Non potevo esimermi dal riportar questo bell’articolo di Luigi Pavone del 02
Febbraio 2021, tratto da https://www.pangea.news/severino-cristianesimo-totalitario/.
<<Nel
panorama della filosofia italiana del Novecento, Emanuele Severino occupa un
posto particolare, tra la tradizione idealistica di Croce e Gentile, da un
lato, e la neoscolastica di Bontadini, dall’altro. Rispetto al variegato
quadro di tematiche affrontate nei suoi scritti, l’argomento che qui tratteremo
per ricordarne la figura e l’opera a un anno di distanza dalla sua scomparsa
potrà sembrare secondario. Non lo è però in relazione alle sue vicende personali.
Alludiamo ai suoi rapporti con il mondo cattolico. Com’è noto, la filosofia di
Severino fu condannata dalla Chiesa cattolica come una forma radicale di
ateismo (C. Fabro, L’alienazione dell’occidente. Osservazioni sul
pensiero di E. Severino, Quadrivium, Genova 1981).
Il tema del rapporto del cristianesimo con gli altri settori
della società e della cultura, in particolare con l’ethos del
capitalismo e delle democrazie liberali, è un motivo ricorrente negli scritti
di Severino. Per Severino il cristianesimo sarebbe caratterizzato
da una vocazione intrinseca al totalitarismo, coerentemente incarnata dalla
dottrina sociale della chiesa cattolica. Contro questa tendenza a nulla
varrebbero i tentativi di contrapporre alla chiesa delle gerarchie
ecclesiastiche quella evangelica di Gesù, poiché sarebbe proprio Gesù a esigere
un impegno politico dei cristiani in quella direzione.
Per
sostenere questa tesi, Severino si serve di due principi evangelici. Il primo,
è la celebre frase di Gesù: «rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a
Dio quello che è di Dio» (Matteo 22). Il secondo è un’altra frase di Gesù:
«nessuno può servire a due padroni […] non potete servire a Dio e a mammona»
(Matteo 6). Lo sforzo ermeneutico di Severino è volto a mostrare come
la congiunzione di questi due principi conduca a riconoscere nel
cristianesimo tout court una coerenza interna verso il
totalitarismo teocratico.
Una
buona sintesi del suo ragionamento si trova nel libro A Cesare e a Dio (Rizzoli,
Milano 1983) ma anche in altri scritti (ad esempio Pensieri sul
cristianesimo, Rizzoli, Milano 1995). Cercheremo di ricostruirlo, cercando
di argomentare che l’immagine di un Gesù non totalitario è di gran lunga più
plausibile. Col che non si vuole negare che esistano tendenze autoritarie
all’interno della chiesa cattolica; si vuole però suggerire che esse hanno una
natura contingentemente storica, e non già «logica».
Gesù
prescrive di dare «a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di
Dio». Ma cosa succede quando Cesare chiede qualcosa che è contro Dio?
Quale comportamento deve adottare il cristiano nei confronti di uno Stato che
pretenda di essere un secondo padrone? Secondo Severino, la risposta di Gesù è
contenuta nella frase «non potete servire a Dio e a mammona», dal momento che
uno Stato che imponesse comportamenti contrari a Dio sarebbe
mammona. In questo caso, sostiene Severino, è legittimo pensare che Gesù dica
al fedele di non dare a Cesare ciò che domanda (cito da A Cesare e a
Dio, Rizzoli, seconda edizione Milano 2007, p. 95). Questo è certamente
plausibile. Ciò che non è plausibile, e che si costituisce come
un non sequitur mai chiarito negli scritti del filosofo
sull’argomento, sono le conclusioni che i cristiani «devono rendere cristiana
la società in cui vivono», che «hanno l’obbligo di trasformare lo Stato in
teocrazia facendo in modo che le leggi della fede cristiana divengano leggi
dello Stato» (Pensieri sul cristianesimo, Rizzoli, Milano 1995,
p. 57).
Queste
conclusioni non sono accettabili perché dall’impossibilità morale per il
cristiano di seguire le leggi dello Stato contrarie alle leggi di Dio non
segue l’obbligo morale di trasformare le leggi della fede cristiana in
leggi dello Stato. Il non sequitur è probabilmente prima
facie occasionato da un fraintendimento della relazione di contrarietà che
ha luogo quando Cesare chiede comportamenti contrari a Dio,
confusa da Severino con quella di contraddizione. Il
contrario implica il contraddittorio, ma non viceversa! Il
fraintendimento coinvolge due fondamentali nozioni deontiche: permissione e obbligo.
In virtù del quadrato modale delle opposizioni (che risale ad Aristotele), il
rapporto di contrarietà tra due norme è quello che in generale sussiste tra l’obbligo
che x e la non-permissione che x (cioè,
l’obbligo che non–x). Il contraddittorio dell’obbligo
che x è invece la permissione che non–x. È
chiaro che l’obbligo che non–x implica la permissione
che non–x, ma non viceversa: permettere a qualcuno di non
fare qualcosa non implica obbligarlo a non farla. Nel volere che
la legislazione di Stato non pretenda comportamenti contrari a Dio, il
cristiano vuole dunque la negazione del contrario, che non è (e non implica) la
negazione del contraddittorio. Nel volere che la legislazione
di Stato non pretenda comportamenti contrari a Dio, il cristiano vuole dunque
la negazione della non-permissione dei contenuti delle leggi
divine, vuole cioè che lo Stato permetta comportamenti
cristiani. Ma, poiché la non-permissione che x non equivale
alla permissione che non-x, combattere lo Stato-mammona significherà per il
cristiano impegnarsi a realizzare semplicemente la non–non-permissione
dei contenuti delle leggi divine, vale a dire la permissione di quei contenuti. Se
però fraintendiamo, come accade negli scritti di Severino, il rapporto di
contrarietà tra norme con quello di contraddizione tra norme, sarà allora
inevitabile considerare la negazione della non-permissione dei
contenuti delle leggi divine come se implicasse la negazione della permissione
di comportamenti non-cristiani. È perché Severino tratta il
rapporto di contrarietà tra norme come equivalente al rapporto di
contraddizione che egli può affermare che nel contrastare uno Stato contrario a
Dio il cristiano è chiamato a trasformare lo Stato in uno Stato teocratico.
Tolto quel fraintendimento è tolta anche l’immagine di un cristianesimo
necessariamente totalitario>>.
Luigi Pavone

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