lunedì 6 marzo 2023

39)- LA FEDE “IN” SEVERINO


La fede in Severino è da intendere in senso oggettivo, ossia la fede che ha come oggetto Severino da parte di molti suoi estimatori.

Nel libro: Intorno al senso del nulla (Adelphi 2013), Severino, dopo aver accennato <<alla revisione, presente in queste pagine, di alcuni luoghi del mio discorso filosofico>> (pag. 191 ss.), prosegue scrivendo:

<<Nel cerchio originario [Severino] del destino – quello cioè in cui appare la terra isolata che include il “mio esser uomo” -, il linguaggio che testimonia la terra isolata precede il sopraggiungere del linguaggio che testimonia il destino […]. Il linguaggio che testimonia la terra isolata è il linguaggio dell’errare. […] Per quanto compatto tale linguaggio si presenti nel suo testimoniare il destino […], anche questo linguaggio è stato un errare. L’esempio più recente riguarda […] il modo in cui nella Morte e la terra è stata considerata l’aporia determinata dalla contraddizione del significato non è (la contraddizione Un)>>.

È da notare come alcuni suoi estimatori accolgano ed accettino le tesi di Severino per fede, giacché essi hanno innanzitutto fede in Severino.

È facile appurarlo.

Infatti, come abbiamo appena letto dalle stesse parole del filosofo bresciano, è capitato sovente che egli abbia dovuto apportare qualche correzione (che lui chiama: <<revisione>>) a non poche sue tesi via via presentate nei suoi libri, negandole, mostrando l’erroneità di quanto precedentemente aveva asserito e magari fatto passare come ‘voce’ incontrovertibile del destino.

Eppure, prima che egli ne mostrasse la fallacia, è verosimile pensare che, nel frattempo, la gran maggioranza dei suoi lettori non si fosse accorta di tali errori teoretici perché neppure sospettati, abbracciando perciò tali tesi erronee come fossero innegabili portati della sua filosofia.

Ecco, l’atteggiamento che porta alla tranquilla accoglienza di tesi rivelatesi poi erronee si chiama FEDE.

I suoi estimatori nutrono fede in Severino perché ritengono che difficilmente nel suo sistema filosofico si trovi un qualche errore, giacché esso si ergerebbe all’insegna dell’incontrovertibilità.

Due esempi tratti da suoi ferventi estimatori:

<<[…] "Noi siamo la Gioia" mi disturbava. Eppure so che Emanuele Severino non fa errori>>. (A. V.);

<<son più di 62 anni che decine di filosofi tentano inutilmente di confutare la risoluzione dell'aporetica del nulla, il gesto teorico che fonda il possente edificio teorico [di Severino]>>. (E. A.)

Dopodiché, i suoi lettori prenderanno atto di tali correzioni rinnovando ancora una volta la loro fede nella sopraggiunta <<revisione>> della tesi risultata sbagliata ma che fino ad ora da nessuno di essi intravista o anche solo sospettata come tale...

Prosegue Severino ponendo le seguenti domande:

<<Ma, allora, che cosa garantisce che anche la configurazione attuale del linguaggio che, testimoniando il destino, ha mostrato il proprio passato errare non sia a sua volta un errare? E che anche in futuro questo linguaggio, pur oltrepassando la propria attuale inadeguatezza, non porti con sé e dentro di sé altri tratti dell’isolamento [ = dell’errare] della terra e del nichilismo?>> (Parentesi quadra mia: RF).

A suo dire, lo garantirebbe (ma non è questo il tema del presente post) l’impossibilità

<<che il contenuto del sogno, e propriamente l’errare della testimonianza del destino, possa mettere in questione il destino, ossia ciò soltanto sul cui fondamento l’esistenza del sogno può essere incontrovertibilmente affermata e può apparire – dove quel mettere in questione è appunto il supporre, all’interno del sogno, che l’attuale testimonianza del destino possa essere a sua volta un errare, come lo è stata in passato>>.

Ma, se così:

- o tale garanzia non è <<incontrovertibilmente affermata>> dal fondamento sulla cui base Severino ritiene di escludere <<che l’attuale testimonianza del destino possa essere a sua volta un errare, come lo è stata in passato>>;

- oppure, tale garanzia avrebbe dovuto escludere anche in passato che il linguaggio testimoniante il destino fosse <<stato un errare>>, il che non è accaduto.

Perciò, non essendo accaduto, allora essa non è <<incontrovertibilmente affermata>> e perciò non sussiste alcuna garanzia che escluda <<che l’attuale testimonianza del destino possa essere a sua volta un errare>>,

sussiste garanzia che escluda <<che anche in futuro questo linguaggio, pur oltrepassando la propria attuale inadeguatezza, non porti con sé e dentro di sé altri tratti dell’isolamento [ = dell’errare]>>.

Curiosa, l’incontrovertibilità severiniana, la quale vige e funziona fintantoché lo stesso Severino non ne riconosce l’erroneità; dopo, pare non funzionare più…

 

Roberto Fiaschi

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