Vorrei soffermarmi su una precedente affermazione (post 85) di Angelo Santini (AS) secondo cui, a proposito della volontà di INDICARE la verità
del destino, <<in realtà non [c’è] stato un indicare>> il destino da parte dell’io
empirico-Severino, nonostante l’io empirico-Severino abbia
affermato:
<<i miei scritti sono il dito>>
che indica la luna ossia il destino. (Severino: Educare al pensiero, pp.
155-156).
Notare bene; egli precisa: <<i miei scritti>>,
cioè DELL’io
empirico-Severino.
Al contempo, però (cfr. il post n° 37),
è necessario _ afferma sempre il filosofo bresciano _ che
quel dito (cioè <<i miei scritti>>), <<fraintenda, sempre e inevitabilmente, le
tracce della Gioia [la luna]>>.
Ancora Severino:
<<Il dito e
la luna. Le piace? È una metafora cinese. Il dito indica la luna e può aiutare
a spingere verso il tramonto il dito che indica la terra isolata. Il carattere problematico della capacità
del dito di indicare la luna non investe lo splendore della luna>>.
Certo, purché, però, quel dito sappia
INDICARE CORRETTAMENTE,
non in modo <<problematico>>.
Ora, come detto, quel dito è necessario che
<<fraintenda, sempre e inevitabilmente, le
tracce della Gioia [la luna]>>, in quanto esso
(quale metafora dei <<miei
scritti>> e quindi DELL’io
empirico-Severino)
è ERRORE, infatti esso ha un <<carattere problematico>>
nell’indicare, proprio perché è un dito STORTO, per cui non
indicherà MAI correttamente, e perciò la luna non sarà affatto indicata né
indicabile, visto che quel dito STORTO dirotta sempre ALTROVE la
sua indicazione.
Pertanto è sommamente CONTRADDITTORIO affermare
che ALL’io
empirico NULLA APPAIA ed al contempo ritener che AL dito ( = ALL’io empirico-Severino)
DEBBA APPARIRE la luna onde poterla INDICARE!
O si vorrà forse sostener assurdamente che
il dito ( = l’io empirico-Severino) INDICHI ( = gli appaia) ciò che non
può MAI apparirgli?
Severino osserva:
<<la
luna appare>> (op. cit.).
A CHI?
A LUI, o meglio,
al SUO dito
che la INDICA o, meglio ancora, la luna appare in ciò che egli chiama:
<<i miei scritti sono il dito>>.
Lo ha detto Severino, non il sottoscritto…
Ricordiamoci adesso quanto asserito da AS:
<<in
realtà non [c’è] stato un indicare>> il destino
da parte dell’io empirico-Severino.
Per cui, che gli scritti DI Severino siano il dito che
indica la luna è <<in
realtà>> una
FINZIONE, o come dice lo stesso AS:
è qualcosa di <<inscenato>>.
Leggiamo direttamente AS:
<<Non
è l'io empirico Severino [ = il dito] ad aver indicato la verità del
Destino [ = la luna] ai nostri io empirici o al nostro Io finito del
Destino, ma è l'Io Infinito del Destino che, in questo tratto di realtà della
terra isolata, appare processualmente e parzialmente in sé e a sé ospitando
solo alcuni tratti coscienziali di se stesso e che quindi autoappare a sé in
questo modo parziale, nel quale è inscenato un contrasto tra la verità e l'errore che passa anche
per equivoci come quelli secondo cui a testimoniare e indicare il Destino sia
un io empirico anziché l'Io finito del Destino (che è una porzione dell'Io
infinito del Destino). In altre parole, ad aver indicato la verità del Destino
è il Destino stesso a sé stesso e in se stesso (in questo tratto della terra
isolata, nella forma processuale inscenata dal contesto stesso della terra isolata, quale contrasto
tra la verità e l'errore e l'idea che siano gli individui a testimoniare qualcosa>>.
(Parentesi quadre mie: RF).
Intanto, NON si capisce COME, sulla
base di una messinscena,
si possa affermare CON VERITÀ non solo che essa è una messinscena _ giacché,
per affermare ciò, gli attori ( = gli io empirici) dovrebbero SAPERE della
loro inscenata
mentre, invece, Severino ha sempre ribadito che l’io empirico-errore NON SA di essere errore e
quindi NON SA di inscenare alcunché _, ma, ancor più, si rimane stupiti da come non
ci si accorga dell’ASSURDITÀ della seguente tesi severiniana:
<<ad aver indicato la verità del Destino è il Destino stesso a sé stesso e in se stesso (in questo
tratto della terra isolata, nella forma processuale inscenata dal contesto stesso della terra
isolata, quale contrasto tra la verità e l'errore e l'idea che siano gli
individui a testimoniare qualcosa>>.
Scendiamo nel dettaglio.
Vestiamo il <<Destino stesso>> coi panni dell’UNICO
REGISTA ed OSSERVATORE ( = Io del destino)
della scena che
si svolge nel suo teatro.
Sul palco, vi è un gruppo di <<tratti coscienziali>>
( = gli io empirici-errori) che si avvicendano inscenando di INDICARE <<la verità
del Destino>>.
Come anticipato, il regista è l’UNICO FRUITORE
che VEDE e SA tutto quanto
avviene sul palco, mentre, invece, gli io empirici ivi recitanti sono ERRORI,
per cui essi sono CIECHI pur sostenendo, essi, di vedere, e sono SORDI pur
sostenendo di udire.
Inoltre, essi non sono consapevoli di inscenare un <<fittizio agire>>,
perché ritengono di agire realmente, ed IGNORANO completamente l’esistenza/presenza
del REGISTA ( = Io del destino) che li osserva, giacché è stato
detto da AS:
<<Secondo la filosofia di Severino non vi è in noi un soggetto che abbia fede,
pensi e si rappresenti la realtà, ma solo l'apparire di configurazioni
coscienziali in cui si inscena
questo e la identificazione con un io empirico calato in un presunto mondo
esterno, creduto diveniente>>;
ed anche:
<<dissento sul ritenerci Io empirici. Chi sperimenta [ =
osserva] ciò che appare nel nostro Cerchio finito del Destino [ = nel
teatro] è il nostro Io finito del Destino [ = il regista], non l'io empirico [ =
il gruppo di <<tratti coscienziali>> cui sono gli io
empirici-errori]. L'io empirico [ = tale gruppo di <<tratti
coscienziali>>] non
ha realtà propria ed esiste come contenuto della fede [ = cioè NON esiste]
(la fede che esista fisicamente la persona, anziché l'insieme delle
determinazioni che ne rappresentano il fittizio agire, ovvero la persuasione di agire, secondo la
filosofia sostenuta da Severino)>>. (Parentesi quadre mie: RF).
Accade, dunque, che l’Io del destino necessiti
di INDICARE sé stesso <<nella forma processuale inscenata dal contesto stesso
della terra isolata [ = del teatro]>>.
Ossia, tale regista, chissà perché, sente la necessità di INDICARE
sé stesso <<a
sé stesso e in se stesso>> attraverso
la messinscena recitata
da <<tratti coscienziali>> i quali, in quanto sono CIECHI,
SORDI e FITTIZI, non possono indicare proprio niente!
Ora, il MINIMO che si possa dire di questo Io del destino
è che sia BEN POCO CONSCIO di sé, tanto da aver NECESSITÀ di INDICARSI non in virtù del
proprio auto-apparirsi immediato ed innegabile, ossia della propria auto-coscienza,
bensì grazie ad una sceneggiata
che di sé stessa NULLA SA, NULLA ESPERISCE, NULLA VEDE
e NULLA SENTE, essendo per lo più FITTIZIA ossia _ in ultima analisi _ INESISTENTE!
Non solo, ma accade che la sceneggiata consistente nei suddetti CIECHI,
SORDI e FITTIZI io empirici, prenda possesso della scena teatrale (AS: <<quale
contrasto tra la verità [ = il regista] e l'errore [ = gli io
empirici] e l'idea che siano gli individui a testimoniare qualcosa>>),
CONTRASTANDO la
consapevolezza ( = la verità) del regista di essere IL SOLO ed UNICO
REGISTA, finendo perciò, EGLI, per immedesimarsi (credendo) in quegli io empirici SORDI, CIECHI e
FITTIZI, appunto perché questi ultimi sono convinti di NON essere CIECHI,
SORDI e FITTIZI, bensì reali soggetti consapevoli del mondo che appare loro.
AS ha precisato che
<<l'apparire della persuasione nell'errore non intacca l'Io finito del
Destino, il quale non è che "creda" nell'errore quando gli appare, quanto
piuttosto è pervaso
in quel momento principalmente da quella particolare serie di configurazioni
coscienziali che inscenano
la persuasione
dell'essere un io empirico che ha fede in qualcosa, mentre l'oltrepassamento
dell'errore (già originariamente avvenuto nell'apparire infinito) è
semplicemente l'apparire di configurazioni coscienziali in cui è da sempre
presente la comprensione dell'errore in quanto errore, e della verità in quanto
tale>>.
Ma l’esser <<pervaso in quel momento principalmente da quella
particolare serie di configurazioni coscienziali che inscenano la persuasione dell'essere un io empirico che ha fede
in qualcosa>>,
significa che l’Io del destino è appunto PERSUASO ossia CREDE <<nell'errore
quando gli appare>>, altrimenti tale persuasione scivolerebbe via, non attecchirebbe
neppure per un istante, e perciò NESSUN io empirico direbbe MAI:
io sono, io faccio, io vedo, io penso, io sento, etc…,
perché verrebbe immediatamente sconfessato dalla INOBLIABILE
consapevolezza della verità dell’Io del destino.
Insomma, una verità davvero LABILE, se si
lascia sopraffare dall’errore…
Roberto Fiaschi
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