’arma polemica, non un concetto serio.
Chi la usa confonde l’oggetto con la sua negazione, l’affermazione con la
sospensione, la credenza con il dubbio. E se la religione implica, come
etimologicamente suggerisce, il “legarsi” a qualcosa di superiore, l’ateismo è
esattamente il gesto contrario: il rifiuto di legarsi a ciò che non si può
dimostrare>>.
S’è però visto come sia stato proprio LPB ad aver RISTRETTO il
significato di <<religione>>
alla sola trascendenza/Dio.
Infatti, come visto, il <<termine “religione atea”>> è
riconosciuto persino dall’UAAR ed è comunque intrinseco nella stessa dinamica
con la quale l’ateismo diviene un impegno ed un compito quotidiano per coloro
che intendono testimoniarlo con tanto di associazioni, proselitismo,
numerosissime pagine Facebook (e video YouTube) pervicacemente dedicate ad
esso.
Lo stesso LPB riconosce che <<la religione implica, come
etimologicamente suggerisce, il “legarsi” a qualcosa di superiore>>, salvo, poi, cercare
inutilmente di smarcarsi dall’evidenza secondo la quale ANCHE l’ateo è comunque
LEGATO <<a principi e/o valori>> nonché a IDOLI che lo
TRASCENDONO in quanto universali e sempiterni e che perciò ne fanno,
etimologicamente, un religioso.
Per cui è ingenuo dichiarare:
<<l’ateismo è esattamente il gesto contrario: il
rifiuto di legarsi a
ciò che non si può dimostrare>>,
perché <<il rifiuto di legarsi a ciò che non si può dimostrare>>
NON corrisponde al rifiuto di LEGARSI tout court, ed è questo LEGARSI che fa ANCHE
dell’ateismo una religione,
con buona pace di LPB…
Roberto Fiaschi
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