In relazione al
tema sviluppato nei post 3,
61 e 62, desidero riprendere
in mano una replica che era già stata considerata, ma che riporto nuovamente:
il mortale o
l’errore appare perché INNANZITUTO
APPARE SEMPRE LA VERITÀ in base alla quale
esso appare (SOLTANTO
ALLA VERITÀ) come errore.
Quindi, l’errore è affermato in forza DELL’ORIGINARIO APPARIR DELLA VERITÀ e
sulla quale, perciò, esso si fonda.
Ma è proprio
questo il cortocircuito!
Se è vero che
<<è impossibile che nel
linguaggio della terra isolata [quindi nel linguaggio dell’errore, del
mortale] ci sia comprensione della verità del destino, anche se
formalmente le sue parole suonano identiche al linguaggio che testimonia il
destino>> - (Nicoletta Cusano: Emanuele Severino. Oltre il
nichilismo; Morcelliana. Brescia 2011, pag. 446),
e se al
contempo io, errore,
NON posso
comprendere/riconoscere la verità, allora NON È VERO che io ( = il mortale) sia errore impossibilitato a comprenderla, proprio perché
ho previamente affermato (ossia comprendo/so/mi
appare) che la verità appaia sempre e ovunque, onde io ( = errore)
possa affermare SENZA errore che la verità appaia ANCHE all’errore, il che,
però, è ESCLUSO
da Severino.
Ed ESCLUDENDO
che all’errore (
= al mortale) appaia la verità, o SOSTENENDO che sia impossibile che esso
abbia <<comprensione della
verità del destino>>, ogni affermazione dell’errore (tramite gli
scritti di Severino) circa il destino della verità risulterà SEMPRE ERRONEA, SENZA
che, con questo, l’errore SAPPIA
che ogni sua affermazione (sulla verità prima ed ultima) risulterà SEMPRE
ERRONEA perché, se lo sapesse, SAPREBBE della VERITÀ in base alla
quale l’errore può SOLTANTO ERRARE.
E perciò NON
ERREREBBE ( = non sarebbe errore e quindi sarebbe indistinguibile dalla
verità), appunto perché l’errore SAPREBBE non-erroneamente che la verità è ciò sul
fondamento della quale egli appare COME errore.
Invece _ afferma
Severino _, l’errore NON SA di esser errore; epperò è lo stesso errore a
ritener di sostenere SENZA errore che esso NON sappia di esser
errore, mostrando così di saper di essere errore, e perciò mostra di NON
essere errore, perché SA
ciò che, in quanto errore, NON potrebbe sapere.
Mostrando di NON
essere errore, questi si rileva esser indistinguibile dalla verità, sì che
quest’ultima, così indistinguibile
dall’errore, NON SIA NEMMENO VERITÀ.
Roberto Fiaschi
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