venerdì 25 agosto 2023

87)- ANGELO SANTINI: L’IO DEL DESTINO «INSCENA» IL PROPRIO INDICARE SÉ STESSO?


Vorrei soffermarmi su una precedente affermazione (post 85) di Angelo Santini (AS) secondo cui, a proposito della volontà di INDICARE la verità del destino, <<in realtà non [c’è] stato un indicare>> il destino da parte dell’io empirico-Severino, nonostante l’io empirico-Severino  abbia affermato:

<<i miei scritti sono il dito>> che indica la luna ossia il destino. (Severino: Educare al pensiero, pp. 155-156).

Notare bene; egli precisa: <<i miei scritti>>, cioè DELL’io empirico-Severino.

Al contempo, però (cfr. il post n° 37), è necessario _ afferma sempre il filosofo bresciano _ che quel dito (cioè <<i miei scritti>>), <<fraintendasempre e inevitabilmente, le tracce della Gioia [la luna]>>.

Ancora Severino:

<<Il dito e la luna. Le piace? È una metafora cinese. Il dito indica la luna e può aiutare a spingere verso il tramonto il dito che indica la terra isolata. Il carattere problematico della capacità del dito di indicare la luna non investe lo splendore della luna>>.

Certo, purché, però, quel dito sappia INDICARE CORRETTAMENTE, non in modo <<problematico>>.

Ora, come detto, quel dito è necessario che

<<fraintendasempre e inevitabilmente, le tracce della Gioia [la luna]>>, in quanto esso (quale metafora dei <<miei scritti>> e quindi DELLio empirico-Severino) è ERRORE, infatti esso ha un <<carattere problematico>> nell’indicare, proprio perché è un dito STORTO, per cui non indicherà MAI correttamente, e perciò la luna non sarà affatto indicata né indicabile, visto che quel dito STORTO dirotta sempre ALTROVE la sua indicazione.

Pertanto è sommamente CONTRADDITTORIO affermare che ALL’io empirico NULLA APPAIA ed al contempo ritener che AL dito ( = ALL’io empirico-Severino) DEBBA APPARIRE la luna onde poterla INDICARE!

O si vorrà forse sostener assurdamente che il dito ( = l’io empirico-Severino) INDICHI ( = gli appaia) ciò che non può MAI apparirgli?

Severino osserva:

<<la luna appare>> (op. cit.).

A CHI?

A LUI, o meglio, al SUO dito che la INDICA o, meglio ancora, la luna appare in ciò che egli chiama:

<<i miei scritti sono il dito>>.

Lo ha detto Severino, non il sottoscritto…

Ricordiamoci adesso quanto asserito da AS:

<<in realtà non [c’è] stato un indicare>> il destino da parte dell’io empirico-Severino.

Per cui, che gli scritti DI Severino siano il dito che indica la luna è <<in realtà>> una FINZIONE, o come dice lo stesso AS:

è qualcosa di <<inscenato>>.

Leggiamo direttamente AS:

<<Non è l'io empirico Severino [ = il dito] ad aver indicato la verità del Destino [ = la luna] ai nostri io empirici o al nostro Io finito del Destino, ma è l'Io Infinito del Destino che, in questo tratto di realtà della terra isolata, appare processualmente e parzialmente in sé e a sé ospitando solo alcuni tratti coscienziali di se stesso e che quindi autoappare a sé in questo modo parziale, nel quale è inscenato un contrasto tra la verità e l'errore che passa anche per equivoci come quelli secondo cui a testimoniare e indicare il Destino sia un io empirico anziché l'Io finito del Destino (che è una porzione dell'Io infinito del Destino). In altre parole, ad aver indicato la verità del Destino è il Destino stesso a sé stesso e in se stesso (in questo tratto della terra isolata, nella forma processuale inscenata dal contesto stesso della terra isolata, quale contrasto tra la verità e l'errore e l'idea che siano gli individui a testimoniare qualcosa>>. (Parentesi quadre mie: RF).

Intanto, NON si capisce COME, sulla base di una messinscena, si possa affermare CON VERITÀ non solo che essa è una messinscena _ giacché, per affermare ciò, gli attori ( = gli io empirici) dovrebbero SAPERE della loro inscenata mentre, invece, Severino ha sempre ribadito che l’io empirico-errore NON SA di essere errore e quindi NON SA di inscenare alcunché  _, ma, ancor più, si rimane stupiti da come non ci si accorga dell’ASSURDITÀ della seguente tesi severiniana:

<<ad aver indicato la verità del Destino è il Destino stesso a sé stesso e in se stesso (in questo tratto della terra isolata, nella forma processuale inscenata dal contesto stesso della terra isolata, quale contrasto tra la verità e l'errore e l'idea che siano gli individui a testimoniare qualcosa>>.

Scendiamo nel dettaglio.

Vestiamo il <<Destino stesso>> coi panni dell’UNICO REGISTA ed OSSERVATORE ( = Io del destino) della scena che si svolge nel suo teatro.

Sul palco, vi è un gruppo di <<tratti coscienziali>> ( = gli io empirici-errori) che si avvicendano inscenando di INDICARE <<la verità del Destino>>.

Come anticipato, il regista è l’UNICO FRUITORE che VEDE e SA tutto quanto avviene sul palco, mentre, invece, gli io empirici ivi recitanti sono ERRORI, per cui essi sono CIECHI pur sostenendo, essi, di vedere, e sono SORDI pur sostenendo di udire.

Inoltre, essi non sono consapevoli di inscenare un <<fittizio agire>>, perché ritengono di agire realmente, ed IGNORANO completamente l’esistenza/presenza del REGISTA ( = Io del destino) che li osserva, giacché è stato detto da AS:

<<Secondo la filosofia di Severino non vi è in noi un soggetto che abbia fede, pensi e si rappresenti la realtà, ma solo l'apparire di configurazioni coscienziali in cui si inscena questo e la identificazione con un io empirico calato in un presunto mondo esterno, creduto diveniente>>;

ed anche:

<<dissento sul ritenerci Io empirici. Chi sperimenta [ = osserva] ciò che appare nel nostro Cerchio finito del Destino [ = nel teatro] è il nostro Io finito del Destino [ = il regista], non l'io empirico [ = il gruppo di <<tratti coscienziali>> cui sono gli io empirici-errori]. L'io empirico [ = tale gruppo di <<tratti coscienziali>>] non ha realtà propria ed esiste come contenuto della fede [ = cioè NON esiste] (la fede che esista fisicamente la persona, anziché l'insieme delle determinazioni che ne rappresentano il fittizio agire, ovvero la persuasione di agire, secondo la filosofia sostenuta da Severino)>>. (Parentesi quadre mie: RF).

Accade, dunque, che l’Io del destino necessiti di INDICARE sé stesso <<nella forma processuale inscenata dal contesto stesso della terra isolata [ = del teatro]>>.

Ossia, tale regista, chissà perché, sente la necessità di INDICARE sé stesso <<a stesso e in se stesso>> attraverso la messinscena recitata da <<tratti coscienziali>> i quali, in quanto sono CIECHI, SORDI e FITTIZI, non possono indicare proprio niente!

Ora, il MINIMO che si possa dire di questo Io del destino è che sia BEN POCO CONSCIO di sé, tanto da aver NECESSITÀ di INDICARSI non in virtù del proprio auto-apparirsi immediato ed innegabile, ossia della propria auto-coscienza, bensì grazie ad una sceneggiata che di sé stessa NULLA SA, NULLA ESPERISCE, NULLA VEDE e NULLA SENTE, essendo per lo più FITTIZIA ossia _ in ultima analisi _ INESISTENTE!

Non solo, ma accade che la sceneggiata consistente nei suddetti CIECHI, SORDI e FITTIZI io empirici, prenda possesso della scena teatrale (AS: <<quale contrasto tra la verità [ = il regista] e l'errore [ = gli io empirici] e l'idea che siano gli individui a testimoniare qualcosa>>), CONTRASTANDO la consapevolezza ( = la verità) del regista di essere IL SOLO ed UNICO REGISTA, finendo perciò, EGLI, per immedesimarsi (credendo) in quegli io empirici SORDI, CIECHI e FITTIZI, appunto perché questi ultimi sono convinti di NON essere CIECHI, SORDI e FITTIZI, bensì reali soggetti consapevoli del mondo che appare loro.

AS ha precisato che

<<l'apparire della persuasione nell'errore non intacca l'Io finito del Destino, il quale non è che "creda" nell'errore quando gli appare, quanto piuttosto è pervaso in quel momento principalmente da quella particolare serie di configurazioni coscienziali che inscenano la persuasione dell'essere un io empirico che ha fede in qualcosa, mentre l'oltrepassamento dell'errore (già originariamente avvenuto nell'apparire infinito) è semplicemente l'apparire di configurazioni coscienziali in cui è da sempre presente la comprensione dell'errore in quanto errore, e della verità in quanto tale>>.

Ma l’esser <<pervaso in quel momento principalmente da quella particolare serie di configurazioni coscienziali che inscenano la persuasione dell'essere un io empirico che ha fede in qualcosa>>,

significa che l’Io del destino è appunto PERSUASO ossia CREDE <<nell'errore quando gli appare>>, altrimenti tale persuasione scivolerebbe via, non attecchirebbe neppure per un istante, e perciò NESSUN io empirico direbbe MAI:

io sono, io faccio, io vedo, io penso, io sento, etc…,

perché verrebbe immediatamente sconfessato dalla INOBLIABILE consapevolezza della verità dell’Io del destino.

Insomma, una verità davvero LABILE, se si lascia sopraffare dall’errore…

 

Roberto Fiaschi

---------------------------------------------

1 commento:

  1. Nell' Anima siamo tutti simili agliEssenti e questo è una buona notizia è che inquanto natura e mentsalità siamo srati corrotti nelle modo di pensare e porci di consequenza senza motivo ma piü per paura

    RispondiElimina