mercoledì 14 giugno 2023

64)- UNA CRITICA AL RAPPORTO SEVERINIANO ERRORE-VERITÀ


In relazione al tema trattato nei post 6162 e 63, ricevo la seguente obiezione da MG (https://www.facebook.com/groups/189067592021847):

<<Credo che una chiave di accesso per comprendere la filosofia del destino ed il rapporto tra vero ed errore stia nel "ciò". "CIO' che appare non può essere negato perché per negarlo dovremmo ancora presupporlo. L'errore nasce nel nominarlo, nel raccontarlo, nel descriverlo, pretendendo che la descrizione vi si sovrapponga perfettamente. Una pretesa del genere è usargli violenza, trasformarlo in cio' che non è. E, attenzione, anche il nominarlo è un CIÒ che non può essere ulteriormente nominato. L'errore, in fondo, è insito nella pretesa di riferire i nomi all'altro da se, alla pura immanenza, essendo già pura immanenza. Le parole, in tal senso, rincorrono sempre l'altro da sé, dimenticando di essere già in se puri significati, dimenticando di essere già quel CIÒ che non può essere negato>>.

Dall’inizio:

(1)- <<"CIO' che appare non può essere negato perché per negarlo dovremmo ancora presupporlo>>.

Certamente, ma il tema in discussione NON era l’innegabilità di ciò che appare la cui negazione lo presupporrebbe.

Infatti, nei tre post sunnominati, ho ben evidenziato che l’ERRORE (ciascun individuo) appare _ nella filosofia di Severino _ sul fondamento dell’apparire della verità del destino.

E ho altresì aggiunto che proprio IN CIÒ consiste il CORTOCIRCUITO ( -> post 63).

Dopodiché, prosegue la critica:

(2)- <<L'errore [<<per comprendere la filosofia del destino>>] nasce nel nominarlo, nel raccontarlo, nel descriverlo, pretendendo che la descrizione vi si sovrapponga perfettamente>>.

Qui, MG sta contraddicendo stesso laddove poco sopra (1) aveva affermato:

<<"CIO' che appare non può essere negato perché per negarlo dovremmo ancora presupporlo>>.

Perché sta contraddicendosi?

Perché asserendo che

<<L'errore […] nasce nel nominarlo, nel raccontarlo, nel descriverlo, pretendendo che la descrizione vi si sovrapponga perfettamente>>,

egli PRESUPPONE che appaia (e quindi, che sia conosciuto, noto) CIÒ la cui descrizione pretenderebbe di sovrapporvisi (a tale CIÒ).

 Infatti, se quel CIÒ non apparisse affatto, NON sussisterebbe alcuna ragione per stigmatizzare la pretesa <<che la descrizione vi si sovrapponga perfettamente>>, appunto perché tale pretesa presuppone uno scarto che essa non potrebbe colmare (dicendolo). Ma ecco, tale scarto DEVE APPARIRE!

Proseguendo, MG esplicita le ragioni di ciò che per lui è un <<errore>>:

(3)- <<Una pretesa del genere è usargli violenza, trasformarlo in cio' che non è. E, attenzione, anche il nominarlo è un CIÒ che non può essere ulteriormente nominato. L'errore, in fondo, è insito nella pretesa di riferire i nomi all'altro da se, alla pura immanenza, essendo già pura immanenza. Le parole, in tal senso, rincorrono sempre l'altro da sé, dimenticando di essere già in se puri significati, dimenticando di essere già quel CIÒ che non può essere negato>>.

Beh, direi che in primo luogo tale pretesa (con la violenza connessa) MG dovrebbe attribuirla a Severino, che in decine e decine di volumi non fa che NOMINARE, RACCONTARE, DESCRIVERE il destino, <<pretendendo che la descrizione vi si sovrapponga>> se non <<perfettamente>>, quanto meno innegabilmente, giacché, se non fosse mosso da questa pretesa, Severino NON avrebbe certamente scritto decine di testi che NON avrebbero potuto NOMINARE, RACCONTARE, DESCRIVERE il destino.

A parte il fatto che nessun ente, secondo Severino, può patire violenza, essendo esso eterno, men che meno potrà esercitare violenza il NOMINARE, RACCONTARE, DESCRIVERE il destino.

Se così fosse, allora andrebbe rilevato come anche MG stia esercitando violenza nel suo aver NOMINATO il destino, nel suo averlo in qualche modo RACCONTATO, sia pure per dire che esso non possa essere <<perfettamente>> NOMINATO e RACCONTATO…

Senza peraltro dimenticare che tale violenza è INVIATA dallo stesso destino verso il quale ci si vorrebbe porre in modo non-violento!

Se, come afferma MG, <<L'errore, in fondo, è insito nella pretesa di riferire i nomi all'altro da se, alla pura immanenza, essendo già pura immanenza>>, allora tutto ciò è esattamente quanto egli sta qui effettuando, riferendosi a quell’altro da sé cui è il destino, riportandolo <<alla pura immanenza>>.

Infine, ma avrei dovuto evidenziarlo all’inizio, NON VEDO (per mio limite) come questa critica di MG possa dirimere la questione del <<rapporto tra vero ed errore>> (nella filosofia di Severino) sviluppata nei già menzionati post 61, 62 e 63; mi pare che egli ne sia ancora molto lontano…


Roberto Fiaschi

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