venerdì 10 marzo 2023

40)- SEVERINO E LA SUA VIOLENZA

Scrive il filosofo Emanuele Severino:

<<La volontà che si manifesta nell’amore e nella tolleranza è violenza infinita non meno di quella presente nell’odio e nell’intolleranza. Certo, tutti noi preferiamo vivere nella tolleranza e nell’amore piuttosto che nell’odio e nell’intolleranza. Ma questa preferenza non implica che l’amore e la tolleranza siano la strada che conduce al di fuori della violenza. Per quanto profondamente diversi, amore e odio, tolleranza e intolleranza hanno la stessa anima – la violenza infinita. E la violenza, per quanto lontana dalle sue forme manifeste, non può condurre al di fuori della violenza. Né la strada che conduce al di fuori della violenza può essere un divenire, un diventare altro, prodotto da forze umane o divine. Non può essere volontà di salvezza>>. (Emanuele Severino, Oltre il linguaggio, Adelphi, p. 33).

Se ogni volontà è violenza, allora, tra la <<volontà che si manifesta nell’amore e nella tolleranza>> e <<quella presente nell’odio e nell’intolleranza>> possiamo inserirvi la volontà di indicare la violenza attraverso gli scritti di Severino, la quale, perciò, è anch’essa <<violenza infinita non meno di quella presente nell’odio e nell’intolleranza>>.

E poiché <<la violenza, per quanto lontana dalle sue forme manifeste, non può condurre al di fuori della violenza>>, a maggior ragione nemmeno la violenza consistente nei suoi scritti potrà mai non solo <<condurre al di fuori della violenza>>, ma neanche soltanto indicarla, giacché anche tale indicazione sarebbe pur sempre violenza ossia volontà di indicare.

La violenza della volontà di Severino ci vuol dire (tramite i suoi scritti) che il destino severiniano sia al di fuori di ogni violenza.

Tuttavia, anche il destino vuole inviare la terra che salva dal nichilismo della terra isolata, ma _ stando agli stessi presupposti severiniani _ non potrà mai riuscirvi, giacché <<la strada che conduce al di fuori della violenza [non] può essere un divenire, un diventare altro>> e, sebbene la terra isolata non diventi quell’altro da sé cui è la terra che salva, ciò nonostante dalla terra isolata si realizza il divenire che conduce alla terra che salva, e questo, ripeterei, sempre stando alle parole di Severino, <<non può condurre al di fuori della violenza>> attraverso <<un divenire, un diventare altro, prodotto da forze umane o divine>> o inviato dalla volontà del destino severiniano.  

Il destino severiniano nega ogni violenta <<volontà di salvezza>> inviando la violenza della volontà di indicare mediante gli scritti severiniani la violenza di ogni <<volontà di salvezza>>, negando così anche la propria (del destino severiniano) non-violenza:

esso vuol mostrare di essere da sempre al di fuori di ogni violenza nel mentre che la invia    

Perciò la negazione della violenza da parte del destino è l’affermazione della sua stessa violenza.

Inoltre, la negazione della <<volontà di salvezza>> da parte del destino severiniano è negazione della sua stessa <<volontà di salvezza>> allorché esso vuole inviare quell’eterno cui è la terra che salva.

 

 Roberto Fiaschi

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