In risposta al post n° 73, Egon Key (EK) riporta un passaggio di Severino:
<<L'io empirico (cosa già detta), come qualsiasi
altro contenuto, appare NELL'Io finito del destino, e tale mostrarsi NON è un
mio atto di coscienza, perché il ‘mio’ atto di coscienza è esso stesso UNA
DELLE COSE CHE SI MOSTRANO">>.
Premesso che <<il ‘mio’ atto di coscienza>> è ciò grazie al
quale si mostrano le cose che MI si mostrano (incluso il mio atto di coscienza, che mostra sé stesso come
fondamento dell’apparire _ della consapevolezza _ delle cose che appaiono), per
il resto vedasi qui sotto, ove EK prosegue riportando il brano di Nicoletta
Cusano (in grassetto) unitamente al mio precedente commento:
<<Quindi, siccome “Si deve pertanto concludere che
nel pensiero dell’isolamento un lampo di comprensione autentica [del destino] è
IMPOSSIBILE (nello stesso senso e per lo stesso motivo per cui lo si deve
escludere in relazione all’io dell’individuo): è necessario che, all’interno
del suo isolamento dalla verità del destino, il pensiero mortale [dell’io
individuale, dunque] FRAINTENDA, SEMPRE E INEVITABILMENTE, le tracce della
Gioia. Se dunque “anche nell’isolamento della terra il destino lascia la
propria traccia”, questa “non può non essere ambigua, sviante, cioè NON PUÒ
CONDURRE GLI ABITATORI DELLA TERRA ISOLATA ALLA LUCE DEL DESTINO. ALTRIMENTI LA
TERRA NON SAREBBE ISOLATA”. – (Nicoletta Cusano: Emanuele Severino. Oltre
il nichilismo. Morcelliana 2011, pag. 447. Maiuscoli miei: RF), allora, si
dovrà altrettanto concludere con l’IMPOSSIBILITÀ che EK (ma poi qualsiasi altro
io empirico) SAPPIA ( = gli APPAIA) quel tratto del destino secondo cui viene
NEGATO che vi sia un "soggetto empirico", cioè di un
"qualcuno" a cui una certo qualcosa debba apparire. cit. Roberto
Fiaschi>>.
Quindi EK risponde:
<<Peccato che sia la stessa Cusano che in questo
stesso libro dedichi un'ampia trattazione all'apparire che appare a sé
medesimo, non potendo darsi un "apparire a qualcuno"
(citando
testualmente dei passaggi di "Oltrepassare", in cui il filosofo
stesso dice di ciò). Per cui, non penso minimamente che l'autrice che citi stia
sostenendo quello che sostieni tu>>.
Certamente la Cusano la pensa COME Severino, ovviamente,
infatti NON ho affatto detto che ella abbia sostenuto ciò che sostengo io, ci
mancherebbe… La citazione era finalizzata a mostrar l’IMPOSSIBILITÀ che EK (ma
poi qualsiasi altro io empirico) SAPPIA ( = gli APPAIA) quel tratto del destino
secondo cui viene NEGATO che vi sia un "soggetto empirico", cioè di
un "qualcuno" a cui una certo qualcosa debba apparire.
Comunque, la suddetta teoria è SMENTITA dal suo stesso
autore, Severino (nonché dalla Cusano), perché nel loro RICONOSCIMENTO che
<<nel pensiero dell’isolamento un lampo di comprensione autentica [del
destino] è IMPOSSIBILE
(nello stesso senso e per lo stesso motivo per cui lo si deve escludere in relazione all’io dell’individuo)>>,
e perciò nel loro RICONOSCIMENTO che l’io dell’individuo NON
può comprendere il destino, giacché, se lo comprendesse, <<LA TERRA NON SAREBBE ISOLATA>>
e quindi l’io empirico NON
sarebbe errore, essi smentiscono la loro su riportata tesi (e fatta propria da
EK), perché se NON vi fosse alcun <<mio atto di coscienza>>, allora NON AVREBBE NESSUN SENSO affermare che <<in RELAZIONE all’io dell’individuo>> sia <<IMPOSSIBILE>>
<<un lampo di comprensione autentica [del destino]>>!
Sì, <<in RELAZIONE all’io
dell’individuo>>,
giacché se il mostrarsi di ciò che si mostra non fosse <<in RELAZIONE>> ad un
<<mio atto
di coscienza>> cioè all’io individuale ma si mostrasse SOLTANTO
<<NELL'Io finito del destino>>, NON AVREBBE NESSUN
SENSO, ripeto,
sostener che <<in RELAZIONE>>
al <<mio
atto di coscienza>> l’io individuale <<FRAINTENDA, SEMPRE e
INEVITABILMENTE, le tracce della Gioia>>.
Infatti, CHI fraintenderebbe, se non l’io individuale-errore?
Per fraintenderle <<SEMPRE e INEVITABILMENTE>>,
è necessario che almeno tale fraintendimento APPAIA e quindi STIA <<in
RELAZIONE>> al
<<mio atto
di coscienza>>, altrimenti le parole della Cusano e di Severino
sarebbero ARIA FRITTA…
Se tale fraintendimento
stesse <<in RELAZIONE>>
SOLTANTO all’Io finito del destino, questi sarebbe PERSUASO DELL’ERRORE,
ma la qual cosa è INSOSTENIBILE, se davvero l’Io del destino è <<la
struttura originaria del destino>> il quale <<non crede di
essere l’apparire del destino della verità, non crede in nessuno dei contenuti
del destino che il linguaggio testimoniante il destino va indicando […].
Non crede in nulla perché [l’Io del destino] è l’apparire della verità>> (Severino: Intorno al senso del nulla,
pag. 211).
Sarebbe alquanto
curiosa, infatti, una verità (l’Io del destino) che si PERSUADESSE
dell’ERRORE cui è la terra isolata della <<non verità>>!
A questo punto EK
potrebbe nuovamente richiamare la CONTESA tra errore e verità
quale ragione del prevaler della <<non verità>> internamente
all’Io del destino.
E sbaglierebbe
clamorosamente, perché se l’Io del destino <<non crede in nessuno dei contenuti del
destino che il linguaggio testimoniante il destino va indicando […]. Non crede in nulla perché
[l’Io del destino] è
l’apparire della verità>>,
a maggior ragione NON sarà neppure PERSUASO DELL’ERRORE,
sebbene <<l’uomo
[ = l’individuo empirico-errore: io, tu, egli…] viv[a] solitamente nella
non verità>>
(Severino: Essenza del nichilismo, pag. 201) quale SMENTITA della non
persuadibilità dell’Io del destino.
E quand’anche <<Non si [possa] dunque pensare
che il vivere nella non verità sia un oblio che
porti alla sparizione della verità dell’essere>>, tale verità NON
sarà neppure conosciuta all’Io del destino, in quanto al suo interno vige la PERSUASIONE
che <<l’errore [ = l’io empirico-errore], che accompagna
l’accadimento della terra>> isolata, vede in questa <<il
terreno sicuro>> (Severino: Essenza del nichilismo, cit.).
Pertanto, che <<L’apparire della verità non [sia] un
atto individuale>>, cioè <<che la verità non [sia] un
atto soggettivo>>, CONFERMA come all’<<atto individuale>> o
all’<<atto soggettivo>> COMPETA UNICAMENTE L’APPARIRE DELL’ERRORE, cioè del nichilismo/la terra isolata, NON CHE NON GLI
APPAIA NULLA DI NULLA!
Poi, al seguito della mia domanda:
perché l’Io del destino ( = la struttura originaria) è
testimoniata dal (o mediante il) <<linguaggio dell’errare>>?
EK risponde:
<<Qui c'è il tema dell'alienazione della verità ecc.
La condizione della possibilità della contraddizione è l'apparire della
contraddizione come negata - è per questo che l'apparire dell'esistenza
dell'errare appartiene alla struttura originaria del destino: la fede non può
che apparire nella verità. Cose già dette pure queste>>.
Sì, <<cose già dette>> ma che NON
C’ENTRANO molto con la mia domanda.
Se <<Qui c'è il tema dell'alienazione della verità>>,
allora vuol dire che questa è testimoniata dall’<<alienazione della verità>>,
cioè NON È AFFATTO testimoniata o lo è in modo ALTERATO, FRAINTESO, appunto
ALIENATO.
E se la <<condizione della possibilità della
contraddizione è l'apparire della contraddizione come negata>> è una
verità non-alienata testimoniata dall’<<alienazione della verità>> _ cioè dal
<<linguaggio dell’errare>>
_, allora anche quell’affermazione sarà un’ <<alienazione della verità>>,
perché se l’alienazione o <<la fede non può che apparire nella verità>>,
e se però la verità è testimoniata dall’<<alienazione della verità>>, allora
la verità che l’alienazione o <<la fede non può che apparire nella
verità>> è a sua volta una fede, quanto meno la sua verità è
indecidibile.
Poi, alla mia precedente considerazione:
<<proprio perché tale linguaggio è nascosto ed ancora indecifrabile, ciò lascia
intatto il mio rilievo critico (nel post 68) in base al quale “il destino può
apparire NON-ALTERATO soltanto se vi è un dirlo che NON si costituisca
come un’ulteriore sua ALTERAZIONE, altrimenti, come potremmo veridicamente
dirlo (ritenerlo) NON-ALTERATO?”>>
EK osserva:
<<...un linguaggio (nascosto) che infatti lascia le
sue tracce indecifrate, ossia ciò delle cui determinazioni ecc non sappiamo, né
possiamo dire, perché il dire o la volontà di darne testimonianza è pur sempre
espressione dell'isolamento. Quindi il tuo rilievo non porta acqua al tuo
mulino, ma il contrario>>.
Eh no, EK non mi ha capito; la testimonianza
del destino non-alterato necessita di un DIRLO (di una testimonianza) che non
sia anch’esso(a) alterato(a), altrimenti sarebbe impossibile ritenerlo,
appunto, destino NON-alterato.
Se però il destino non-alterato <<lascia
le sue tracce indecifrate>>
e perciò, come tali, IMPOSSIBILI
DA RICONOSCERE come tracce non-alterate, allora si RICONFERMA che
<<le sue tracce indecifrate>> NON POSSONO ESSERE SAPUTE come tracce NON-ALTERATE
del destino NON-ALTERATO, appunto perché <<indecifrate>>, mi pare elementare…
Roberto Fiaschi
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