Nel gruppo https://www.facebook.com/groups/filosofiaedestino,
Emiliano
Niceta ha scritto quanto segue:
<<[…] non
si mostra un fenomeno in cui in un certo tempo un essente è identico al nulla o
al suo altro da sé. L'affermazione di tale impossibile identità rimane un
voluto ma non ottenuto, e dunque non davvero mai esibito. La fenomenologia
infatti mostra l'apparire e il non apparire di ciò che è, non mostra affatto
l'apparire di ciò che è e poi non è. È inutile stare a dire "non sta in
piedi" se poi non si riesce ad esibire il superamento di quella
auto-negazione derivante dall'affermare "che ciò che è non è". Con
Severino è aperta una nuova Fenomenologia, con cui anche la scienza futura
dovrà fare i conti, a partire dal concetto del variare inteso come successione
degli essenti apparenti, non come erroneo divenire ontologico degli enti>>.
------
A
ciò, ho replicato:
Vorrei che tu mi
mostrassi in che cosa consista <<quella auto-negazione derivante
dall'affermare "che ciò che è non è">>.
Infatti nessuno
sostiene che <<che ciò che è non è>>, perché ciò vorrebbe
dire che ciò che è sia al contempo (sincronicamente) ciò che non è.
Invece, posso
dire:
ciò che ERA, adesso non è (e non sincronicamente: <<ciò che è non è>>), perché tale passaggio è diacronico, non sincronico (in quest’ultimo caso sarebbe contraddittorio).
Pertanto, ti chiedo:
dove/come mi
AUTO-NEGHEREI affermando: <<ciò che ERA, adesso non è>>?
-------
Di
seguito, la risposta di Emiliano
Niceta:
<<Roberto
Fiaschi ciao, Dunque tu affermi: "ciò che era, adesso non è".
Tale
affermazione dovrebbe equivalere a:
in
t1, "A è" (e "B non è")
in
t2, "B è" (e "A non è")
Ma
sai bene (e presumo non sarai d'accordo) che nel linguaggio del Destino,
"essere" significa "esser sé", cioè identità immediata di
un essente con sé stesso, esprimibile con una proposizione analitica dove il
predicato conviene immediatamente al soggetto, poiché con esso coincide
originariamente.
Alla
luce di ciò allora, la tua affermazione sul divenire si scriverebbe adesso:
in
t1, A=A (e B≠B)
in
t2, B=B (e A≠A)
Sembra
quindi che in tal modo non si abbia mai alcun istante tempo che non sia affetto
dalla contraddizione dovuta alla disuguaglianza tra parentesi. Disuguaglianza
che afferma la negazione dell'esser sé del cosiddetto essente "non
attuale", ma che è però, detta negazione, SINCRONICA all'essente attuale. Essa
negazione dunque, per sussistere come la negazione che è, dovrà necessariamente
affermare l'esser sé dell'essente non attuale che vuol negare, presupponendo
cosi ciò che tenta di negare, e lo farà a partire dall'istante della propria
stessa attualità. Attualizzando di fatto il non attuale, con il tentativo di
negarlo, la negazione finisce per auto-negarsi nella propria stessa attualità. È
infatti di quella specifica legna che appariva in t1, che in t2 affermiamo che
essa non è più. Quindi è proprio a partire da t2 che, negandola, riconosciamo
l'identità della legna di t1 (dopo che ne avevamo già riconosciuta l'identità
anche in t1, dove essa è anche esperibile attualmente, poiché ivi appare). In
t2 negheremo l'identità con un verbo "essere" al passato (la legna
era), associandola al concetto astratto del ricordo, riferito ad un impossibile
"ormai nulla", ma di fatto la nostra negazione sta attualizzando
l'identità di quell'ormai nulla e dunque essa sta attualmente auto-negandosi. Questo
accade perché l'identità è un significato persintattico che trascende il tempo
(di cui invece ne è essa il fondamento) e di conseguenza anche l'auto-negazione
della negazione dell'identità non può che seguire la medesima sorte di
trascendenza. Ovviamente la negazione tenta formalmente di usare comunque il
semplice verbo essere al passato o al futuro (A era e B sarà), ma di fatto
andrà oltre la temporalità, affermando necessariamente e sincronicamente al
proprio attuale, l'identità dell'essente non attuale che vuol negare,
auto-negandosi. Questo vuol dire che l'uso del termine attuale/non attuale è
fuorviante se inteso classicamente in senso ontologico e deve essere
sostituito, in senso strettamente fenomenologico, da
sopraggiungente/oltrepassato […]>>.
------
Mia replica.
Dall’inizio, Emiliano
Niceta osserva: <<Dunque tu
affermi: "ciò che era,
adesso non è".
Tale affermazione dovrebbe equivalere a:
in
t1, "A è" (e "B non è")
in
t2, "B è" (e "A non è")>>.
Beh
no, perché se A è la legna, allora, il <<ciò che era, adesso non è>>
si riferisce ad UN unico ente _ la legna appunto _, per cui la metterei
così:
in
t1, "A è";
in
t2, A non è.
Prosegue
Emiliano
Niceta: <<Ma sai bene (e presumo non sarai d'accordo) che nel
linguaggio del Destino, "essere" significa "esser sé", cioè
identità immediata di un essente con sé stesso, esprimibile con una
proposizione analitica dove il predicato conviene immediatamente al soggetto,
poiché con esso coincide originariamente>>.
Certo
che sono d’accordo; <<nel linguaggio del Destino, "essere"
significa "esser sé">>.
Sempre
Emiliano
Niceta: <<Alla luce di ciò allora, la tua affermazione sul
divenire si scriverebbe adesso:
in
t1, A=A (e B≠B)
in
t2, B=B (e A≠A)>>.
Come
visto sopra, il <<ciò
che era, adesso non
è>> si riferisce ad UN unico ente, pertanto qui avremo:
in
t1, A=A;
in
t2, non-A=non-A.
Non-A=non-A
indica l’inesistenza,
in T2, di A=A.
Ma
ciò NON vuol
dire affatto che in T2 (non-A=non-A)=(A=A), appunto perché, in T2, vi è
soltanto non-A=non-A il quale DIFFERISCE da A=A in T1, ovvero NON
costituiscono un’identità contraddittoria, NON sono, perciò, il MEDESIMO ENTE che è ed al contempo non-è.
Certo,
A=A DIVENTA non-A=non-A,
ma ciò NON è contraddittorio, giacché nel risultato non sussistono INSIEME A=A e non-A=non-A
(ripeto: QUESTO sì che sarebbe contraddittorio).
Invece,
Emiliano
Niceta ritiene che A, in T2, vada reso così: A≠A in forza
della sua pre-comprensione severiniana secondo la quale, in T2, A
sarebbe SÉ ed INSIEME
NON-SÉ (non-A ossia NULLA); cioè sarebbe sé ed al contempo altro da sé,
quindi sarebbe A≠A.
Certo,
se in T2 A fosse sé e non-sé, come già detto, sarebbe contraddittorio.
Senonché,
come cerco di sostenere, in T2 vi è soltanto non-A, e non: A e non-A
(o A≠A): QUESTA sì che sarebbe LA contraddizione.
Lo
A che compare in non-A non indica la COM-PRESENZA di A INSIEME a non-A,
bensì indica A come NEGATO, quindi indica l’esser stato (il passato) di A,
e ciò, daccapo, NON è una contraddizione.
Prosegue
Emiliano
Niceta:
<<Essa
negazione [ = la negazione che compare nella mia affermazione: <<ciò
che era, adesso non
è>>] dunque, per sussistere come la negazione che è, dovrà
necessariamente affermare l'esser sé dell'essente non attuale che vuol negare,
presupponendo cosi ciò che tenta di negare, e lo farà a partire dall'istante
della propria stessa attualità. Attualizzando di fatto il non attuale, con il
tentativo di negarlo, la negazione finisce per auto-negarsi nella propria
stessa attualità>>.
Qui Emiliano
Niceta sta rispondendo al mio precedente invito a mostrarmi:
dove/come
mi AUTO-NEGHEREI affermando: <<ciò che ERA, adesso non è>>?
Ebbene,
certamente la mia affermazione <<dovrà necessariamente affermare l'esser
sé dell'essente non attuale [ = ciò che ERA] che vuol negare, presupponendo
cosi ciò [ = ciò
che ERA] che tenta di negare, e lo farà a partire dall'istante
della propria stessa attualità>>.
Vero; per dire:
<<ciò
che ERA>>, DEVO presupporre
tale <<ciò che
ERA>>.
Ma,
sin qui, NON vi è AUTO-NEGAZIONE; ovvero, affermando <<ciò che ERA>>, riconosco
che in passato <<quella specifica legna che appariva in t1>>
ERA legna,
certo, ma ripeto, sin qui, NON mi sto auto-negando, perché il mio
riconoscimento che essa ERA
nel passato, NON TOGLIE il mio riconoscimento che essa, nel passato, ERA legna.
Continuo
la lettura per reperir la risposta nella sua completezza:
<<È
infatti di quella specifica legna che appariva in t1, che in t2 affermiamo che
essa non è più. Quindi è proprio a partire da t2 che, negandola, riconosciamo
l'identità della legna di t1 (dopo che ne avevamo già riconosciuta l'identità
anche in t1, dove essa è anche esperibile attualmente, poiché ivi appare). In
t2 negheremo l'identità con un verbo "essere" al passato (la legna
era), associandola al concetto astratto del ricordo, riferito ad un impossibile
"ormai nulla", ma di fatto la nostra negazione sta attualizzando
l'identità di quell'ormai nulla e dunque essa sta attualmente auto-negandosi>>.
Eccoci dunque
arrivati alla risposta di Emiliano
Niceta alla mia su riportata domanda.
Vero anche qui;
<<è proprio a partire da t2 che,
negandola, riconosciamo l'identità della legna di t1 (dopo che ne avevamo già
riconosciuta l'identità anche in t1, dove essa è anche esperibile attualmente,
poiché ivi appare)>>.
Indubbiamente.
In
T2, cioè ADESSO,
nego l’identità della legna che ERA legna in T2.
Ma
ADESSO non sto negando che in passato la legna FOSSE ( = ERA) legna.
ADESSO,
invece, sto negando che la legna che in passato ERA legna, sia ancora legna.
Emiliano
Niceta ha osservato:
<<In
t2 negheremo l'identità con un verbo "essere" al passato (la legna
era), associandola al concetto astratto del ricordo, riferito ad un impossibile
"ormai nulla", ma di fatto la nostra negazione sta attualizzando
l'identità di quell'ormai nulla e dunque essa sta attualmente auto-negandosi>>.
Negando
che la legna ADESSO sia ancora legna, NON MI STO AUTO-NEGANDO.
Infatti,
RICONOSCO che la
legna che in passato era legna ADESSO non lo sia più, ma, negando appunto che
ADESSO essa sia ancora legna, NON sto AUTO-NEGANDOMI, perché NON STO NEGANDO (non
sto disconoscendo) che ciò che adesso non è più legna sia STATA legna in
passato (o anche: NON STO AFFERMANDO che ciò che adesso non è più legna
NON sia stata legna in passato).
Sto,
invece, NEGANDO che quella legna, ADESSO, sia ancora legna.
O
sto AFFERMANDO che quella legna, ADESSO, non è più legna.
Dunque
NON sussiste AUTO-NEGAZIONE in ciò.
Nuovamente,
prosegue Emiliano
Niceta:
<<Questo
accade perché l'identità è un significato persintattico che trascende il tempo
(di cui invece ne è essa il fondamento) e di conseguenza anche l'auto-negazione
della negazione dell'identità non può che seguire la medesima sorte di trascendenza.
Ovviamente la negazione tenta formalmente di usare comunque il semplice verbo
essere al passato o al futuro (A era e B sarà), ma di fatto andrà oltre la
temporalità, affermando necessariamente e sincronicamente al proprio attuale,
l'identità dell'essente non attuale che vuol negare, auto-negandosi. Questo
vuol dire che l'uso del termine attuale/non attuale è fuorviante se inteso
classicamente in senso ontologico e deve essere sostituito, in senso
strettamente fenomenologico, da sopraggiungente/oltrepassato>>.
Premesso
che i termini <<sopraggiungente/oltrepassato>> equivalgono
inevitabilmente al FUTURO/PASSATO, giacché un sopraggiungente non può che esser
tale in quanto esso è ANCORA FUTURO (ossia non ancora sopraggiunto), così come
l’oltrepassato non può che essere ormai PASSATO in quanto è, appunto,
oltrePASSATO.
Lo stesso dicasi
per <<attuale/non attuale>>; il primo non potrà che esser
sinonimo di PRESENTE, il secondo di FUTURO e/o di PASSATO.
A parte ciò, Emiliano
Niceta precisa:
<<Questo
accade perché l'identità è un significato persintattico che trascende il tempo
(di cui invece ne è essa il fondamento) e di conseguenza anche l'auto-negazione
della negazione dell'identità non può che seguire la medesima sorte di trascendenza.
Ovviamente la negazione tenta formalmente di usare comunque il semplice verbo
essere al passato o al futuro (A era e B sarà), ma di fatto andrà oltre la
temporalità, affermando necessariamente e sincronicamente al proprio attuale,
l'identità dell'essente non attuale che vuol negare,
auto-negandosi>>.
Certo,
<<l'identità è un significato persintattico che trascende il tempo>>,
ma anche il <<tempo>> ( = la diacronìa) è un significato
persintattico, per cui NON vi è alcun privilegio della sincronìa rispetto alla
diacronìa.
Poi,
penso di aver mostrato l’INSUSSISTENZA
della mia auto-negazione, giacché negando che nel risultato diacronico la legna
sia ancora legna, NON
STO disconoscendo che essa, in T1, fosse legna, in modo da auto-smentirmi.
Così
come in T2, negando che la legna sia ancora legna, NON mi sto auto-negando, perché non ho disconosciuto
che ciò di cui adesso dico non essere più legna, lo sia stato in passato.
Bene.
Per
non allungare eccessivamente questo post (lo è già troppo!), mi fermo qui,
perché mi sembra che l’essenziale sia stato sviscerato.
Perciò,
riguardo all’altra parte (quantitativamente minore) del suo post, ove egli
tratta dell’aspetto FENOMENOLOGICO, in cui comunemente si <<ipotizza o
[si] crede di dedurre il NON ESSER SÈ di A in t2, a partire dal NON
APPARIRE di A in t2>>, ne riparlerò/remo in altro momento…
Roberto
Fiaschi
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