mercoledì 31 maggio 2023

60)- P. G. CARIA: SE LE NUVOLE DIVENTANO ASTRONAVI…

 

Nella pagina di Verità Universale, possiamo leggere il seguente post:

<<𝗦𝗜𝗔𝗠𝗢 𝗔𝗕𝗜𝗧𝗨𝗔𝗧𝗜 𝗔 𝗨𝗡 𝗟𝗜𝗡𝗚𝗨𝗔𝗚𝗚𝗜𝗢 𝗥𝗘𝗟𝗜𝗚𝗜𝗢𝗦𝗢

𝗣𝗜𝗘𝗥 𝗚𝗜𝗢𝗥𝗚𝗜𝗢 𝗖𝗔𝗥𝗜𝗔

Siamo abituati a un linguaggio religioso antico, concepito per la popolazione agropastorale di duemila anni fa. L’uomo moderno è sciocco se si approccia a quei concetti come se fossero parole dette oggi: c’è un abisso di evoluzione fra i due tempi, sia sul piano sociale che su quello scientifico-tecnologico. Le parole e le frasi della Bibbia, che tra l’altro sono tradotte da lingue antiche, vanno adattate alla realtà attuale. Ad esempio: si parla spesso di “nubi”, ma la parola originale è “kavod”, ovvero un qualcosa che ha a che fare con il movimento, il volo. Che ne sa il povero traduttore amanuense di cose che volano? Per lui in cielo ci sono le nubi, quindi utilizza quel termine. Oppure: il famoso “carro di fuoco”. Negli affreschi di molte chiese si possono vedere ritratti di Elia o di San Francesco su dei carretti in fiamme… Ragazzi, ma siamo scemi? È ovvio che si sta parlando di cose che in quel tempo avevano un’altra accezione. Nell’antichità tutto ciò che aveva luce era fuoco: il fulmine, il sole, il fuoco stesso. Non si conosceva il concetto di energia. Quindi, se vedevano delle astronavi circondate da un brillantissimo alone di luce (creato dal magnetismo che ionizzava le particelle atmosferiche) per loro quello era un alone di fuoco. Allo stesso modo, nel passato non esistevano veicoli come automobili, aerei ecc. Il loro mezzo di trasporto era il carro, e da quegli oggetti volanti salivano o scendevano esseri umani. Chiara l’interpolazione culturale che bisogna fare? Se non si fa questo tipo di lavoro, che i media ovviamente non fanno perché vogliono mantenerci ignoranti, è ovvio che la persona comune non può capire>>.

Sono decisamente propenso a ritenere che a voler <<mantenerci ignoranti>> sia  soprattutto Pier Giorgio CARIA ( = PGC) di Verità Universale (vedasi anche post n° 56).

Se per PGC <<L’uomo moderno è sciocco se si approccia a quei concetti come se fossero parole dette oggi>>, altrettanto <<sciocco>> è retroproiettare le <<parole dette oggi>> su <<quei concetti>> antichi facendo dire a questi ultimi ciò che noi, oggi, vorremmo che dicessero, e tale sistematica opera di travisamento è esattamente quanto egli fa, quotidianamente, per tentar di convincere il suo giubilante pubblico che <<quei concetti>>, come ad esempio kabôd, altro non rivelerebbero che ASTRONAVI aliene et similia.

Egli scrive che tale parola significa <<un qualcosa che ha a che fare con il movimento, il volo. Che ne sa il povero traduttore amanuense di cose che volano? Per lui in cielo ci sono le nubi, quindi utilizza quel termine [kabôd]>>.

Da questa castroneria, si evince che per PGC kabôd significhi: <<nubi>>.

Infatti è universalmente risaputo che le <<nubi>> siano <<cose che volano>>, essendo ciascuna di esse dotate di un bel paio di ali o, nel miglior dei casi, di potenti motori…

Se per PGC <<il povero traduttore amanuense>> non sapeva nulla <<di cose che volano>>, PGC non sa niente di parole ebraiche, come emerge facilmente dal ritener che kabôd significhi: <<un qualcosa che ha a che fare con il movimento, il volo>> cioè le <<nubi>> ma sottintendendo in realtà le ASTRONAVI (ALIENE, ovviamente).

Allora, riportiamo i seguenti passi biblici:

Esodo 33,18.20: «Mosè disse a Dio: Mostrami la tua gloria [kabôd]!... Rispose: Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo!».

Isaia 6,3: «Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria [kabôd]».

Salmo 8,6: «Veramente hai fatto l’uomo poco meno di un dio, di gloria [kabôd] e di onore lo hai coronato».

Salmo 29,1.9: «Figli di Dio, date al Signore gloria [kabôd] e potenza... Nel suo tempio tutti dicono: Gloria [kabôd]!».

Isaia 66,12: il Signore «farà scorrere verso Sion come un fiume la pace; come un torrente in piena, la gloria [kabôd] delle genti».

***

Adesso, ritraduciamo queste frasi secondo il significato che PGC attribuisce al termine kabôd:

«Mosè disse a Dio: Mostrami la tua ASTRONAVE (o la tua NUBE)!... Rispose: Tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo!».

«Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua ASTRONAVE (o della sua NUBE)».

«Veramente hai fatto l’uomo poco meno di un dio, di ASTRONAVE (o di NUBE) e di onore lo hai coronato».

«Figli di Dio, date al Signore ASTRONAVE (o NUBE) e potenza... Nel suo tempio tutti dicono: ASTRONAVE (o NUBE)!».

Il Signore «farà scorrere verso Sion come un fiume la pace; come un torrente in piena, L’ASTRONAVE (o LA NUBE) delle genti».

Non male il nostro PGC come esegeta!

Concludendo con GIANFRANCO RAVASI:

<<kabôd, «gloria», che nella sua etimologia profonda indica qualcosa di «pesante, importante, rilevante», degno perciò di rispetto e onore. Il termine è presente 200 volte nell’Antico Testamento (il verbo corrispondente ha 114 citazioni) e può essere assegnato sia alla persona umana per definirne la grandezza e dignità, sia a Dio per celebrarne il suo mistero luminoso, invalicabile al nostro sguardo, come lo è il sole>>.

(https://www.famigliacristiana.it/blogpost/kabod-gloria.aspx, da: IL BLOG DI GIANFRANCO RAVASI).

 

Roberto Fiaschi

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sabato 27 maggio 2023

59)- FILOSOFI O PAPPAGALLI?

Trovo imbarazzante che coloro che amano (in segreto o esplicitamente poco cambia) ritenersi FILOSOFI, dovendo replicare alle critiche, si limitino a RIPETERE pedissequamente quanto hanno appreso, anziché tentar di metterlo in discussione, sceverandolo fin nelle più riposte pieghe, come un sano esercizio filosofico suggerirebbe… 

A parole, si ritengono raziocinanti; poi però, in pratica si comportano come FEDELI seguaci o adepti pronti ad esibire i propri 'dogmi' a mo' di lezioncina imparata a memoria.

I pappagalli, oltre ad esser creature splendide, hanno anche il buon gusto di non ritenersi filosofi…

Perciò domando a questa numerosa schiera di ripetitori: 

ma siete filosofi o pappagalli?

Ai posteri l’ardua sentenza…

 

Roberto Fiaschi

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giovedì 25 maggio 2023

58)- LA NEGABILE INNEGABILITÀ DELLA STRUTTURA ORIGINARIA

 

Proseguo sul solco della tematica trattata nel post n° 57.

Ripresento le tesi (E) e (V) colà già descritte:

(E)- Qualsiasi individuo ( = io empirico), incluso l’individuo-Severino, è un ERRORE (un positivo significare del nulla), impossibilitato perciò a conoscere ( = <<a sentire>>) la verità del destino.

(V)- Qualsiasi errore/contraddizione può apparire (come negato) soltanto se la VERITÀ ( = il non-errore) APPARE GIÀ DA SEMPRE E OVUNQUE distintamente dall’errore.

Qui, aggiungo la seguente tesi del filosofo Emanuele Severino:

(L)- Stante quanto detto in (E), consegue che il linguaggio dell’individuo è il linguaggio dell’ERRORE, sia in senso oggettivo _ esso è appunto espressione di (E) _, sia soggettivo _ tale linguaggio è, a dire di Severino, intrinsecamente contraddittorio _, giacché la sua struttura predicativa: A è B (A = B), si costituisce, sempre secondo il filosofo bresciano, come contraddittoria identità dei diversi. (Vedasi i post nn. 4 e 5).

***

1- Tenendo ferma la tesi (E), come vuole Severino, abbiamo già visto la situazione aporetica in base alla quale non solo (E) è impossibilitato a conoscere (V), ma (E) è altresì COSTRETTO a tentar di conoscerla/esprimerla soltanto attraverso (L).  

2- Il che vuol dire l’incontraddittorietà di (V), che fonderebbe (E) e (L), è a sua volta FONDATA SU (L), in quanto DETTA da (L), cioè: (V) È FONDATA SULLA CONTRADDIZIONE indicata in (L), contraddizione che identifica i diversi, e perciò (V) ossia l’incontraddittorio, viene detto (ed inteso) mediante questa contraddizione la quale, perciò, è COESTENSIVA a (V), almeno sinché (V) si lascia indicare da (L), giacché NON è dato aver contezza della filosofia del destino al di fuori di (L) che tenta di indicarla.  

3- Per cui, nella filosofia severiniana, vi è non solo la pretesa che (E) conosca ciò ( = V) che NON può conoscere ma, ancor più, vi sussiste la pretesa che l’incontraddittorietà di (V) non venga inficiata dal suo essere espressa mediante la contraddizione indicata da (L), facendo così di (V) una verità incontraddittoria FORMULATA CONTRADDITTORIAMENTE!   

4- Che (E) ed (L) appaiano sul fondamento di (V), lo veniamo a sapere attraverso i testi (libri, conferenze, lezioni…) di (E) nonché da (L), ovviamente, cioè attraverso la CONTRADDITTORIA identità dei differenti di cui (L) è espressione.

5- Sì che, se già (E) è l’impossibilità di conoscere (V), allora (L) viene ad aggiungersi come RADICALIZZAZIONE negativa di (E) cioè di tale impossibilità.

6- Infatti, dire che la contraddizione È l’identità dei differenti (A = B) ovvero la non-differenza dei differenti, significa dire che il soggetto-A È identico (per mezzo della copula È) a ciò che differisce da A, ossia al predicato-B, in quanto B non è originariamente incluso nel campo posizionale di A e viceversa.

7- Per cui la copula È, va intesa _ e secondo Severino ciò rappresenterebbe la soluzione di (L) _, come: ESSERE INSIEME-a.

8- Quindi, seguendo la sua indicazione, l’affermazione contraddittoria:

A è B, o: A = B,

andrebbe intesa incontraddittoriamente (tautologicamente) così:

A = (B) = B = (A).

9- Cioè: A, che È originariamente nel (o È INSIEME al) campo posizionale di B, È identico (È INSIEME) a B che È originariamente incluso nel (È INSIEME al) campo posizionale di A.

10- Quindi:

ogni qualvolta compare esplicitamente il singolo È, questo va sempre inteso come:

È INSIEME-a;

per cui:

È INSIEME-a va sempre inteso come: INSIEME insieme-a.

E laddove compare esplicitamente È insieme-a,

va sempre inteso come: INSIEME insieme insieme-a

11- Pertanto, adesso si presti attenzione a che cosa succede alla copula È, e quindi all’INTELLIGIBILITÀ generale della proposizione vista al punto 9, in base alla suddetta proposta di INTENDIMENTO severiniana:

A, che INSIEME insieme-a originariamente nel (o INSIEME insieme insieme al) campo posizionale di B, INSIEME insieme-a identico (INSIEME insieme insieme) a B che INSIEME insieme-a originariamente incluso nel (INSIEME insieme insieme-al) campo posizionale di A.

12- Dunque, la presunta incontraddittorietà di: A = (B) = B = (A), cioè la presunta incontraddittorietà di: ESSERE insieme-a, si rivela un’ASSOLUTA ININTELLIGIBILITÀ.

13- Conclusione: se la contraddizione è l’ININTELLIGIBILE per eccellenza, e poiché la soluzione severiniana alla presunta contraddizione scatenata dalla copula È (A È B) si rivela del tutto INCOMPRENSIBILE, allora la predicazione della struttura originaria è la contraddizione per eccellenza:

la struttura originaria è incontraddittoria e insieme contraddittoria SULLA BASE DI SE STESSA…

 

Roberto Fiaschi

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57)- APOTEOSI E TRACOLLO DELLA STRUTTURA ORIGINARIA

 

Il filosofo Emanuele Severino afferma che non può esistere una contraddizione nella struttura originaria rilevata sulla base di questa.

Ripercorriamo due fondamentali snodi teoretici della sua filosofia del destino.

(E)- Qualsiasi individuo ( = io empirico), incluso l’individuo-Severino, è un ERRORE (un positivo significare del nulla), impossibilitato perciò a conoscere ( = <<a sentire>>) la verità del destino.

(V)- Qualsiasi errore/contraddizione può apparire (come negato) soltanto se la VERITÀ ( = il non-errore) APPARE GIÀ DA SEMPRE E OVUNQUE distintamente dall’errore _ chiamiamo (V) quest’ultima tesi _.

Per Severino, la tesi (E) non inficia l’apparire (o la consapevolezza) della filosofia del destino, bensì la presuppone. (La verità del destino consiste nell’identità con sé dell’essente e nel suo differire dal proprio altro, quindi, nell’impossibilità di DIVENIRE altro da sé e, perciò, sempre secondo Severino, nell’essere eterno da parte di ciò che è così impossibilitato).

Consideriamo.

1- Come accennato, secondo Severino _ secondo (E) _, solo sul fondamento dell’apparir di  (V) può apparire qualcosa come (E).

2- Sempre secondo Severino, (E) NON può sapere di essere (E), ossia non può sapere di essere ERRORE, , a maggior ragione, (E) può sapere alcunché di (V), incluso il proprio apparire sul suo _ di (V) _ fondamento, perché tale sapere (tale coscienza) appare SOLTANTO a (V), ed (E) NON è (V). diversamente, equivarrebbe ad essere identico a (V) da parte di (E), mentre, invece, (E) differisce radicalmente da (V).

3- Se (E) sapesse (fosse conscio di) tutto ciò, tra (E) e (V) NON sussisterebbe alcuna differenza, in quanto entrambi sarebbero coscienza di essere (V): (E) sarebbe (V) e questo, quello.

4- Eppure, che (E) sia (E) e che appaia sul fondamento di (V) lo veniamo a sapere attraverso i testi (libri, conferenze, lezioni…) di Severino, cioè attraverso (E) il quale, però, s’è visto impossibilitato a sapere di sé come (E), così come del fondamento (V).

5- Tuttavia, visto che a (E) appare (V), ossia gli appare ciò che è IMPOSSIBILE che possa apparirgli, allora è inevitabile che (E) NEGHI STESSO ovvero che neghi di essere (E), appunto perché (E), come indicato al punto 4, è consapevole di (V).

6- Se così, la tesi severiniana (E) viene a CADERE, e con essa viene a CADERE la differenza tra (V) ed (E).

7- Ciò vuol dire che NON vi è (più) alcun ERRORE _ non vi è più (E) _ a cui (V) possa contrapporsi, negandolo.

8- Che (E) non sia ERRORE è affermato sempre sulla base dell’apparire di (V), appunto perché è (E) ad affermare (a sapere) di apparire come (E) sulla base dell’apparire di (V), quindi (E), sapendo di _ apparendogli _ (V), NON è (E).

9- Senonché, (V) non può più essere la base sulla quale è affermato sia (E) che la negazione di (E), perché se NON vi è alcun ERRORE _ alcun (E) _, allora NEPPURE (V) potrà costituirsi COME (V), perché (V) è tale soltanto se è la negazione di (E), cioè se NON è (E); ma, ripeto, se non vi è alcun (E), allora (V) non sarà nemmeno determinato come (V) e non potrà fungere da fondamento di niente, giacché non vi è nessun (E) da negare affinché (V) si determini come (V) cioè come fondamento.

10- Pertanto (V) è, e simul NON è ciò sul cui fondamento appare la posizione di (E) nonché la sua _ di (E) _ negazione, ovvero: (V) è, e simul NON è IL fondamento.

11- Cosicché (V) e (E), proprio in virtù della loro innegabile DIFFERENZA, sono al contempo (ed ab origine) innegabilmente INDISTINGUIBILI.

12- Quindi, se la tesi (E) CADE, viene meno la DIFFERENZA tra (E) e (V), cosicché neppure (V) potrà costituirsi come negazione di (E), perché non ha alcun (E) a cui contrapporsi per negarlo.

13- Se invece la tesi (E) la si deve MANTENERE, come infatti Severino LA MANTIENE risolutamente giacché essa è fondamentale per il suo sistema, viene ugualmente meno la DIFFERENZA tra (E) e (V), perché (E) sa _ è conscia di _ ciò che sa (V).

14- In sostanza, sia ammettendo (E) che negandolo, (V) si differenzia e simul NON si differenzia da (E).

 

Roberto Fiaschi

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martedì 23 maggio 2023

56)- LA «NUOVA TEOLOGIA» (?) DI FRANCESCA PANFILI, GIORGIO BONGIOVANNI & C.

 

Riporto (commentandoli) via via i passaggi di un articolo a firma Francesca Panfili (d’ora in poi: FP), tratto dalla pagina: https://www.facebook.com/photo?fbid=728770865915544&set=a.539945048131461,

ed anche da:

https://www.thebongiovannifamily.it/messaggi-celesti/2023/9853-la-nuova-teologia.html?fbclid=IwAR0WLmCaRlFNGbcssxHeBhRZFZKurdPEmzNBfwCuIglLcrZysROehE-GwkM.

<<SULLA REINCARNAZIONE

Giovanni Paolo II nel 1998 disse che l’uomo non si reincarna ma che l’uomo risorge. La visione della Nuova Teologia rispetto a questo tema è la seguente: se dovessimo prendere alla lettera le parole di Giovanni Paolo II significherebbe che risorgeranno Hitler, Mussolini, Provenzano, Riina, i dittatori argentini, i serial killer che hanno fatto a pezzi i bambini e a questo punto converrebbe allearsi con Lucifero piuttosto che patteggiare con chi fa risorgere i criminali. Dio ci dice invece che non risorgerà nessuno dalla polvere perché ‘polvere siamo e polvere ritorneremo’ come dice la Bibbia. A risorgere sarà invece lo spirito che prenderà un nuovo corpo. Questa oggi è scienza e si chiama scienza dello spirito! L’eternità esiste!>>

L’esordio dell’auto-definitasi <<Nuova Teologia>> è decisamente DISASTROSO (e la conclusione è anche peggiore).

Essa deduce malamente che la risurrezione di <<Hitler, Mussolini, Provenzano, Riina, i dittatori argentini, i serial killer che hanno fatto a pezzi i bambini>> debba comportare la convenienza di <<allearsi con Lucifero piuttosto che patteggiare con chi [Dio] fa risorgere i criminali>>.

Evidentemente, tale <<Nuova Teologia>> è così tanto nuova da ignorare le più elementari affermazioni della Scrittura (da essa continuamente tirata in ballo per avallare le sue _ della Nuova teologia _ tesi), come ad esempio la seguente:

«Quelli che dormono nella polvere della terra si risveglieranno [ = risorgeranno]: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna» (Dan 12,2).

Pertanto, DOVE MAI Dio avrebbe detto <<che non risorgerà nessuno dalla polvere perché ‘polvere siamo e polvere ritorneremo’ come dice la Bibbia>>?

Prosegue FP:

<<Lo spirito dei santi e anche dei criminali è eterno così come lo spirito dei cittadini comuni come noi che non siamo né santi né criminali ma servi che cercano di crescere. Anche noi siamo immortali. Esiste una Legge che si chiama reincarnazione. I Papi del passato lo sapevano, così come lo sa anche Papa Bergoglio, perché la reincarnazione era contemplata dal cristianesimo dato che Gesù stesso lo ha dichiarato quando ha detto a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio». Nicodemo gli disse: «Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?» Gesù rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6 Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: "Bisogna che nasciate di nuovo". Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito» Giovanni 3, 3-8>>.

Dunque, secondo FP <<Esiste una Legge che si chiama reincarnazione>>?

Peccato che non conosca che <<Cristo ci ha affrancati perché fossimo liberi; state dunque saldi, e non vi lasciate di nuovo porre sotto il giogo della schiavitù! […] Invero, fratelli, voi siete stati chiamati a libertà; solo, non fate della libertà un'occasione per la carne, ma, per mezzo dell'amore, servite gli uni agli altri; poiché tutta la legge è adempiuta in quest'unica parola: «Ama il tuo prossimo come te stesso»>>. (Galati 5:1, 13-14).

Il cristiano è libero anche dalla (presunta) <<Legge che si chiama reincarnazione>>, giacché <<è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio>>. (Ebrei 9:27).

Ma a quanto pare FP ritaglia dalla Bibbia ciò che corrisponde alla propria aspettativa ignorando tutto il resto.

Che dire, poi, della solita, trita e ritrita citazione per avallare una tesi _ la reincarnazione _ assolutamente ASSENTE e MAI <<contemplata dal cristianesimo>>, nonostante i salti mortali di FP, Bongiovanni & C per mostrarne la presenza proponendo un po’ a casaccio versetti presi qua e là dalla Bibbia e dai Padri della Chiesa?

Uno di loro (giacché i post della pagina Facebook Verità Universale non sono firmati) ricorre alla menzogna, pur di sostenere la propria tesi, come ad esempio dove scrive:

<<Lo sapevi che il cristianesimo parlava della reincarnazione ma poi il concilio di Nicea l’ha tolta perché al potere stava scomoda? E’ stato un imperatore che ha modificato questa parte fondamentale della Sacra scrittura>>.


Il che è palesemente FALSO, perché al Concilio di Nicea (325) NON fu neppure sfiorato il tema: “reincarnazione” o “metempsicosi” che dir si voglia (https://it.cathopedia.org/wiki/Concilio_di_Nicea_I).

Fu piuttosto al Sinodo di Costantinopoli, nel 543, che vennero condannate le idee di Origene come l’apocatastasi e la pre-esistenza delle anime la quale, comunque, NON equivale affatto all’ammissione della reincarnazione da parte del teologo alessandrino, giacché, secondo lui, esse pre-esistevano sì prima della nascita terrena, ma SENZA dover poi reincarnarsi in altri corpi dopo la morte.

Certo, la pre-esistenza delle anime può fungere da premessa per la reincarnazione; il fatto, però, che sia stata respinta la prima, a maggior ragione risulterà rifiutata la seconda, a dimostrazione della palese FALSITÀ dell’affermazione di FP:  

<<Esiste una Legge che si chiama reincarnazione. I Papi del passato lo sapevano [???], così come lo sa anche Papa Bergoglio [???], perché la reincarnazione era contemplata dal cristianesimo [???] dato che Gesù stesso lo ha dichiarato [???] quando ha detto a Nicodemo: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio»>>.

Ma un conto è <<sapere>> circa la presenza di qualcosa; TUTT’ALTRO CONTO è che tale sapere equivalga all’ACCETTAZIONE di ciò che è così saputo.

Evidentemente la Nuova Teologa FP ritiene che sapere comporti ACCETTARE

Comunque sia:

<<Insomma, se tra gli antichi scrittori cristiani simpatie per la metempsicosi non ci sono neppure in Origene dove si possono trovare le premesse; se negli atti preparatori del Secondo concilio di Costantonopoli Giustiniano attribuisce la credenza a Origene per accusarlo di eresia; se in questo concilio, infelicemente gestito, comunque riconosciuto dalla Sede romana, si condanna la premessa della trasmigrazione delle anime, ossia la loro preesistenza; se tutte le voci antiche nell'ambito della grande Chiesa sono ad essa contrarie, compresa quella di Origene, è segno che quella dottrina non solo era loro estranea, ma, secondo quelle voci, incompatibile con la fede cristiana>>. (https://www.toscanaoggi.it/Rubriche/Risponde-il-teologo/La-teoria-della-reincarnazione-e-compatibile-con-la-fede-cristiana).

Per non farci mancare nulla, veniamo a ciò che Gesù <<ha detto a Nicodemo>>.

Ora, cosa mai possa avere a che vedere l’espressione:

«In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio»,

con la necessità della reincarnazione, temo che rimarrà un mistero della Nuova Teologia

che poi Nicodemo replichi a Gesù:

«Come può un uomo nascere quando è già vecchio? Può egli entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e nascere?»,

mostra semplicemente l’impossibilità per chiunque di <<entrare una seconda volta nel grembo di sua madre>>, NON di un’altra madre, come imporrebbe la reincarnazione!

Senza la benché minima allusione alla presunta <<scienza dello spirito>> alla quale apparterrebbe la <<Legge che si chiama reincarnazione>>.

nella replica di Gesù è dato vederne qualche pur labile riferimento:

<<Gesù rispose: «In verità, in verità ti dico che se uno non è nato d'acqua e di Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6 Quello che è nato dalla carne, è carne; e quello che è nato dallo Spirito, è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: "Bisogna che nasciate di nuovo". Il vento soffia dove vuole, e tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va; così è di chiunque è nato dallo Spirito» Giovanni 3, 3-8>>.

Qui, si parla di nascere spiritualmente di nuovo dal Battesimo e dallo Spirito come persone nuove, rinnovate eticamente, cioè, ad immagine del Figlio.

Punto.

Leggiamo ancora FP:

<<Anche in altri punti del Vangelo si parla di questo. Ad esempio quando l’arcangelo Gabriele dice a Zaccaria che avrebbe avuto un figlio e che si sarebbe chiamato Giovanni Battista e lo spirito di Elia sarebbe entrato in lui. Cosa significa che lo spirito di Elia sarebbe entrato in Giovanni Battista? Come dobbiamo chiamare questo? Perchè siamo così ipocriti? Elia era esistito e addirittura si erano portati via anche il suo corpo con un carro di fuoco. Quindi se l’Arcangelo dice così significa che è Elia che deve tornare. Ma se la dottrina dice che tutti risorgeremo perché a rinascere non è il corpo di Elia ma quello di Giovanni il Battista?>>.

Ma intanto mi domando:

cosa c’entra l’ipocrisia con l’esegesi di un versetto?

Assolutamente niente; è soltanto l’ingenuo (o perfido?) tentativo effettuato da FP di connotare moralmente (in senso negativo) un’esegesi escludente la reincarnazione.

Per ella, dunque, Giovanni Battista è stato la reincarnazione di Elia, giacché di Elia <<si erano portati via anche il suo corpo con un carro di fuoco>>, per cui egli non poteva fare altro che reincarnarsi in/come Giovanni Battista.

<<Quindi _ prosegue FP _ se l’Arcangelo dice così significa che è Elia che deve tornare>> sotto forma di reincarnazione.

Dunque, a suo dire, non può esservi alcune risurrezione, altrimenti <<a rinascere>> sarebbe stato <<il corpo di Elia>>, non <<quello di Giovanni il Battista>>…

Infatti, FP, al fine di contestare la risurrezione in generale, si chiede retoricamente:

<<Ma se la dottrina dice che tutti risorgeremo perché a rinascere non è il corpo di Elia ma quello di Giovanni il Battista?>>

Ma perché la risurrezione è un evento ESCATOLOGICO, per cui in quei giorni Elia non doveva risorgere corporalmente al posto del Battista; era sufficiente che l’impeto profetico di Elia _ <<lo spirito e la potenza di Elia>>, NON la sua anima reincarnata! _ caratterizzasse Giovanni Battista, appunto sulla scia dell’ardore di Elia:

<<Egli [Giovanni Battista] camminerà innanzi a lui [Gesù] con lo spirito e la potenza di Elia, per ricondurre i cuori dei padri verso i figli e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto”>>. (Luca 1,17).

È perciò davvero molto facile avvedersi come la reincarnazione non c’entri assolutamente nulla.

L’articolo in oggetto prosegue con le immancabili illazioni calunniose nei confronti di Giovanni Paolo II ed altre affabulazioni di scarso interesse.

La flebile apologia della reincarnazione, tentata da FP, termina qui. Dismessi i panni dell’apologeta, a fine articolo FP indossa quelli da SACRO VATE, sentenziando:

<<La reincarnazione esiste che piaccia o meno a Giovanni Paolo II il quale ora se la sta godendo anche lui dall'altra parte ed ha capito come stanno le cose>>;

se lo dice lei…

 

Roberto Fiaschi

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venerdì 19 maggio 2023

55)- SEVERINO: “MEMORIA” COME ATTESTAZIONE DELL’ETERNITÀ DELL’ENTE?

 

Leggiamo che <<il termine [memoria] indica sia la capacità di ritenere traccia di informazioni relative a eventi, immagini, sensazioni, idee, ecc. di cui si sia avuto esperienza e di rievocarle quando lo stimolo originario sia cessato riconoscendole come stati di coscienza trascorsi, sia i contenuti stessi dell’esperienza in quanto sono rievocati, sia l’insieme dei meccanismi psicologici e neurofisiologici che permettono di registrare e successivamente di richiamare informazioni>> (https://www.treccani.it/vocabolario/memoria/).

Anche una fotografia ha la capacità di ritenere traccia di informazioni nonché <<i contenuti stessi dell’esperienza in quanto sono>> in essa immortalati.

Per il filosofo Emanuele Severino, invece, la memoria testimonierebbe l’impossibilità che l’oggetto ricordato sia divenuto nulla, altrimenti non potremmo ricordare il nulla, cosicché per lui la memoria sia il ripresentarsi dell’oggetto passato nella sua eterna integrità (nel suo non esser divenuto un nulla).

Di questa tesi, ne riporto un riassunto tratto da un estimatore di Severino:

<<perche il passato possa apparire alla memoria,il passato deve essere,e non essere un niente.quando ci appare qualcosa alla memoria,è il passato in carne ed ossa,essente,che si presenta come memoria (quel modo particolare di apparire che chiamiamo memoria. se il passato fosse niente ,in virtu di cosa diremmo che cio che ci appare alla memoria è il passato? si puo replicare che la memoria ha a che fare col passato.ma se il passato è niente la memoria ha a che fare col niente.se il passato è niente allora abbiamo memoria di niente>>.

Al discorso di cui sopra, sostituisco adesso la <<memoria>> con la (o una) fotografia:

<<perche il passato possa apparire in una fotografia, il passato deve essere, e non essere un niente. Quando ci appare qualcosa in una fotografia, è il passato in carne ed ossa, essente, che si presenta come fotografia (quel modo particolare di apparire che chiamiamo fotografia. Se il passato fosse niente, in virtu di cosa diremmo che ciò che ci appare nella fotografia è il passato? Si può replicare che una fotografia ha a che fare col passato. Ma se il passato è niente la fotografia ha a che fare col niente. Se il passato è niente allora abbiamo una fotografia di niente>>.

Ora, Severino deve scartare la possibilità che la memoria sia la registrazione di informazioni (eventi ed immagini), altrimenti dovrebbe ammettere che sia possibile ricordare anche ciò che ormai è nulla e che perciò l'ente passato non sia eterno.

Consideriamo la memoria come se fosse una sorta di traccia mnestica di un oggetto/evento passato, simile ad una fotografia quale traccia di informazioni ormai passate.

In quest’ultima, un oggetto passato continua ad apparire anche se esso è ormai nulla.

Pertanto, riformuliamo la domanda <<se il passato fosse niente, in virtu di cosa diremmo che cio che ci appare alla memoria è il passato?>>

così:

se il passato fosse niente, in virtu di cosa diremmo che ciò che ci appare nella fotografia è il passato?

Rispondiamo che ciò che ci appare nella fotografia è il passato in virtù del fatto che l’oggetto (qualsiasi esso sia) impresso in essa è stato fotografato prima che venisse presentato in fotografia. Che poi esso esista ancora o non più, nulla cambia al fatto che esso, una volta fotografato, continui ad apparire come passato.

Il sostenitore della memoria come attestazione dell’eternità del passato osserva:

<<si puo replicare che la memoria ha a che fare col passato.ma se il passato è niente la memoria ha a che fare col niente.se il passato è niente allora abbiamo memoria di niente>>;

anche qui, l’insensatezza di tale ‘teoria’ viene completamente meno se affermiamo:

<<si può replicare che una fotografia abbia a che fare col passato>>;

- certo, sempre.

<<Ma se il passato è niente la fotografia ha a che fare col niente>>;

- essa ha a che fare col niente soltanto nel senso che l’oggetto fotografato-passato potrebbe non esistere più.

<<Se il passato è niente allora abbiamo una fotografia di niente>>;

- ecco il sofisma.

Non esistono fotografie <<di niente>> in quanto niente, in esse vi è sempre qualcosa e tale qualcosa, anche se attualmente è ormai niente, continua pur sempre ad apparire nella fotografia come ciò che esso ERA quando ancora era (qualcosa), altrimenti, se applicassimo la ‘logica’ della tesi severiniana, nessuna fotografia potrebbe contenere ciò che ormai non è più perché, se lo contenesse, vorrebbe dire che tale fotografia sarebbe una fotografia di niente. Come se la fotografia immortalasse qualcosa nel suo esser niente, anziché nel suo offrirsi all’apparecchio fotografico come un qualcosa!

Lo stesso dicasi per la memoria:

non vi è alcuna necessità che l’essente passato-ricordato sia eterno, affinché possa apparire come ricordato; è sufficiente che esso (ancora esistente o ormai inesistente che sia) si ripresenti alla coscienza quale traccia mnestica di ciò che esso fu.  

 

Roberto Fiaschi

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sabato 13 maggio 2023

54)- «UOMINI E ANIMALI, CI RITROVEREMO NELLA GIOIA»

Riporto dalla pagina: https://www.fondazionegraziottin.org/it/articolo.php/Uomini-e-animali-ci-ritroveremo-nella-gioia?EW_CHILD=23950, il seguente articolo (21/02/2018) del pastore Paolo Ricca, teologo della Chiesa Evangelica Valdese.

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«FIDO» È MORTO: CHE NE SARÀ DI LUI?

“Nei giorni scorsi è morto il mio cane: una cardiopatia associata a un edema polmonare lo ha stroncato nel giro di poche (ma quanto sofferte!) ore di agonia. Vorrei sapere: per i nostri animali domestici, c’è speranza? La loro fine segna il loro definitivo distacco dalla vita? Saranno tutti, e per sempre, dissolti nel nulla? Non li rivedremo mai più? Che senso ha, allora, il loro dolore? Il cristianesimo non ha nulla da dire su di loro e per loro? Grazie”.

Così ho riassunto la lettera del nostro lettore, che pone una bella domanda, ahimè alquanto trascurata dalla teologia cristiana sia classica sia moderna, con pochissime eccezioni. La prima è ovviamente quella di Francesco d’Assisi (1182-1226), che secondo quanto scrive il suo primo biografo Tommaso da Celano «chiama col nome di fratello tutti gli animali, benché in ogni specie prediliga quelli mansueti».

Una seconda eccezione è Albert Schweitzer (1875-1965), che riassunse la sua vita e il suo pensiero nel principio del “rispetto per la vita” in ogni sua manifestazione: «Un uomo è morale soltanto quando considera sacra la vita come tale, quella delle piante e degli animali tanto quanto quella dei suoi simili, e quando si dedica ad aiutare ogni vita che ne ha bisogno».

Una terza eccezione è Karl Barth (1886-1968), che nella sua “Dogmatica” ha dedicato agli animali (ma anche alle piante) molte pagine estremamente suggestive e istruttive, nel quadro della dottrina della creazione, ma non solo.
Queste eccezioni, purtroppo, non hanno fatto scuola. La pur bella e pregevole “Encyclopédie du protestantisme” pubblicata a Ginevra e Parigi in prima edizione nel 1995 e in seconda “rivista, corretta e accresciuta” nel 2006, contiene una voce sugli angeli (il che va benissimo), ma non una sugli animali e tanto meno sulle piante (il che va malissimo). Speriamo in una terza edizione ulteriormente “corretta e accresciuta” che contenga queste voci ora mancanti. La loro mancanza rivela una lacuna, per non dire un vuoto, che sta dentro di noi. Anche la “Dogmatica” in tre volumi di Gerhard Ebeling, peraltro eccellente, parla molto della Natura, ma non specificatamente di animali e piante. Ne parla invece il nostro lettore, con una domanda molto specifica: c’è un aldilà per gli animali? Per quelli domestici, dice lui, ma io allargherei il discorso a tutti.
La sua domanda però ne contiene molte altre, a cominciare da quella fondamentale della differenza tra l’uomo e l’animale, molto netta nel racconto biblico, che parla di un “dominio” dell’uomo sugli animali (Genesi 1, 28).

Va però precisato che questo dominio non comportava, all’inizio, il diritto dell’uomo di uccidere gli animali per cibarsene. Questo diritto venne affermato solo più tardi, dopo il diluvio (Genesi 9, 3).

La differenza tra l’uomo e l’animale è stata espressa, tra gli altri, in termini classici da Tommaso d’Aquino il quale, pur sostenendo che Dio è in qualche modo “presente” in tutte le cose da lui create, quindi anche negli animali, afferma però che tutti gli animali, anche quelli superiori, sono «situati a grande distanza dall’immagine di Dio» (“longe a similitudine divina remota”), «mentre l’uomo si dice formato “a immagine e somiglianza” di Dio». La differenza, secondo la tradizione biblica, è questa, ed è grande. In altre tradizioni religiose invece, soprattutto orientali, la differenza sembra meno netta, tanto che in quelle che credono nella reincarnazione (il Buddismo e alcune correnti dell’Induismo) la differenza è così labile che l’anima dell’uomo può cadere così in basso da finire, almeno provvisoriamente, nel corpo di un animale – dottrina, questa, impensabile nel quadro del pensiero biblico.

Detto questo, resta però il fatto innegabile – tutti lo sanno, ma non sempre lo ricordano – che l’uomo è un mammifero come tanti altri animali, è dunque anche lui anzitutto un animale. Aristotele lo definiva animale “razionale” (in greco: loghikón) e “politico” (in greco: politikón), ma pur sempre un animale. Prima di lui già il racconto biblico della creazione aveva significativamente accostato l’uomo al mondo animale, collocando la sua creazione non in un giorno speciale riservato a lui solo, ma associandolo nello stesso giorno, il sesto, alla creazione degli animali terrestri. Prima di parlare della differenza, occorrerebbe dunque illustrare la vicinanza e comune appartenenza delle due condizioni, quella animale (che tra l’altro ha la precedenza nell’ordine della creazione) e quella umana (che segue). In questo quadro non è forse inutile riferire una considerazione di carattere generale sul rapporto uomo-animali fatta dallo scrittore francese Montaigne (1533-1592), segnalatami dal pastore Angelo Cassano di Locarno (Ticino), che ringrazio. Nei suoi celebri “Essais” Montaigne rimprovera all’uomo il suo orgoglio e la sua presunzione quando si arroga il diritto di giudicare gli animali:

«Come può l’uomo conoscere, con la forza della sua intelligenza, i moti interni e segreti degli animali? Da quale confronto fra essi e noi deduce quella bestialità che attribuisce loro? Quando mi trastullo con la mia gatta, chi sa se essa non faccia di me il suo passatempo più di quanto io faccia con lei?».

Noi li consideriamo bestie; forse anche loro ci considerano bestie. In fondo, comprendiamo poco di loro, come loro comprendono poco di noi. Perciò «bisogna che osserviamo la parità che c’è tra noi. Noi comprendiamo approssimativamente il loro sentimento, così le bestie il nostro, pressappoco nella stessa misura». Dunque, dice Montaigne, il rapporto uomo-animali non va impostato in termini di superiorità e inferiorità, ma di parità. Queste considerazioni ci introducono bene alla domanda del nostro lettore:

«C’è un aldilà per gli animali?».

A questa domanda non c’è, che io sappia, nella Sacra Scrittura, che è la nostra guida e norma nelle questioni di fede e vita, una risposta diretta ed esplicita. Ci sono però tre ordini di pensieri che consentono una risposta relativamente sicura, benché indiretta. Il primo è la creazione, il secondo è il patto, il terzo è la promessa messianica.

1. Nella visione biblica la creazione è anzitutto creazione di animali (e piante). L’uomo viene dopo, ed è confinato sulla terra, mentre gli animali popolano anche il cielo e il mare. Come sarebbe vuoto il creato se ci fosse solo l’uomo! Non sarebbe il creato uscito dalle mani di Dio. Un creato senza animali è biblicamente impensabile. Ecco perché insieme a Noè vengono salvati nell’arca anche gli animali: questo può valere come figura di una salvezza comune. Persino il Mar Morto, secondo il profeta Ezechiele, non resterà per sempre morto e quindi senza pesci: dal Tempio uscirà un torrente che vi si immergerà rendendo le sue acque “sane” (47, 5) e quindi anch’esse popolate di animali marini (v. 9).

Insomma, gli animali fanno parte integrante della creazione, e non c’è alcun motivo per ritenere che non facciano parte (in forme che, certo, non possiamo immaginare) della nuova creazione, cioè di un nuovo cielo e una nuova terra (il mare, a quanto pare, purtroppo, non ci sarà più, secondo Apocalisse 21, 1, a meno di una bella sorpresa finale; comunque ci sarà un grande fiume e acqua in abbondanza).

2. Non solo gli animali sono benedetti da Dio, come la coppia umana, in vista della procreazione (Genesi 1, 22 e 28), ma essi sono inclusi ed esplicitamente menzionati nel Patto che Dio stabilisce con Noè, il cui simbolo è l’arcobaleno (Genesi 9, 8-17). Questo patto è “perpetuo” (v. 16) e il suo contenuto è la vita che, in tutte le sue espressioni e manifestazioni, non sarà più distrutta. Chi è nel Patto – e gli animali ci sono – non è nella morte, ma nella vita. L’uomo e gli animali sono ugualmente mortali (Ecclesiaste 3, 19-21!!), ma, in virtù del Patto, la loro morte non è definitiva.

3. Secondo Isaia 11, 6-9 la promessa messianica è un mondo animale riconciliato al suo interno («il lupo abiterà con l’agnello») e con l’uomo («il lattante si trastullerà sul buco del serpente»). Questa promessa, che associa uomini e animali, può essere collegata con il discorso di Paolo sulla creazione che ora è «sottoposta alla vanità», cioè alla morte, e perciò «geme insieme ed è in travaglio», ma «sarà anch’ella liberata dalla servitù della corruzione», cioè restituita a una vita senza la morte dentro (Romani 8, 20-23). 

In questa creazione liberata, come ho detto al punto 1, ci sono anche gli animali.
C’è dunque speranza per «Fido»? Sì, come c’è per il suo padrone e per tutti. C’è però una sottile insidia che può annidarsi nella domanda del nostro lettore e che è bene segnalare. L’insidia è di considerare l’Aldilà una sostanziale fotocopia dell’Aldiquà e il mondo futuro una semplice replica (migliorata) di quello attuale. Sarà invece un mondo nuovo, e non si insisterà mai abbastanza sulla portata di questo aggettivo. I rapporti tra le persone e quelli con gli animali non saranno più quelli odierni, ma saranno trasfigurati, cioè trasformati in rapporti completamente diversi, luminosi, trasparenti, felici, perché saranno unificati in Dio, che sarà «tutto in tutti» (I Corinzi 15, 28).

Paolo Ricca

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Biografia

Paolo Ricca nasce a Torre Pellice (in provincia di Torino) nel 1936. Dopo aver conseguito la maturità classica a Firenze, studia Teologia a Roma, negli Stati Uniti e a Basilea (Svizzera), ove consegue il dottorato con una tesi sull’escatologia del Vangelo secondo Giovanni. Consacrato pastore della Chiesa valdese nel 1962, esercita il ministero a Forano e a Torino, e segue il Concilio Vaticano II per conto dell’Alleanza Riformata Mondiale. Dal 1976 al 2002 insegna Storia della Chiesa e, per alcuni anni, Teologia Pratica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma. Membro per quindici anni della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Ginevra), opera in diversi organismi ecumenici ed è per due mandati presidente della Società Biblica in Italia. Attualmente è professore ospite presso il Pontifico Ateneo Sant’Anselmo di Roma e dirige la collana “Lutero. Opere scelte” dell’editrice Claudiana di Torino.

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