Proseguo lo stimolantissimo (per me) dialogo con Egon Key ( = EK), che scrive:
<<E teniamo sempre presente la tesi che quando
qualcosa "mi"
appare, non può apparire a
"me" (io empirico o uomo o individuo), ma appare all'apparire
stesso (come abbiamo ripetuto fino alla nausea): infatti, come si è detto
altrove, la "mia" coscienza di qualcosa E' ESSA STESSA UN CONTENUTO
CHE APPARE NEL CERCHIO DELL'APPARIRE. In tal senso, l'individuo o uomo o io
empirico è inilluminabile, perché la verità non ha nulla a che fare con un atto
soggettivo: la verità non è atto individuale, ma IL MOSTRARSI DI CIO' CHE
APPARE (e questo mostrarsi ripetiamo non è un mio atto di coscienza, perchè anche tale atto di
coscienza appare nel cerchio finito dell'apparire come suo contenuto)>>.
Chiarissimo e perciò non aggiungo altri passaggi.
Adesso riporto alcuni brani di Severino, pochi, giacché mi
paiono più che sufficienti ed alquanto esplicativi (maiuscoli tutti miei: RF):
(1) <<Il patire è l’apparire del dolore; e tutto ciò
che appare – e quindi anche il dolore CHE APPARE NELLA COSCIENZA CHE L’IO DELL’INDIVIDUO
HA DEL MONDO – può
apparire solo come contenuto del cerchio dell’apparire in cui l’Io del destino
consiste>>. (Severino: La Gloria, pag. 62).
(2) <<CHI PROVA
sconcerto e si turba È
L’IO DELL’INDIVIDUO. E
non può che esser così, perché l’io dell’individuo, in quanto non verità, non
può vedere la verità del destino, in cui appare il concerto di tutto con tutto;
e anche quando tentasse di comprenderla e di allearvisi, non potrebbe scorgerla
– appunto perché LO
SGUARDO DELLA NON VERITÀ È DESTINATO A NON VEDERE ALTRO CHE NON VERITÀ
anche quando tenta di volgersi verso la verità>> (Severino: idem,
pag. 65).
Pausa.
Nel brano (1), Severino riconosce che <<L’IO DELL’INDIVIDUO HA>>
una <<COSCIENZA>>, <<NELLA>> quale egli <<PROVA sconcerto e si
turba>>.
Pertanto vi è una chiara DISTINZIONE tra la <<COSCIENZA>>
dell’io dell’individuo ed il <<cerchio dell’apparire in cui l’Io del
destino consiste>>, ove la prima <<può apparire solo come
contenuto del cerchio dell’apparire in cui l’Io del destino consiste>>.
Poiché <<CHI PROVA
sconcerto e si turba È
L’IO DELL’INDIVIDUO>>,
è allora consequenziale come il PROVARE sconcerto e turbamento debba implicare un <<apparire a "me">> io individuale,
altrimenti NON AVREBBE ALCUN SENSO affermare che <<CHI PROVA sconcerto e si
turba È L’IO DELL’INDIVIDUO>>,
giacché se NIENTE apparisse <<a "me">> io individuale, allora NON proverei
neppure sconcerto e turbamento.
Inoltre <<l’io dell’individuo, in quanto non verità>>,
è (o ha) altresì uno <<SGUARDO>> (cioè una COSCIENZA) il quale, però,
<<è destinato a NON VEDERE
altro che non verità>>, ossia l’io dell’individuo VEDE soltanto
<<non verità>>, e non: NON vede nulla, non gli appare
nulla.
Per VEDERE
soltanto <<non verità>>, lo <<SGUARDO>>
dell’io individuale deve costituirsi come un <<apparire a "me">> (cioè all’io individuale), al cui "me" appaia,
perciò, soltanto <<non verità>>.
Dunque, l’io dell’individuo è (o ha) uno SGUARDO differente da
(anzi: OPPOSTO a) l’Io del destino, quindi, ad egli QUALCOSA APPARE, il
che vuol dire che qualcosa appare a
"me",
altrimenti sarebbe FALSO che l’io individuale sia <<destinato a NON VEDERE altro che non
verità>>.
Aggiungerei quest’altro brano di Severino:
(3) <<L’io dell’individuo può illudersi di “capire” l’Io
del destino. Ma egli è l’io della terra che si è isolata dal destino E
ALL’INTERNO DELLA QUALE IL DESTINO NON PUÒ APPARIRE>>. (Idem,
pag. 76).
Anche qui, la possibilità di ILLUDERSI, presuppone l’<<apparire a "me">> della MIA illusoria
comprensione del destino, e questo <<apparire a "me">> NON può essere detto del, o
trasferito all’Io del destino, di modo da ELIMINARE (NEGARE) che esso sia
<<apparire
a "me">>,
perché se sussistesse SOLTANTO <<L'apparire, in senso
severiniano, cioè come coscienza dell'autocoscienza, appare a sé medesimo>>
(cit. di EK), quest’ultimo NON potrebbe persuadersi dello spettacolo del
nichilismo al quale tutti noi io individuali accordiamo consenso, perché, anche
ammettendo per un attimo l’esistenza dell’Io del destino quale <<coscienza
dell'autocoscienza>> o apparire <<a sé medesimo>>,
ebbene, poiché in esso, nella contesa, PREVALE L’ILLUDERSI dell’io dell’individuo il
quale è <<l’io della terra che si è isolata dal destino e
ALL’INTERNO DELLA QUALE IL DESTINO NON PUÒ APPARIRE>>,
allora all’io dell’individuo non potrà nemmeno apparire (sapere de) l’esistenza
dell’Io del destino, giacché in tale PREVALERE di sé, altro non potrà apparire se
non <<lo SGUARDO della NON VERITÀ>> il
quale, perciò, <<È DESTINATO A NON VEDERE ALTRO CHE NON VERITÀ anche quando tenta
di volgersi verso la verità>>.
Per questo sostengo l’inutilità di ribadire <<la
tesi che quando qualcosa "mi" appare, non può apparire a "me" (io empirico o uomo o
individuo), ma appare all'apparire stesso (come abbiamo ripetuto fino alla
nausea)>> perché, per quanto l’autentica essenza dell’uomo sia la CONTESA tra l’errore e la
verità, allora, PREVALENDO l’errore, PREVALE SOLTANTO <<lo SGUARDO della NON VERITÀ>>, senza
peraltro NEPPURE POTER SAPERE, da parte dell’errore, che a PREVALERE sia
<<lo SGUARDO della NON VERITÀ>>
giacché, se lo sapesse, saprebbe già la verità del destino _ saprebbe di sé
come Io del destino _ e per essa l’errore TRAMONTEREBBE.
Invece, l’errore NON TRAMONTA, come risulta ben evidente,
e ritener che in alcuni cerchi del destino ALBEGGI la verità, è SMENTITO dal fatto che
colui che afferma ciò è colui (chiunque sia) che, non essendo ancora tramontato
proprio perché è un “colui” ( = un io individuale-errore) che afferma ciò, <<È
DESTINATO A NON VEDERE ALTRO CHE NON VERITÀ
anche quando tenta di volgersi verso la verità>> o anche quando crede
che nel suo cerchio COMINCI ad ALBEGGIARE la verità…
D’altronde, se così non fosse, non si spiegherebbero gli ERRORI
filosofici (vedasi post n° 70)
commessi da Severino in alcune fasi del suo discorso.
Scrive Severino
in Oltrepassare, pag. 453:
<<Nelle
pagine che precedono viene mostrata l’impossibilità di tener ferma la tesi,
sostenuta nella Gloria, che tutte le terre entrano nei cerchi della
costellazione infinita in un unico evento, non contenente in sé alcuna
successione di altri eventi. Il linguaggio che afferma di testimoniare il
destino NEGA CIOÈ SÉ STESSO. E non solo in questa circostanza. Accade
sin dalla Struttura originaria, rispetto ai precedenti scritti
dello stesso autore, e poi anche negli scritti successivi. Che il percorso da
essi compiuto risulti complessivamente compatto non esclude che al suo interno
esso si proponga più volte come NEGAZIONE di
alcuni dei propri passi precedenti>>.
Nel libro: Intorno
al senso del nulla, pag. 191 ss., osserva nuovamente Severino:
<<il
linguaggio che testimonia la terra isolata precede il sopraggiungere del
linguaggio che testimonia il destino […]. Il linguaggio che
testimonia la terra isolata è il LINGUAGGIO DELL’ERRARE. […] Per
quanto compatto tale linguaggio si presenti nel suo testimoniare il destino e
per quanto addietro nel tempo sia sopraggiunto il suo inizio, ANCHE QUESTO LINGUAGGIO È STATO UN ERRARE. L’esempio più recente riguarda _ come si
è mostrato nella prima parte di questo scritto [Intorno al senso
del nulla] _ il modo in cui nella Morte e la terra è
stata considerata l’aporia determinata dalla contraddizione del
significato non è (la contraddizione Un)>>...
Ciò, invece, si spiega perfettamente soltanto al seguito del
riconoscimento che tale errare
sia <<lo SGUARDO della NON VERITÀ>>,
giacché
<<L’Io in cui appare il destino – l’Io del destino –
NON è l’io che si
illude di agire e che PUÒ ILLUDERSI DI CAPIRE IL DESTINO e decidere di fare la
sua volontà. “Chi” decide e agisce […] non è il destino della verità. “CHI” CONOSCE IL DESTINO È IL DESTINO
STESSO. […] Il destino non “illumina” l’io della terra isolata –
la verità non può illuminare la non verità ->>. (La Gloria,
pag. 77).
Per cui è chiaro:
se “CHI”
CONOSCE IL DESTINO È IL
DESTINO STESSO, ma se al suo interno PREVALE la testimonianza
dell’errore o l’io individuale, allora, ripeto:
<<L’io dell’individuo PUÒ ILLUDERSI di
“CAPIRE” L’IO DEL DESTINO. Ma egli è l’io della terra che si è isolata dal
destino e ALL’INTERNO DELLA QUALE IL DESTINO NON PUÒ APPARIRE>>,
NÉ, perciò, l’io
dell’individuo può sapere di essere <<L’IO DELLA TERRA CHE SI È
ISOLATA DAL DESTINO>> e NÉ tantomeno può sapere della (può apparirgli
la) esistenza dell’Io del destino…
Roberto Fiaschi
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