<<Severino
è proprio colui il quale ci fa apparire incontrovertibilmente che il mondo vero
non è quello in cui abbiamo fede e che per fede consideriamo sicuro. ci fa
vedere chiaramente che questo nostro mondo che rappresenta la caverna di
Platone non è affatto sicuro come pensiamo anzi, è stracolmo di
insicurezze/contraddizioni. Si pensi alle infinite contraddizioni della fede
che abbiamo nelle cose che facciamo, nelle infinite menzogne che ogni attimo
percorrono il mondo, la malvagità, l'odio lun con l'altro, le ingiustizie, le
incomprensioni l'ipocrisia, ecc. La felicità in questo nostro mondo illusorio è
brevissima e illusoria anch'essa. Più caverna di così, come potrebbe essere? Ci
dice, quindi, Severino, che la gioia avverrà dopo la nostra morte (non per
questo egli ci sta dicendo che è meglio morire che vivere né tantomeno come
dobbiamo vivere). E lui la chiama Gioia perché è la risoluzione di tutte le
contraddizioni. Un saluto>>.
Chiedo:
in
che cosa si differenzia il contenuto del suddetto post, da un
discorso cristiano?
In niente,
visto che i temi sono i medesimi, come ad esempio:
(a)-
il <<mondo vero>> severiniano consiste nella <<gioia>>
che <<avverrà dopo la nostra morte>>;
togliamo “severiniano” e sostituiamolo con
“cristiano”, ed abbiamo una perfetta identità.
(b)-
<<questo nostro mondo che rappresenta la caverna di Platone>>
e che perciò è un <<mondo illusorio>> dominato da <<infinite
menzogne>> ed in cui vige la <<malvagità, l'odio l un con
l'altro, le ingiustizie, le incomprensioni l'ipocrisia, ecc.>>;
togliamo <<mondo illusorio>> e
sostituiamolo con “mondo peccatore”, ed anche qui abbiamo una perfetta identità.
Eppure,
il nostro estimatore non
sarà d’accordo su tale perfetta identità, giacché per lui, la differenza
c’è e sarebbe abissale:
tra
il discorso di Severino ed il discorso cristiano passerebbe la stessa
differenza che passa tra verità e fede…
Davvero?
L’estimatore
si rende le cose troppo
facili, e lo si può capire, giacché ‘fa gola’ a tutti
pretendere di estromettersi dall’ambito della fede (evenienza impossibile) per approdare a quello
della verità incontrovertibile.
Dunque,
perché ho enfatizzato: impossibile?
Perché,
sulle fondamenta della stessa teoresi severiniana, ciascuno di noi, ogni
individuo, è fede
cioè (nell’accezione negativa severiniana) è errore, non-verità.
All’errore potrà mai
apparire (esser consapevole de) la verità?
No, riconosce lo stesso Severino:
(1)- <<non è l'individuo che testimonia, cioè pensa esplicitamente la verità. Se fosse
l'individuo a testimoniare la verità, allora la testimonianza sarebbe per
definizione individuale, cioè ridotta allo spazio, al tempo e ai limiti
dell'individuo. Bisogna vedere l'errore del concetto che "Io vado verso la
verità" e che "se mi va bene, a un certo momento la vedrò". No!
Perché se "Io" è ad esempio il sottoscritto, con questa struttura
fisica determinata, allora sarebbe come dire che un occhio cieco può vedere la verità. Perché
un occhio cieco? Appunto in quanto dominato dai condizionamenti che
costituiscono l'individuo. L'apparire della verità non è la mia coscienza della
verità>> -
(Severino: La legna e la cenere);
(2)- <<proprio perché è fede, [l’io
individuale] è destinato a non sentire la verità: in quanto ascoltata da
“me”, cioè dalla fede
in cui “io” come individuo mortale consisto, la verità non può essere verità, e io sono
destinato ad essere soltanto il desiderio, in indefinitum, della verità>>.
–
(Severino:
La struttura originaria, pag. 89).
(3)- Nicoletta Cusano: <<La testimonianza attuale del destino è
affermazione della impossibilità
che l’io mortale [l’io
dell’individuo] comprenda
la verità del destino porta con sé la necessità di abbandonare ogni velleità
veritativa in relazione alla propria
coscienza individuale>>. (N. Cusano: Emanuele Severino.
Oltre il nichilismo, pag. 437);
(4)- il <<linguaggio (esso stesso
mortale) che testimonia il destino della verità>> non è possibile
che <<risuoni in modo che sia possibile sentire nelle sue parole qualcosa di
radicalmente diverso _ addirittura il destino della verità>>, giacché
<<nel mortale quella presenza [della verità] è e non può che
essere inconscia. La verità nella non verità è presente in modo indiretto.
Se fosse presente
direttamente, sarebbe posta e saputa come verità, e dunque non saremmo nella non verità
[quindi, poiché siamo <<nella non verità>>, allora la
verità non può esser <<posta e saputa come verità>> né,
perciò, potrà mai esser testimoniata da Severino]. La presenza, necessaria,
del destino [cioè della verità] nel mortale [nell’errore/individuo]
non può che essere inconscia
proprio perché non è diretta: sarebbe saputa come tale, solo [segue
citazione di Severino tratta da La Gloria, pag. 69 ->] “se la
verità _ che è necessario che sia in qualche modo presente nella non
verità _ fosse direttamente
presente nella non verità”>>. (N. Cusano: idem, pag. 444).
Basta
così, è tutto molto chiaro.
Qual
è la replica
di Severino (e severiniani) a tutto ciò?
(5)- Essa consiste nel far notare come la
verità del destino appaia sempre,
anche nell’errore
(cioè nell’individuo) seppur indirettamente, altrimenti la verità,
apparendo direttamente,
<<sarebbe
posta e saputa come verità>>, di modo tale che sia
proprio grazie all’intramontabile apparire della verità, che l’errore
sia visto come errore…
(6)- Unitamente a ciò, egli replica altresì che l’essenza
di ogni essere umano sia costituita dall’io del destino, cioè che non sia
meramente errore, sì che nel suo petto pulsino due ‘anime’ in conflitto:
l’io individuale e appunto, l’io del destino.
Senonché,
tali repliche
da parte di Severino (e severiniani) sono, appunto, le repliche di Severino e dei severiniani, non
certo della
verità, appunto perché, se fosse la replica della verità, questa <<sarebbe
posta e saputa come
verità>> e quindi l’individuo non sarebbe affatto errore né fede (nel senso
negativo conferitole dall’errore-fede- Severino).
Per
cui, nonostante i due supposti io-individuale ed io del destino quale essenza
del primo, l’io del destino è conscio (sa) dell’io-individuale, ma questi non lo è (non sa) di
quello, altrimenti, verrebbero smentiti i punti 1, 2,
3, 4.
Essendo
perciò la replica
affermata da parte di un errore
( = Severino) il quale, proprio perché tale, <<è destinato a non sentire la verità>>,
segue che:
-
Aut i punti 1,
2, 3, 4, 5 e 6 sono affermati con verità in quanto
sono affermazioni del
destino o che appaiono come
destino;
ma
allora è impossibile che siano affermazioni dell’io individuale-Severino cioè dei suoi scritti,
conferenze…, giacché egli non può saperne niente, altrimenti la verità <<sarebbe
posta e saputa come
verità>> dall’io individuale o errore-Severino (il che è escluso
da quell’individuo-errore cui è Severino; ciò vuol dire _ bizzarria
delle bizzarrie _ che l’errore-Severino esclude senza-errore che
la verità sia <<posta e saputa come verità>> dall’errore-Severino!),
cosicché non
esistano suoi scritti né
sue conferenze né,
perciò, alcun filosofo-Severino (neppure alcun suo estimatore) a cui riferire le su riportate
tesi 1, 2, 3, 4, 5 e 6 le quali, a quanto
sembra, sono direttamente palesate dall’io del destino o verità (ma palesate a chi? A nessuno, risponde Severino, perché la verità
appare/si palesa soltanto a se stessa).
- Aut i punti 1, 2, 3,
4, 5 e 6 sono affermati dall’io
individuale-Severino cioè dai
suoi scritti, conferenze…;
ma
allora essi non sono affatto la voce
dell’io del destino o della verità, bensì di un individuo il quale, a questo punto, non è neppure errore o fede, perché per
esser ritenuto tale, deve apparire la verità del destino al cui confronto l’io
dell’individuo è visto come errore; ma siccome all’io
dell’individuo la verità (nonché la verità che egli sia un errore-fede) <<è contraddittorio che appaia>>
(Severino), non gli resterà che considerarsi un individuo tra milioni d’altri senza
alcun appiglio ad un ‘destino’ che egli, in quanto errore, non può in
alcun modo testimoniare (vedasi post n° 3)…
Pertanto,
la scelta di un aut comporta il sacrificio dell’altro.
Concludendo:
con
buona pace del suddetto estimatore, non è affatto vero che
<<Severino [sia]
proprio colui il
quale ci fa apparire incontrovertibilmente
che il mondo vero non è quello in cui abbiamo fede>>,
come
è appena emerso…
Roberto
Fiaschi
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