Proseguendo dal post n° 6 nell’analisi del testo: ONTOLOGIA & EUTECNICA Frammenti Scomposti in Struttura From threads, scrive il suo autore, che chiamiamo C:
<<Il
punto e' che il 'dio'
cattolico edifica il suo paradiso futuro sulla sofferenza imposta ed involontaria delle
sue creature, che incoraggia ad accettare ed a sottoporre alla sua (alchemica)
trasformazione. Non vorrete mica rovinargli il meraviglioso piano, o blasfemi??
Non vorrete mica fargli perdere qualche preziosa lacrima di frustrazione e
qualche metastasi?? Da parte del 'dio' cristiano, L'IMPOSIZIONE del dolore è,
esattamente, il non aver mai chiesto alcun parere in merito alle sue creature
ed averle lanciate direttamente in gioco a subire la sofferenza. In più il non
aver dotato le sue creature del potere di uscire dal 'gioco' in casi non
fossero d'accordo o non piacesse loro. Ed un 'dio' del genere sarebbe etico ed
amorevole?>>.
Beh, dopo quanto è finora emerso dal post n° 6 (e che andrà vieppiù palesandosi) circa la concezione eternista di C, appare davvero strabiliante leggere quanto appena sopra, non soltanto per l’aspetto sbrigativamente caricaturale che egli opera nei confronti del cosiddetto <<'dio' cattolico>>, ma soprattutto perché quella <<sofferenza imposta ed involontaria delle sue creature>> compete de iure e de facto soltanto al suo ETE, giacché termini come <<imposta ed involontaria>> posson accordarsi esclusivamente con la necessità ontologica, tanto coccolata da C, la quale necessità
1)- è <<imposta>> cioè vincolante, poiché coincide con l’identità con sé dell’essente, senza possibilità di evasione da essa;
2)- è <<involontaria>> in quanto tale identità è già data ab aeterno, non è possibile sceglierla né rifiutarla!
Pertanto l’<<IMPOSIZIONE del dolore>> che C crede di vedere da <<parte del 'dio' cristiano>> è solo più che una sua pervicace distrazione, giacché _ ripeto ancora _ proclamare con gaudente certezza che tu ( = ognuno di noi) <<SEI GIA' TUTTO CIO' CHE DIVERRAI, cioè il tuo sè futuro, che di volta in volta si fa presente>> e che perciò quel <<CIO' CHE>> ( = sofferenze, persecuzioni, torture, stragi, etc...) <<è parte della tua eterna identità>>, significa inevitabilmente affermare che tu sei da sempre quel sofferente di mali incurabili; quel perseguitato/o persecutore; quel torturato/o torturatore; quel criminale, quel genocida che <<di volta in volta si fa presente>>, e tutto ciò _ repetita iuvant _ <<come pura necessità>>!
Il nostro C precisa che:
<<L'interpretazione deterministica dell'eternismo è certamente una delle prime che sorge alla mente, ma questa non coglie la natura dell'identità degli essenti: non c'è alcuna forza che necessita gli enti, che li costringe ad una traiettoria, non c'è alcun destino scritto nel senso di un copione predeterminato, e neppure alcuna negazione della libera volontà: il mostrarsi eterni degli enti mette in luce la loro IDENTITA' specifica (LA LORO). L'eternità degli enti non è altro che l'identità di essi vista come sicura da sempre e come propria da sempre, per ogni singolo ente. Il divenire è il venire in luce ed il congedarsi della vitalità stessa degli spettacoli ontologici. In questo senso, ogni moto, ogni movimento sono parte dell'identità di questo o quell'altro ente che si muove (non diventando altro da sè, ma apparendo man mano lungo la sua identità)>>.
Vero, l’eternità dell’essente severinana non ha nulla a che vedere col determinismo.
Tuttavia, se <<non c'è alcuna forza>> esterna (aggiungo io) <<che necessit[i] gli enti, che li costring[a] ad una traiettoria>> e se <<non c'è alcun destino scritto nel senso di un copione predeterminato>> esterno ad essi, ciò però non toglie che la <<forza>> <<che li costringe ad una traiettoria>> (ovvero il loro <<destino scritto nel senso di un copione predeterminato>>) sia una ‘forza’ puramente intrinseca/immanente ad essi, coincidente cioè con la loro stessa inevadibile identità-con-sé!
Più <<copione predeterminato>> di così non è dato pensare!
Tornando alla frase di C che apre il capitolo, resta ora da rispondere al secondo brano di essa:
<<Da parte del 'dio' cristiano, L'IMPOSIZIONE del dolore è, esattamente, il non aver mai chiesto alcun parere in merito alle sue creature ed averle lanciate direttamente in gioco a subire la sofferenza. In più il non aver dotato le sue creature del potere di uscire dal 'gioco' in casi non fossero d'accordo o non piacesse loro>>.
Mi pare una considerazione piuttosto puerile, giacché essa potrebbe esser rivolta a qualsiasi altra concezione del mondo: ateistica, darwiniana-biologistica, panteistica, eternistica... e quant’altre si possano immaginare; ed invece, guarda un po’, C _ ma non è certamente il solo_ la rivolge per lo più se non esclusivamente al TEC...
Infatti:
I)- neanche nella concezione ateistica, darwiniana-biologistica, la τύχη ha <<mai chiesto alcun parere in merito alle sue creature [per] averle lanciate direttamente in gioco a subire la sofferenza. In più il non aver dotato le sue creature del potere di uscire dal 'gioco' in casi non fossero d'accordo o non piacesse loro>>:
Euripide (Ipsipile):
<<O pensieri mortali o vano errare
degli
uomini,
che
fanno essere a un tempo
e
la τύχη e gli dèi. Perché se c'è
la
týche, che bisogno c'è degli dèi?
E se il potere
è degli dèi, la týche non è più nulla>>;
II)- neanche nella concezione panteistica il Deus sive Natura ha <<mai chiesto alcun parere in merito alle sue creature [per] averle lanciate direttamente in gioco a subire la sofferenza. In più il non aver dotato le sue creature del potere di uscire dal 'gioco' in casi non fossero d'accordo o non piacesse loro>>;
III)- neanche nella concezione eternistica il Destino della necessità severiniano ha <<mai chiesto alcun parere in merito alle sue creature [per] averle lanciate direttamente in gioco a subire la sofferenza. In più il non aver dotato le sue creature del potere di uscire dal 'gioco' in casi non fossero d'accordo o non piacesse loro>>;
IV)- neanche nella concezione idealistica l’Assoluto ha <<mai chiesto alcun parere in merito alle sue creature [per] averle lanciate direttamente in gioco a subire la sofferenza. In più il non aver dotato le sue creature del potere di uscire dal 'gioco' in casi non fossero d'accordo o non piacesse loro>>.
V)- neanche nella concezione evoluzionistico-creatrice l’élan vital ha <<mai chiesto alcun parere in merito alle sue creature [per] averle lanciate direttamente in gioco a subire la sofferenza. In più il non aver dotato le sue creature del potere di uscire dal 'gioco' in casi non fossero d'accordo o non piacesse loro>>;
VI)- e nell’ETE professato da C?
No: neanche il suo ETE (o il <<Dio Eminente>>) ha <<mai chiesto alcun parere in merito alle sue creature [per] averle lanciate direttamente in gioco a subire la sofferenza. In più il non aver dotato le sue creature del potere di uscire dal 'gioco' in casi non fossero d'accordo o non piacesse loro>>...
Tuttavia, C potrebbe far notare che nessuno dei suddetti ‘dèi’ sia connotato come <<etico ed amorevole>>, pertanto nulla di male né di scandaloso che essi non abbiano <<mai chiesto alcun parere [...] alle [loro] creature [per] averle lanciate direttamente in gioco a subire la sofferenza>>.
E quindi soltanto ai danni del Dio biblico si dovrebbe chiedere:
<<Ed un 'dio' del genere sarebbe etico ed amorevole?>>.
C’è però da chiedersi con quale pertinenza ( = sfacciataggine?) un ‘abitante’ ( = un sostenitore) di uno dei suddetti ‘mondi’ _ ivi incluso il mondo tratteggiato da C _, proprio perché non è un abitante del mondo voluto da un Dio <<etico ed amorevole>>, possa assurgere a paradigma di etica ed amorevolezza tout court per poi opporla al TEC.
Infatti, se e poiché quei ‘mondi’ non sono fondati eticamente né amorevolmente _ visto che né la τύχη (o la natura), né il Destino della necessità, né l’Assoluto, né l’élan vital e né il <<Dio Eminente>> o il Tutto coeternista di C posson vantare qualsivoglia titolo di eticità/moralità: come minimo sono neutr(al)i e come tali impossibilitati non soltanto a reperire nella radice del loro essere una qualche eticità, ma sono altresì impossibilitati a fondare un’etica che non sia un’etica puramente funzionale al conatus essendi ed ai rapporti di forza che cercano (conatur) di incrementarlo _, allora domandare dal punto di vista di quei ‘mondi’ se il Dio abramitico sia <<etico ed amorevole>>, significa presuppore la conoscenza di ciò che in realtà deve completamente sfuggir loro, giacché gli oggetti di tale domanda _ ossia l’eticità e l’amorevolezza _ non possono esser conosciuti laddove l’etica sia, quando e se c’è, strutturalmente ( = onticamente) un’evenienza casuale/relativa/infondata/radicata nell’essere originario nonché strutturalmente impersonale ed a-morale.
Attenzione: non intendo affatto asserire che un ateo sia (non possa esser che) immorale, non-etico!
Assolutamente
no.
Dico invece che in ognuno dei citati ‘mondi’ (incluse varianti analoghe), l’etica, non affondando in essi le proprie radici né essendo, perciò, loro parte costitutiva, non potrà che esser un’etica non-radicata, s-radicata, in-fondata, soggetta alla convenienza o alla legge del più forte, senza reali riferimenti/criteri di discernimento, appunto perché _ ripeto _ un’etica senza un originario ancoraggio metafisico non può pretendere di valere maggiormente rispetto ad un’etica antagonista ma ugualmente in-fondata: nel qual caso avremmo il predominio dell’‘etica’ del più forte, ossia di una non-etica.
Nel TEC, l’etica è fondata in Dio, ne è parte costitutiva, essenziale; pertanto ha un fondamento metafisico non-arbitrario, non-casuale, non-cieco, non-impersonale, sebbene sia soggetta a travisamenti e deformazioni molteplici, come purtroppo la storia insegna, proprio in forza del prevalere dell’istanza ego-centrica/utilitaristica/arbitraria, ma pur sempre rimane un’etica fondamentalmente riconducibile alla sua Sorgente metafisica Personale.
Invece:
- In un mondo che sia solo natura, un mondo la cui esistenza sia costitutivamente riconducibile al gioco della τύχη e della necessità, l’etica non potrà che esser casualmente-fondata, ossia in-fondata, quindi avente valore vincolante soltanto inessenzialmente, in base cioè al predominio ora di questa, ora di quella convenienza: vigerà un’etica della sopravvivenza e del più forte.
- In un mondo come il Destino della necessità severiniano, non vigerà alcuna etica, se non nella terra isolata del nichilismo ove, però, domina lo scontro tra diverse ‘etiche’ ( = potenze) che si contendono la scena, come è prassi nel mondo della natura.
- In un mondo riconducibile al <<Dio Eminente>> o al Tutto coeternista di C, pare valgano le medesime considerazioni espresse per il Destino della necessità severiniano. Se così non fosse, cioè se C dovesse prender le distanze dalle implicazioni ‘etiche’ del Destino severiniano, allora non si capisce quale decisiva differenza etica possa sussistere tra il suo <<Dio Eminente>> e il Dio biblico.
C scrive: <<La nascita della biologia darwiniana e' MALE; la formazione della Terra e' MALE; il Big Bang e' MALE. Senza rendersi conto di questo, si e' ancora dei principianti in Etica>> (Facebook).
Già, ma in nome di quale <<Etica>> egli parlerebbe _ suppongo _ da esperto non-principiante?
- Il suo ‘dio’ (o il suo mondo coeternista) è Etico?
Se sì, da cosa lo desume?
E di quale <<Etica>> sarebbe espressione?
- Il suo ‘dio’ (o il suo mondo coeternista) non è Etico?
Allora è ricompreso in uno dei suddetti ‘mondi’ di cui poc’anzi;
pertanto, affermando che <<la formazione della Terra e' MALE; il Big Bang e' MALE>>, egli ci sta al contempo dicendo che anche il suo ‘dio’ (o il suo mondo eternista) <<è MALE>>, dal momento che l’eticità non appartiene strutturalmente all’ETE.
-
C ha forse
in mente i Diritti Umani?
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
(Articolo 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani).
In tal caso, qualora essi fossero germogliati da uno di quei ‘mondi’, quale stabilità assiologica potrebbero esibire, non avendo un radicamento assio-ontologico tale da renderli metafisicamente fondati e vincolanti?
- Forse, la stabilità (im-)posta dalla volontà che essi debbano valere?
E se dovesse prevalere una volontà opposta, cosa rimarrebbe dei Diritti Umani?
- Forse, la stabilità del Bene?
A tal riguardo, C ha scritto:
<<Se un dio può suscitare avversione, la responsabilità e' sua, e ciò dipende dalla sua natura. Se l'avversione e' motivata, non e' necessario spiegare oltre. Se l'avversione non e' motivata, e' sempre responsabilità sua, poiché non e' abbastanza buono da rendere impossibile ogni errore e fastidio nei suoi confronti. Ergo un dio che non splende abbastanza. Oppure un dio che cela in parte il suo splendore sottoponendo alla tentazione creature che non possono vedere il Bene che e'. Ed un tentatore non e' buono. Al Bene evidente non si può che aderire entusiasticamente>>.
Esaminiamo:
1)- <<Se un dio può suscitare avversione, la responsabilità e' sua, e ciò dipende dalla sua natura>>.
Semplicemente ridicolo: la responsabilità è dell’uomo in quanto, non essendo Dio _ ovvero essendo severinianamente un errore/errante; cristianamente un peccatore/peccante _, non può che parlare in nome di un’‘etica’ dei precedenti ‘mondi’, cioè prevalentemente strumentale, convenzionale, fondata sul ‘diritto’ del più forte; un’etica ego-imperialistica, dove il cosiddetto <<Bene>> verosimilmente coincide con l’appagamento unidimensionale del proprio “io”, insaziabile fagocitatore di ogni alterità.
Evidentemente
sfugge a C
che, parlando di etica, non ci si deve tanto riferire a questo o a quel
comandamento; a quest’atteggiamento o a quell’altro atteggiamento da compiere;
si intende, piuttosto, ciò che permette/predispone ogni
comandamento, ogni atteggiamento; ovvero il cuore pulsante dell’Etica _ con l’E maiuscola! _ radicata
metafisicamente in Dio, è appello alla responsabilità e quindi ad uscire
da sé per farsi ostaggio dell’Altro/altri, rispondere di loro, per
loro, asimmetricamente, ove questi, in quanto non tematizzabili né assimilabili
dalla voracità egotica avida di ricondurre tutto a sé, costituiscono la
disalienante breccia nell’immanenza: l’altro-nell’io, lasciando però l’altro altro.
Venendo meno tale appellamento, viene meno anche la risposta: “Eccomi!”, e i Diritti Umani restano poco più che solenni dichiarazioni, importanti ed indispensabili quanto si vuole ma pur sempre galleggianti sul ‘vuoto’, quindi non-sostenuti ed alla lunga non-sostenibili appunto perché non-sostenuti ab intrinseco (visto che tali Diritti vengono sovente calpestati), giacché senza render-sé eticamente ostaggio dell’A/altro, l’etica rimane parodìa di se stessa, formalismo, consuetudine, etichetta, prescrizione o prevaricazione.
2)- <<Se l'avversione non e' motivata, e' sempre responsabilità sua, poiché non e' abbastanza buono da rendere impossibile ogni errore e fastidio nei suoi confronti. Ergo un dio che non splende abbastanza>>.
Evidentemente C desidera un ‘dio’ refrattario nei confronti di <<ogni errore e
fastidio
nei suoi confronti>>,
ossia un ‘dio’ tutto proteso a soddisfare narcisisticamente se stesso, sì;
perché stando a quanto ha scritto, Dio vorrebbe esser soltanto amato, e per
conseguire ciò, dovrebbe fare sì che nessuno possa nutrire <<fastidio
nei suoi confronti>>!
Mi sembra, però, che qui _ più che Dio _ sia in realtà maggiormente (esclusivamente?) chiamato in causa qualche meccanismo infantile atto a soddisfare i propri volubili capricci di bimbo che non tollera la minima incrinatura intorno a sé onde non disconfermare la propria immagine di ego-onnipotente...
Non vorrei scivolare nella fallacia ad personam; si tratta piuttosto della forma mentis che sottostà a simili esternazioni, e riesce davvero difficile omettere di osservare come il ‘dio’ auspicato da C sia solo più che una sua immatura proiezione, al servizio del rispecchiamento di un sé avido di infinite soddisfazioni (ego-)centrate-su-sé, dove l’altro (Dio, in questo caso!) non è lasciato sussistere per ciò che è, bensì viene ‘ritagliato’ in modo da ‘coincidere’ con sé...
Un tale ‘dio’ serve egregiamente a tale scopo, in quanto è visto come scaturigine di piacere auto-confermante il proprio ‘cannibalismo’ solipsistico.
Inoltre, ricordo che se Dio <<non splende abbastanza>>, ciò può richiamare a mo’ di ‘giustificazione’ quanto lo stesso Severino afferma in relazione al suo destino, ove egli afferma che <<L’io dell’individuo non può vedere e capire il destino della verità. Tale io appartiene alla follia della terra isolata. Quando crede di vedere e capire il destino lo equivoca in modo essenziale>>;
ritraducendo il brano in senso biblico:
l’io dell’individuo non può vedere e capire il Dio biblico. Tale io appartiene alla follia del peccato. Quando crede di vedere e capire Dio lo equivoca in modo essenziale, facendone così un idolo: esattamente quel che ne fa C.
Per lui, Dio <<non splende abbastanza>> proprio perché lo considera un idolo = εἴδωλον, la cui radice deriva da = εἶδος = aspetto, forma: ciò-che-è-visibile.
C sta pertanto parlando di un idolo, credendo però di riferirsi al Dio biblico.
Come volevasi dimostrare, anche la sua pretesa che Dio splenda pienamente riflette il desiderio di vedere/possedere, per poi ricondurre a sé l’idolo così veduto/posseduto. C è impaziente, vorrebbe immediatamente imbattersi nell’evidenza sfolgorante del Deus manifestus mediante la chiarezza di una theologia gloriae, non tenendo conto, evidentemente, che all’uomo errante (Severino) o peccatore (TEC), altro non è dato che il Deus absconditus, il quale può esser ‘conosciuto’ soltanto sub contraria specie, in passionibus et cruce...
3)- <<Oppure un dio che cela in parte il suo splendore sottoponendo alla tentazione creature che non possono vedere il Bene che e'. Ed un tentatore non e' buono. Al Bene evidente non si può che aderire entusiasticamente>>.
Arbitrario, ingiustificato quanto strampalato rapporto di causa ( = celare <<in parte il suo [di Dio] splendore>>) ed effetto ( = sottoporre <<alla tentazione creature che non possono vedere il Bene che e'>>)!
Ricordando che <<Nessuno, quando è sottoposto alla prova, dica che è tentato da Dio; perché Dio non è tentatore di male, e non tenta nessuno. Ma ciascun di noi è tentato dalla propria concupiscenza, che lo attrae e lo alletta>> - (Giacomo 1: 13-14), v’è da aggiungere che se Dio <<cela in parte il suo splendore>>, vorrà dire che almeno la restante parte sarà splendore manifesto, che è quanto basta e per non rimanere totalmente al ‘buio’ e per non costringere all’assenso nei confronti del <<Bene>>.
Perciò, scrivere che <<Al Bene evidente non si [possa] che aderire entusiasticamente>>, conferma tutto quanto appena detto circa la psicologia che soggiace a simili affermazioni, oltre che manifestare la tracotante pretesa di mettersi nei panni di Dio per fargli dire e fare ciò che C direbbe e farebbe al Suo posto.
Pretesa che si presenta più volte. Infatti leggiamo:
<<Sono dell'opinione che un Dio buono, se lo volessimo immaginare come creatore, prima di tutto porrebbe le sue creature in un'anticamera dell'esistenza nel mondo, in uno spaziotempo apposito, dove informarle a dovere su ogni cosa importante (ed anche meno importante) per poi lasciare loro la scelta se intraprendere o meno quell'esistenza. E permetterebbe persino di patteggiarne le condizioni, secondo i desideri innocui e gioiosi di entrambe le parti. Certamente non le getterebbe allo sbaraglio in mezzo alle maree ed i flutti della vita, senza informazione nè consenso, come un pezzo di merda [sic!] tiranno antico-orientale! (Ogni riferimento è voluto) [sic!]>>.
Ora, se questi non sono deliri di onnipotenza infantile, come dovremmo chiamarli?
Comunque,
si noti la sconcertante ingenuità di quanto scritto da C.
Egli
dice che Dio _ volendolo <<immaginare come creatore>> _,
<<prima di tutto porrebbe le sue creature in un'anticamera dell'esistenza nel
mondo>>, per poi <<informarle a dovere su ogni cosa
importante>>, lasciandole così libere di scegliere <<se
intraprendere o meno quell' esistenza>>.
Stando però a tale ‘logica’, se si dovesse domandare l’accettazione o meno di nascere ( = comparire, venir creati) <<nel mondo>>, si dovrebbe anche domandare l’accettazione o meno di nascere ( = comparire, venir creati) nell’esistenza dell’<<anticamera>> del mondo, giacché in entrambi i casi di nascita o di creazione pur sempre si tratta. Per porre <<le sue creature in un'anticamera [1] dell'esistenza nel mondo>> è infatti necessario prima crearle, ovviamente; senonché, prima di crearle, Dio dovrebbe porle <<in un'anticamera [2]>> dell’<<anticamera [1] dell'esistenza nel mondo>>, cosicché Dio possa <<informarle a dovere su ogni cosa importante (ed anche meno importante) per poi lasciare loro la scelta se intraprendere o meno quell'esistenza>> nell’<<anticamera [2]>> dell’<<anticamera [1] dell'esistenza nel mondo>>...
Ahimé,
non basta.
Infatti, prima di porle nell’<<anticamera [2]>> dell’<<anticamera [1] dell'esistenza nel mondo>>, Dio dovrà creare le <<sue creature>>, ma prima di crearle, dovrebbe porle nell’<<anticamera [3]>> dell’<<anticamera [2]>> dell’<<anticamera [1] dell'esistenza nel mondo>> cosicché possa <<informarle a dovere su ogni cosa importante (ed anche meno importante) per poi lasciare loro la scelta se intraprendere o meno quell'esistenza>> nell’<<anticamera [3]>> dell’<<anticamera [2]>> dell’<<anticamera [1] dell'esistenza nel mondo>>...
Certo è che, se Dio fosse (come) C, non saremmo mai nati!
Bisognerebbe ricordargli che Dio, quando ha creato l’Uomo, non l’ha gettato <<allo sbaraglio in mezzo alle maree ed i flutti della vita, senza informazione nè consenso, come un pezzo di merda tiranno antico-orientale!>>.
L’Uomo
creato da Dio, prima del peccato, era in Dio _ potremmo anche dire: l’Uomo era in
quell’<<anticamera>>
(= המקום, il Luogo divino = Eden), nella quale ha infine scelto le conseguenze
derivanti dal non prestare fede/fiducia all’ammonimento di Dio:
<<Dio il Signore ordinò all’uomo: ‘Mangia pure da ogni albero del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente morirai’”>> - (Genesi 2:16-17).
E che l’Uomo abbia scelto, C lo afferma esplicitamente:
<<[...] per poi lasciare loro la scelta se intraprendere o meno quell'esistenza>>...
Di pretesa in pretesa, sentite cosa C arrivi ancora a scrivere, senza tema di apparir ridicolo:
<<Per dotare efficacemente le sue creature di libero arbitrio, bastava che ''dio'' creatore ci avesse dotato delle sole capacità di prenderci moderatamente a schiaffi o a male parole, ogni volta che avessimo voluto usar male fino in fondo quell'arbitrio; schiaffi e male parole come limite massimo del male. Certo! Bastava che fare il male, ed usare la forza magari in reazione ad esso, si traducessero, al massimo, nello schiaffeggiare il prossimo od insultarlo! Niente ferite, niente spargimenti di sangue, niente guerre, niente torture, fisiche, morali o mentali, niente abusi pesanti, niente morte: tutte cose superflue, oscene ed assolutamente intollerabili che potevano benissimo essere evitate da un'intelligenza suprema come quella divina. Evitate tramite il solo schiaffeggiamento reciproco, fisico e vocale: grazie a questo limite, avremmo potuto apprendere in pace cosa significava gestire la nostra libertà, nel bene e nel male, senza straziarci vicendevolmente. E chiunque sogghigni sotto i baffi, pensando a quanto sarebbe potuta essere comica ed assurda una situazione del genere o quanto stupida nel ''non prendere sul serio la profondità della libertà e della gravità del male'', si ricordi che qualunque gioco che contempli anche una sola vittima innocente, magari torturata, sventrata od impiccata, non valga MAI la candela>>...
Insomma, il ‘dio’ immaginato da C avrebbe dovuto dotarci di un arsenale di <<schiaffi>> e <<male parole>> al fine di evitare l’insorgere del male!
Un autentico genio!
È infatti tale ‘dio’, non YHWH, che nel libro di Giobbe si rivolge a Dio, non a Giobbe, chiedendoGli:
<<io t'interrogherò e tu mi istruirai. Dov'eri tu quand'io ponevo le fondamenta della terra? Dillo, se hai tanta intelligenza! [...] Certo, tu lo sai, perché allora eri nato
e
il numero dei tuoi giorni è assai grande!>> - (Giobbe 38: 3-4, 21).
<<Certo!>>, esulta trionfale il dio di C. <<Certo!>>: lo vedete? Lui sa!
Egli
avrebbe fatto così, e così avrebbe dovuto essere, <<Certo!>>;
come non averci pensato prima?
Tuttavia, pur nella sua sconfinata, suprema intelligenza, nel giorno della creazione quel ‘dio’ vezzeggiato da C doveva essersi un po’ distratto, giacché la possibilità di <<usar male fino in fondo quell'arbitrio>> presuppone già la presenza del male!
Perciò a cosa servirebbe <<prenderci moderatamente a schiaffi o a male parole>> per evitare il male, se quegli schiaffi e quelle male parole sono già essi stessi conseguenza (o indice della presenza pregressa) del male???
Attenzione però; siamo messi in guardia da C:
<<chiunque sogghigni sotto i baffi, pensando a quanto sarebbe potuta essere comica ed assurda una situazione del genere o quanto stupida nel ''non prendere sul serio la profondità della libertà e della gravità del male'', si ricordi che qualunque gioco che contempli anche una sola vittima innocente, magari torturata, sventrata od impiccata, non valga MAI la candela>>...
Sogghignare <<sotto i baffi>>?
<<comica ed assurda una situazione del genere>>?
Ma no, non sia mai! Come può venir in mente un simile sospetto? Come potremmo sogghignare riguardo un distillato di puro logos nonché quintessenza di razionalità filosofica, un capolavoro speculativo di raffinata chirurgia metafisica, frutto maturo di estenuanti sforzi dianoetici, di insonni, inesauste elaborazioni concettuali?
...Lo vedete? È per evitar di proferire simili sproloqui, che suggerivo (vedi post n° 6: DIO E LA SOFFERENZA) esser preferibile _ riguardo a certe tematiche _ avvolgersi se non in un onesto e composto silenzio, almeno far professione di un bel ‘non so’, anziché azzardare risibili elucubrazioni sedicenti ‘razionali’ o ‘filosofiche’ come quelle appena viste...
Per confermare le proprie tesi, C chiama in soccorso anche J.E. McTaggart:
<<Un Dio onnipotente avrebbe potuto prevenire ogni
peccato, creandoci con nature migliori in ambienti maggiormente favorevoli.
Quindi non dovremmo rispondere a Dio dei nostri peccati (J.E. McTaggart)>>.
Tesi
solo apparentemente sensata.
<<Un Dio onnipotente avrebbe potuto prevenire ogni peccato, creandoci con
nature migliori [...]>>.
Già, lo si
potrebbe dire, chi non lo avrà pensato per un momento? Così dicendo, perciò, McTaggart è disposto a riconoscerGli l’onnipotenza,
seppur soltanto a titolo momentaneo, giusto per far valere la sua critica.
Bene,
ma allora bisognerà completare
il discorso, ovvero giocare il gioco fino in fondo, sintonizzandosi sul suo
stesso tenore argomentativo; se McTaggart riconosce/concede a Dio l’onnipotenza
per avallare la propria critica, allora _ nel rispondergli _ mi sento
pienamente legittimato a concedere a Dio il diritto di sapere ciò che fa; e
visto che Egli è Dio, mi permetto persin di pensare che ne sappia ben
più di McTaggart _ per tacere di C!
Pertanto:
-
si intende riconoscere a Dio l’onnipotenza, seppur per screditarLo?
Ottimo;
allora, se Dio è Dio, bisognerà parimenti riconoscerGli di conoscere meglio di
noi le ragioni delle scelte che ha deciso di realizzare;
-
non Gli si vuol riconoscere quel sapere che ci sopravanza infinitamente?
Perfetto;
ma allora non dovremmo concederGli neppure l’onnipotenza, cosicché la
critica di McTaggart non abbia più luogo di porsi...
Roberto
Fiaschi

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