Col presente scritto comincio a prendere in esame alcune obiezioni mosse da parte di un critico (d’ora in poi: C) al teismo biblico/ebraico-cristiano (d’ora in poi: TEC) durante un confronto avvenuto nel 2016 sia su Facebook che in dialoghi privati (d’ora in poi: DP) in relazione al suo saggio (non più reperibile in RETE): ONTOLOGIA & EUTECNICA Frammenti Scomposti in Struttura From threads.
Affronterò il suddetto saggio in diversi post, lasciando parlare gli aspetti etici, umanistici, esistenziali, teologici e soteriologici dell’eternismo o teismo coeternista (d’ora in poi: ETE) in contrapposizione al TEC, onde saggiarne la loro effettiva o presunta rivoluzionarietà, a-dogmaticità, razionalità, modernità rispetto agli equivalenti professati dal TEC.
Mi asterrò, qui, dallo stabilire a quale delle due posizioni _ ETE e TEC _ debba spettare la corona della Verità logica/ontologica/metafisica. Questa precisazione si presta facilmente alla seguente obiezione:
se
si prescinde dal discutere la fondazione onto-logica, allora, che il valore
complessivo del TEC possa risultare preferibile all’ETE non dice però ancora
nulla sulla sua verità rispetto a quest’ultimo, giacché l’ontologia
soggiacente al TEC potrebbe pur sempre rivelarsi contraddittoria, invalidando
tutto ciò che su di essa si fonda, obbligando perciò ad accogliere quegli
aspetti dell’ETE (discussi qui) i quali, per quanto possano eventualmente risultare
spiacevoli, dovranno imporsi in virtù della loro cogenza onto-logica.
Vero; tuttavia _ ammesso ma non concesso che il significato di ‘verità’ ultima e definitiva attenga esclusivamente all’ambito ontologico chiuso in sé _, si tenga presente che dell’articolazione di tale fondazione ontologica neppure nel saggio in esame vi è traccia, in quanto C non l’ha riproposta se non per accenni, sottintendendola già positivamente e definitivamente appurata, cosicché anch’io procederò sottintendendo già acclarata l’aporeticità onto-logica dell’ETE.
Mi limiterò pertanto ad analizzare la Weltanschauung generale proposta da C, tesa a superare il TEC, evidenziando di volta in volta come le critiche da egli avanzate, unitamente alle sue tesi pretese (ri-)fondanti, si ritorceranno (infinitamente aggravate!) contro le sue stesse critiche e dunque sulla medesima Weltanschauung, mediante una sorta di élenchos grazie al quale:
a)- ciò che del TEC il nostro critico negherà in actu exercito, lo presupporrà in actu signato a vantaggio della sua concezione, confermando suo malgrado quel che voleva negare del TEC;
b)- ciò che egli presupporrà in actu signato a conferma dell’ETE, sarà negato (gli si rivolgerà contro) in actu exercito, negando suo malgrado quel che voleva confermare dell’ETE.
Insomma, un ribaltamento di prospettiva tale da condannare la sua impalcatura teo/r/etica a parvenza di un’alternativa, tanto più inevitabile quanto più egli soggiacerà alla convinzione di aver elaborato una proposta filosofica fondata esclusivamente e rigorosamente su dimostrazioni razionali, scevra perciò da pre-supposti altri, appalesandosi esser più propriamente una mito-teologia surrettiziamente spacciata come pura filosofia.
Il ‘cavallo di battaglia’ (comune a moltissimi altri oppositori) delle critiche al TEC è costituito in larghissima parte dallo scandalo della sofferenza, il quale, com’è noto, è sovente utilizzato per dimostrare l’impossibilità dell’esistenza di un onnipotente Dio d’amore.
Da
parte mia occorre subito precisare di non essere in grado di fornire la ‘risposta’
o la ‘prova’ razional-filosofica risolutiva e definitiva che
possa conciliare tranquillamente l’esistenza di Dio con la presenza della sofferenza:
semplicemente essa
non c’è; ma si tenga
presente che tale risposta men che
meno riuscirà
ad esibirla il nostro C
sul piano meramente filosofico-razionale, come vedremo, nonostante la sua
convinzione di avvalersi di un logos incontrovertibile capace di
fornirla.
Suggerirò soltanto alcune direzioni orientative (tratte per lo più dall’ambito biblico ma anche dall’esercizio di una ragione non razionalisticamente ‘onnipotente’) le quali, messe insieme, potrebbero mostrare una ragionevole perspicuità (perspicuità eventualmente valevole, naturalmente, per i non-atei). Non si cerchi di vedervi una comoda strategia, perché l’atto di fede (fides qua), sol che se ne sia bene intesa la sua essenza, non è (e non esige, perché non funziona come) un sistema razionalistico che ambisca risolvere con la forza della sola ragione (magari pretendendo pure di riuscirci incontrovertibilmente!) ogni tema metafisico.
Esistenzialmente/teologicamente parlando, non ho esitazione alcuna nel collocarmi al seguito del TEC, come già indicato nel post 0)-SPIEGONE del presente BLOG, nonostante la durissima realtà della sofferenza _ anzi: (paradossalmente?) è in virtù della sofferenza (ma non soltanto) che mi sento sempre più indirizzato verso di esso _ e nonostante il logos sia incapace di conciliare le due istanze mediante discorsi ineccepibili, in grado di reggere ad ogni obiezione.
Tuttavia, questa incapacità non deve necessariamente rappresentare una preclusione o un ostacolo alla fede (fides qua) nell’esistenza del Dio agàpico rivelato nell’esperienza del Popolo Israelita e dall’Ebreo Gesù Cristo, giacché l’atto di fede (fides qua) non avviene previa capacità di chiarire/risolvere razionalmente ogni contenuto (fides quae) che dovesse apparirci enigmatico/contraddittorio. La fede, insomma, non consiste nel tentativo di riuscir a completare razionalmente un puzzle metafisico/teologico, incastrando ogni pezzo nel suo giusto posto, ove però, qualora una parte risultasse mancante o non inseribile nel quadro d’insieme, il puzzle sarebbe monco, incompleto e quindi da buttar via.
No;
non è un preliminare vaglio razionalistico permettere alla fede la capacità di affermare
Dio (esistente) o meno, né come debba esser concepito, seppur essa non escluda
di avvalersi della miglior concettualità filosofica disponibile, funzionale ad
una miglior seppur parziale (provvisoria?) intellezione.
Dunque, non dovremmo affatto dispiacerci per la presenza _ all’interno della fede (fides quae) _ di ‘buchi neri’ razionalmente irrisolvibili anzi, dovremmo aspettarceli, proprio perché è fede (fides qua) e non sistema filosofico. Ma allora: arbitrio puro? Ovviamente no, poiché l’ermeneutica dei temi (fides quae) che essa pone dinanzi non può prescindere dal dato biblico il quale, poiché è dato, la fede (fides qua) lo riceve come (già) dato (fides quae) a cui attenersi, in quanto ci precede, per poi eventualmente sviscerarlo.
D’altronde,
da una consaputa impossibilità di ‘ricucire’ speculativamente ogni ‘frattura’ metafisica
che un determinato contenuto (fides quae) dovesse comportare, non può
coattivamente discendere ipso facto la falsità dello stesso o la
sua impossibilità tout court; in tali contesti, ritengo sia preferibile,
se non avvolgersi di un onesto silenzio, almeno tratteggiare sobri e provvisori
‘balbettii’, piuttosto che abbandonarsi ad un presuntuoso profluvio di astrattezze
razionalistiche considerate inconfutabili e credute poggianti unicamente su
fondamenta logiche quando, ad uno sguardo più ravvicinato, non di rado si
rivelano poi fragili, mitologemiche, spesso ridicole (vedi post n° 7) e
comunque niente affatto incontraddittorie, oltre ad esser esistenzialmente
sterili.
Tutto ciò, allora, consente e salvaguarda ampio spazio e per la fede (senza perciò coercizzare all’assenso), e per l’esercizio della ragione mediante un’ermeneutica (dell’) inesauribile, tal da non potersi mai dire completamente concluso e soddisfatto il lavoro interpretativo-teologico serio e maturo, consapevole di esser un discorso sempre in fieri, provvisorio (ermeneutica rabbinica) e <<spezzato>> (Karl Barth); consapevolezza però, assente dall’argomentare di C _ che ora andremo ad analizzare _ il quale, in virtù di quella ragione arbitrariamente investita di onnipotenza, creduta perciò in grado di ridurre tutto alla propria ‘chiarezza’, non solo mostra non poche ingenuità _ ove ad esempio enfatizza una supposta conseguita incontrovertibilità del proprio discorso scrivendo:
<<E una volta visto l'incontrovertibile, non è più possibile ragionare come se non lo si fosse visto, a meno che si scelga, per una ragione o per l'altra, di dirigere la mente e le proprie azioni altrove>>;
al che replicherei con Fëdor Dostoevskij:
<<se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità>> (Lettera a N.D. Fonvizina, 1854; in Lettere sulla creatività, p. 51) _,
ma non sembra neppure avvedersi di tirarsi la classica ‘zappa sui piedi’ da sé.
Insomma, C fa tutto da solo, come vedremo, avendomi lasciato soltanto il compito di rilevare e redigere il suo complessivo inguaribile infortunio, cosicché ciò che sperava assurgere ad alternativa teo/r/etica rifondata, razionale, incontrovertibile, antidogmatica ed al passo coi tempi, si rivelerà non solo inane _ poiché si presenterà come un clone malriuscito (paludato razionalisticamente ma in realtà un parto prevalentemente emotivo) di quel TEC che egli avrebbe sperato demolire o comunque oltrepassare _, ma anche intrinsecamente contraddicente-sé, il che, per una ‘filosofia’ che si vorrebbe incontrovertibile, non può che rivelarsi catastrofico.
Come
si evince dal titolo, il tema in oggetto riguarda la proposta filosofica di C, impegnata a soppiantare
definitivamente il Dio abramitico, circa il quale C esprime tutta la propria veemente ostilità,
a volte sconfinante nella solita trivialità, come ad esempio:
<<Un
dio libero e padrone di se che crea o conserva un mondo come il nostro può
essere solo una bestia psicopatica>> (DP);
<<Uno che ha fatto in modo che i viventi sopravvivessero divorandosi a vicenda, la ''catena alimentare'', straziati da zanne ed artigli... il ''dio d'amore''..... E pure gli animali che sono innocenti e senza peccato. Ma ce ne sarebbero TANTE da dire. Tante che mostrano il creatore governatore trascendente dello stesso livello di malvagità dell'assoluto o destino che invia il male, mostri, mostri entrambi>> (DP);
<<Invettiva
teologica: Il cristianesimo è, in essenza, un immondo culto del dolore; ma non
perché considererebbe il dolore come penitenza desiderata ed auspicabile. Non
prima di tutto. Prima di tutto il cristianesimo è culto abominevole del dolore
perché il suo Cristo pazzo e malvagio non ha voluto, nella sua ''opera di
salvezza'', liberare i senzienti, uomini e animali, dalla carenza e dalla
sofferenza IMPOSTE ed INVOLONTARIE; anzi, le ha esaltate come parte necessaria
al raggiungimento della ''salvezza''. Il tutto sbattendosene altamente del
consenso dei suoi ''figli''>> (DP);
<<Razza
di demonio! Vade retro, Cristo! Il Vero Dio e' Eros Phanes, l'Amico
della Felicità, del Piacere, degli stati positivi di coscienza, liberamente
fruiti, cioè dell'Amore e della Libera Esperienza>> (DP);
<<Il
cristianesimo usurpa il concetto di Amore in maniera vergognosa, il Cristo non
ama nessuno se non il Suo Piano e Progetto arrossati di sangue e lacrime. E OSA
chiamarlo AMORE, cioè il nome di EROS! Proprio lui, che costringe i senzienti a
soffrire e a morire!! Cristo che crocifigge gli altri, sordo ad ogni supplica o
disaccordo!! Tramonterai o Cristo CROCIFIGGENTE, ingannevole e melensa maschera
del Tiranno! (Tanto per mostrare la mia simpatia per il dio creatore e
governatore in salsa cristiana, ma anche in tutte le altre salse)>>
(DP);
<<YHWH, con il tuo libero
arbitrio, hai scommesso e perso la scommessa; scommessa con la nostra pelle e
sulla nostra pelle. Tu hai perso e noi abbiamo pagato. Spregevole fantasma,
impiccione inopportuno, invasore di terre pacifiche, buffone che raccoglie dove
non ha seminato, i tuoi talenti sepolti nelle feci dell'umanità, noi ci
caghiamo [sic!] di proposito>>
(Facebook);
<<Quale
grandissimo pezzo di merda [sic!] potrebbe dire ad un'umanità
rovinata dal peccato, dalla malattia e dalla morte: ''Andate e
moltiplicatevi!''. Quale?>> (Facebook, 9 dicembre 2016);
<<Un
Dio IN CONTROLLO CONSERVATIVO della situazione non può essere che pazzo e/o
malvagio. Ricorda Ivan Karamazov. Il Paradiso futuro non vale le sofferenze
imposte di una bambina abusata, nel senso che STRUMENTALIZZARE LA SOFFERENZA
PER EDIFICARE IL PARADISO e' una mostruosità>> (DP),
etc...
Ed
a proposito di Ivan Karamazov, questo è il celebre, straordinario brano di
Fëdor Dostoevskij a cui C
fa riferimento:
<<Ascoltami:
ho preso il caso dei bambini perché tutto fosse più evidente. Di tutte le altre
lacrime dell'umanità, delle quali è imbevuta la terra intera, dalla crosta fino
al centro, non dirò nemmeno una parola, ho ristretto di proposito l'ambito
della mia discussione. Io sono una cimice e riconosco in tutta umiltà che non
capisco per nulla perché il mondo sia fatto così. Vuol dire che gli uomini
stessi hanno colpa di questo: è stato concesso loro il paradiso, ma essi hanno
voluto la libertà e hanno rubato il fuoco dal cielo, pur sapendo che sarebbero
diventati infelici, quindi non c'è tanto da impietosirsi per loro. La mia
povera mente, terrestre ed euclidea, arriva solo a capire che la sofferenza
c'è, che non ci sono colpevoli, che ogni cosa deriva dall'altra direttamente,
semplicemente, che tutto scorre e si livella - ma queste sono soltanto
baggianate euclidee, io lo so, e non posso accettare di vivere in questo modo! […]
Io voglio vedere con i miei occhi il daino sdraiato accanto al leone e la
vittima che si alza ad abbracciare il suo assassino. Voglio essere presente
quando d'un tratto si scoprirà perché tutto è stato com'è stato. Tutte le
religioni di questo mondo si basano su questa aspirazione, e io sono un
credente. Ma ci sono i bambini: che cosa dovrò fare con loro? È questa la
domanda alla quale non so dare risposta. […] Ascolta: se tutti devono
soffrire per comprare con la sofferenza l'armonia eterna, che c'entrano qui i
bambini? Rispondimi, per favore. È del tutto incomprensibile il motivo per cui
dovrebbero soffrire anche loro e perché tocca pure a loro comprare l'armonia
con le sofferenze. Perché anch'essi dovrebbero costituire il materiale per
concimare l'armonia futura di qualcun altro? La solidarietà fra gli uomini nel
peccato la capisco, capisco la solidarietà nella giusta punizione, ma con i
bambini non ci può essere solidarietà nel peccato, e se è vero che essi devono
condividere la responsabilità di tutti i misfatti compiuti dai loro padri,
allora io dico che una tale verità non è di questo mondo e io non la capisco.
Qualche spiritoso potrebbe dirmi che quel bambino sarebbe comunque cresciuto e
avrebbe peccato, ma, come vedete, egli non è cresciuto, è stato dilaniato dai
cani all'età di otto anni. Oh, Alëša, non sto bestemmiando! Io capisco quale
sconvolgimento universale avverrà quando ogni cosa in cielo e sotto terra si
fonderà in un unico inno di lode e ogni creatura viva, o che ha vissuto,
griderà: "Tu sei giusto, o Signore, giacché le tue vie sono state
rivelate!" Quando la madre abbraccerà l'aguzzino che ha fatto dilaniare
suo figlio dai cani e tutti e tre grideranno fra le lacrime: "Tu sei
giusto, o Signore!": allora si sarà raggiunto il coronamento della
conoscenza e tutto sarà chiaro. Ma l'intoppo è proprio qui: è proprio questo
che non posso accettare. E fintanto che mi trovo sulla terra, mi affretto a
prendere i miei provvedimenti. Vedi, Alëša, potrebbe accadere davvero che se
vivessi fino a quel giorno o se risorgessi per vederlo, guardando la madre che
abbraccia l'aguzzino di suo figlio, anch'io potrei mettermi a gridare con gli
altri: "Tu sei giusto, o Signore!"; ma io non voglio gridare allora.
Finché c'è tempo, voglio correre ai ripari e quindi rifiuto decisamente
l'armonia superiore. Essa non vale le lacrime neanche di quella sola bambina
torturata, che si batte il petto con il pugno piccino e prega in quel fetido
stambugio, piangendo lacrime irriscattate al suo "buon Dio"! Non
vale, perché quelle lacrime sono rimaste irriscattate. Ma esse devono essere
riscattate, altrimenti non ci può essere armonia. Ma in che modo puoi
riscattarle? È forse possibile? Forse con la promessa che saranno vendicate? Ma
che cosa me ne importa della vendetta, a che mi serve l'inferno per i
torturatori, che cosa può riparare l'inferno in questo caso, quando quei
bambini sono già stati torturati? E quale armonia potrà esserci se c'è
l'inferno? Io voglio perdonare e voglio abbracciare, ma non voglio che si
continui a soffrire. E se la sofferenza dei bambini servisse a raggiungere la
somma delle sofferenze necessaria all'acquisto della verità, allora io dichiaro
in anticipo che la verità tutta non vale un prezzo così alto. Non voglio insomma
che la madre abbracci l'aguzzino che ha fatto dilaniare il figlio dai cani! Non
deve osare perdonarlo! Che perdoni a nome suo, se vuole, che perdoni l'aguzzino
per l'incommensurabile sofferenza inflitta al suo cuore di madre; ma le
sofferenze del suo piccino dilaniato ella non ha il diritto di perdonarle, ella
non deve osare di perdonare quell'aguzzino per quelle sofferenze, neanche se il
bambino stesso gliele avesse perdonate! E se le cose stanno così, se essi non
oseranno perdonare, dove va a finire l'armonia? C'è forse un essere in tutto il
mondo che potrebbe o avrebbe il diritto di perdonare? Non voglio l'armonia, è
per amore dell'umanità che non la voglio. Preferisco rimanere con le sofferenze
non vendicate. Preferisco rimanere con le mie sofferenze non vendicate e nella
mia indignazione insoddisfatta, anche se non dovessi avere ragione. Hanno
fissato un prezzo troppo alto per l'armonia; non possiamo permetterci di pagare
tanto per accedervi. Pertanto mi affretto a restituire il biglietto d'entrata.
E se sono un uomo onesto, sono tenuto a farlo al più presto. E lo sto facendo.
Non che non accetti Dio, Alëša, gli sto solo restituendo, con la massima
deferenza, il suo biglietto>>.
-
Fëdor Dostoevskij - (I fratelli Karamàzov).
In
questo drammatico testo, Dostoevskij ha mirabilmente espresso il cuore dolente dell’antitesi
Dio//sofferenza, la quale _ secondo C _ imporrebbe l’urgenza di espellere definitivamente
dai nostri orizzonti filosofico-esistenziali uno dei due corni
del dilemma _ precisamente Dio, insieme alla di Lui <<armonia
superiore>> _ per ripensarLo sostituendoLo mediante la proposta eternista.
Si
badi: per C
non si deve eliminare Dio simpliciter, bensì soltanto (o
prioritariamente) il Dio biblico-abramitico.
All’inizio
del suo scritto, C
avverte che:
<<Senza
una buona conoscenza previa e preliminare della Filosofia, ed in particolare
della Filosofia di Emanuele
Severino, Doctor Aeternus, difficilmente avrete accesso al
significato che racchiude questo libro. Volevo avvertirvi. Ma lungi da me
incoraggiarvi alla fatica! Questo libro nasce proprio dall’evitamento della
fatica e dal piacere della ricerca filosofica, della fruizione del significato
originario. Nessuna fatica, quindi, se non l’esistenza stessa>>.
Attenzione
però: per sottrarsi alle spiacevoli conseguenze etico-esistenziali derivanti
dalla compagine del Destino severiniano circa la sofferenza, C in altra situazione
( = discussione su Facebook, 8 agosto 2016 e ss.) precisa quanto
segue:
<<[...]
considero, da tempo, il Destino
severiniano ortodosso un gran pezzo di merda [sic!] sadico
(perchè invia il dolore imposto ed involontario) e masochista (perchè lo invia
a sè stesso), esattamente come la penso dell'Assoluto di Hegel e dell'Atto puro
di Gentile. -Ergo tutti e tre indegni di rappresentare l'Essere->>.
Si
tratterà perciò di saggiare (tra l’altro) anche la pertinenza delle (eventuali)
differenze _ rispetto alla filosofia severiniana _ che conferirebbero all’ETE
di C il
privilegio di non soggiacere al suo poco lusinghiero giudizio nei confronti del
<<Destino severiniano ortodosso>>, al quale peraltro C si rifà.
Infatti,
per non esser travolto dai suddetti epiteti, l’ETE dovrebbe riuscire a smarcarsi
da alcuni capisaldi che C ritiene appartengano soltanto alla teoresi severiniana ma
non al suo ETE, il quale pertanto dovrebbe:
a)-
non inviare
<<il dolore imposto ed involontario>> a se stesso né inviarlo ai
senzienti;
b)-
quindi, non deve
sembrare <<sadico>> né <<masochista>>;
c)-
altre ed eventuali che di volta in volta dovessero emergere...
Vi
riuscirà?
Nota:
in
questo mio scritto, considero acquisita una sufficiente conoscenza della
filosofia severiniana da parte del lettore, la quale pertanto non sarà
ripercorsa analiticamente né verrà discussa criticamente la sua ontologia,
nonostante il sottoscritto scriva accompagnato dalla convinzione _ maturata
attraverso lo studio dei testi di Massimo Donà, soprattutto Aporia del fondamento (2000)
_ che il fondamento sul quale essa poggia non regga, rimandando così al
suddetto straordinario testo per approfondimenti, ove l’autore ha
dettagliatamente analizzato <<i diversi momenti dell’argomentazione
severiniana>> riuscendo a <<delineare i tratti essenziali di
una radicale confutazione
della medesima>>, confutazione <<la cui forza non è
riconducibile (o giustificabile in base) a presupposti in qualche modo estranei
all’argomentazione sviluppata da Severino (sarebbe troppo semplice, nonché
scorretto _ prosegue Donà
_ invocare un’altra logica, per confutare quella operante nelle
parole del testo severiniano [...]), ma risiede tutta nella possibilità
di mostrare, con gli stessi strumenti logici adoperati da Severino, che la sua
soluzione è assolutamente impropria e quindi fondamentalmente ingannevole>>.
E dunque, nello specifico:
quali sono i tratti che costituiscono l’ETE, brandito da C come fosse (o nella speranza che sia) l’apripista per <<una nuova fase dell'eone della Resistenza (al Negativo)>>, al fine di <<vivere all'altezza delle conoscenze del nostro tempo (ma anche solo attenendosi ai Diritti umani)>>, smettendo così <<di adorare o conferire valore positivo assoluto ad un qualsiasi dio concepito come, allo stesso tempo, onnipotente, creatore e conservatore della condizione nella quale ci troviamo: smettere di adorare quel terribile criminale cosmico, insensibile, pazzo e/o malvagio, non riconoscendolo come tale, sarebbe un grande passo avanti nella consapevolezza per la specie umana>>?
Accingiamoci ad analizzare codesto ‘modesto’ <<grande passo avanti nella consapevolezza per la specie umana>>...
C tratteggia una prima panoramica del
suo discorso:
<<Il
rasoio di Ockham ci insegna che Dio esiste; che Dio e' buono; che Dio e' sotto
aggressione e confinamento da parte del Primo Figlio impazzito per amore
abissale; che tutto e tutti sono coscienza; che tutto e tutti sono eterni; che
la nostra e' una fase infetta della storia dell'essere e che siamo tutti
destinati alla purificazione ed alla beatitudine al compimento del ''mortale''
(al termine della vita terrena) assieme, in seguito, a tutto il resto
dell'esistente, con il Ritorno di Dio. Liberare la Potenza dalla Negazione. La
possibilità di scelte e di esiti negativi non deve esistere. E non esisterà
-più-. Gli essenti che costituiscono scelte ed esiti negativi, gli stessi essenti
'scelte negative' ed 'esiti negativi': tutti saranno oltrepassati. Quella sola
possibilità, in ambiente alterato, è una negatività essa stessa. Ed ovviamente,
neppure di 'possibilità' si tratta, ma di certezza. E' sempre stata l'illusione
del negativo la propria inoltrepassabilità. con 'liberare la Potenza dalla
Negazione' intendo che l'ambito generico ed attuale della potenza risente
dell'alterazione causata dalla violenza della Negazione, mentre il panorama
degli essenti libero dalla alterazione mostra una perfetta simmetria tra
potenza e bene, come assenza di ogni offesa ed incontrovertibile inoltrarsi del
Tutto (e quindi tutti) nella Gioia dell'Essere. Nel senso che il fatto di POTERE,
nella Terra del Crepuscolo, è come scardinato dalle altre dimensioni che
dovrebbero apparire se non fosse per l'alterazione. POTERE E' PARTE DEL BENE,
ma nella nostra situazione manca di connessione attuale con le altre dimensioni
che lo completano e ne mostrano la reale identità. […] Sarebbe anche
auspicabile, se si volesse vivere all'altezza delle conoscenze del nostro tempo
(ma anche solo attenendosi ai Diritti umani), smettere di adorare o conferire
valore positivo assoluto ad un qualsiasi dio concepito come, allo stesso tempo,
onnipotente, creatore e conservatore della condizione nella quale ci troviamo: smettere
di adorare quel terribile criminale cosmico, insensibile, pazzo e/o malvagio,
non riconoscendolo come tale, sarebbe un grande passo avanti nella
consapevolezza per la specie umana. Dio non è quel mostro abominevole, frutto
di stadi precedenti dell'emotività e delle conoscenze umane, macchiati di
violenza arcaica. Purificare anche la religiosità umana. Certo. Si apre una
nuova fase dell'eone della Resistenza (al Negativo). […] In più, oltre
che identici, pensiero ed essere sono eterni, quindi nessuna cessazione di
entrambi (o di uno di essi: cosa già confutata senza tirare in ballo l'eternità)
è possibile. Cessazione nel senso di annichilimento e non di oltrepassamento e
conservazione del passato (il vero senso della 'cessazione'). In questo senso Tutto
è Pensiero di Dio, compresi noi che siamo posti ab origine come DISTINTI (ma
non separati) da Dio. E' pensiero di Dio anche la sua relazione con il
negativo, relazione di vittorialità; negativo per 'attivare' il quale è
necessaria la colpa di una Coscienza immensa (rispetto a noi ora) strettamente correlata
con la dimensione finita dell'Essere come dominio proprio ma limitato. In
questo senso, il negativo è l'unico pensiero NON DI DIO ma che SFRUTTA DIO per
manifestarsi, emanato da una Coscienza finita colpevole. […] Il cadavere
del mortale come pelle di muta dell'Eterno. SEI GIA' TUTTO CIO' CHE DIVERRAI,
cioè il tuo sè futuro, che di volta in volta si fa presente, non proviene mai
dal nulla-di-sè, ma è parte della tua eterna identità. E ciò come pura
necessità>>
etc., per molte pagine ancora…
Adesso, introduciamo i seguenti importanti brani di Emanuele Severino, tratti da La Gloria, pag. 65:
<<In quanto l’Io del destino è già, eternamente e necessariamente, tutto ciò che può accadergli _ ossia che può apparire nel suo cerchio _, tutto ciò che può accadergli gli è dunque essenzialmente proprio, gli è essenzialmente appropriato, gli appartiene essenzialmente, è lui stesso. Si tratti di questa vita o di altre. […] In tutto ciò che gli accade _ anche nel dolore estremo _ non può esservi nulla ed egli non può volere nulla di sconcertante e di estraneo. […] Nemmeno il dolore estremo è s-concertante, perché anch’esso è in concerto con l’Io del destino. Chi prova sconcerto e si turba è l’io dell’individuo. E non può che esser così, perché l’io dell’individuo, in quanto non verità, non può vedere la verità del destino, in cui appare il concerto di tutto con tutto>>;
ed a pag. 66:
<<Incontrando se stesso in tutto ciò che gli accade […], l’Io del destino sperimenta il dolore e l’angoscia, ma lascia che sia l’io dell’individuo a provare sconcerto, turbamento, e la forma di dolore e di angoscia che ne conseguono; […] Sa che tutto ciò che gli accade (ossia che appare, entrando nel cerchio finito dell’apparire) è quello che è solo in quanto gli è identico>>.
Accostiamo ora questi due brani severiniani con la già citata affermazione di C, che riporto nuovamente:
<<SEI GIA' TUTTO CIO' CHE DIVERRAI, cioè il tuo sè futuro, che di volta in volta si fa presente, non proviene mai dal nulla-di-sè, ma è parte della tua eterna identità. E ciò come pura necessità>>.
Balza subito agli occhi la strettissima somiglianza contenutistica delle citazioni, sconfinante nell’identità teoretica, in accordo col debito filosofico che C ha ammesso di aver nei confronti di Severino, debito facilmente individuabile nella tesi-cardine dell’eternità di ogni essente, dell’essente in quanto tale, il quale _ come scrive C _ <<non proviene mai dal nulla-di-sé>>.
Almeno
sotto questo aspetto _ che però è l’aspetto fondamentale dell’ETE _, C è perfettamente
ortodosso nei riguardi dell’ontologia severiniana...
Allora, cosa discende da tutto ciò? Lo vediamo subito.
Dostoevskij, s’è visto, rifiuta l’<<armonia superiore>> perché <<Essa non vale le lacrime neanche di quella sola bambina torturata>>.
Giustamente, anche C la rifiuta nettamente, e facendo eco a Dostoevskij, afferma:
<<Ricorda
Ivan Karamazov. Il Paradiso futuro non vale le sofferenze imposte di una
bambina abusata, nel senso che STRUMENTALIZZARE LA SOFFERENZA PER EDIFICARE IL
PARADISO e' una mostruosità>> (DP).
Eppure,
che cosa abbiamo appena letto da parte di Severino e soprattutto di C?
Dal
primo abbiamo appurato che
<<In quanto l’Io del destino è già, eternamente e necessariamente, tutto ciò che può accadergli _ ossia che può apparire nel suo cerchio _, tutto ciò che può accadergli gli è dunque essenzialmente proprio, gli è essenzialmente appropriato, gli appartiene essenzialmente, è lui stesso>>, <<anche nel dolore estremo>>; ed è <<l’io dell’individuo a provare sconcerto, turbamento, e la forma di dolore e di angoscia che ne conseguono>>, pertanto <<Nemmeno il dolore estremo è s-concertante, perché anch’esso è in concerto con l’Io del destino>>, essendo soltanto l’io empirico a non riuscire a scorgere tale concerto.
C lo segue da vicino, scrivendo che tu ( = noi tutti) <<SEI GIA' TUTTO CIO' CHE DIVERRAI, cioè il tuo sè futuro, che di volta in volta si fa presente, non proviene mai dal nulla-di-sè, ma è parte della tua eterna identità. E ciò come pura necessità>>.
Ora, in relazione alla sofferenza, Dostoevskij scrive:
<<Io sono una cimice e riconosco in tutta umiltà che non capisco per nulla perché il mondo sia fatto così. Vuol dire che gli uomini stessi hanno colpa di questo: è stato concesso loro il paradiso, ma essi hanno voluto la libertà e hanno rubato il fuoco dal cielo, pur sapendo che sarebbero diventati infelici, quindi non c'è tanto da impietosirsi per loro>>.
Dostoevskij interpreta la presenza della sofferenza secondo quanto ne dice il libro biblico della Genesi _ cioè come conseguenza di un fortuito quanto tragico incidente metastorico-cosmo-teandrico ( = caduta, peccato) che avrebbe potuto anche non accadere, ma che di fatto c’è _, affermando:
<<ma essi [ = gli esseri umani] hanno voluto la libertà e hanno rubato il fuoco dal cielo, pur sapendo che sarebbero diventati infelici, quindi non c'è tanto da impietosirsi per loro>>.
Invece _ all’opposto _, il punto di vista dell’ETE severiniano e di C sostiene che siamo già da sempre tutto ciò che diverremo (che ci accadrà); e lo siamo necessariamente, sottolineo.
Allora dobbiamo cominciare a trarre una prima infausta conseguenza derivante da tale nefasta premessa teoretica, iniziando col rilevare che proprio nella concezione eternista <<Il Paradiso futuro>> vale <<le sofferenze imposte di una bambina abusata>>, ovvero vale <<STRUMENTALIZZARE LA SOFFERENZA PER EDIFICARE IL PARADISO>>, giacché quegli abusi, quelle sofferenze, quelle torture sono <<GIA' TUTTO CIO' CHE DIVERRAI>>! Sono cioè <<parte della tua eterna identità>>! E tutti questi orrori _ abusi, sofferenze, etc. _ ti/ci appartengono dall’eternità <<come pura necessità>> e perciò tali orrori non potevano non accadere!
Sì, internamente all’ETE vale <<STRUMENTALIZZARE LA SOFFERENZA PER EDIFICARE IL PARADISO>> severiniano.
Leggiamo
ancora Severino, il quale, riferendosi ad un versetto del vangelo di Luca 24:26
<<Non
bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua
gloria?>> = <<nonne
haec oportuit pati Christum et ita intrare in gloriam suam?>>,
scrive:
<<Quell’infinito
patimento è necessario sopportare, quell’infinita grandezza è necessario
mostrare per entrare nella Gloria di quel cammino. “Haec oportebit
pati hominem et ita intrare in gloriam suam”>> - (La Gloria,
pag. 287).
L’equazione
tra l’affermazione di C
e quella di Severino è presto fatta:
la
<<STRUMENTALIZZARE LA SOFFERENZA>> affermata da C
= (equivale a) <<Quell’infinito
patimento [che] è necessario sopportare>> affermato da Severino.
Per quale scopo?
<<PER EDIFICARE IL PARADISO>>,
sostiene C
= (che equivale a)
<<per
entrare nella Gloria>> sostenuto da Severino.
Pertanto,
<<le sofferenze imposte di una bambina abusata>> valgono eccome <<per
entrare nella Gloria>> eternistica!
Senza
<<Quell’infinito patimento>>, niente <<Gloria>>;
così come <<per entrare nella Gloria>>, <<è
necessario sopportare>> quell’<<infinito patimento>>...
C rigetta tutti quegli abusi, quelle
sofferenze, quelle torture, quelle <<mostruosità>> _ attribuendo
la responsabilità della loro presenza al Dio biblico _; però, al contempo, C cos’altro fa?
Cementa eternamente tali abusi/sofferenze nella <<pura
necessità>>!
Le
rifiuta ed insieme non le rifiuta, proprio perché le eternizza!
Certo,
le rifiuta dicendo che saranno (sono già da sempre) oltrepassate, ma ciò non
toglie affatto che esse siano e rimangano onticamente incancellabili in
quanto sono da sempre e per sempre parte inscindibile di quel carcere di
massima crudeltà ontologica qual è il suo Tutto eterno.
<<Ascolta:
_ prosegue Dostoevskij _ se tutti devono soffrire per comprare con la
sofferenza l'armonia eterna, che c'entrano qui i bambini? Rispondimi, per
favore. È del tutto incomprensibile il motivo per cui dovrebbero soffrire anche
loro e perché tocca pure a loro comprare l'armonia con le sofferenze. Perché
anch'essi dovrebbero costituire il materiale per concimare l'armonia futura di
qualcun altro? La solidarietà fra gli uomini nel peccato la capisco, capisco la
solidarietà nella giusta punizione, ma con i bambini non ci può essere
solidarietà nel peccato, e se è vero che essi devono condividere la
responsabilità di tutti i misfatti compiuti dai loro padri, allora io dico che
una tale verità non è di questo mondo e io non la capisco. [...] Finché
c'è tempo, voglio correre ai ripari e quindi rifiuto decisamente l'armonia
superiore. Essa non vale le lacrime neanche di quella sola bambina torturata,
che si batte il petto con il pugno piccino e prega in quel fetido stambugio,
piangendo lacrime irriscattate al suo "buon Dio"! [...] Hanno
fissato un prezzo troppo alto per l'armonia; non possiamo permetterci di pagare
tanto per accedervi. Pertanto mi affretto a restituire il biglietto d'entrata.
E se sono un uomo onesto, sono tenuto a farlo al più presto. E lo sto facendo.
Non che non accetti Dio, Alëša, gli sto solo restituendo, con la massima
deferenza, il suo biglietto>>.
<<Ascolta>>, rivolgendomi ora a C: <<se tutti devono soffrire per comprare con la sofferenza l'armonia eterna, che c'entrano qui i bambini? Rispondimi, per favore>>.
Senonché, egli chiede a me, quasi con aria di sfida:
<<Vediamo
come si giustifica la bimba stuprata e torturata contro la sua volontà...-.->>
(DP).
Tuttavia,
per colui che si considera discepolo di Severino e di McTaggart e che per
giunta disporrebbe di una filosofia ritenuta incontrovertibile e intessuta pazientemente
in virtù di un logos per il quale non vi sarebbero segreti né misteri,
dove, perciò, ad ogni problema metafisico vi sarebbe sempre bell’e pronta un’illuminante
risposta logico-razionale, non dovrebbe esser difficile giustificare...
Visto che per C il Dio abramitico sarebbe <<pazzo e/o malvagio>>, <<bestia psicopatica>>, <<Spregevole fantasma>> etc., allora con quale inconfutabile, incontraddittoria, incontrovertibile, eccelsa, luminosa, rivoluzionaria, eticamente ineccepibile giustificazione la sua (di C) <<Gioia dell'Essere>> (o il suo ‘dio’ <<Eminente>>) conforterebbe Dostoevskij e l’umanità sofferente?
<<Che c'entrano qui i bambini? Rispondimi, per favore>>!
Una prima giustificazione fondamentale de <<la bimba stuprata e torturata contro la sua volontà>> emerge subito dalle stesse premesse ontologiche dell’ETE; e visto che a certa filosofia piace molto far bella mostra di sé, ‘sapendo’ tutto, avendo una parola dirimente su tutto _ perciò essa scrive, sempre scrive, sempre solamente insegna e corregge gli altri, non avendo mai da imparare, giacché pretendendosi incontrovertibile, commisura tutto a se stessa con grande enfasi e perentorietà circa la Verità dell’ente _, allora lasciamola parlare ulteriormente con le parole di C, e vediamo quale profondissima ‘verità’ e quale straordinaria ‘giustificazione’ ha da comunicarci.
Alla suddetta domanda dostoevskijana, l’ETE risponde rilevando che la sofferenza dei bambini è ontologicamente ritenuta necessaria a cagione dell’eternità dell’ente (la quale esclude la contingenza, la casualità, la possibilità, la corruttibilità dell’ente, la sua trasformazione etc.), poiché tutto, ogni ente, ogni evento _ ogni sofferenza! _ è un eterno già-da-sempre-e-per-sempre-esistente. La risposta dell’ETE consisterebbe perciò nel rilevare che, ove tutto sia necessario, allora neppure la sofferenza dei bambini potrà non esserlo, nel preciso modo in cui essa compare!
Infatti, proclamando che <<SEI GIA' TUTTO CIO' CHE DIVERRAI, cioè il tuo sè futuro, che di volta in volta si fa presente, non proviene mai dal nulla-di-sè, ma è parte della tua eterna identità. E ciò come pura necessità>>, C sta dicendo che non solo al problema della sofferenza c’è una risposta filosofica necessaria _ strettamente connessa all’eternità di ogni ente ed accadimento _, ma che la sofferenza stessa ci appartiene come un vestito saldato sulla nostra carne, appunto perché la sofferenza è un ente-unito-eternamente-e-necessariamente-al-sofferente.
Se, come dice Severino, <<Nemmeno il dolore estremo è s-concertante, perché anch’esso è in concerto con l’Io del destino>>, allora nemmeno qualsiasi abuso, qualsiasi violenza, qualsiasi tortura, qualsiasi malattia <<è s-concertante>>, poiché, essendo <<parte della tua eterna identità>> (C), ed essendo <<in concerto con l’Io del destino>> (Severino), sevizie, genocidi e malattie saranno aspetti/accadimenti inalienabili di me stesso, di te, di tutti, ovvero saranno a noi dovuti/capitati <<come pura necessità>> (C) in quanto facenti da sempre parte della nostra persona, visto e considerato che non possiamo liberarci/distaccarci da ciò che ci appartiene necessariamente dall’eternità, non possiamo espellere ciò che noi da sempre e per sempre siamo, poiché sarebbe oramai ‘appurato’ inappellabilmente che <<SEI GIA' TUTTO CIO' CHE DIVERRAI>>, cosicché (mi scuso per gli esempi drammaticamente duri, ma credo sia necessario immedesimarvisi almeno per un momento):
- quella bambina è stata <<stuprata e torturata contro [*] la sua volontà>> perché ciò è in concerto con se stessa, gli appartiene necessariamente:
è <<pura necessità>> (C);
- quel bambino di cui racconta Dostoevskij è stato sbranato dai cani dinanzi agli occhi della madre, perché ciò è in concerto con se stesso (col bambino), gli appartiene necessariamente:
è <<pura necessità>>;
- così lo stesso <<aguzzino che ha fatto dilaniare il figlio dai cani!>> (Dostoevskij) lo ha fatto in quanto ciò è in concerto con se stesso (con l’aguzzino), gli appartiene necessariamente:
è <<pura necessità>>;
- migliaia di persone ad Auschwitz sono state mostruosamente sterminate, perché ciò è in concerto con esse, appartiene [loro] necessariamente:
è
<<pura necessità>>;
-
il patimento della SLA è in concerto con te stesso, ti appartiene
necessariamente:
è
<<pura necessità>>;
-
sei stato discriminato ed impiccato in quanto omosessuale, perché ciò è in
concerto con te stesso, ti appartiene necessariamente:
è
<<pura necessità>>;
- etc…
[*] Si notino le parole di C da me evidenziate in
giallo: <<la bimba stuprata e torturata contro la sua volontà>>.
Ma
nell’ETE, lo spazio per la ‘mia’ o la ‘sua’ volontà è lo spazio
dell’illusione, ossia della fede (nell’accezione negativa severiniana) di
volere ed ottenere ‘questo’ o ‘quello’.
La
suddetta bimba non-vuole-essere-stuprata;
ma siccome ella è un errante che ha fede di poter volere ed ottenere ciò
che è impossibile ottenere (proprio perché lo vuole), ecco allora che ritener
che lo stupro sia da lei subìto <<contro la sua volontà>> è
un puro non-senso, giacché, che possa non-volerlo (e volere
qualcos’altro) è soltanto l’espressione del suo errare, della sua fede (illusoria)
nell’efficacia della sua volontà di alterare l’essente ( = cioè facendolo divenire
‘non-stupro’ partendo dal suo iniziale ‘esser-stupro’).
Pertanto,
che tale bimba non-voglia-esser-stuprata (o che voglia qualcos’altro), è
una volontà che contraddice il destino dell’essente che sorregge tutto l’ETE e secondo
cui, se appare l’esser-stuprati, allora tale violenza non solo è una parte di
<<TUTTO CIO' CHE DIVERRAI, cioè il tuo sè futuro, che di volta in
volta si fa presente>> e che perciò <<è parte della tua
eterna identità>>, ma è altresì necessario che si manifesti
<<come pura necessità>>!
Ecco qui le sublimi ‘giustificazioni’
fornite dall’ETE, valevoli sia per <<la bimba stuprata e torturata
contro la sua volontà>> che per tutti gli innumerevoli altri
casi!
Portando sulle spalle un simile
carico ‘giustificatorio’, C
dovrebbe guardarsi dal chiedere agli altri come giustificherebbero tali nefandezze! Giacché
le giustificazioni cui l’ETE è portatore sono niente meno che strutturali-ontologiche,
impossibili perciò da cancellare
definitivamente!
Irrimediabile e peggiore situazione
di questa, quindi, non è dato immaginare!
Invece, da parte mia, ovvero ponendomi dal punto di vista della fede (fides qua), ribadisco che mi è <<del tutto incomprensibile il motivo per cui dovrebbero soffrire anche loro [i bambini] e perché tocca pure a loro comprare l'armonia con le sofferenze>>, e ripeto altresì che tale incomprensibilità bisogna aspettarsela, sia perché è consequenziale al carattere incidentale e contingente/non-necessitato dell’evento scatenante, colà denominato peccato: non doveva succedere, ma è successo; sia perché quel <<motivo>> è intimo a Dio: non manifestato, non rivelato, non deducibile ‘esternamente’ cioè nel modo in cui potremmo derivare le ragioni del funzionamento di un meccanismo che ripete oggettivamente sempre se stesso.
Se così è _ come ritiene la fede _, <<allora io dico che una tale verità non è di questo mondo e io non la capisco>>, conclude Dostoevskij, ed io ripeto con lui.
Dal punto di vista della fede, non vi sarebbe altro da aggiungere.
Inoltre, farei notare che a Dostoevskij (a tutti noi) è almeno consentito <<Finché c'è tempo [...] correre ai ripari>> e perciò rifiutare <<l'armonia superiore>>, restituendo così <<il biglietto d'entrata>>. Nell’ETE, invece, tutto ciò è impossibile: quel <<tempo>> non c’è mai, sia perché _ come detto _ tutte le sofferenze sono necessarie ed è necessario che appaiano (rimanendo eternamente-identiche-a-sé) _ così come i sofferenti sono tali necessariamente (ed eterni come sofferenti) _, sia perché anche quell’<<armonia>> ( = la Gioia severiniana) verso la quale tutti (attenzione: apparentemente ‘tutti’: vedi post n° 9) sono destinati, non è qualcosa circa la quale sia possibile (se non illudendosi come fa il ‘mortale’ severiniano) <<restituire il biglietto d’entrata>>!
Ricapitolando:
secondo la concezione eternista suesposta, le sofferenze non costituiscono qualcosa di incidentale e di estrinseco rispetto alle persone che le hanno patite, perché qualora dovessero accader-ci, significherebbe inevitabilmente che in realtà esse sono-da-sempre-parte-integrante-ed-inscindibile-di-noi, nonostante finora non fossero ancora comparse. Ne sono parte integrante, giacché l’ETE implica senza possibilità di eccezioni che ogni essente sia eternamente ed indissolubilmente unito al proprio altro che di volta in volta appare, qualsiasi esso sia in ogni nuovo giorno con le sue più disparate situazioni (un viaggio, una malattia, una violenza subita o perpetrata, etc.), di modo che lo stupro subìto da quella bambina le spetti eternamente come un tutt’uno col suo esser quella specifica bambina che di fatto (anzi: necessariamente) è, essendo essa _ devo ricordarlo _ <<GIA' TUTTO CIO' CHE DIVERR[À], cioè il [s]uo sè futuro, che di volta in volta si fa presente>> il quale stupro perciò <<non proviene mai dal nulla-di-sè, ma è parte della [s]ua eterna identità. E ciò come pura necessità>>.
Appunto...
È vero, Severino dice che è soltanto l’<<io empirico>> a non scorgere tale <<concerto>>, tuttavia quel concerto c’è su un altro piano, altrimenti neppure l’<<Io del destino>> potrebbe scorgerlo; esso c’è e pervade l’<<Io del destino>> il quale non si sconcerta dello sconcerto patito dall’io empirico, appunto perché l’<<Io del destino>> è in concerto con tutto ciò che in esso appare in quanto <<gli è dunque essenzialmente proprio, gli è essenzialmente appropriato, gli appartiene essenzialmente, è lui stesso. Si tratti di questa vita o di altre. […] In tutto ciò che gli accade _ anche nel dolore estremo _ non può esservi nulla ed egli non può volere nulla di sconcertante e di estraneo. […] Nemmeno il dolore estremo è s-concertante, perché anch’esso è in concerto con l’Io del destino>> (Severino), e tale concerto universale è identico a _ significa _ quell’<<armonia superiore>> rigettata giustamente da Dostoevskij e da C (i quali però ne fanno la struttura intrinseca della loro ontologia!, appunto perché il loro Tutto eterno è <<la verità del destino, in cui appare il concerto di tutto con tutto>> -
(Severino, op.
cit. pag. 65);
<<armonia>> coincidente per buona parte con quella taoista, eraclitea, stoica, neoplatonica, eckhartiana… severiniana (a cui C si rifà) e forse con alcune tendenze del Cristianesimo particolarmente influenzate da una di quelle figure filosofico-realizzative, ma che non appartiene all’essenza del TEC tout court, giacché in esso, l’irruzione del peccato segna l’inizio di una tragedia storico-metafisica tale da coinvolgere Dio stesso, scompigliando ogni presunta armonia _ o <<Gioia dell'Essere>> come la chiama C _ e rendendo la stessa vittoria di Dio una lotta senza quartiere dall’esito positivo ancora solamente sperato (seppur anticipato, secondo la fede cristiana, nella Croce-Risurrezione di Cristo), speranza ed attesa agonizzanti fino ad oggi, non certo un esito positivo inteso ‘meccanicamente’ <<come pura necessità>>!
Questo è il cuore tragico del Cristianesimo, il quale non è riducibile a quella tiepida camomilla per cuori delicati, propinata in chiave consolatoria e che non conosce sapori forti né turbamenti.
Risulta perciò evidente quanto l’accusa rivolta al Dio biblico di <<STRUMENTALIZZARE LA SOFFERENZA PER EDIFICARE IL PARADISO>> sia una duratura allucinazione ( = pre-giudizio, equivoco) e sbagli clamorosamente bersaglio, se non altro perché _ come minimo _, Dio in Cristo ha combattuto e guarito _ non invitato a cercare rassegnandosi a _ tutte le malattie e sofferenze delle persone che lo attorniavano imploranti.
Il male e la sofferenza sono in primo luogo nemici di Dio stesso <<perché Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse non c'è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale>> - (Sapienza 1: 13-15).
Il dolorismo autolesionistico non appartiene al cuore del TEC sano e liberante, bensì ad alcune ‘sue’ degenerazioni folkloristiche ai confini col patologico.
Roberto
Fiaschi
-----------------------------

Nessun commento:
Posta un commento