Ha scritto il filosofo Emanuele Severino:
<<Il nichilismo è il pensiero che, sin dall'inizio
della storia dell'Occidente, isola le cose - le molteplici determinazioni del
mondo - le une dalle altre, e cosi le isola perché le isola dal loro essere: isola,
in 'ciò che è', nell'essente, il 'ciò che' dal suo 'è'. L'isolamento delle cose
dal loro essere incomincia con Parmenide (col Parmenide quale è interpretato
nella tradizione platonico-aristotelico-hegeliana): appunto sul fondamento di
tale isolamento egli perviene all'affermazione della nullità del molteplice. Il
mondo intero e l'intera storia dell'uomo sono cioè, per lui, soltanto 'dóxa',
opinione, illusione, «nomi», cioè sono, in quanto tali, non-essere, 'nulla'>>.
(Severino: "Intorno al senso del nulla", Adelphi, pp. 108).
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Ma sarà davvero necessario SEPARARE-ISOLARE _ come ritiene
Severino _ <<in ‘ciò
che è’,
nell'essente, il ‘ciò che’
dal suo ‘è’>>,
per giungere alla contraddittorietà (la nullità) della determinazione ossia del
<<‘ciò che’>>?
E se invece bastasse la sola DISTINZIONE tra <<il ‘ciò che’ dal suo ‘è’>>, per sancire l’intrinseca
contraddittorietà non solo dell’essente tra sé, in quanto ‘ciò che’, e sé in quanto ‘è’, ma anche dell’essere
( = l’ ‘è’)?
Secondo Severino, OGNI essente ( = l’essente in quanto tale)
è INTERAMENTE essere, è ovvio, altrimenti, qualora una parte di esso non fosse
essere, sarebbe inevitabilmente NON-essere il quale è L’UNICO differente
dall’essere, evenienza recisamente esclusa dal filosofo bresciano.
Quindi, OGNI essente è una sintesi (eterna, secondo Severino)
tra due DISTINTI, che sono appunto la determinazione ( = il ‘ciò che’ o anche ‘quiddità’)
ed il suo ‘è’ (
= l’essere che tutto informa di sé).
Ora, pur tenendo ferma tale sintesi, ciò NON TOGLIE la
suddetta DISTINZIONE tra il ‘ciò che’ ed il suo ‘è’, come anche lo stesso Severino mostra di
tenere ben ferma ai fini della diagnosi del nichilismo.
È allora del tutto evidente che il ‘ciò che’, significando
qualcosa di DISTINTO dal suo ‘è’, NON COINCIDE totalmente con quest’ultimo, altrimenti in tale
coincidenza verrebbe meno la distinzione poiché, tra perfettamente identici,
non sarebbe dato scorgere alcuna differenza: essa non apparirebbe tout
court.
Tale DISTINZIONE comporta che l’ ‘è’ sia l’ ‘è’ di ciò che NON significa l’ ‘è’, ossia del ‘ciò che’, della
determinazione, e quindi tale DISTINZIONE comporta il DISTINGUERSI in seno allo
stesso ‘è’, cioè
tra sé in quanto ‘è’
ed in quanto DISTINTO da sé come ‘ciò che’.
Severino ammette che <<L'identità è dunque
certamente identità di una differenza>> (“La struttura originaria”, Adelphi,
pag. 189).
(1)- Se così, allora l’ente è UNO ( = identità), poiché è
interamente essere, ed al contempo e sotto il medesimo punto di vista è DUE ( =
differenza), poiché è DISTINTO in sé tra l’ ‘è’ ed il suo ‘ciò che’.
In nome del principio di non-contraddizione, l’UNO ESCLUDE di essere
DUE, e viceversa.
(2)- Per cui, stante la suddetta differenza, ogni ente è UNO,
ed al contempo è NON-UNO;
(3)- ogni ente è identico a sé ( = è UNO) ed al contempo NON è identico a sé (
= è NON-UNO,
cioè differente da sé);
(4)- ogni ente, in quanto è NON-UNO ( = poiché è sintesi distinguentesi
tra ‘ciò che’ ed
il suo ‘è’),
ESCLUDE di
esser UNO, cioè è sé ESCLUDENDO
di esser sé.
Tuttavia, Severino precisa che <<affermare che
l'essere è essere significa appunto TOGLIERE OGNI
DISTINZIONE o DIFFERENZA tra l'essere e sé
medesimo>> (ibidem, maiuscoli miei: RF).
Ciò vuol dire TOGLIERE OGNI DISTINZIONE (nell’ente) tra il ‘ciò che’ ed il suo ‘è’.
(5)- Se così, allora ogni ente, in quanto è UNO ( = poiché è
interamente ‘è’),
ESCLUDE di
essere NON-UNO ( = esclude di essere distinguentesi in ‘ciò che’ ed il suo ‘è’), cioè è sé ESCLUDENDO di esser sé
in quanto distinguentesi;
(6)- ogni ente, in quanto è UNO e perciò ESCLUDENTE di esser sintesi
distinguentesi tra ‘ciò che’
ed il suo ‘è’,
non si distingue dal proprio altro, appunto perché in esso è TOLTA <<OGNI DISTINZIONE o DIFFERENZA tra l'essere e sé medesimo>>,
cioè tra il ‘ciò che’
ed il suo ‘è’.
Roberto Fiaschi
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