martedì 29 agosto 2023

89)- LA NON-RISOLUZIONE DELL’APORETICA DEL NULLA

Scrive Alessandro Vaglia (deSstopron6g6u9lm8f136hl6a936ifu00hmi9tihm549a7c39 30la79137):

<<LA RISOLUZIONE APORETICA DEL NULLA È UNA CONSEGUENZA DEL PRINCIPIO E NON È AFFATTO NECESSARIA AL PRINCIPIO STESSO.

SEVERINO NON È HEGEL, NON PARTE INFATTI DA UNA REALTÀ CONTRADDITTORIA A CUI IL RISULTATO RIMEDIA (tenta l'impossibile rimedio).

(Risposta a Paolo Pigigi che voleva fare essere il principio di non contraddizione secondo la risoluzione dell'aporetica del nulla.)

Partiamo col dire che vi sono alcune inesattezze in questo post (*) o se esatte che vanno giustificate dall'autore stesso e non da Severino che non le ha affatto affermate. Il momento nulla come positivo significare non è autocontraddittorio ma incontraddittorio come incontraddittorio è il momento nulla, dunque cosa è autocontraddittorio? La materia logica di questi due portati formali che si pongono insieme nel porre Nulla. Dunque dico nulla? allora dico essere del nulla. Quando due momenti della sintesi logica sono incontraddittori significa che astrattamente essi sono per sé autoevidenti, da una parte l'essere appunto un significato positivo, ed ogni significato positivo è, o essere appunto, e dall'altra quel nulla assoluto che è nulla. Premessa fondamentale, tutto ciò che qui si sta dicendo del nulla è appunto significato [dal] positivo del nulla>>. (Parentesi quadra mia, probabile omissione involontaria di Alessandro Vaglia).

Prima pausa.

Alessandro Vaglia domanda:

<<dunque cosa è autocontraddittorio?>>

E risponde:

<<La materia logica di questi due portati formali che si pongono insieme nel porre Nulla>>.

Esatto, precisando che tale <<materia logica>> è il significato <<Nulla>> quale sintesi dei due suddetti momenti.

Bene.

Poi Alessandro Vaglia chiede:

<<Dunque dico nulla? allora dico essere del nulla>>.

Esatto.

L’essere del nulla è la contraddizione che costituisce il significato concreto del Nulla quale sintesi dei due momenti.

Prosegue Alessandro Vaglia:

<<Quando due momenti della sintesi logica sono incontraddittori significa che astrattamente essi sono per sé autoevidenti, da una parte l'essere appunto un significato positivo, ed ogni significato positivo è, o essere appunto, e dall'altra quel nulla assoluto che è nulla. Premessa fondamentale, tutto ciò che qui si sta dicendo del nulla è appunto significato positivo del nulla>>.

Perfetto, d’accordo.

Senonché, egli dice che <<Quando due momenti della sintesi logica sono incontraddittori significa che astrattamente essi sono per autoevidenti>>, indubbiamente, ma ecco il punto:

l’autoevidenza del secondo momento nulla ( = nihil absolutum = nulla assoluto), si ribalta immediatamente nella PROPRIA NEGAZIONE, ossia nella NEGAZIONE che quel secondo momento riesca a significare SOLTANTO nulla assoluto, perché quest’ultimo, essendo in relazione inscindibile con l’altro momento cui è il suo positivo significare, CESSA di valere come nulla assoluto perché in forza della sua DIFFERENZA dal positivo significare, quel nulla si ENTIFICA.

Q-U-E-S-T-A È L’APORIA DEL NULLA che Severino ha tentato di risolvere, giacché astenersi da ciò, comporta che il significato concreto Nulla, cioè la sintesi autocontraddicentesi dei due momenti, si riveli in realtà una sintesi RELATIVA in quanto sintesi tra due ESSENTI (appunto perché il nulla assoluto quale secondo momento, ENTIFICANDOSI, non sarebbe più il nulla assoluto BENSÌ un ALTRO ESSENTE), anziché tra due significati tra loro ASSOLUTAMENTE incompatibili poiché ASSOLUTAMENTE differenti l’un dall’altro, come appunto sarebbero (ma NON lo sono) infinitamente distanti l’essere dal nulla assoluto.

La soluzione severiniana consiste nel tener sì distinti i due significati del termine Nulla, ma al contempo badando bene di NON SEPARARLI, altrimenti il secondo momento nulla assoluto finirebbe per ENTIFICARSI, contravvenendo perciò al suo negativo statuto ontologico, cosicché, se si ENTIFICASSE, allora il significato concreto Nulla NON sarebbe più una sintesi autocontraddicentesi, come vuole Severino, appunto perché diverrebbe invece una sintesi tra due ESISTENTI, cioè tra due ESSENTI, e non tra un essente ( = il positivo significare) ed il nulla assoluto, come vuole Severino.

Ad un certo punto, Alessandro Vaglia chiede:

<<Se fosse autoevidente che l'essere è nulla di quale APORIA staremmo discutendo ora infatti?>>

Di nessuna aporia discuteremmo, certo, ma infatti NESSUNO AFFERMA che <<che l'essere è nulla>>, bensì si dice, che AL SEGUITO DI TALE INNEGABILE DIFFERENZA, e anzi, PROPRIO GRAZIE AD ESSA, il nulla NON SI DISTINGUE dall’essere, o meglio:

se ne distingue SENZA distinguersene,

o NON se ne distingue proprio perché se ne distingue.

E ancora, dunque, Alessandro Vaglia scrive:

<<Anche l'aporetico dunque, in qualche parte recondita del suo intimo inconscio sa quello che Emanuele Severino procederà a discutere, ma se lo vuole negare e dunque si nega da sé. Sa che dicendo nulla sta dicendo e trattando il nulla assoluto>>;

ma certamente, infatti, ripeto, NESSUNO AFFERMA che <<che l'essere è nulla>> o NEGA la loro DIFFERENZA, al contrario, tale DIFFERENZA è così ben manifesta da capovolgersi immediatamente nell’IDENTITÀ tra essere e nulla, o nella loro INDISTINGUIBILITÀ.

Conclude così Alessandro Vaglia:

<<Il mortale Platone questo lo sa (leggere il Sofista ultima parte), ma non lo risolve, sarà Severino a farlo>>.

Ed è proprio questo il punto: Severino NON HA RISOLTO l’aporia del nulla, giacché il nulla, DIFFERENDO dall’essere, al contempo NON NE DIFFERISCE.

Pertanto non è neppur sostenibile che <<LA RISOLUZIONE APORETICA DEL NULLA È UNA CONSEGUENZA DEL PRINCIPIO E NON È AFFATTO NECESSARIA AL PRINCIPIO STESSO>>,

appunto perché quel principio utilizza il significato nulla come se A MONTE la sua aporeticità fosse GIÀ STATA RISOLTA, per cui è ovvio che Severino ponga la sua ‘risoluzione’ al IV capitolo de La struttura originaria, anziché al primo (e comunque il IV capitolo è tra i primissimi, essendo il libro citato costituito da ben XIII capitoli!).

infatti, se tale aporia non è risolta, allora quel principio NON RIESCE neppure a costituirsi se non anch’esso aporeticamente…


Roberto Fiaschi

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