lunedì 3 febbraio 2025

151)- COME MI AUTO-NEGHEREI AFFERMANDO CHE «CIÒ CHE ERA, ADESSO NON È»?

 

Nel gruppo https://www.facebook.com/groups/filosofiaedestino, Emiliano Niceta ha scritto quanto segue:

<<[…] non si mostra un fenomeno in cui in un certo tempo un essente è identico al nulla o al suo altro da sé. L'affermazione di tale impossibile identità rimane un voluto ma non ottenuto, e dunque non davvero mai esibito. La fenomenologia infatti mostra l'apparire e il non apparire di ciò che è, non mostra affatto l'apparire di ciò che è e poi non è. È inutile stare a dire "non sta in piedi" se poi non si riesce ad esibire il superamento di quella auto-negazione derivante dall'affermare "che ciò che è non è". Con Severino è aperta una nuova Fenomenologia, con cui anche la scienza futura dovrà fare i conti, a partire dal concetto del variare inteso come successione degli essenti apparenti, non come erroneo divenire ontologico degli enti>>.

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A ciò, ho replicato:

Vorrei che tu mi mostrassi in che cosa consista <<quella auto-negazione derivante dall'affermare "che ciò che è non è">>.

Infatti nessuno sostiene che <<che ciò che è non è>>, perché ciò vorrebbe dire che ciò che è sia al contempo (sincronicamente) ciò che non è.

Invece, posso dire:

ciò che ERA, adesso non è (e non sincronicamente: <<ciò che è non è>>), perché tale passaggio è diacronico, non sincronico (in quest’ultimo caso sarebbe contraddittorio).

Pertanto, ti chiedo:

dove/come mi AUTO-NEGHEREI affermando: <<ciò che ERA, adesso non è>>?

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Di seguito, la risposta di Emiliano Niceta:

<<Roberto Fiaschi ciao, Dunque tu affermi: "ciò che era, adesso non è".

Tale affermazione dovrebbe equivalere a:

in t1, "A è" (e "B non è")

in t2, "B è" (e "A non è")

Ma sai bene (e presumo non sarai d'accordo) che nel linguaggio del Destino, "essere" significa "esser sé", cioè identità immediata di un essente con sé stesso, esprimibile con una proposizione analitica dove il predicato conviene immediatamente al soggetto, poiché con esso coincide originariamente.

Alla luce di ciò allora, la tua affermazione sul divenire si scriverebbe adesso:

in t1, A=A (e B≠B)

in t2, B=B (e A≠A)

Sembra quindi che in tal modo non si abbia mai alcun istante tempo che non sia affetto dalla contraddizione dovuta alla disuguaglianza tra parentesi. Disuguaglianza che afferma la negazione dell'esser sé del cosiddetto essente "non attuale", ma che è però, detta negazione, SINCRONICA all'essente attuale. Essa negazione dunque, per sussistere come la negazione che è, dovrà necessariamente affermare l'esser sé dell'essente non attuale che vuol negare, presupponendo cosi ciò che tenta di negare, e lo farà a partire dall'istante della propria stessa attualità. Attualizzando di fatto il non attuale, con il tentativo di negarlo, la negazione finisce per auto-negarsi nella propria stessa attualità. È infatti di quella specifica legna che appariva in t1, che in t2 affermiamo che essa non è più. Quindi è proprio a partire da t2 che, negandola, riconosciamo l'identità della legna di t1 (dopo che ne avevamo già riconosciuta l'identità anche in t1, dove essa è anche esperibile attualmente, poiché ivi appare). In t2 negheremo l'identità con un verbo "essere" al passato (la legna era), associandola al concetto astratto del ricordo, riferito ad un impossibile "ormai nulla", ma di fatto la nostra negazione sta attualizzando l'identità di quell'ormai nulla e dunque essa sta attualmente auto-negandosi. Questo accade perché l'identità è un significato persintattico che trascende il tempo (di cui invece ne è essa il fondamento) e di conseguenza anche l'auto-negazione della negazione dell'identità non può che seguire la medesima sorte di trascendenza. Ovviamente la negazione tenta formalmente di usare comunque il semplice verbo essere al passato o al futuro (A era e B sarà), ma di fatto andrà oltre la temporalità, affermando necessariamente e sincronicamente al proprio attuale, l'identità dell'essente non attuale che vuol negare, auto-negandosi. Questo vuol dire che l'uso del termine attuale/non attuale è fuorviante se inteso classicamente in senso ontologico e deve essere sostituito, in senso strettamente fenomenologico, da sopraggiungente/oltrepassato […]>>.

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Mia replica.

Dall’inizio, Emiliano Niceta osserva: <<Dunque tu affermi: "ciò che era, adesso non è". Tale affermazione dovrebbe equivalere a:

in t1, "A è" (e "B non è")

in t2, "B è" (e "A non è")>>.

Beh no, perché se A è la legna, allora, il <<ciò che era, adesso non è>> si riferisce ad UN unico ente _ la legna appunto _, per cui la metterei così:

in t1, "A è";

in t2, A non è.

Prosegue Emiliano Niceta: <<Ma sai bene (e presumo non sarai d'accordo) che nel linguaggio del Destino, "essere" significa "esser sé", cioè identità immediata di un essente con sé stesso, esprimibile con una proposizione analitica dove il predicato conviene immediatamente al soggetto, poiché con esso coincide originariamente>>.

Certo che sono d’accordo; <<nel linguaggio del Destino, "essere" significa "esser sé">>.

Sempre Emiliano Niceta: <<Alla luce di ciò allora, la tua affermazione sul divenire si scriverebbe adesso:

in t1, A=A (e B≠B)

in t2, B=B (e A≠A)>>.

Come visto sopra, il <<ciò che era, adesso non è>> si riferisce ad UN unico ente, pertanto qui avremo:

in t1, A=A;

in t2, non-A=non-A.

Non-A=non-A indica l’inesistenza, in T2, di A=A.

Ma ciò NON vuol dire affatto che in T2 (non-A=non-A)=(A=A), appunto perché, in T2, vi è soltanto non-A=non-A il quale DIFFERISCE da A=A in T1, ovvero NON costituiscono un’identità contraddittoria, NON sono, perciò, il MEDESIMO ENTE che è ed al contempo non-è.

Certo, A=A DIVENTA non-A=non-A, ma ciò NON è contraddittorio, giacché nel risultato non sussistono INSIEME A=A e non-A=non-A (ripeto: QUESTO sì che sarebbe contraddittorio).  

Invece, Emiliano Niceta ritiene che A, in T2, vada reso così: A≠A in forza della sua pre-comprensione severiniana secondo la quale, in T2, A sarebbe SÉ ed INSIEME NON-SÉ (non-A ossia NULLA); cioè sarebbe sé ed al contempo altro da sé, quindi sarebbe A≠A.

Certo, se in T2 A fosse sé e non-sé, come già detto, sarebbe contraddittorio.

Senonché, come cerco di sostenere, in T2 vi è soltanto non-A, e non: A e non-A (o A≠A): QUESTA sì che sarebbe LA contraddizione.

Lo A che compare in non-A non indica la COM-PRESENZA di A INSIEME a non-A, bensì indica A come NEGATO, quindi indica l’esser stato (il passato) di A, e ciò, daccapo, NON è una contraddizione.

Prosegue Emiliano Niceta:

<<Essa negazione [ = la negazione che compare nella mia affermazione: <<ciò che era, adesso non è>>] dunque, per sussistere come la negazione che è, dovrà necessariamente affermare l'esser sé dell'essente non attuale che vuol negare, presupponendo cosi ciò che tenta di negare, e lo farà a partire dall'istante della propria stessa attualità. Attualizzando di fatto il non attuale, con il tentativo di negarlo, la negazione finisce per auto-negarsi nella propria stessa attualità>>.

Qui Emiliano Niceta sta rispondendo al mio precedente invito a mostrarmi:

dove/come mi AUTO-NEGHEREI affermando: <<ciò che ERA, adesso non è>>?

Ebbene, certamente la mia affermazione <<dovrà necessariamente affermare l'esser sé dell'essente non attuale [ = ciò che ERA] che vuol negare, presupponendo cosi ciò [ = ciò che ERA] che tenta di negare, e lo farà a partire dall'istante della propria stessa attualità>>.

Vero; per dire: <<ciò che ERA>>, DEVO presupporre tale <<ciò che ERA>>.

Ma, sin qui, NON vi è AUTO-NEGAZIONE; ovvero, affermando <<ciò che ERA>>, riconosco che in passato <<quella specifica legna che appariva in t1>> ERA legna, certo, ma ripeto, sin qui, NON mi sto auto-negando, perché il mio riconoscimento che essa ERA nel passato, NON TOGLIE il mio riconoscimento che essa, nel passato, ERA legna.

Continuo la lettura per reperir la risposta nella sua completezza:

<<È infatti di quella specifica legna che appariva in t1, che in t2 affermiamo che essa non è più. Quindi è proprio a partire da t2 che, negandola, riconosciamo l'identità della legna di t1 (dopo che ne avevamo già riconosciuta l'identità anche in t1, dove essa è anche esperibile attualmente, poiché ivi appare). In t2 negheremo l'identità con un verbo "essere" al passato (la legna era), associandola al concetto astratto del ricordo, riferito ad un impossibile "ormai nulla", ma di fatto la nostra negazione sta attualizzando l'identità di quell'ormai nulla e dunque essa sta attualmente auto-negandosi>>.

Eccoci dunque arrivati alla risposta di Emiliano Niceta alla mia su riportata domanda.

Vero anche qui; <<è proprio a partire da t2 che, negandola, riconosciamo l'identità della legna di t1 (dopo che ne avevamo già riconosciuta l'identità anche in t1, dove essa è anche esperibile attualmente, poiché ivi appare)>>.

Indubbiamente.

In T2, cioè ADESSO, nego l’identità della legna che ERA legna in T2.

Ma ADESSO non sto negando che in passato la legna FOSSE ( = ERA) legna.

ADESSO, invece, sto negando che la legna che in passato ERA legna, sia ancora legna.

Emiliano Niceta ha osservato:

<<In t2 negheremo l'identità con un verbo "essere" al passato (la legna era), associandola al concetto astratto del ricordo, riferito ad un impossibile "ormai nulla", ma di fatto la nostra negazione sta attualizzando l'identità di quell'ormai nulla e dunque essa sta attualmente auto-negandosi>>.

Negando che la legna ADESSO sia ancora legna, NON MI STO AUTO-NEGANDO.

Infatti, RICONOSCO che la legna che in passato era legna ADESSO non lo sia più, ma, negando appunto che ADESSO essa sia ancora legna, NON sto AUTO-NEGANDOMI, perché NON STO NEGANDO (non sto disconoscendo) che ciò che adesso non è più legna sia STATA legna in passato (o anche: NON STO AFFERMANDO che ciò che adesso non è più legna NON sia stata legna in passato).

Sto, invece, NEGANDO che quella legna, ADESSO, sia ancora legna.

O sto AFFERMANDO che quella legna, ADESSO, non è più legna.

Dunque NON sussiste AUTO-NEGAZIONE in ciò.

Nuovamente, prosegue Emiliano Niceta:

<<Questo accade perché l'identità è un significato persintattico che trascende il tempo (di cui invece ne è essa il fondamento) e di conseguenza anche l'auto-negazione della negazione dell'identità non può che seguire la medesima sorte di trascendenza. Ovviamente la negazione tenta formalmente di usare comunque il semplice verbo essere al passato o al futuro (A era e B sarà), ma di fatto andrà oltre la temporalità, affermando necessariamente e sincronicamente al proprio attuale, l'identità dell'essente non attuale che vuol negare, auto-negandosi. Questo vuol dire che l'uso del termine attuale/non attuale è fuorviante se inteso classicamente in senso ontologico e deve essere sostituito, in senso strettamente fenomenologico, da sopraggiungente/oltrepassato>>.

Premesso che i termini <<sopraggiungente/oltrepassato>> equivalgono inevitabilmente al FUTURO/PASSATO, giacché un sopraggiungente non può che esser tale in quanto esso è ANCORA FUTURO (ossia non ancora sopraggiunto), così come l’oltrepassato non può che essere ormai PASSATO in quanto è, appunto, oltrePASSATO.

Lo stesso dicasi per <<attuale/non attuale>>; il primo non potrà che esser sinonimo di PRESENTE, il secondo di FUTURO e/o di PASSATO.

A parte ciò, Emiliano Niceta precisa:

<<Questo accade perché l'identità è un significato persintattico che trascende il tempo (di cui invece ne è essa il fondamento) e di conseguenza anche l'auto-negazione della negazione dell'identità non può che seguire la medesima sorte di trascendenza. Ovviamente la negazione tenta formalmente di usare comunque il semplice verbo essere al passato o al futuro (A era e B sarà), ma di fatto andrà oltre la temporalità, affermando necessariamente e sincronicamente al proprio attuale, l'identità dell'essente non attuale che vuol negare, auto-negandosi>>.

Certo, <<l'identità è un significato persintattico che trascende il tempo>>, ma anche il <<tempo>> ( = la diacronìa) è un significato persintattico, per cui NON vi è alcun privilegio della sincronìa rispetto alla diacronìa.

Poi, penso di aver mostrato l’INSUSSISTENZA della mia auto-negazione, giacché negando che nel risultato diacronico la legna sia ancora legna, NON STO disconoscendo che essa, in T1, fosse legna, in modo da auto-smentirmi.

Così come in T2, negando che la legna sia ancora legna, NON mi sto auto-negando, perché non ho disconosciuto che ciò di cui adesso dico non essere più legna, lo sia stato in passato.

Bene.

Per non allungare eccessivamente questo post (lo è già troppo!), mi fermo qui, perché mi sembra che l’essenziale sia stato sviscerato.

Perciò, riguardo all’altra parte (quantitativamente minore) del suo post, ove egli tratta dell’aspetto FENOMENOLOGICO, in cui comunemente si <<ipotizza o [si] crede di dedurre il NON ESSER SÈ di A in t2, a partire dal NON APPARIRE di A in t2>>, ne riparlerò/remo in altro momento…

                                  

                                     Questa è una contraddizione.  

                                 
                    
                                     Questa NO.

Roberto Fiaschi

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