Rispondendo al mio post n° 71, Angelo Santini (AS) ha scritto:
<<Ciao Roberto. Ti ringrazio per questa risposta, a
cui incomincio a replicare nel seguente modo: l'io empirico di per sé non
esiste, se non come insieme di contenuti coscienzali che sono parte dell'Io
finito del Destino a cui convengono. Severino ha sempre detto che noi siamo
cerchi finiti del Destino e, come ti ha detto anche Egon Key, nel testo
"Cervello, mente, anima" ha dimostrato che all'io empirico non possa
apparire niente (e pertanto non possa sperimentare niente), in quanto ciò che
appare può apparire solo al e nel cerchio dell'apparire (oltre che ovviamente
nell'apparire infinito). Una volta assodato ciò, risulta che pertanto a
sperimentare qualsiasi contenuto non possa che essere il cerchio finito
dell'apparire che siamo, non l'io empirico considerato erroneamente astratto ed
autosussistente rispetto ad esso. L'io empirico é un insieme di contenuti
coscienzali che non autoappaiono in se stessi e a se stessi, ma nel cerchio
finito dell'apparire che é ciò che li sperimenta. Il cerchio finito
dell'apparire é ciò che sperimenta in "prima persona" i contenuti
dell'io empirico, senza però patirli, ovvero senza che esso stesso ne sia
coinvolto e persuaso (essendo l'Io del Destino l'apparire trascendentale di ciò
che gli si manifesta). Che l'io empirico possa provare qualcosa andrebbe inteso
come il fatto che l'Io finito del Destino sia ciò a cui quei contenuti appaiono
e che soltanto in essi vi sia la persuasione e il patimento che li riguarda (ma
che non autoappare a sé e in se' e quindi non è "da loro"
sperimentato, ma del cerchio finito del Destino a cui sono originariamente
congiunti), non nello sguardo dell'Io finito del Destino che é puro apparire>>.
Pausa prima parte.
Ringrazio
molto anch’io Angelo Santini, soprattutto per la sua
passione e la sua inossidabile cortesia.
Devo, però, premettere una considerazione.
Nel presente
intervento di AS, egli scrive che l’apparire del mondo all’io empirico-Severino
(o a chiunque altro) sarebbe <<una situazione che INSCENA che sia un io empirico, quale é quello di Emanuele Severino, ad
aver indicato un determinato contenuto>>.
Ebbene, tale MESSINSCENA _ qualora fosse considerata un tratto della verità del destino _, NON potrebbe in alcun modo esser SAPUTA dall’io empirico.
A differenza dei comuni attori di teatro, che SANNO di recitare, l’io empirico, poiché è ERRORE (SENZA saper di esserlo), NON SA neppure di recitare una MESSINSCENA NÉ che vi sia un Regista ( = l’Io del destino) alle proprie ‘spalle’, perché è convinto della realtà di sé, della propria vita e del mondo in cui esso agisce.
Ma ciò che conta notare è che la mia (presunta) autentica essenza, cioè il mio Io del destino, che per sua natura NON PUÒ INDICARE ALCUNCHÉ, NON può neppure esser esso ad esperire il mio essere io empirico, perché se fosse unicamente l’Io del destino stesso ad esperire le convinzioni ERRONEE che noi io empirici abitualmente affermiamo, quali ad esempio:
a me appare questo e quello; io scrivo; io replico; io sono Roberto; io faccio questo, etc…,
allora l’Io del destino CREDEREBBE a tali
contenuti ERRONEI, ne sarebbe PERSUASO, CREDEREBBE cioè che l’io sia quel centro
coscienziale individuale A
CUI qualcosa
appare, altrimenti NESSUN
io empirico
penserebbe/direbbe mai:
a me appare questo e quello; io scrivo; io replico,
etc…,
giacché la soverchiante consapevolezza cui è
l’Io del destino si paleserebbe innegabilmente, rendendogli impossibile
affermare:
a me (io empirico) appare questo e quello;
io (empirico)
scrivo; io
(empirico) replico, etc…
Sì che, a conti fatti, l’Io del destino si
riveli perciò esser non solo ERRANTE
(ed ERRANTE non in forza della contraddizione
C, bensì ERRANTE per la persuasione incontrastata che il mondo
appaia A NOI io empirici, che
siamo soliti dire: io
scrivo; io
replico, etc…),
ma altresì INDISTINGUIBILE dall’io empirico-errante
(nonché dall’ERRORE).
Quand’anche, infatti, ammettessimo (ma SENZA
concedere) che <<a sperimentare qualsiasi contenuto non possa che essere il
cerchio finito dell'apparire che siamo>>, quest’ultimo, quale <<inconscio dell’inconscio>>
di ME mortale (poiché
sono ISOLATO
da esso) NON potrebbe
MAI trapelare in
(o a) ME, se non come
<<un affiorare ROVESCIATO (e
dunque SVIANTE) dell’inconscio dell’inconscio (e che
sia ROVESCIATO significa che sono IMPOSSIBILI LAMPI
di COMPRENSIONE AUTENTICA)>>
del destino (N. Cusano),
cosicché NESSUNO (NÉ l’Io del destino NÉ l’io empirico)
POSSA MAI
TESTIMONIARE (anzi: NEPPURE avvedersi dell’esistenza de) una qualsivoglia verità
del destino.
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Tornando ora alla replica di AS, egli giustamente esordisce
così:
<<Ti
ringrazio per questa risposta, a cui [io] incomincio a replicare nel seguente modo>>.
Sulla scia di quanto già esposto nei post nn. 83 e 84, ho fatto innanzitutto
notare questa frase di AS perché NEPPURE lui può evitar di ammettere che la mia risposta sia
APPARSA A LUI-io empirico, così
come la sua presente replica adesso APPARE A ME, altro io empirico.
Sarebbe infatti ‘difficile’ ritener che qui, come
altrove, repliche e contro-repliche appaiano unicamente a due Io del destino,
perché, se così fosse, bisognerebbe riconoscere che almeno uno (quale non
importa) dei due Io del destino sia PERSUASO dell’ERRORE, mentre,
invece, ad esser persuaso dell’errore è sempre e soltanto l’io empirico.
Lo stesso dicasi riguardo quest’altra affermazione di AS:
<<Severino
ha sempre detto che noi siamo
cerchi finiti del Destino>>.
Vero, ma appunto: LO HA DETTO Severino, ossia un io empirico, NON
qualcos’altro…
Comunque, AS sostiene che Severino avrebbe <<dimostrato
che all'io empirico non possa apparire niente>>.
Ma, se così, Severino NON avrebbe potuto dimostrare niente,
perché, per dimostrare quanto indicato, tale dimostrazione avrebbe
innanzitutto
dovuto APPARIRE A
Severino-io empirico e successivamente A tutti gli altri io-empirici, come ad esempio
ALL’io
empirico-AS, giacché EGLI
può affermare che Severino-io empirico avrebbe <<dimostrato che all'io
empirico non possa apparire niente>> sol perché ALL’io empirico-AS
tale dimostrazione è innegabilmente apparsa.
Essendo
perciò APPARSA A
tutti loro, allora la dimostrazione effettuata DALL’io empirico-Severino SMENTISCE la propria tesi.
Se
infatti <<all'io empirico non [può] apparire niente
(e pertanto non [può]
sperimentare niente)>>, allora AD AS NON può
nemmeno APPARIRE ciò che sto scrivendo né può, perciò, rispondermi, perché per
rispondermi, è banalmente necessario che A LUI APPAIA ciò che ho scritto, ed A ME ciò che LUI
ha scritto.
Conseguentemente, AD AS-io empirico NON può neppure apparire la notizia che
<<all'io empirico non
possa apparire niente>> NÉ può apparirgli che Severino abbia perciò <<dimostrato
che all'io empirico non possa apparire niente>>.
Ripeto, perciò:
se tutto quanto appena scritto APPARISSE SOLTANTO
all’Io del destino (mio e suo), allora uno dei due sarebbe PERSUASO DELL’ERRORE, il che è impossibile,
giacché l’Io del destino _ sempre secondo Severino _ è la VERITÀ e non
può perciò persuadersi di alcunché d’altro da essa, poiché chi si persuade è
sempre e soltanto l’io empirico-ERRORE.
Certamente, secondo Severino l’Io finito del destino è
<<ciò a cui quei contenuti [ = SCONCERTO, TURBAMENTO] appaiono>>,
ma esso, cioè
<<l'Io del
destino sperimenta il dolore e l'angoscia, MA LASCIA CHE SIA L'IO
DELL'INDIVIDUO A
PROVARE SCONCERTO, TURBAMENTO E LA FORMA DI DOLORE E DI ANGOSCIA che ne
conseguono; e vede in questa e in ogni altra forma dell'affettività la
conseguenza inevitabile dell'errare in cui l'io dell'individuo consiste>>
(Severino: La Gloria, p. 65. Maiuscoli miei: RF)>>.
Se, come ha scritto AS:
<<Il cerchio finito dell'apparire é ciò che
sperimenta in "prima persona" i contenuti dell'io empirico, senza però patirli,
ovvero
senza che esso stesso ne sia coinvolto e persuaso>> giacché
l’<<Io finito del Destino é puro apparire>>,
allora quei <<contenuti dell'io empirico>> sono PATITI ESCLUSIVAMENTE DA quest’ultimo, ché,
in caso contrario, sarebbe FALSO asserir che l’Io del destino non
li patisca, non
ne rimanga coinvolto e non ne resti persuaso!
Ciò vuol dire, al di là di ogni dubbio, che esso sia colui A CUI QUALCOSA APPARE,
fosse anche soltanto tale patimento,
comunque pur sempre qualcosa GLI appare.
Per cui NON è arbitrario inseguire un Io del destino demandandogli
ogni forma di consapevolezza, perché altrimenti sarebbe FALSO
sostener <<che
sia l'io dell'individuo a PROVARE
sconcerto, turbamento>>,
dove <<PROVARE sconcerto,
turbamento>>
NON PUÒ, perciò, essere
inteso
<<come il fatto che l'Io finito del Destino sia ciò
a cui quei contenuti appaiono e che soltanto in essi vi sia la persuasione e il
patimento che li
riguarda>>,
appunto perché, ripeto, l’Io del destino
<<LASCIA
che sia l'io dell'individuo A PROVARE sconcerto, turbamento>> e
patimenti, NON
altri che LUI.
Ciò attesta ancora una volta come ANCHE l’io dell’individuo PROVI (patisca) qualcosa,
certamente non solo <<sconcerto, turbamento>>, come
l’esperienza quotidiana ci conferma ininterrottamente.
NOTA:
direi perciò che nel suddetto brano di Severino venga
CONFERMATO l’essere UNICAMENTE
ERRORE da parte
dell’io empirico; infatti il <<PROVARE sconcerto,
turbamento>>
così come <<ogni altra forma dell'affettività>> sono visti
come <<la conseguenza inevitabile dell'ERRARE IN CUI L'IO DELL'INDIVIDUO CONSISTE>>.
FINE NOTA.
Prosegue AS:
<<Tenendo conto di ciò e di quanto detto in
precedenti miei commenti, direi che i problemi da te sollevati si risolvano nel
seguente modo: la tua
critica si basa su di almeno una premessa sbagliata, ovvero che chi sperimenta
qualcosa sia l'io empirico e che noi siamo io empirici. Su questa base
fuorviante ovviamente non possono seguire conclusioni corrette, che pertanto non
smentiscono la filosofia severiniana>>.
NON CONCORDO, perché, che la MIA critica si basi <<su di almeno una
premessa sbagliata, ovvero che chi sperimenta qualcosa sia l'io empirico e che
noi siamo io empirici>>, è quanto MI sta comunicando l’io empirico-AS A CUI è apparsa/ha esperito
l’erroneità della MIA
premessa.
Dunque, EGLI,
criticando la MIA
premessa, LA RICONFERMA, appunto
perché, per criticarla, essa DEVE esserGLI APPARSA ed averne CONSTATATO ( = esperito)
l’erroneità, quindi AS HA
CONVALIDATO
ciò che ha criticato, ossia <<che chi sperimenta qualcosa sia l'io
empirico e che noi siamo io empirici>>.
Sì che la SUA
negazione della tesi secondo la quale <<chi sperimenta qualcosa sia
l'io empirico e che noi siamo io empirici>> si riveli una negazione auto-contraddicentesi.
Peraltro, non solo la ‘dimostrazione’ DI Severino-io
empirico NON MI
persuade affatto, ma altresì essa è auto-negantesi in virtù delle sue stesse
premesse, giacché essendo innegabile che tale ‘dimostrazione’ sia stata
effettuata DALL’io
empirico-Severino, come anche Angelo Santini ha chiaramente riconosciuto e
scritto,
allora essa si auto-toglie nel momento in cui pretende che tale dimostrazione sia
rivolta A QUALCUNO _ ad esempio A ME che la leggo _ SENZA però che vi sia mai
stato alcun io empirico-Severino che l’abbia pensata/scritta e SENZA nessun altro
io empirico A CUI essa potesse essere
rivolta.
Per cui esisterebbe NON-ILLUSORIAMENTE una dimostrazione
dell’ILLUSORIETÀ (o positivo significare del NULLA) dell’io empirico-scrivente/leggente
effettuata DALL’ILLUSORIO
io empirico-Severino a beneficio di altri ILLUSORI io empirici AI quali essa dovrà prima
o poi apparire, sì che l’ILLUSORIO io empirico-Severino ritenga NON-ILLUSORIAMENTE
che tale dimostrazione ESISTA anch’essa NON-ILLUSORIAMENTE, col
risultato che essa finisca per mostrare la PROPRIA ILLUSORIETÀ!
Dunque NON può esistere alcuna NON-ILLUSORIA dimostrazione,
giacché NESSUN ILLUSORIO io empirico potrebbe mai averla effettuata PER altri ILLUSORI io
empirici AI
quali, perciò, essa MAI AVREBBE POTUTO APPARIRE.
Insomma, questa tesi dell’impossibilità che all’io empirico
appaia ‘qualcosa’, viene CONTINUAMENTE SMENTITA dallo stesso io empirico-AS
A CUI APPARE la tesi
contraria, altrimenti, se quest’ultima non GLI fosse mai apparsa, AS NON avrebbe
potuto nemmeno negarla indirizzando A ME
la sua negazione (giacché a negarla NON può certo esser stato l’Io del destino,
il quale non nega né afferma né scrive…).
Proseguo con la seconda parte della replica di AS:
<<Aggiungo che sebbene possa poi sembrare strano che
gli io empirici non sperimentino e non facciano nulla, ciò non è però
contraddittorio. Che, nel caso dell'Io del Destino in cui é apparso l'io
empirico Emanuele Severino, a indicare la verità del Destino non sia stato l'io
empirico Severino e che in realtà non ci sia stato un indicare, ma un apparire
parziale e processuale della verità del Destino, nei nostri cerchi finiti,
nella forma che conviene alla terra isolata quale condizione di contrasto tra
la verità e l'errore, non é contraddittorio: l'apparire processuale stesso
della verità implica queste forme di ambiguità. La verità del Destino conosce
se stessa, in quanto è autoapparire, non isolatamente da tutti gli errori e le
persuasioni nichiliste che tentano di contrastarla, e il suo progressivo
mostrare la loro impossibilità richiede esattamente una forma di gradualità del
toglimento della contraddizione C. Dunque é normale e coerente con il contenuto
complessivo delle tesi severiniane il fatto che un simile contenuto abbia
incominciato ad apparire in un contesto nel quale prevale ancora la persuasione
nichilista nel divenire e nella persuasione secondo la quale sarebbe insensato
che la verità del Destino autoappaia processualmente a sé in questo modo, cioè
in una situazione che inscena che sia un io empirico, quale é quello di
Emanuele Severino, ad aver indicato un determinato contenuto: se non fosse
apparsa una simile situazione alla verità del Destino sarebbe mancata la
possibilità di negarla nella sua massima forma persuasiva, che quindi sarebbe
rimasta una possibilità aperta non originariamente negata nell'apparire
infinito. Ma allora la verità é indicata da qualche cerchio del Destino ad
altri? Non propriamente: se la verità del Destino indicata da Severino
incominciasse ad apparire in un certo Cerchio finito del Destino, si
tratterebbe sempre e comunque dell'autoapparire processuale, e caratterizzato
dalla contraddizione C, della verità del Destino in quel determinato cerchio
finito del Destino, nella forma sviante di un comprendere una verità
apparentemente dall'esterno, tramite indicazioni altrui>>.
Perfetto:
<<sebbene possa poi sembrare strano che gli io empirici non sperimentino
e non facciano nulla [etc…]>>.
Per quanto mi riguarda, ritengo ormai ampiamente
smentita la tesi secondo la quale <<gli io empirici non sperimentino e
non facciano nulla>>, altrimenti, ripeto, AS NON avrebbe potuto
SPERIMENTARE e COMUNICARE la stranezza che essi <<non SPERIMENTINO nulla>>
NÉ avrebbe
potuto EFFETTUARE ( = FARE) quella serie di azioni consistenti nello SCRIVERE (
= FARE) che <<gli io empirici non FACCIANO nulla>>, NÉ, perciò, avrebbe
potuto INDICARE quella verità secondo la quale NON vi è <<un INDICARE>>
il destino.
Senonché, EGLI
_ non una casa o una montagna _ probabilmente ribadirà che SPERIMENTARE, FARE,
SCRIVERE, INDICARE, etc…, siano enti che appaiono nell’Io del destino, e non ALL’io empirico.
E tuttavia, APPARE che a ribadire ciò, sia sempre il medesimo io empirico-AS.
Ripeto, a ribadire ciò NON è l’Io del destino, dal quale l’io
individuale è isolato e quindi non può che ignorarne l’esistenza, NÉ un albero, una
casa o una nuvola, ma SEMPRE E SOLTANTO uno tra i moltissimi io empirici che
constatiamo in ogni istante, infatti, non a caso mi sto RIVOLGENDO AD Angelo Santini, il quale REPLICHERÀ A ME ( = a questo MIO post), MOSTRANDO ULTERIORMENTE
di esser LUI
l’autore della prossima risposta e quindi CONFERMERÀ che questo mio post
GLI è infine
APPARSO, anche se _ sempre LUI _ dissentirà da quanto in esso vi è
scritto…
Scrive ancora AS:
<<La verità del Destino conosce se stessa, in quanto è
autoapparire, non isolatamente da tutti gli errori e le persuasioni nichiliste
che tentano di contrastarla, e il suo progressivo mostrare la loro
impossibilità richiede esattamente una forma di gradualità del toglimento della
contraddizione C. Dunque é normale e coerente con il contenuto complessivo
delle tesi severiniane il fatto che un simile contenuto abbia incominciato ad
apparire in un contesto nel quale prevale ancora la persuasione nichilista nel
divenire e nella persuasione secondo la quale sarebbe insensato che la verità
del Destino autoappaia processualmente a sé in questo modo>>.
NON sono d’accordo, perché se il momento presente è il
<<contesto nel quale prevale ancora la persuasione nichilista nel divenire e
nella persuasione secondo la quale sarebbe insensato che la verità del Destino
autoappaia processualmente a sé in questo modo>>,
allora, proprio in forza di tale PREVALERE dell’ERRORE, chi scrive
ciò ( = l’io empirico-errore) NON può in alcun modo SAPERE/TESTIMONIARE
(1)- NÉ
che <<La verità del Destino conosce se stessa, in quanto è
autoapparire>>,
(2)- NÉ
che nell’attuale contesto <<prevale ancora la persuasione nichilista nel
divenire [etc…]>> cioè prevale l’ERRORE-io empirico,
giacché, se l’ERRORE SAPESSE tutto ciò, l’io
empirico NON sarebbe sé stesso cioè non sarebbe ERRORE ma saprebbe ciò che SA
la verità, essendo così INDISTINGUIBILE da quest’ultima, come già indicato sopra,
nella mia premessa;
oppure, sempre se l’ERRORE SAPESSE tutto ciò,
allora esso NON
PREVARREBBE sulla verità del destino (come invece accade),
appunto perché la verità APPARIREBBE NON-PREVARICATA (quindi libera) dall’ERRORE (il
che non è).
Infatti, è proprio perché l’ERRORE PREVALE, che ad esso è PRECLUSA la conoscenza
delle due possibilità testé negate.
Roberto Fiaschi
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