<<Credo che una
chiave di accesso per comprendere la filosofia del destino ed il rapporto tra
vero ed errore stia nel "ciò". "CIO' che appare non può essere
negato perché per negarlo dovremmo ancora presupporlo. L'errore nasce nel
nominarlo, nel raccontarlo, nel descriverlo, pretendendo che la descrizione vi
si sovrapponga perfettamente. Una pretesa del genere è usargli violenza,
trasformarlo in cio' che non è. E, attenzione, anche il nominarlo è un CIÒ che
non può essere ulteriormente nominato. L'errore, in fondo, è insito nella
pretesa di riferire i nomi all'altro da se, alla pura immanenza, essendo già
pura immanenza. Le parole, in tal senso, rincorrono sempre l'altro da sé,
dimenticando di essere già in se puri significati, dimenticando di essere già
quel CIÒ che non può essere negato>>.
Dall’inizio:
(1)- <<"CIO'
che appare non può essere negato perché per negarlo dovremmo ancora presupporlo>>.
Certamente, ma il tema in
discussione NON era l’innegabilità di ciò che appare la cui negazione lo
presupporrebbe.
Infatti, nei tre post
sunnominati, ho ben evidenziato che l’ERRORE (ciascun individuo)
appare _ nella filosofia di Severino _ sul fondamento dell’apparire della verità del destino.
E ho altresì aggiunto che
proprio IN CIÒ consiste il CORTOCIRCUITO ( -> post 63).
Dopodiché, prosegue la
critica:
(2)- <<L'errore [<<per
comprendere la filosofia del destino>>] nasce nel nominarlo, nel
raccontarlo, nel descriverlo, pretendendo che la descrizione vi si sovrapponga
perfettamente>>.
Qui, MG sta contraddicendo sé stesso laddove poco
sopra (1) aveva affermato:
<<"CIO' che
appare non può essere negato perché per negarlo dovremmo ancora presupporlo>>.
Perché sta
contraddicendosi?
Perché asserendo che
<<L'errore […]
nasce nel nominarlo, nel raccontarlo, nel descriverlo, pretendendo che la descrizione
vi si sovrapponga perfettamente>>,
egli PRESUPPONE che appaia
(e quindi, che sia conosciuto, noto) CIÒ la cui descrizione pretenderebbe di
sovrapporvisi (a tale CIÒ).
Infatti, se quel CIÒ non apparisse affatto, NON
sussisterebbe alcuna ragione per stigmatizzare la pretesa <<che la descrizione vi si
sovrapponga perfettamente>>, appunto perché tale pretesa
presuppone uno scarto che essa non potrebbe colmare (dicendolo). Ma ecco,
tale scarto DEVE
APPARIRE!
Proseguendo, MG esplicita
le ragioni di ciò che per lui è un <<errore>>:
(3)- <<Una
pretesa del genere è usargli violenza, trasformarlo in cio' che non è. E,
attenzione, anche il nominarlo è un CIÒ che non può essere ulteriormente
nominato. L'errore, in fondo, è insito nella pretesa di riferire i nomi
all'altro da se, alla pura immanenza, essendo già pura immanenza. Le parole, in
tal senso, rincorrono sempre l'altro da sé, dimenticando di essere già in se
puri significati, dimenticando di essere già quel CIÒ che non può essere negato>>.
Beh, direi che in primo
luogo tale pretesa
(con la violenza
connessa) MG dovrebbe attribuirla a Severino, che in decine e decine di volumi
non fa che NOMINARE, RACCONTARE, DESCRIVERE il destino, <<pretendendo
che la descrizione vi si sovrapponga>> se non <<perfettamente>>,
quanto meno innegabilmente, giacché, se non fosse mosso da questa pretesa, Severino NON avrebbe
certamente scritto decine di testi che NON avrebbero potuto NOMINARE, RACCONTARE,
DESCRIVERE il destino.
A parte il fatto che
nessun ente, secondo Severino, può patire violenza, essendo esso eterno, men che meno
potrà esercitare violenza il NOMINARE, RACCONTARE, DESCRIVERE il destino.
Se così fosse, allora
andrebbe rilevato come anche MG stia esercitando violenza nel suo aver NOMINATO il destino, nel suo averlo in
qualche modo RACCONTATO, sia pure per dire che esso non possa essere <<perfettamente>>
NOMINATO e RACCONTATO…
Senza peraltro dimenticare che tale violenza è INVIATA dallo stesso destino verso il quale ci si vorrebbe porre in modo non-violento!
Se, come afferma MG,
<<L'errore, in fondo, è insito nella pretesa di riferire i nomi all'altro da se, alla
pura immanenza, essendo già pura immanenza>>, allora tutto ciò è
esattamente quanto egli sta qui effettuando, riferendosi a quell’altro da sé cui è il
destino, riportandolo <<alla pura immanenza>>.
Infine, ma avrei dovuto evidenziarlo all’inizio, NON VEDO (per mio limite) come questa critica di MG possa dirimere la questione del <<rapporto tra vero ed errore>> (nella filosofia di Severino) sviluppata nei già menzionati post 61, 62 e 63; mi pare che egli ne sia ancora molto lontano…
Roberto Fiaschi
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