martedì 22 agosto 2023

85)- TERZO DIALOGO CON ANGELO SANTINI SUL RAPPORTO SEVERINIANO TRA “IO EMPIRICO-IO DEL DESTINO”


Rispondendo al mio post n° 71, Angelo Santini (AS) ha scritto:

<<Ciao Roberto. Ti ringrazio per questa risposta, a cui incomincio a replicare nel seguente modo: l'io empirico di per sé non esiste, se non come insieme di contenuti coscienzali che sono parte dell'Io finito del Destino a cui convengono. Severino ha sempre detto che noi siamo cerchi finiti del Destino e, come ti ha detto anche Egon Key, nel testo "Cervello, mente, anima" ha dimostrato che all'io empirico non possa apparire niente (e pertanto non possa sperimentare niente), in quanto ciò che appare può apparire solo al e nel cerchio dell'apparire (oltre che ovviamente nell'apparire infinito). Una volta assodato ciò, risulta che pertanto a sperimentare qualsiasi contenuto non possa che essere il cerchio finito dell'apparire che siamo, non l'io empirico considerato erroneamente astratto ed autosussistente rispetto ad esso. L'io empirico é un insieme di contenuti coscienzali che non autoappaiono in se stessi e a se stessi, ma nel cerchio finito dell'apparire che é ciò che li sperimenta. Il cerchio finito dell'apparire é ciò che sperimenta in "prima persona" i contenuti dell'io empirico, senza però patirli, ovvero senza che esso stesso ne sia coinvolto e persuaso (essendo l'Io del Destino l'apparire trascendentale di ciò che gli si manifesta). Che l'io empirico possa provare qualcosa andrebbe inteso come il fatto che l'Io finito del Destino sia ciò a cui quei contenuti appaiono e che soltanto in essi vi sia la persuasione e il patimento che li riguarda (ma che non autoappare a sé e in se' e quindi non è "da loro" sperimentato, ma del cerchio finito del Destino a cui sono originariamente congiunti), non nello sguardo dell'Io finito del Destino che é puro apparire>>.

Pausa prima parte.

Ringrazio molto anch’io Angelo Santini, soprattutto per la sua passione e la sua inossidabile cortesia.

Devo, però, premettere una considerazione.

Nel presente intervento di AS, egli scrive che l’apparire del mondo all’io empirico-Severino (o a chiunque altro) sarebbe <<una situazione che INSCENA che sia un io empirico, quale é quello di Emanuele Severino, ad aver indicato un determinato contenuto>>.

Ebbene, tale MESSINSCENA _ qualora fosse considerata un tratto della verità del destino _, NON potrebbe in alcun modo esser SAPUTA dall’io empirico.

A differenza dei comuni attori di teatro, che SANNO di recitare, l’io empirico, poiché è ERRORE (SENZA saper di esserlo), NON SA neppure di recitare una MESSINSCENA che vi sia un Regista ( = l’Io del destino) alle proprie ‘spalle’, perché è convinto della realtà di sé, della propria vita e del mondo in cui esso agisce.

Ma ciò che conta notare è che la mia (presunta) autentica essenza, cioè il mio Io del destino, che per sua natura NON PUÒ INDICARE ALCUNCHÉ, NON può neppure esser esso ad esperire il mio essere io empirico, perché se fosse unicamente l’Io del destino stesso ad esperire le convinzioni ERRONEE che noi io empirici abitualmente affermiamo, quali ad esempio:

a me appare questo e quello; io scrivo; io replico; io sono Roberto; io faccio questo, etc…,

allora l’Io del destino CREDEREBBE a tali contenuti ERRONEI, ne sarebbe PERSUASO, CREDEREBBE cioè che l’io sia quel centro coscienziale individuale A CUI qualcosa appare, altrimenti NESSUN io empirico penserebbe/direbbe mai:

a me appare questo e quello; io scrivo; io replico, etc…,

giacché la soverchiante consapevolezza cui è l’Io del destino si paleserebbe innegabilmente, rendendogli impossibile affermare:

a me (io empirico) appare questo e quello; io (empirico) scrivo; io (empirico) replico, etc…

Sì che, a conti fatti, l’Io del destino si riveli perciò esser non solo ERRANTE

(ed ERRANTE non in forza della contraddizione C, bensì ERRANTE per la persuasione incontrastata che il mondo appaia A NOI io empirici, che siamo soliti dire: io scrivo; io replico, etc…),

ma altresì INDISTINGUIBILE dall’io empirico-errante (nonché dall’ERRORE).

Quand’anche, infatti, ammettessimo (ma SENZA concedere) che <<a sperimentare qualsiasi contenuto non possa che essere il cerchio finito dell'apparire che siamo>>, quest’ultimo, quale <<inconscio dell’inconscio>> di ME mortale (poiché sono ISOLATO da esso) NON potrebbe MAI trapelare in (o a) ME, se non come

<<un affiorare ROVESCIATO (e dunque SVIANTE) dell’inconscio dell’inconscio (e che sia ROVESCIATO significa che sono IMPOSSIBILI LAMPI di COMPRENSIONE AUTENTICA)>> del destino (N. Cusano),

cosicché NESSUNO ( l’Io del destino l’io empirico) POSSA MAI TESTIMONIARE (anzi: NEPPURE avvedersi dell’esistenza de) una qualsivoglia verità del destino.

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Tornando ora alla replica di AS, egli giustamente esordisce così:

<<Ti ringrazio per questa risposta, a cui [io] incomincio a replicare nel seguente modo>>.

Sulla scia di quanto già esposto nei post nn. 83 e 84, ho fatto innanzitutto notare questa frase di AS perché NEPPURE lui può evitar di ammettere che la mia risposta sia APPARSA A LUI-io empirico, così come la sua presente replica adesso APPARE A ME, altro io empirico.

Sarebbe infatti ‘difficile’ ritener che qui, come altrove, repliche e contro-repliche appaiano unicamente a due Io del destino, perché, se così fosse, bisognerebbe riconoscere che almeno uno (quale non importa) dei due Io del destino sia PERSUASO dell’ERRORE, mentre, invece, ad esser persuaso dell’errore è sempre e soltanto l’io empirico.

Lo stesso dicasi riguardo quest’altra affermazione di AS:

<<Severino ha sempre detto che noi siamo cerchi finiti del Destino>>.

Vero, ma appunto: LO HA DETTO Severino, ossia un io empirico, NON qualcos’altro…

Comunque, AS sostiene che Severino avrebbe <<dimostrato che all'io empirico non possa apparire niente>>.

Ma, se così, Severino NON avrebbe potuto dimostrare niente, perché, per dimostrare quanto indicato, tale dimostrazione avrebbe innanzitutto dovuto APPARIRE A Severino-io empirico e successivamente A tutti gli altri io-empirici, come ad esempio ALL’io empirico-AS, giacché EGLI può affermare che Severino-io empirico avrebbe <<dimostrato che all'io empirico non possa apparire niente>> sol perché ALL’io empirico-AS tale dimostrazione è innegabilmente apparsa.

Essendo perciò APPARSA A tutti loro, allora la dimostrazione effettuata DALL’io empirico-Severino SMENTISCE la propria tesi.

Se infatti <<all'io empirico non [può] apparire niente (e pertanto non [può] sperimentare niente)>>, allora AD AS NON può nemmeno APPARIRE ciò che sto scrivendo né può, perciò, rispondermi, perché per rispondermi, è banalmente necessario che A LUI APPAIA ciò che ho scritto, ed A ME ciò che LUI ha scritto. 

Conseguentemente, AD AS-io empirico NON può neppure apparire la notizia che <<all'io empirico non possa apparire niente>> può apparirgli che Severino abbia perciò <<dimostrato che all'io empirico non possa apparire niente>>.

Ripeto, perciò:

se tutto quanto appena scritto APPARISSE SOLTANTO all’Io del destino (mio e suo), allora uno dei due sarebbe PERSUASO DELL’ERRORE, il che è impossibile, giacché l’Io del destino _ sempre secondo Severino _ è la VERITÀ e non può perciò persuadersi di alcunché d’altro da essa, poiché chi si persuade è sempre e soltanto l’io empirico-ERRORE.

Certamente, secondo Severino l’Io finito del destino è <<ciò a cui quei contenuti [ = SCONCERTO, TURBAMENTO] appaiono>>, ma esso, cioè 

<<l'Io del destino sperimenta il dolore e l'angoscia, MA LASCIA CHE SIA L'IO DELL'INDIVIDUO A PROVARE SCONCERTO, TURBAMENTO E LA FORMA DI DOLORE E DI ANGOSCIA che ne conseguono; e vede in questa e in ogni altra forma dell'affettività la conseguenza inevitabile dell'errare in cui l'io dell'individuo consiste>> (Severino: La Gloria, p. 65. Maiuscoli miei: RF)>>.

Se, come ha scritto AS:

<<Il cerchio finito dell'apparire é ciò che sperimenta in "prima persona" i contenuti dell'io empirico, senza però patirli, ovvero senza che esso stesso ne sia coinvolto e persuaso>> giacché l’<<Io finito del Destino é puro apparire>>,

allora quei <<contenuti dell'io empirico>> sono PATITI ESCLUSIVAMENTE DA quest’ultimo, ché, in caso contrario, sarebbe FALSO asserir che l’Io del destino non li patisca, non ne rimanga coinvolto e non ne resti persuaso!

Ciò vuol dire, al di là di ogni dubbio, che esso sia colui A CUI QUALCOSA APPARE, fosse anche soltanto tale patimento, comunque pur sempre qualcosa GLI appare.

Per cui NON è arbitrario inseguire un Io del destino demandandogli ogni forma di consapevolezza, perché altrimenti sarebbe FALSO sostener <<che sia l'io dell'individuo a PROVARE sconcerto, turbamento>>,

dove <<PROVARE sconcerto, turbamento>> NON PUÒ, perciò, essere inteso

<<come il fatto che l'Io finito del Destino sia ciò a cui quei contenuti appaiono e che soltanto in essi vi sia la persuasione e il patimento che li riguarda>>,

appunto perché, ripeto, l’Io del destino

<<LASCIA che sia l'io dell'individuo A PROVARE sconcerto, turbamento>> e patimenti, NON altri che LUI.

Ciò attesta ancora una volta come ANCHE l’io dell’individuo PROVI (patisca) qualcosa, certamente non solo <<sconcerto, turbamento>>, come l’esperienza quotidiana ci conferma ininterrottamente.

NOTA:

direi perciò che nel suddetto brano di Severino venga CONFERMATO l’essere UNICAMENTE ERRORE da parte dell’io empirico; infatti il <<PROVARE sconcerto, turbamento>> così come <<ogni altra forma dell'affettività>> sono visti come <<la conseguenza inevitabile dell'ERRARE IN CUI L'IO DELL'INDIVIDUO CONSISTE>>.

FINE NOTA.

Prosegue AS:

<<Tenendo conto di ciò e di quanto detto in precedenti miei commenti, direi che i problemi da te sollevati si risolvano nel seguente modo: la tua critica si basa su di almeno una premessa sbagliata, ovvero che chi sperimenta qualcosa sia l'io empirico e che noi siamo io empirici. Su questa base fuorviante ovviamente non possono seguire conclusioni corrette, che pertanto non smentiscono la filosofia severiniana>>.

NON CONCORDO, perché, che la MIA critica si basi <<su di almeno una premessa sbagliata, ovvero che chi sperimenta qualcosa sia l'io empirico e che noi siamo io empirici>>, è quanto MI sta comunicando l’io empirico-AS A CUI è apparsa/ha esperito l’erroneità della MIA premessa.

Dunque, EGLI, criticando la MIA premessa, LA RICONFERMA, appunto perché, per criticarla, essa DEVE esserGLI APPARSA ed averne CONSTATATO ( = esperito) l’erroneità, quindi AS HA CONVALIDATO ciò che ha criticato, ossia <<che chi sperimenta qualcosa sia l'io empirico e che noi siamo io empirici>>.

Sì che la SUA negazione della tesi secondo la quale <<chi sperimenta qualcosa sia l'io empirico e che noi siamo io empirici>> si riveli una negazione auto-contraddicentesi.

Peraltro, non solo la ‘dimostrazione’ DI Severino-io empirico NON MI persuade affatto, ma altresì essa è auto-negantesi in virtù delle sue stesse premesse, giacché essendo innegabile che tale ‘dimostrazione’ sia stata effettuata DALL’io empirico-Severino, come anche Angelo Santini ha chiaramente riconosciuto e scritto, allora essa si auto-toglie nel momento in cui pretende che tale dimostrazione sia rivolta A QUALCUNO _ ad esempio A ME che la leggo _ SENZA però che vi sia mai stato alcun io empirico-Severino che l’abbia pensata/scritta e SENZA nessun altro io empirico A CUI essa potesse essere rivolta.

Per cui esisterebbe NON-ILLUSORIAMENTE una dimostrazione dell’ILLUSORIETÀ (o positivo significare del NULLA) dell’io empirico-scrivente/leggente effettuata DALL’ILLUSORIO io empirico-Severino a beneficio di altri ILLUSORI io empirici AI quali essa dovrà prima o poi apparire, sì che l’ILLUSORIO io empirico-Severino ritenga NON-ILLUSORIAMENTE che tale dimostrazione ESISTA anch’essa NON-ILLUSORIAMENTE, col risultato che essa finisca per mostrare la PROPRIA ILLUSORIETÀ!

Dunque NON può esistere alcuna NON-ILLUSORIA dimostrazione, giacché NESSUN ILLUSORIO io empirico potrebbe mai averla effettuata PER altri ILLUSORI io empirici AI quali, perciò, essa MAI AVREBBE POTUTO APPARIRE.

Insomma, questa tesi dell’impossibilità che all’io empirico appaia ‘qualcosa’, viene CONTINUAMENTE SMENTITA dallo stesso io empirico-AS A CUI APPARE la tesi contraria, altrimenti, se quest’ultima non GLI fosse mai apparsa, AS NON avrebbe potuto nemmeno negarla indirizzando A ME la sua negazione (giacché a negarla NON può certo esser stato l’Io del destino, il quale non nega né afferma né scrive…).

Proseguo con la seconda parte della replica di AS:

<<Aggiungo che sebbene possa poi sembrare strano che gli io empirici non sperimentino e non facciano nulla, ciò non è però contraddittorio. Che, nel caso dell'Io del Destino in cui é apparso l'io empirico Emanuele Severino, a indicare la verità del Destino non sia stato l'io empirico Severino e che in realtà non ci sia stato un indicare, ma un apparire parziale e processuale della verità del Destino, nei nostri cerchi finiti, nella forma che conviene alla terra isolata quale condizione di contrasto tra la verità e l'errore, non é contraddittorio: l'apparire processuale stesso della verità implica queste forme di ambiguità. La verità del Destino conosce se stessa, in quanto è autoapparire, non isolatamente da tutti gli errori e le persuasioni nichiliste che tentano di contrastarla, e il suo progressivo mostrare la loro impossibilità richiede esattamente una forma di gradualità del toglimento della contraddizione C. Dunque é normale e coerente con il contenuto complessivo delle tesi severiniane il fatto che un simile contenuto abbia incominciato ad apparire in un contesto nel quale prevale ancora la persuasione nichilista nel divenire e nella persuasione secondo la quale sarebbe insensato che la verità del Destino autoappaia processualmente a sé in questo modo, cioè in una situazione che inscena che sia un io empirico, quale é quello di Emanuele Severino, ad aver indicato un determinato contenuto: se non fosse apparsa una simile situazione alla verità del Destino sarebbe mancata la possibilità di negarla nella sua massima forma persuasiva, che quindi sarebbe rimasta una possibilità aperta non originariamente negata nell'apparire infinito. Ma allora la verità é indicata da qualche cerchio del Destino ad altri? Non propriamente: se la verità del Destino indicata da Severino incominciasse ad apparire in un certo Cerchio finito del Destino, si tratterebbe sempre e comunque dell'autoapparire processuale, e caratterizzato dalla contraddizione C, della verità del Destino in quel determinato cerchio finito del Destino, nella forma sviante di un comprendere una verità apparentemente dall'esterno, tramite indicazioni altrui>>.

Perfetto:

<<sebbene possa poi sembrare strano che gli io empirici non sperimentino e non facciano nulla [etc…]>>.

Per quanto mi riguarda, ritengo ormai ampiamente smentita la tesi secondo la quale <<gli io empirici non sperimentino e non facciano nulla>>, altrimenti, ripeto, AS NON avrebbe potuto SPERIMENTARE e COMUNICARE la stranezza che essi <<non SPERIMENTINO nulla>> avrebbe potuto EFFETTUARE ( = FARE) quella serie di azioni consistenti nello SCRIVERE ( = FARE) che <<gli io empirici non FACCIANO nulla>>, , perciò, avrebbe potuto INDICARE quella verità secondo la quale NON vi è <<un INDICARE>> il destino.

Senonché, EGLI _ non una casa o una montagna _ probabilmente ribadirà che SPERIMENTARE, FARE, SCRIVERE, INDICARE, etc…, siano enti che appaiono nell’Io del destino, e non ALL’io empirico.

E tuttavia, APPARE che a ribadire ciò, sia sempre il medesimo io empirico-AS.

Ripeto, a ribadire ciò NON è l’Io del destino, dal quale l’io individuale è isolato e quindi non può che ignorarne l’esistenza, un albero, una casa o una nuvola, ma SEMPRE E SOLTANTO uno tra i moltissimi io empirici che constatiamo in ogni istante, infatti, non a caso mi sto RIVOLGENDO AD Angelo Santini, il quale REPLICHERÀ A ME ( = a questo MIO post), MOSTRANDO ULTERIORMENTE di esser LUI l’autore della prossima risposta e quindi CONFERMERÀ che questo mio post GLI è infine APPARSO, anche se _ sempre LUI _ dissentirà da quanto in esso vi è scritto…

Scrive ancora AS:

<<La verità del Destino conosce se stessa, in quanto è autoapparire, non isolatamente da tutti gli errori e le persuasioni nichiliste che tentano di contrastarla, e il suo progressivo mostrare la loro impossibilità richiede esattamente una forma di gradualità del toglimento della contraddizione C. Dunque é normale e coerente con il contenuto complessivo delle tesi severiniane il fatto che un simile contenuto abbia incominciato ad apparire in un contesto nel quale prevale ancora la persuasione nichilista nel divenire e nella persuasione secondo la quale sarebbe insensato che la verità del Destino autoappaia processualmente a sé in questo modo>>.

NON sono d’accordo, perché se il momento presente è il <<contesto nel quale prevale ancora la persuasione nichilista nel divenire e nella persuasione secondo la quale sarebbe insensato che la verità del Destino autoappaia processualmente a sé in questo modo>>,

allora, proprio in forza di tale PREVALERE dell’ERRORE, chi scrive ciò ( = l’io empirico-errore) NON può in alcun modo SAPERE/TESTIMONIARE

(1)- che <<La verità del Destino conosce se stessa, in quanto è autoapparire>>,

(2)- che nell’attuale contesto <<prevale ancora la persuasione nichilista nel divenire [etc…]>> cioè prevale l’ERRORE-io empirico,

giacché, se l’ERRORE SAPESSE tutto ciò, l’io empirico NON sarebbe sé stesso cioè non sarebbe ERRORE ma saprebbe ciò che SA la verità, essendo così INDISTINGUIBILE da quest’ultima, come già indicato sopra, nella mia premessa;

oppure, sempre se l’ERRORE SAPESSE tutto ciò, allora esso NON PREVARREBBE sulla verità del destino (come invece accade), appunto perché la verità APPARIREBBE NON-PREVARICATA (quindi libera) dall’ERRORE (il che non è).

Infatti, è proprio perché l’ERRORE PREVALE, che ad esso è PRECLUSA la conoscenza delle due possibilità testé negate.

 

Roberto Fiaschi

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