sabato 21 dicembre 2024

142)- IL «PENSIERO PENSANTE È IMPENSABILE/INDICIBILE»?

 


Scrive Marco Cavaioni, allievo del filosofo Giovanni Romano Bacchin:

<<Mi sono sempre chiesto come, dopo Gentile e sulla scorta di una conoscenza approfondita dell'Attualismo, abbia potuto prendere corpo un "naturalismo anomalo" (definizione che attingo da Stella, che parafrasa Davidson) quale effettivamente è il Severinismo. Mi sono spesso chiesto e mi chiedo ancora, cioè, come possa essersi riproposto – ed in modo estremo e con ambizioni giustamente smisurate di epistemicità – una posizione già radicalmente dissolta sul piano teoretico. Per dire rozzamente, la risposta che mi sono dato è la seguente: Severino ha appiattito il pensiero (pensante) sul pensiero pensato – "pensiero pensato" che, a rigore, è già una contraddizione in termini –, pretendendo, tuttavia, di conservare l'innegabilità che spetta solo al pensiero autentico, appunto sempre pensante e mai pensato. […] La logica determinativa (identità e differenza, insomma il principio di non contraddizione) è la struttura del dire e della sua presunzione di tener ferme le differenze, le distinzioni (intellettualismo, che negherà sempre la propria inconsistenza, perché non la può vedere). Da ciò – da questo FATTO che è il dire – si inferisce, illogicamente, che ciò che viene detto, poi-ché (dopo che, dopo il fatto che) viene detto, sia per ciò stesso anche pensabile: infatti, si considera pensabile anche l'impensabile, per il FATTO che lo posso ben dire, come lo abbiamo testè detto. Illogicamente, perché si inverte l'implicazione autenticamente logica, che dovrebbe essere questa: se e solo se è pensabile, allora sarà sensatamente dicibile. Ma un siffatto "pensiero" (che non c'è, avendo reso totalizzante lo "essere pensato" o "apparire") è un "pensiero" totalmente succube della logica del FATTO (pensato), ne è, anzi, la inerte (passiva) assolutizzazione. È un "pensiero" inferiore a se stesso, longa manus del presupposto. Il fatto potrebbe essere assoluto ad una solo condizione (per fortuna impossibile): che non si pensi, anzi peggio: che, pensando, si sia espunto dal pensare l'atto di pensiero, riducendolo a pensato ("pensato" non si sa da chi, da quale soggetto trascendentalmente inteso). Ma non è difficile capire che, laddove tutto fosse oggetto ed oggettivato (pensato), nemmeno oggetto ed oggettivazione vi potrebbe essere, nonostante le pretese di verità che tale impostazione rivendica. O, meglio, ciò accade proprio per tale assurda PRETESA e pretesa di DIRE (determinare, significare, semantizzare, oggettivare) la verità assoluta, ergo innegabile, ergo indeterminabile, inoggettivabile>>.

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Comincio domandando(mi):

DIRE (cioè <<determinare, significare, semantizzare, oggettivare>>)

è PENSARE?

O meglio:

il DIRE implica il PENSARE?

Ancor meglio:

posso DIRE qualcosa senza prima (o al contempo) averlo PENSATO?

DIREI/PENSO di no

Infatti, allorché Marco Cavaioni afferma (DICE) <<che ciò che viene detto, poi-ché (dopo che, dopo il fatto che) viene detto, sia per ciò stesso anche pensabile: infatti, si considera pensabile anche l'impensabile, per il FATTO che lo posso ben dire>>, avrà pur dovuto PENSARE a quanto ha DETTO, perché, se così non fosse, non avrebbe DETTO (PENSATO) niente di intelligibile.

Per lui, <<l'implicazione autenticamente logica>> <<dovrebbe essere questa: se e solo se è pensabile, allora sarà sensatamente dicibile>>.

Senonché, dopo aver ridotto la <<logica determinativa (identità e differenza, insomma il principio di non contraddizione)>> alla <<struttura del dire>> affètta dalla <<presunzione di tener ferme le differenze, le distinzioni>>, egli ricorre a quella stessa logica dell’identità-differenza che, invece, DICE (quindi PENSA) di criticare e/o almeno ridimensionare!

Infatti, tale logica dell’identità-differenza è pienamente all’opera dove egli riconosce che il DIRE: <<se e solo se è pensabile, allora sarà sensatamente dicibile>> DIFFERISCE dal DIRE: <<che ciò che viene detto, poi-ché (dopo che, dopo il fatto che) viene detto, sia per ciò stesso anche pensabile>>, e quindi accetta il primo DIRE e rifiuta (nega) il secondo, conformemente alla logica dell’identità-differenza.

Ciò vuol dire (appunto!) che la logica dell’identità-differenza TIENE FERME <<le differenze, le distinzioni>> vigenti tra il primo DIRE, che Marco Cavaioni accetta, ed il secondo DIRE, che invece nega.

Per cui egli si ritrova suo malgrado a NEGARE che la logica dell’identità-differenza abbia la <<presunzione di tener FERME le differenze, le distinzioni>>!

Se non le tenesse FERME, egli non potrebbe accettare il primo DIRE e rifiutare come ILLOGICO il secondo!

Evidentemente, tale suo DIRE è tutt’uno con il suo PENSARE, per cui anche il DIRE <<che ciò che viene detto, poi-ché (dopo che, dopo il fatto che) viene detto, sia per ciò stesso anche pensabile>>, è accettabile nella misura in cui il DIRE NON è disgiungibile dal pensare.

Infatti, allorquando Marco Cavaioni DICE l’impensabilità dell’<<atto di pensiero>>, non sta forse già pensandoLO?

Se così non fosse, NESSUNO RIUSCIREBBE A COMPRENDERE di che cosa egli stia parlando, riferendosi a (DICENDO) l’<<atto di pensiero>>.

Al che, egli osserva:

<<Ma non è difficile capire che, laddove tutto fosse oggetto ed oggettivato (pensato), nemmeno oggetto ed oggettivazione vi potrebbe essere, nonostante le pretese di verità che tale impostazione rivendica. O, meglio, ciò accade proprio per tale assurda PRETESA e pretesa di DIRE (determinare, significare, semantizzare, oggettivare) la verità assoluta, ergo innegabile, ergo indeterminabile, inoggettivabile>>.

Ma tali APORIE/INCONGRUENZE nascono proprio dalla PRETESA filosofica di NON poter <<DIRE (determinare, significare, semantizzare, oggettivare) la verità assoluta>> nel momento stesso in cui si PRETENDE di parlare DELLA <<verità assoluta>> che, perciò, comporta il suo DIRLA, determinarLA, significarLA, semantizzarLA, oggettivarLA in qualche modo.

La contraddittoria pretesa impossibilità di OGGETTIVARE l’inoggettivabile <<atto di pensiero>> NON è una PROVA che esso sia l’ASSOLUTO (Dio), al contrario: è la PROVA della contraddittorietà di voler evitare l’oggettivazione di ciò che viene PENSATO/DETTO.

Per tale ragione OGNI filosofia che tenti speculativamente di avventurarsi nei pressi dell’assoluto (o di Dio), non potrà che fallire miseramente, avvolgendosi in infinite contraddizioni e, perciò, a mio avviso Dio è ‘avvicinabile’ soltanto per FEDE, ché, se si tenta la via speculativo-filosofica, è inevitabile imbattersi poi nelle aporie non solo del DIRE ma, insieme, del PENSARE…

 

Roberto Fiaschi

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