Da un articolo di Luca Taddio, uscito
il 22 gennaio 2020 sul “Messaggero Veneto”:
<<"La
posta in gioco non è il soggetto o la soggettività, ma il Destino della
verità. Si tratta allora di ascoltare il senso di quest’ultimo al fine di
comprendere anche il significato della “morte”, termine che in Severino assume
un senso radicalmente diverso da quello attribuitogli dalla tradizione
metafisica: ogni ente, ogni evento, cade all’interno dell’eterno “essere sé
dell’essente” di ogni essente. Un colpo di dadi porta necessariamente alla
presenza ciò che da sempre è destinato ad apparire. Il destino della verità è
il destino dell’essere. La verità non appartiene al pensiero come atto, bensì
alla “struttura originaria” dell’essere; essa non è l’invenzione teorica né di
un uomo, né di un Dio, ma è il luogo già da sempre aperto del senso originario
della verità. Con ciò si intende criticare l’idea di una verità in quanto
ricerca, scoperta o creazione della nostra mente. Quest’immagine suggerisce
l’idea che dalla non-verità si possa giungere alla verità: mettersi in cammino
lungo il sentiero in cerca della verità non potrà condurci dinanzi alla verità.
Riprendendo un’immagine evangelica, Severino afferma che se pensiamo di “bussare
alla porta della verità” per accedere alla “casa” che custodisce la verità,
allora la porta resterà chiusa. L’intero cammino sarebbe compiuto nella
non-verità, nell’errore, e da lì non è possibile giungere alla verità. “L’alternativa – scrive Severino – è incominciare a pensare alla verità come
ciò in cui noi tutti, già da sempre, siamo”>>.
Obietterei alle
parole di Taddio, ma in realtà alla tesi di Severino, che il percorso che ha
condotto quest’ultimo ad affermare che <<mettersi in cammino lungo il sentiero
in cerca della verità non
potrà condurci dinanzi alla verità>>, è stato un percorso nella non-verità,
giacché PRIMA che Severino sostenesse tale tesi, era di diverso orientamento
filosofico, che è come
dire che era nella non-verità.
Da questo
orientamento, Severino si è via via messo in cammino (sempre internamente alla non-verità) erigendo
la sua impalcatura filosofica, che infine lo ha condotto a sostener che
<<mettersi in cammino lungo il sentiero in cerca della verità non
potrà condurci dinanzi alla verità>>.
Ora, perché
dovremmo ritener che tale
cammino al di fuori della verità lo abbia condotto a quella verità
consistente nella dianzi citata sua affermazione, visto che _ com’egli afferma _
<<L’intero cammino sarebbe compiuto nella non-verità, nell’errore, e
da lì non è possibile giungere alla verità>>?
Roberto Fiaschi
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