Scrive il filosofo Emanuele Severino:
<<La
volontà che si manifesta nell’amore e nella tolleranza è violenza infinita non
meno di quella presente nell’odio e nell’intolleranza. Certo, tutti noi
preferiamo vivere nella tolleranza e nell’amore piuttosto che nell’odio e
nell’intolleranza. Ma questa preferenza non implica che l’amore e la tolleranza
siano la strada che conduce al di fuori della violenza. Per quanto
profondamente diversi, amore e odio, tolleranza e intolleranza hanno la stessa
anima – la violenza infinita. E la violenza, per quanto lontana dalle sue forme
manifeste, non può condurre al di fuori della violenza. Né la strada che
conduce al di fuori della violenza può essere un divenire, un diventare altro,
prodotto da forze umane o divine. Non può essere volontà di salvezza>>.
(Emanuele Severino, Oltre il linguaggio, Adelphi, p. 33).
Se
ogni volontà
è violenza, allora, tra la <<volontà che si manifesta nell’amore e nella
tolleranza>> e <<quella presente nell’odio e
nell’intolleranza>> possiamo inserirvi la volontà di indicare la violenza
attraverso gli scritti
di Severino, la
quale, perciò, è anch’essa <<violenza infinita non meno di quella presente nell’odio e
nell’intolleranza>>.
E
poiché <<la violenza, per quanto lontana dalle sue forme manifeste,
non può condurre al di fuori della violenza>>, a maggior ragione nemmeno
la violenza consistente nei suoi scritti
potrà mai non solo <<condurre al di fuori della violenza>>,
ma neanche soltanto indicarla, giacché anche tale indicazione
sarebbe pur sempre violenza ossia volontà di indicare.
La
violenza della volontà
di Severino ci vuol dire (tramite i
suoi scritti) che il destino severiniano sia al di fuori di ogni violenza.
Tuttavia,
anche il destino vuole
inviare la terra che salva dal nichilismo della terra isolata, ma _
stando agli stessi presupposti severiniani _ non potrà mai riuscirvi, giacché
<<la strada che conduce al di fuori della violenza [non]
può essere un divenire, un diventare altro>> e, sebbene la terra
isolata non diventi quell’altro
da sé cui è la terra che salva, ciò nonostante dalla terra isolata si realizza
il divenire che conduce alla terra che salva, e questo, ripeterei, sempre
stando alle parole di Severino, <<non può condurre al di fuori della
violenza>> attraverso <<un divenire, un diventare altro,
prodotto da forze umane o divine>> o inviato dalla volontà del
destino severiniano.
Il
destino severiniano nega ogni violenta <<volontà di salvezza>>
inviando la violenza della volontà di indicare
mediante gli scritti severiniani la
violenza di ogni <<volontà di salvezza>>, negando così anche
la propria (del destino severiniano) non-violenza:
esso
vuol
mostrare di essere da sempre al di fuori di ogni violenza nel mentre che la
invia…
Perciò
la negazione della violenza da parte del destino è l’affermazione della sua stessa violenza.
Inoltre,
la negazione della <<volontà di salvezza>> da parte del
destino severiniano è negazione
della sua
stessa <<volontà di salvezza>> allorché esso vuole inviare
quell’eterno cui è la terra che salva.
Roberto Fiaschi
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