La fede in Severino è da intendere in senso oggettivo, ossia la fede che ha come oggetto Severino da parte di molti suoi estimatori.
Nel
libro: Intorno al senso del nulla (Adelphi 2013), Severino, dopo aver
accennato <<alla revisione,
presente in queste pagine, di alcuni luoghi del mio discorso filosofico>>
(pag. 191 ss.), prosegue scrivendo:
<<Nel
cerchio originario [Severino] del destino – quello cioè in cui appare la
terra isolata che include il “mio esser uomo” -, il linguaggio che testimonia
la terra isolata precede il sopraggiungere del linguaggio che testimonia il
destino […]. Il linguaggio che testimonia la terra isolata è il
linguaggio dell’errare.
[…] Per quanto compatto tale linguaggio si presenti nel suo testimoniare
il destino […], anche
questo linguaggio è stato un errare. L’esempio più recente riguarda […]
il modo in cui nella Morte e la terra è stata considerata l’aporia
determinata dalla contraddizione del significato non è (la
contraddizione Un)>>.
È
da notare come alcuni suoi estimatori accolgano ed accettino le tesi di
Severino per fede, giacché
essi hanno innanzitutto fede
in
Severino.
È
facile appurarlo.
Infatti,
come abbiamo appena letto dalle stesse parole del filosofo bresciano, è
capitato sovente che egli abbia dovuto apportare qualche correzione (che
lui chiama: <<revisione>>)
a non poche sue tesi via via presentate nei suoi libri, negandole,
mostrando l’erroneità di quanto precedentemente aveva asserito e magari
fatto passare come ‘voce’ incontrovertibile del destino.
Eppure,
prima che egli ne mostrasse la fallacia, è verosimile pensare che, nel
frattempo, la gran maggioranza dei suoi lettori non si fosse accorta di tali errori teoretici
perché neppure sospettati, abbracciando perciò tali tesi erronee come fossero innegabili
portati della sua filosofia.
Ecco,
l’atteggiamento che porta alla tranquilla accoglienza di tesi rivelatesi poi erronee
si chiama FEDE.
I
suoi estimatori nutrono fede
in
Severino perché ritengono che difficilmente nel suo sistema filosofico si trovi
un qualche errore, giacché esso si ergerebbe all’insegna
dell’incontrovertibilità.
Due
esempi tratti da suoi ferventi estimatori:
<<[…] "Noi siamo la Gioia" mi disturbava.
Eppure so che Emanuele
Severino non fa errori>>. (A. V.);
<<son più di 62 anni che decine di filosofi tentano
inutilmente di confutare la risoluzione dell'aporetica del nulla, il gesto
teorico che fonda il possente edificio teorico [di Severino]>>. (E.
A.)
Dopodiché,
i suoi lettori prenderanno atto di tali correzioni rinnovando ancora una
volta la loro fede
nella sopraggiunta <<revisione>> della tesi risultata sbagliata ma che fino
ad ora da nessuno di essi intravista o anche solo sospettata come tale...
Prosegue
Severino ponendo le seguenti domande:
<<Ma,
allora, che cosa garantisce che anche la configurazione attuale del linguaggio
che, testimoniando il destino, ha mostrato il proprio passato errare non sia a sua volta un errare? E che anche in futuro questo linguaggio, pur
oltrepassando la propria attuale inadeguatezza, non porti con sé e dentro di sé
altri tratti dell’isolamento
[ = dell’errare]
della terra e del nichilismo?>> (Parentesi quadra mia: RF).
A
suo dire, lo garantirebbe (ma non è questo il tema
del presente post) l’impossibilità
<<che
il contenuto del sogno, e propriamente l’errare della testimonianza del
destino, possa mettere in questione il destino, ossia ciò soltanto sul cui fondamento
l’esistenza del sogno può essere incontrovertibilmente affermata e può apparire
–
dove quel mettere in questione è appunto il supporre, all’interno del sogno, che
l’attuale testimonianza del destino possa essere a sua volta un errare, come lo
è stata in passato>>.
Ma,
se così:
-
o tale garanzia non è <<incontrovertibilmente affermata>>
dal fondamento sulla cui base Severino ritiene di escludere <<che
l’attuale testimonianza
del destino possa essere a sua volta un errare, come lo è stata in
passato>>;
-
oppure, tale garanzia avrebbe dovuto escludere anche in passato che il
linguaggio testimoniante il destino fosse <<stato un errare>>, il
che non è accaduto.
Perciò,
non essendo
accaduto, allora essa non
è <<incontrovertibilmente affermata>> e perciò non sussiste alcuna garanzia
che escluda <<che l’attuale
testimonianza del destino possa essere a sua volta un errare>>,
né sussiste garanzia che
escluda <<che anche in futuro questo linguaggio, pur oltrepassando la propria attuale
inadeguatezza, non porti con sé e dentro di sé altri tratti dell’isolamento [ = dell’errare]>>.
Curiosa,
l’incontrovertibilità severiniana, la quale vige e funziona fintantoché
lo stesso Severino non ne riconosce l’erroneità; dopo, pare non funzionare più…
Roberto
Fiaschi
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LE CONTRADDIZIONI SEVERINIANE
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