venerdì 9 maggio 2025

176)- DAVVERO «L'ATEISMO NON È UNA RELIGIONE»?

Rieccomi qua con un altro post (il terzo, per la precisione) sulle tesi di Lillo Paris Bobigny di cui i due precedenti commenti sono reperibili ai nn. 174 e 175.

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Il titolo del suo pezzo è:

<<L'ATEISMO NON È UNA RELIGIONE: SMASCHERARE L’OSSIMORO DELLA "RELIGIONE ATEA">>

Eccolo:

<<Definire l’ateismo come una religione è un esercizio di acrobazia retorica che regge solo finché si resta nel vago, nel caricaturale o nel polemico. Non appena si entra nel merito, però, il concetto implode. Perché l’ateismo, nella sua accezione più basilare e rigorosa, non è altro che la semplice assenza di credenza in una o più divinità. Non un sistema filosofico, non una dottrina morale, non una fede alternativa: solo un rigetto, o una sospensione del consenso, nei confronti dell’affermazione “Dio esiste”. Tutto il resto – dal razionalismo all’umanesimo laico, dallo scientismo al materialismo – può accompagnarsi all’ateismo, ma non lo definisce. L’equivoco nasce da un uso improprio del termine “religione”. Tradizionalmente, una religione si fonda su almeno tre pilastri: il riferimento a un principio trascendente o soprannaturale, un insieme codificato di credenze (i dogmi), e una pratica rituale o comunitaria. Nessuna di queste caratteristiche si applica all’ateismo in quanto tale. Non c’è dogma, perché non c’è verità rivelata. Non c’è trascendenza, perché manca l’oggetto trascendente. Non ci sono riti, se non quelli parodici e autoironici di qualche gruppo goliardico come la “Chiesa del Mostro di Spaghetti Volante”, nata per dimostrare l’assurdità dell’insegnamento del creazionismo nelle scuole statunitensi. Chi sostiene che l’ateismo sia una religione, spesso lo fa con intento polemico: per suggerire che anche gli atei abbiano una "fede", e quindi non siano più razionali o fondati dei credenti. Ma questo è un falso simmetrico. Credere in qualcosa senza prove è una scelta attiva; non credere in qualcosa in assenza di prove non è “credere al contrario”, ma semplicemente astenersi dal dare credito a un’ipotesi non corroborata. È come non credere all’esistenza di unicorni, fate o draghi: non serve fede per dubitare di ciò che non ha evidenza. Un altro malinteso frequente è legato alla presunta “militanza” di alcuni atei. Se una persona difende con passione la scienza, la razionalità o i diritti umani, non sta fondando una religione, né agendo da "devoto del razionalismo". Sta difendendo metodi o valori che sono, per loro natura, falsificabili, autocorrettivi, sottoponibili a critica. Al contrario, la religione si fonda su verità per definizione non negoziabili, perché rivelate da un’autorità trascendente. L’epistemologia scientifica è, in tal senso, esattamente l’opposto del dogmatismo: ogni affermazione è valida solo finché regge alla prova dei fatti. Si potrebbe obiettare che anche tra gli atei esistano visioni del mondo strutturate, comunità organizzate, eventi collettivi o addirittura cerimonie “laiche” – come i funerali umanisti o i matrimoni civili celebrati con una certa solennità. Ma la presenza di una ritualità non implica automaticamente una religione, così come una squadra di calcio non diventa un culto solo perché ha i suoi cori, i suoi simboli e i suoi “santi” in maglietta numero 10. Una comunità non è una chiesa solo perché ha una struttura; ciò che la definisce è il tipo di autorità su cui si fonda. E in una comunità laica o atea, nessuno invoca la volontà divina o un ordine soprannaturale. Si cita talvolta, in chiave di confronto, l’esistenza di religioni prive di divinità, come certe correnti del buddhismo o del taoismo. Ed è vero: esistono religioni non teistiche. Ma queste restano religioni proprio per via della dimensione rituale, spirituale o mistica, per la loro visione ciclica del tempo, per il senso di sacro attribuito alla realtà. L’ateismo, per sua definizione, non contempla alcuna dimensione sacra o metafisica. Non offre redenzione, né rivelazione, né illuminazione. Non pretende risposte ultime, ma lascia spazio a interrogativi aperti. Infine, va riconosciuto che alcune persone che si dichiarano atei adottano posizioni fortemente identitarie, a tratti settarie. Ma anche questo non prova nulla: ogni gruppo umano può degenerare in tribalismo, anche una comunità scientifica o politica. L’errore sta nel confondere la sociologia con la filosofia: il fatto che certi atei si comportino come se avessero una “fede” non trasforma l’ateismo in fede, così come un fanatico della medicina non trasforma l’evidence-based medicine in superstizione. Il termine “religione atea” resta dunque un ossimoro: un gioco retorico che tradisce più il bisogno di screditare l’avversario che la volontà di capirlo. È un’arma polemica, non un concetto serio. Chi la usa confonde l’oggetto con la sua negazione, l’affermazione con la sospensione, la credenza con il dubbio. E se la religione implica, come etimologicamente suggerisce, il “legarsi” a qualcosa di superiore, l’ateismo è esattamente il gesto contrario: il rifiuto di legarsi a ciò che non si può dimostrare. LPB Lillo Paris Bobigny>>.

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Vediamo passaggio per passaggio.

Secondo LPB, <<l’ateismo, nella sua accezione più basilare e rigorosa, non è altro che la semplice assenza di credenza in una o più divinità. Non un sistema filosofico, non una dottrina morale, non una fede alternativa: solo un rigetto, o una sospensione del consenso, nei confronti dell’affermazione “Dio esiste”. Tutto il resto – dal razionalismo all’umanesimo laico, dallo scientismo al materialismo – può accompagnarsi all’ateismo, ma non lo definisce>>.

Ad un’analisi un po’ più accurata, l’ateismo NON è <<solo un rigetto, o una sospensione del consenso, nei confronti dell’affermazione “Dio esiste”>>.

Dietro a tale <<rigetto>> vi è quasi sempre una serie di apporti ulteriore al semplice <<rigetto>>.

Tali apporti si esplicano, infatti, nelle motivazioni addotte al fine di rigettare l’<<affermazione “Dio esiste”>> o affermare: <<l’ateismo non è una religione>>.

Tali motivazioni possono esser le più svariate ed hanno la fatale tendenza a tramutarsi in DOGMI laici (vedi sotto).

Ma leggiamo ancora LPB:

<<L’equivoco nasce da un uso improprio del termine “religione”. Tradizionalmente, una religione si fonda su almeno tre pilastri: il riferimento a un principio trascendente o soprannaturale, un insieme codificato di credenze (i dogmi), e una pratica rituale o comunitaria. Nessuna di queste caratteristiche si applica all’ateismo in quanto tale. Non c’è dogma, perché non c’è verità rivelata. Non c’è trascendenza, perché manca l’oggetto trascendente. Non ci sono riti, se non quelli parodici e autoironici di qualche gruppo goliardico come la “Chiesa del Mostro di Spaghetti Volante”, nata per dimostrare l’assurdità dell’insegnamento del creazionismo nelle scuole statunitensi>>.

Vediamo chi usa IMPROPRIAMENTE il <<termine “religione>>.

Esso <<deriva dal latino relìgio, la cui etimologia non è del tutto chiarita. Il verbo religere (dal latino religāre) significa legare, ossia legarsi a principi e/o valori>> (https://it.wikipedia.org/wiki/Religione#cite_note-3).

LPB RESTRINGE arbitrariamente il significato di “religione”, confinandolo unicamente in quel che egli, qui sopra, ha chiamato i <<tre pilastri>>.

Eppure, tra quei <<principi e/o valori>> ai quali <<legarsi>>, spiccano senza dubbio anche <<principi e/o valori>> LAICI, per cui la sua indebita restrizione del significato del termine “religione” pare finalizzato a marcare un ABISSO che separi la “religione” dall’ateismo.

Vediamo dunque il primo <<pilastro>>:

la religione si riferirebbe <<a un principio trascendente o soprannaturale>>;

è vero che all’ateismo <<manca l’oggetto trascendente>>, ma questo NON è sufficiente per escludere che esso sia una religione, perché solitamente anche l’ateo più distratto non potrà non esser LEGATO ad un determinato sistema di <<principi e/o valori>> che perciò, come tali, fanno di lui un religioso (un LEGATO), seppur non nei confronti di <<un principio trascendente o soprannaturale>>. Ma l’assenza del trascendente/soprannaturale importa ben poco, dal momento che LPB, già dal titolo: <<L'ATEISMO NON È UNA RELIGIONE>>, si prefigge appunto di negare che l’ateismo sia una religione

Per quanto concerne il secondo pilastro ovvero <<un insieme codificato di credenze (i dogmi)>>, direi che NON sia propriamente così, infatti, innumerevoli volte ho avuto modo di constatare come TUTTI gli atei con i quali sono venuto in contatto, costellassero i propri discorsi con riferimenti (per loro) INDISCUTIBILI, INTOCCABILI, quasi SACRI, quindi veri e propri DOGMI laici che ormai campeggiano come mantra sulla bocca di tutti, quali ad esempio:   

“la LOGICA impone di negare la contraddittorietà delle affermazioni cristiane”;

“la SCIENZA dimostra, la fede no”;

“la RAGIONE nega ciò che è indimostrabile”;

“gli scienziati hanno DIMOSTRATO che…”;

“la maggior parte degli SCIENZIATI è atea”;

“la TEORIA DELLEVOLUZIONE darwiniana ha dimostrato che…”;

“la Bibbia è IRRAZIONALE”,

etc…

Quanto al terzo pilastro: <<una pratica rituale o comunitaria>>, ebbene, anche qui non è propriamente vero.

La notissima associazione UAAR, cioè l’“Unione degli atei e degli agnostici razionalisti”, ha affermato che anche l’ateismo è una religione

<<l’UAAR si interpreta come religione>>

<<l’ateismo non potrebbe nemmeno essere distinto dalla religione>>.

Essa ha altresì espresso il <<soddisfacimento del bisogno religioso dell’ateo>> il quale <<si manifesta nella critica alle religioni>> (vedi qui -> https://www.uccronline.it/wp-content/uploads/2016/04/UAAR-Ricorso-al-Capo-dello-Stato.jpg).

E come ogni religione, anche l’UAAR possiede una sua PRATICA <<comunitaria>> come ad esempio ATTIVITÀ DI PROSELITISMO (sbattezzo, riviste, etc…) in varie città d’Italia, appiccicando i loro cartelloni un po’ ovunque.




Pertanto, direi che i tre pilastri esposti da LPB per dimostrare che l’ateismo non sia una religione MANCANO il bersaglio.

Ancora LPB:

<<Chi sostiene che l’ateismo sia una religione, spesso lo fa con intento polemico: per suggerire che anche gli atei abbiano una "fede", e quindi non siano più razionali o fondati dei credenti. Ma questo è un falso simmetrico. Credere in qualcosa senza prove è una scelta attiva; non credere in qualcosa in assenza di prove non è “credere al contrario”, ma semplicemente astenersi dal dare credito a un’ipotesi non corroborata. È come non credere all’esistenza di unicorni, fate o draghi: non serve fede per dubitare di ciò che non ha evidenza>>.

Nessun <<intento polemico>> perché, che anche gli atei <<abbiano una "fede">>, è un dato antropologico difficilmente discutibile.

Non importa che egli NON CREDA <<all’esistenza di unicorni, fate o draghi>>; quel che importa è che, comunque, egli NON possa MAI prescindere da una qualche forma di FEDE/CREDENZA.

La nostra vita è costantemente sorretta da atti di FEDE più o meno consapevoli, poiché il futuro che ci sta dinanzi è per definizione ignoto, per cui ogni nostro progetto esistenziale, per quanto a corto raggio sia, presuppone il CREDERE che esso troverà soddisfazione nel suo realizzarsi ancora futuro, quindi, soddisfazione non immediatamente EVIDENTE né immediatamente (o forse mai) DIMOSTRABILE.

È sì vero che un qualsiasi nostro progetto non venga solitamente affrontato ciecamente ma ponderato sulla base di ciò che già conosciamo e che prevediamo possa aiutarci a conseguirlo.

Ma questo NON TOGLIE che il risultato voluto/sperato NON sia affatto garantito a priori, ed è per tale incertezza che la FEDE è il costante substrato senza la quale non faremmo neppure un passo…

Torniamo a LPB:

<<Credere in qualcosa senza prove è una scelta attiva; non credere in qualcosa in assenza di prove non è “credere al contrario”, ma semplicemente astenersi dal dare credito a un’ipotesi non corroborata. È come non credere all’esistenza di unicorni, fate o draghi: non serve fede per dubitare di ciò che non ha evidenza>>.

Solo APPARENTEMENTE vero.

Infatti, il <<non credere in qualcosa [unicorni, fate o draghi] in assenza di prove>> implica di per sé la FEDE che in assenza di prove, tale <<qualcosa>> NON esista.

Così come l’<<astenersi dal dare credito a un’ipotesi non corroborata>>, implica la FEDE che <<a un’ipotesi non corroborata>> NON si debba dare credito, mentre, invece, potremmo benissimo (ed il più delle volte lo facciamo) dare credito anche a ciò che non sia stato corroborato.

Ad esempio, l’<<astenersi dal dare credito>> all’esistenza di Dio sol perché essa non sarebbe <<un’ipotesi non corroborata>>, significa CREDERE che finché tale esistenza non venga corroborata, Dio non esiste.

LPB ribatte:

<<non serve fede per dubitare di ciò che non ha evidenza>>;

certo, ma serve FEDE per concludere l’inesistenza <<di ciò che non ha evidenza>>.

Ancora LPB:

<<Un altro malinteso frequente è legato alla presunta “militanza” di alcuni atei. Se una persona difende con passione la scienza, la razionalità o i diritti umani, non sta fondando una religione, né agendo da "devoto del razionalismo". Sta difendendo metodi o valori che sono, per loro natura, falsificabili, autocorrettivi, sottoponibili a critica. Al contrario, la religione si fonda su verità per definizione non negoziabili, perché rivelate da un’autorità trascendente. L’epistemologia scientifica è, in tal senso, esattamente l’opposto del dogmatismo: ogni affermazione è valida solo finché regge alla prova dei fatti>>.

Qui abbiamo un minestrone ove egli mescola cose diverse facendo accostamenti che non stanno né in cielo né in terra.

Parlando di religione, LPB continua a tirare in ballo (vedi anche il post n° 174) l’<<epistemologia scientifica>> nella quale <<ogni affermazione è valida solo finché regge alla prova dei fatti>>, credendo così di sminuire la religione sol perché essa esula dall’orizzonte immanentistico in quanto attiene al FONDAMENTO e quindi al SENSO dell’esserci…

Si cimenta nell’APOLOGIA della scienza e della razionalità senza però rendersi conto di brandire scienza e razionalità come armi ideologiche per sorreggere un castello ‘metafisico’ di pregiudizi previamente orientati in senso immanentistico/ateistico.

Già il fatto che egli abbia redatto un post come questo dimostra chiaramente come la sua ‘difesa’ dei <<metodi o valori che sono, per loro natura, falsificabili, autocorrettivi, sottoponibili a critica>> sia tale da rappresentare una DIFESA nei confronti di ciò che non rientra nella mai definitiva <<prova dei fatti>>, salvo poi dimenticarsi che ANCHE internamente alla scienza (nonché alla filosofia) vi troneggiano i suoi bravi DOGMI come quelli accennati sopra e che ogni buon ateo non manca mai di snocciolare ad ogni piè sospinto, alla faccia del presunto anti-dogmatismo laico/ateistico

Proseguiamo ancora un po’.

LPB:

<<Si potrebbe obiettare che anche tra gli atei esistano visioni del mondo strutturate, comunità organizzate, eventi collettivi o addirittura cerimonie “laiche” – come i funerali umanisti o i matrimoni civili celebrati con una certa solennità. Ma la presenza di una ritualità non implica automaticamente una religione, così come una squadra di calcio non diventa un culto solo perché ha i suoi cori, i suoi simboli e i suoi “santi” in maglietta numero 10. Una comunità non è una chiesa solo perché ha una struttura; ciò che la definisce è il tipo di autorità su cui si fonda. E in una comunità laica o atea, nessuno invoca la volontà divina o un ordine soprannaturale>>;

poco cambia, perché <<in una comunità laica o atea>> verranno invocati altri <<principi e/o valori>> ai quali i suoi componenti saranno ad essi LEGATI da un vincolo non dissimile da quello religioso.

L’esempio ce lo fornisce lo stesso LPB dove scrive che <<una squadra di calcio non diventa un culto solo perché ha i suoi cori, i suoi simboli e i suoi “santi” in maglietta numero 10>>.

Ed invece sì, se si evita di RESTRINGERE indebitamente <<un culto>> alla sola entità trascendente, giacché un atteggiamento religioso RESTA TALE anche in assenza di trascendenza, come è ben evidenziato in ambito calcistico ove si sprecano i continui riferimenti alla religiosità tradizionale.

Giocatori assurti oramai a IDOLI onnipresenti e visti come i salvatori della squadra del cuore e della vetta in classifica; non a caso si parla di SALVEZZA…

Inoltre, chiunque avrà avuto modo di incrociare per strada persone che vestono (legittimamente) la maglietta (o sciarpa, cappellino…) della propria squadra a guisa di ‘portafortuna’ o di segnale ‘identitario’, squadra verso la quale è esplicita la dichiarazione di FEDE in essa.

Come ‘catechismo’ per i più piccoli non mancano neppure i ‘santini’, ossia le figurine dei calciatori; per non parlare dei laicissimi scontri violenti tra FEDI-religioni calcistiche diverse… 

LPB:

<<Una comunità non è una chiesa solo perché ha una struttura>>;

etimologicamente sì, è anch’essa una CHIESA ( = <<nel gr. classico κκλησία, der. di κκαλέω «chiamare», significa «adunanza, assemblea»>>  https://www.treccani.it/vocabolario/chiesa/); LAICA quanto si vuole ma è comunque un’<<κκλησία>>, cambia soltanto il ‘dio’ di riferimento, trascendente o immanente, ma sempre di religione trattasi…

Ciò è confermato dallo stesso LPB, dove osserva:

<<va riconosciuto che alcune persone che si dichiarano atei adottano posizioni fortemente identitarie, a tratti settarie. Ma anche questo non prova nulla: ogni gruppo umano può degenerare in tribalismo, anche una comunità scientifica o politica. L’errore sta nel confondere la sociologia con la filosofia: il fatto che certi atei si comportino come se avessero una “fede” non trasforma l’ateismo in fede, così come un fanatico della medicina non trasforma l’evidence-based medicine in superstizione>>.

Invece, <<il fatto che certi atei si comportino come se avessero una “fede”>> ATTESTA che nemmeno loro possono evitar di esternare una qualche forma di FEDE soggiacente al loro sentire ed al loro vivere.

Egli, furbescamente, chiama ciò: DEGENERAZIONE tribalistica ciò che invece è un tratto universale presente in ogni cultura di ogni epoca:

<<Se tu percorrerai la terra, potrai trovare città senza mura, senza lettere, senza re, senza case, senza ricchezze, senza monete, senza teatri e palestre; ma nessuno vide mai né mai vedrà una città senza templi e senza dèi>>.

Plutarco, Adversus Colotem XXXI, 4-5. 

Così conclude LPB:

<<Il termine “religione atea” resta dunque un ossimoro: un gioco retorico che tradisce più il bisogno di screditare l’avversario che la volontà di capirlo. È un’arma polemica, non un concetto serio. Chi la usa confonde l’oggetto con la sua negazione, l’affermazione con la sospensione, la credenza con il dubbio. E se la religione implica, come etimologicamente suggerisce, il “legarsi” a qualcosa di superiore, l’ateismo è esattamente il gesto contrario: il rifiuto di legarsi a ciò che non si può dimostrare>>.

S’è però visto come sia stato proprio LPB ad aver RISTRETTO il significato di <<religione>> alla sola trascendenza/Dio.

Infatti, come visto, il <<termine “religione atea”>> è riconosciuto persino dall’UAAR ed è comunque intrinseco nella stessa dinamica con la quale l’ateismo diviene un impegno ed un compito quotidiano per coloro che intendono testimoniarlo con tanto di associazioni, proselitismo, numerosissime pagine Facebook (e video YouTube) pervicacemente dedicate ad esso.

Lo stesso LPB riconosce che <<la religione implica, come etimologicamente suggerisce, il “legarsi” a qualcosa di superiore>>, salvo, poi, cercare inutilmente di smarcarsi dall’evidenza secondo la quale ANCHE l’ateo è comunque LEGATO <<a principi e/o valori>> nonché a IDOLI che lo TRASCENDONO in quanto universali e sempiterni e che perciò ne fanno, etimologicamente, un religioso.

Per cui è ingenuo dichiarare:

<<l’ateismo è esattamente il gesto contrario: il rifiuto di legarsi a ciò che non si può dimostrare>>,

perché <<il rifiuto di legarsi a ciò che non si può dimostrare>> NON corrisponde al rifiuto di LEGARSI tout court, ed è questo LEGARSI che fa ANCHE dell’ateismo una religione, con buona pace di LPB…

 

 Roberto Fiaschi

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