lunedì 22 luglio 2024

116)- IL CASO ELISA DE SILVA, L’INCONTRADDICENTESI ‘FILOSOFA’

 

L’amministratrice della pagina Facebook “Officina di filosofia teoretica”, la ‘filosofa’ severiniana Elisa de Silva, tra un insulto ed un altro, ci spiega chi sia e come debba essere il filosofo:

Come si può vedere, Elisa de Silva esordisce con:

<<Filosofo è colui che non si contraddice>>.

Premesso che io NON HO MAI DETTO (né pensato) di essere filosofo (infatti NON lo sono), MAI, al contrario di costei che si è improvvisata tale solo dopo assimilato qualche formuletta dai testi di Severino, ebbene, anch’ella, come molti severiniani, ritiene d’essere una filosofa <<che non si contraddice>>, anzi, è stra-convinta di incarnare tale incontraddittorietà.

Così, in una discussione inizialmente pacata, concernente l’ente (nel nostro caso, come esempio, l’ALBERO) in quanto astratto e concreto, io sostenevo che LO STESSO ALBERO appaia in due modalità DIFFERENTI, ossia come astratto (nell’apparire finito) e come concreto (nell’apparire infinito), con le conseguenti contraddizioni che ne derivavano.

Al che costei sbotta innervosita, e mi scrive: 



Ed ecco che, ormai spazientita, finalmente l’incontraddicentesi Elisa de Silva mi invia la sua <<prova>>:

Seguìta subito dopo da quest’altra (che poi è la stessa, solo più completa):


Dopodiché le ri-invio questa stessa immagine con le MIE sottolineature ROSSE per evidenziarle che ciò che l’incontraddicentesi filosofa mi attribuiva era semplicemente FALSO (cioè che <<l’albero non è lo stesso albero>>), giacché ciò che avevo realmente scritto era:

<<questo albero, che qui appare astrattamente, differisce da questo stesso albero che nell’apparire infinito appare concretamente>>! 

Ma niente da fare, la super-filosofa replica:

<<no, non differisce affatto>>.

Per poi, a mia volta, ribadirle (vanamente) che:

<<è lo stesso albero in due modalità opposte>>…

Per cui è palese <<chi va per farfalle e svanvera>>!

La nostra incontraddicentesi filosofa si è auto-palesata NON esattamente incontraddicentesi, cioè non-incontraddittoriamente filosofa, quindi si è infuriata contro di me, tanto da rifiutarsi, subito dopo, dal riconoscere l’ABBAGLIO subìto e, conscia di aver fatto una figura poco incontraddittoria, ha preferito sprofondare in un indignitoso silenzio, riemergendo, poi, sotto forma di INSULTI, che sono il massimo ‘filosofico’ che ella riesca a esprimere.

 

Roberto Fiaschi

-------------------------

sabato 20 luglio 2024

115)- UNA (MA NON L’UNICA) FRATTURA INSANABILE NELLA ‘VERITÀ’ SEVERINIANA

Scrive Severino:

(1)- <<La terra isolata [ = l’errore] può apparire solo in quanto appare il destino della verità. [...] Il destino della verità è L’INCONSCIO DELL’INCONSCIO della terra isolata [ = dell’io individuale]. Ma questo più profondo inconscio AFFIORA NELLA COSCIENZA CHE LA TERRA ISOLATA [ = l’individuo] HA DI SÉ: affiora, appunto, nel molteplice che è costituito dai significati che sono identici nella terra isolata e nel destino della verità. Questo molteplice, nella terra isolata, è l’insieme dei frammenti della struttura del destino della verità. Tale struttura è invece la struttura di tali frammenti, che, in quanto originariamente ed eternamente strutturati non sono frammenti, ma determinazioni distinte che necessariamente sono unite in ciò la cui negazione è autonegazione. Il destino e la terra isolata [ = l’individuo] cantano, con le stesse note, gli OPPOSTI canti della verità e dell’errore. Nel canto dell’errore AFFIORA quindi, ma ROVESCIATO, il canto della verità>>. (Oltrepassare. Pag. 374. Maiuscoli e parentesi quadre miei: RF).

Qui sembrerebbe che nella coscienza dell’individuo/errore, che contenderebbe alla verità ( = l’io del destino) la scena dell’apparire, possa affiorare <<il canto della verità>>, quindi parrebbe che egli possa SENTIRLO, seppur in modo <<ROVESCIATO>>.

Senonché _ ED ECCO LA FRATTURA INSANABILE tra ciò che precede e quanto segue _, dice ancora Severino:

(2)- l’io dell’individuo <<proprio perché è fede, è destinato a NON SENTIRE la verità [ = <<il canto della verità>>]: in quanto ASCOLTATA da “me”, cioè dalla fede in cui “io” come individuo mortale consisto, la verità [ = <<il canto della verità>>] non può essere verità, e io sono destinato ad essere soltanto il desiderio, ‘in indefinitum’, della verità, cioè alla lettera filo-sofo>>.

(La struttura originaria, pag. 89. Maiuscoli e parentesi quadre miei: RF).

Per cui in (1), all’io individuale è possibile SENTIRE (è possibile che AFFIORI) <<il canto della verità>>;

in (2) NO, essendo infatti <<destinato a NON SENTIRE la verità>> giacché essa, sebbene affiori in me, <<in quanto ASCOLTATA da “me”, […] non può essere verità>>!

A meno che in (1), ove Severino afferma che <<il canto della verità>> appaia in modo <<ROVESCIATO>>, egli intenda dire quanto ha precisato in (2), cioè che <<ROVESCIATO>> equivalga a: <<destinato a NON SENTIRE la verità [ = <<il canto della verità>>]: in quanto ASCOLTATA da “me”>>.

Se così, allora la suddetta FRATTURA peggiorerebbe, perché si tradurrebbe nella COMPLETA NEGAZIONE che <<Nel canto dell’errore>> cioè nell’individuo, vi possa esser coscienza del <<canto della verità>>, perché <<Tale coscienza appartiene SOLO all’Io del destino>> (Nicoletta Cusano: Emanuele Severino. Oltre il nichilismo, Morcelliana 2011, pag. 434. Maiuscolo mio: RF).

Coscienza dell’Io del destino che, quand’anche affiorasse, l’individuo NON ne potrebbe comunque <<essere cosciente>>…

 

Roberto Fiaschi

-------------------------

 

giovedì 18 luglio 2024

114)- UNA REPLICA A L’«APPARIRE INFINITO E CONTRADDIZIONE C»

Premetto che la critica da me qui rivolta ad Angelo Santini, era già stata formulata 3 anni fa da Luigi Pavone al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=Z8RSWGejDko&lc=UgzaiQqpBuDvOh2Evo94AaABAg

 -------------------------

Riporto un brano del filosofo severiniano Angelo Santini (desootSprnl6m6:49leg4hg00 8ci t0g54r9223mlha1I516i3a1h4e9imi), dove cerca di spiegare perché la contraddittorietà del rapporto tra <<la contraddizione C come inoltrepassata>> e la <<contraddizione C come oltrepassata>>, sarebbe per lui un’<<apparente contraddizione>>.

Vediamo.

Egli ha scritto:

<<APPARIRE INFINITO E CONTRADDIZIONE C

Secondo una certa obiezione alla filosofia severiniana, la contraddizione C come inoltrepassata sarebbe incompatibile con la contraddizione C come oltrepassata: nell'apparire infinito sarebbe di fatto presente sia il contenuto della contraddizione C in quanto isolato e inoltrepassato, che in quanto oltrepassato originariamente. L'apparente contraddizione qui richiamata si risolve considerando la costituzione concreta del contenuto della contraddizione C e del suo rapporto concreto con l'apparire infinito. Per semplificare la spiegazione, si rappresenti il contenuto della contraddizione C in quanto isolato come un cerchio e il contenuto della contraddizione C come oltrepassata come un insieme infinito di cerchi concentrici più ampi che avvolgono in origine il primo cerchio. Il contenuto concreto della contraddizione C è tutto l'insieme infinito dei cerchi concentrici più ampi. Il primo cerchio della contraddizione C non è separato da tutti gli altri infiniti cerchi concentrici che lo avvolgono e in cui risiede il suo oltrepassamento. L'errore del tipo di obiezione considerata consiste nel concepire astrattamente il rapporto tra il contenuto della contraddizione C nel suo primo cerchio (in cui è isolato, considerato in se stesso in quanto momento astratto del suo contenuto infinito) e gli infiniti altri cerchi che lo avvolgono e che sono una sua estensione: l'errore consiste nel presupporre che l'oltrepassamento originario della contraddizione C debba aversi all'interno del primo cerchio del suo contenuto isolato e che non sia, invece, già dato al suo esterno, negli altri infiniti cerchi concentrici (che sono gli altri infiniti strati che lo compongono e che costituiscono l'oltrepassamento originario della contraddizione C stessa)>>.

----

Purtroppo <<L'apparente contraddizione>> si rivela essere, invece, contraddizione non-apparente, inaggirabile, e la sua diagnosi nonché la sua presunta soluzione NON colgono nel segno, anzi, non fanno altro che RIPETERE e PERPETUARE i termini della contraddizione stessa.

Stiamo considerando la situazione dal punto di vista dell’apparire INFINITO, ove qualsiasi ente, secondo Severino, appare da sempre e per sempre nella sua CONCRETEZZA quindi libero dalla contraddizione C.

Ed è proprio QUI che si annida la contraddizione (non C) in oggetto, NELL’APPARIRE INFINITO il quale, rispetto all’apparire finito, costituisce quell’<<esterno>> quale <<oltrepassamento originario della contraddizione C stessa>>, essendo esso il ‘luogo’ ove la parte (un qualsiasi ente, tutti gli enti) è <<dimorante nel tutto avvolgente>> (E. Severino; “Poscritto” in “Essenza del nichilismo”).

Ebbene, NELL’apparire infinito, OLTRE alla suddetta CONCRETEZZA, DEVE esser presente, cioè DEVE apparirvi ANCHE l’ente <<in quanto isolato e inoltrepassato>>, altrimenti l’apparire infinito MANCHEREBBE dell’ente <<in quanto isolato e inoltrepassato>> e così il primo NON sarebbe l’apparire INFINITO, bensì PARTE esso stesso.

In esso, cioè, DEVE apparirvi la differenza tra l’astratto ed il concreto, ossia la DIFFERENZA tra l’ente <<in quanto isolato e inoltrepassato>> e l’ente, lo stesso ente, in quanto il suo oltrepassamento sia da sempre <<già dato al suo esterno>>, essendo tale <<esterno>>, come detto, l’apparire infinito (che non ha alcun esterno).

Entrambi gli anzidetti aspetti di tale differenza devono essere ETERNI, i quanto sono ambedue ESSENTI, ed ETERNA LA STESSA LORO DIFFERENZA.

Ora, tutto ciò dà luogo NON ad UNA bensì a VARIE CONTRADDIZIONI, che vado ad enumerare:

1)- poiché l’ente, nell’apparire finito vi appare come <<isolato e inoltrepassato>> cioè come <<NON dimorante nel tutto avvolgente>>, QUESTO stesso ente <<in quanto isolato e inoltrepassato>> DEVE apparire anche nell’apparire infinito, restando esattamente qual esso è nel finito, cioè, ripetiamolo, in quanto <<non dimorante nel tutto avvolgente>>, sì che esso stia (appaia) <<nel tutto avvolgente>> come <<non dimorante nel tutto avvolgente>>, appunto perché ANCHE l’ente <<isolato e inoltrepassato>> DEVE apparire <<nel tutto avvolgente>> tale e quale esso è nell’apparire finito, cioè come <<NON dimorante nel tutto avvolgente>>, pur essendovi da sempre dimorante.

2)- Nel <<tutto avvolgente>> ( = nell’apparire infinito), il medesimo ente che appare nell’apparire finito cioè <<NON dimorante nel tutto avvolgente>>, appare come un BINARIO PARALLELO allo stesso ente visto come <<dimorante nel tutto avvolgente>>. Sì che astratto e concreto, o ente <<NON dimorante nel tutto avvolgente>> ed ente <<dimorante nel tutto avvolgente>> si manifestino, nell’apparire infinito, a guisa di DUE BINARI che NON SI INCONTRANO MAI, pur riferendosi al medesimo ente.

3)- Sì che risulti VANO parlar, nell’apparire finito, di contraddizione C e del suo progressivo (ma mai compiuto) toglimento, poiché nell’apparire infinito tale astrattezza MAI VIENE TOLTA, proprio perché essa, sempre nell’infinito, è conservata pari pari in nome del DOGMA severiniano della NON-TRASFORMABILITÀ ( = eternità) degli essenti, identicamente nel modo in cui appare nel finito…

4)- Il ricorso all’astratto COME NEGATO (nell’apparire infinito) temo non risolva nulla, perché è palese che questi necessiti altresì della sua AFFERMAZIONE.

 

Roberto Fiaschi

------------------------------ 

mercoledì 17 luglio 2024

113)- SEMPRE SUL POST DI EGON KEY: «IL SEDICENTE PUNTO 2) DI FIASCHI (parte III)»


Nuovamente, EGON KEY ( = EK) prosegue la sua replica al mio post n° 111, che egli intitola:

<<IL SEDICENTE PUNTO 2) DI FIASCHI (parte III)>>.

Piccola osservazione pedantesco-polemica, me ne scuso.

Che cosa C’ENTRI scrivere <<SEDICENTE>>, resta al momento un mistero, giacché quell’aggettivo significa:

<<Che dice di essere, che si spaccia per qualcuno, che si attribuisce cioè titoli, generalità, qualifiche, qualità che non sono o che si sospettano non essere rispondenti a quelle reali>> (https://www.treccani.it/vocabolario/sedicente/).

O anche: <<Che dice di essere, che si vanta di essere ciò che non è: un sedicente. medico>> (https://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/S/sedicente.shtml).

Infatti, NÉ io NÉ quel mio punto (2) a cui EK si riferisce ci SPACCIAMO per alcunché, se non di voler effettuare una critica appunto espressa al punto (2);

il (2) NON SI ATTRIBUISCE <<titoli, generalità, qualifiche, qualità che non sono o che si sospettano non essere rispondenti a quelle reali>>, giacché quel punto ha semplicemente prospettato un’alternativa rispetto agli altri due.

Inoltre, esso <<non si vanta di essere ciò che non è>>, non solo perché NON SI VANTA tout court (dove e a che pro?), ma altresì perché si mostra semplicemente per ciò che esso è, ossia, ripeto, un’alternativa rispetto ad altre…  

Pertanto sarebbe auspicabile un utilizzo dei termini più ponderato…

Dunque, EK scrive quanto segue, introducendo una mia citazione:

<<2)- L’infinito ‘vede’ x esattamente COME lo vediamo noi nel finito ED ALTRESÌ lo vede LIBERO dalla contraddizione C, ossia lo ‘vede’ insieme alla totalità delle sue costanti, l’apparire simultaneo delle quali, perciò, TOGLIEREBBERO (avrebbero da sempre tolto) la contraddizione C di x nell’infinito.>> E ancora: <<Ma, se fosse così, nell’apparire infinito avremmo DUE enti-x reciprocamente DIFFERENTI e solo UNO dei quali apparirebbe nella sua concretezza _ cioè l’ente-x ‘visto’ nell’apparire infinito insieme alla simultaneità di tutte le sue (di x) infinite costanti; ciò, in forza del fatto che, secondo Severino, un ente NON POSSA MAI DIVENTARE (TRASFORMARSI in) un altro>>.

E osserva:

<<Ad abundantiam, stante quanto già espresso nelle parti I e II della risposta al "SEDICENTE PUNTO 2) DI FIASCHI", riportiamo il pensiero dello stesso Severino su questo (non facile) tema:

«[La differenza ontologica] [...] non è la differenza tra due enti, ognuno dei quali sia privo di ciò che l’altro possiede: la parte che appare non è una positività che non sia inclusa nel tutto immutabile, giacché, in quanto ciò che appare è un positivo, esso dimora, come ogni altro positivo, nell’onnivolgente cerchio dell’immutabile>>.

E sin qui, ciò è quanto da me considerato come l’alternativa n° (2) del post n° 110, giacché Severino riconosce che <<la parte che appare>> qui nel finito, è una positività INCLUSA <<nel tutto immutabile, giacché, in quanto ciò che appare è un positivo, esso dimora, come ogni altro positivo, nell’onnivolgente cerchio dell’immutabile>>.

Dopodiché Severino scrive:

<<Ma in quanto la parte appare come non dimorante nel tutto avvolgente, in quanto cioè non appare la concreta relazione della parte al tutto, la parte non appare così come è. [...]. La parte, che appare sola, differisce da sé in quanto avvolta dal tutto, nel senso che viene a perdere ( = nascondere) qualcosa di sé in quanto così avvolta. Cioè dall’apparire non si ritrae semplicemente la dimensione che eccede la parte, ma, proprio per questo ritrarsi, c’è anche un ritrarsi nella parte stessa che appare>>.

A)- Purtroppo questa pur utile precisazione NON CAMBIA LA SOSTANZA DELLA CRITICA, anzi, la lascia intonsa.

Perché?

Perché la parte (l’astratto) che nel finito appare <<non dimorante nel tutto avvolgente>> deve esser vista da questo <<tutto avvolgente>>, cioè dall’apparire infinito, ESATTAMENTE COME parte <<non dimorante nel tutto avvolgente>>!

Sì che la parte, <<che appare sola>> e perciò DIFFERENDO da come essa appare <<nel tutto avvolgente>>, è, sempre IN QUESTO <<tutto avvolgente>>, eternamente IRREDENTA dalla contraddizione C, è eternamente NON-LIBERA dalla contraddizione C, cosicché, nel finito, non possa MAI darsi alcun oltrepassamento concreto della parte poiché questa è DESTINATA A RIMANERE SEMPRE ASTRATTA, sia nell’infinito sia nel finito!

Quindi, nel <<tutto avvolgente>>, la parte NON apparirà MAI <<così come è>> in quanto <<dimorante nel tutto avvolgente>>, poiché, in quanto <<dimorante nel tutto avvolgente>>, la parte astratta ossia quella <<non dimorante nel tutto avvolgente>> NON PUÒ DIVENTARE-ALTRO-DA-SÉ cioè <<dimorante nel tutto avvolgente>>, e perciò quella parte così <<non dimorante>>, NEPPURE nell’apparire infinito ( = <<nel tutto avvolgente>>) POTRÀ MAI apparire <<così come è>> concretamente!

B)- Conclude Severino:

<<[...] Il motivo, per il quale l’alterazione della parte che appare astrattamente (e cioè sola, come non avvolta dal tutto) deve essere intesa come un mancamento nella parte, tale motivo è dato dalla considerazione che tutto l’essere è immutabile, sì che la parte che appare in solitudine può differire da sé in quanto accompagnata dal tutto, solo nel senso che nella solitudine manchi qualcosa che invece è presente nella compagnia col tutto». (E. Severino, "Poscritto", pp. 102-103)>>.

Tale <<mancamento nella parte>> appare sì o no <<nel tutto avvolgente>>?

Sì, come è stato visto poc’anzi.

Siccome <<nella solitudine>>, alla parte MANCA <<qualcosa che invece è presente nella compagnia col tutto>>,

allora, nell’apparire infinito tale parte DEVE APPARIRE COME MANCANTE di qualcosa, e COSÌ essa deve eternamente restare, proprio perché NON PUÒ DIVENTARE concreta, essendo la concretezza di tale parte UN ALTRO ESSENTE rispetto a quello che, ANCHE nell’apparire infinito, non può che apparirvi come <<non dimorante nel tutto avvolgente>>, PUR DIMORANDOVI (ENNESIMA CONTRADDIZIONE)!!!

 

Roberto Fiaschi

------------------------

lunedì 15 luglio 2024

112)- REPLICA AL POST: «IL SEDICENTE PUNTO 2) DI FIASCHI»

 

Al mio post n° 111, EGON KEY ( = EK) ha replicato come segue:

<<IL SEDICENTE PUNTO 2) DI FIASCHI>>.

Egli comincia riportando un mio passaggio:

<<2)- L’infinito ‘vede’ x esattamente COME lo vediamo noi nel finito ED ALTRESÌ lo vede LIBERO dalla contraddizione C, ossia lo ‘vede’ insieme alla totalità delle sue costanti, l’apparire simultaneo delle quali, perciò, TOGLIEREBBERO (avrebbero da sempre tolto) la contraddizione C di x nell’infinito>>.

E aggiunge:

<<Da ciò ne deduce [cioè io, RF, dedurrei erroneamente] quanto segue:

“Ma, se fosse così, nell’apparire infinito avremmo DUE enti-x reciprocamente DIFFERENTI e solo UNO dei quali apparirebbe nella sua concretezza _ cioè l’ente-x ‘visto’ nell’apparire infinito insieme alla simultaneità di tutte le sue (di x) infinite costanti; ciò, in forza del fatto che, secondo Severino, un ente NON POSSA MAI DIVENTARE (TRASFORMARSI in) un altro”>>.

EK prosegue perciò così:

<<Nonostante le ripetute osservazioni, non si è riusciti nell'intento di fargli comprendere:

A) che non si questionava l'apparire, nell'apparire infinito, degli essenti della terra isolata come essenti della terra isolata (nonché il loro apparire come essenti connessi alla totalità dell'essente), ma che "questo", che è "altro" in quanto isolato, non è un "duplicato" nell'apparire infinito, ma, appunto, lo "STESSO ESSENTE";

B) che, dunque, NON vi sono <<DUE enti-x reciprocamente DIFFERENTI e solo UNO dei quali apparirebbe nella sua concretezza _ cioè l’ente-x ‘visto’ nell’apparire infinito insieme alla simultaneità di tutte le sue (di x) infinite costanti; ciò, in forza del fatto che, secondo Severino, un ente NON POSSA MAI DIVENTARE (TRASFORMARSI in) un altro.>>

C) che, pertanto, l'oltrepassamento concreto della contraddizione NON esclude la DIFFERENZA tra l'essente che appare nel suo non essere oltrepassato e "QUESTO STESSO ESSENTE" che invece appare nella dimensione che lo oltrepassa. Quella "differenza", infatti, è la stessa contraddizione tra il destino e l'isolamento della terra (giacché il destino è la FORMA del contrasto), ma la contraddizione (ogni contraddizione) può apparire solo in quanto appare COME NEGATA. Magari vuoi discuterla sul tuo profilo>>.

----

Ahimé, temo sia lui a non aver capito.

Vediamo, però.

Per quanto riguarda il punto A, non ho inteso parlare di DUPLICATI, sebbene EK l’abbia misinterpretato così.

Infatti,

<<"questo", che è "altro" in quanto isolato>>, cioè <<"questo">> nostro apparire finito isolato, nel modo in cui esso ci appare e con esso gli enti ivi avvicendantisi, è ESATTAMENTE <<lo "STESSO ESSENTE">> ( = lo STESSO x isolato) che appare (che DEVE apparire ANCHE) nell’apparire INFINITO.

Nel mio ‘famigerato’ punto (2), lo avevo espresso CHIARAMENTE:

 <<2)- L’infinito ‘vede’ x ESATTAMENTE COME lo vediamo noi nel finito>>;

ANCORA DUBBI?

Scrivere, come ho scritto, che

<<L’infinito ‘vede’ x ESATTAMENTE COME lo vediamo noi nel finito>>,

è la STESSISSIMA cosa che dire:

<<che "questo" [x], che è "altro" in quanto isolato, non è un "duplicato" nell'apparire infinito, ma, appunto, lo "STESSO ESSENTE">>.

APPUNTO! ED È CIÒ CHE HO PRECISAMENTE SCRITTO!

Ma sappiamo leggere l’italiano oppure ci vuole qualche lingua creata ad hoc?

Che cosa avrei voluto dire, altrimenti, ove ho scritto che

<<L’infinito ‘vede’ x ESATTAMENTE COME lo vediamo noi nel finito>>???

Se l’infinito ‘vede’ x ESATTAMENTE COME lo vediamo noi nel finito, ciò vorrà dire che x non è un <<DUPLICATO nell'apparire infinito, ma, appunto, lo "STESSO ESSENTE">> che appare nel finito!

Dopodiché, EK afferma che io DEDURREI (presupponendo che mi stia sbagliando), che:

<<Ma, se fosse così, nell’apparire infinito avremmo DUE enti-x reciprocamente DIFFERENTI e solo UNO dei quali apparirebbe nella sua concretezza _ cioè l’ente-x ‘visto’ nell’apparire infinito insieme alla simultaneità di tutte le sue (di x) infinite costanti; ciò, in forza del fatto che, secondo Severino, un ente NON POSSA MAI DIVENTARE (TRASFORMARSI in) un altro>>.

Ma questi DUE enti-x reciprocamente DIFFERENTI sono l’apparire finito isolato dal tutto e LO STESSO apparire finito in concerto con il tutto, dove il PRIMO di questi due <<non è un "duplicato" nell'apparire infinito, ma, appunto, lo "STESSO ESSENTE">>, cioè il primo che ho testé menzionato!!!

Più chiaro adesso?

Se l’infinito non ‘vedesse’ l’apparire finito sotto ENTRAMBI gli aspetti, cioè se esso non ‘vedesse’ x isolato e LO STESSO x in compagnia con il tutto, allora all’apparire infinito MANCHEREBBE una parte, ossia mancherebbe dell’x isolato il quale, invece, non può mancare, ma NON come un DOPPIONE bensì come QUELLO STESSO x isolato che (ci) appare qui ed ora!

Al punto B, EK, riportando nuovamente un mio brano, afferma (in grassetto):

<<che, dunque, NON vi sonoDUE enti-x reciprocamente DIFFERENTI e solo UNO dei quali apparirebbe nella sua concretezza _ cioè l’ente-x ‘visto’ nell’apparire infinito insieme alla simultaneità di tutte le sue (di x) infinite costanti; ciò, in forza del fatto che, secondo Severino, un ente NON POSSA MAI DIVENTARE (TRASFORMARSI in) un altro”>>.

Santo Cielo, MA COME <<NON vi sonoDUE enti-x reciprocamente DIFFERENTI e solo UNO dei quali apparirebbe nella sua concretezza”>>???

Esiste o non esiste l’apparire finito isolato e LO STESSO apparire non-isolato cioè libero dalla contraddizione C???

DOVE appare QUESTO STESSO apparire finito in queste DUE ‘modalità’ (isolato e non isolato)???

DOVE??? Se non nell’onnicomprensivo apparire infinito?

Perché se in questo apparire infinito <<NON vi sonoDUE enti-x reciprocamente DIFFERENTI”>>, ciò vorrà dire che l’apparire finito (x) appare nell’infinito SIMULTANEAMENTE ISOLATO-E-NON-ISOLATO!

E questa sarebbe UN’ULTERIORE CONTRADDIZIONE, fatale per l’impianto severiniano!

Infine, scrive EK al punto C:

<<C) l'oltrepassamento concreto della contraddizione NON esclude la DIFFERENZA tra l'essente che appare nel suo non essere oltrepassato e "QUESTO STESSO ESSENTE" che invece appare nella dimensione che lo oltrepassa. Quella "differenza", infatti, è la stessa contraddizione tra il destino e l'isolamento della terra (giacché il destino è la FORMA del contrasto), ma la contraddizione (ogni contraddizione) può apparire solo in quanto appare COME NEGATA>>.

Aridaje!

Ma dire che

<<l'oltrepassamento concreto della contraddizione NON esclude la DIFFERENZA tra l'essente che appare nel suo non essere oltrepassato e "QUESTO STESSO ESSENTE" che invece appare nella dimensione che lo oltrepassa>>

IMPLICA PRECISAMENTE la COM-PRESENZA _ nell’apparire infinito _ della <<DIFFERENZA tra l'essente che appare nel suo non essere oltrepassato e "QUESTO STESSO ESSENTE" che invece appare nella dimensione che lo oltrepassa>>!!!

Giacché tale DIFFERENZA è essa stessa a sancire la presenza di DUE essenti DEL MEDESIMO essente, infatti DEVONO apparire:

SIA <<l'essente che appare nel suo non essere oltrepassato>> cioè x isolato,

SIA <<"QUESTO STESSO ESSENTE" che invece appare nella dimensione che lo oltrepassa>>.

Poiché questi aspetti del MEDESIMO essente sono DUE in quanto DIFFERISCONO, ecco allora l’inevitabile loro COM-PRESENZA internamente all’apparire infinito il quale DEVE ‘vedere’ tutto, OGNI aspetto, isolato o meno astratto o meno!

Che poi la <<contraddizione (ogni contraddizione) può apparire solo in quanto appare COME NEGATA>>, lo avevo già preso in considerazione e commentato nel precedente post a cui rimando.

 

Roberto Fiaschi

-------------------------

111)- REPLICA ALLA «DIFFERENZA ONTOLOGICA E APPARIRE DELLA DIFFERENZA DEI DIFFERENTI»


Egli ha scritto:

<<DIFFERENZA ONTOLOGICA E APPARIRE DELLA DIFFERENZA DEI DIFFERENTI, OSSIA DELLO STESSO ESSENTE COME "ALTRO" DA SE, NELL'APPARIRE INFINITO. Dicevamo: occorre tenere ferma la differenza ontologica, in caso contrario non potremmo neppure tenere ferma la distinzione tra infinito e finito (e dunque tra "apparire infinito" e "apparire finito"). Riassumendo per sommi capi:

1) un essente qualsiasi, poniamo "s", si "differenzia" da sé, in quanto è unito al destino (ossia alla totalità infinita dell'essente), e in quanto è isolato dal destino. Lo "stesso" cioè si differenzia ("altro" è l'essente "s" considerato come unito al destino; e "altro" è il medesimo essente, in quanto isolato dal destino);

2) ciò è precisamente l'apparire della contraddizione: ma il destino non può consistere in una contraddizione, bensì nel toglimento (o oltrepassamento) concreto della contraddizione;

3) l'apparire dell'oltrepassamento (toglimento) concreto della contraddizione implica l'apparire concreto dell'oltrepassato - di conseguenza, esso non può escludere la "differenza" tra l'essente, in quanto non oltrepassato, e "questo stesso essente", in quanto oltrepassato (nella dimensione cioè in cui esso è concretamente oltrepassato, ossia l'apparire infinito, in cui tale oltrepassamento è eternamente compiuto);

4) tale "differenza" è dunque un tratto essenziale del destino, ed essa appare in modo duplice: nell'apparire finito, ossia in modo astratto o formale, avvolto cioè dalla "contraddizione C"; nell'apparire infinito, ossia in modo concreto;

5) nell'apparire infinito appaiono entrambi i termini della "differenza" (terra unita al destino/terra non unita al destino), cioè appare questa differenza stessa - tale differenza è contraddizione (tra il destino e l'isolamento della terra), ma tale contraddizione può apparire solo COME NEGATA: sicché la stessa terra isolata può apparire solo in quanto appare come termine di tale contraddizione - e quindi solo in quanto appare nell'apparire in cui essa appare come negata (sullo sfondo finito e infinito del destino - formalmente nell'apparire finito, concretamente nell'apparire infinito, essendo comunque identica la persintassi);

6) IL PUNTO CHE PIU CI INTERESSA: in che senso, stante l'inviolabilità della "differenza ontologica", l'essente "s" che appare nel finito è "altro" da "quello stesso essente" che appare nell'apparire infinito?

Deve necessariamente essere "altro", si diceva, per non fare del finito l'infinito. Ciononostante, nessuna positività determinata può sfuggire all'apparire infinito. Ne consegue, pertanto, quanto si dirà:

«poiché ciò che appare non può essere nulla che non sia nell'eterno, LA PARTE APPARE IN UN MANCAMENTO, OSSIA NEL SUO ESSERE MANCANTE DI CIO' CHE POSSIEDE (O CIÒ CHE L' ATTRAVERSA), COME PARTE, IN QUANTO AVVOLTA DAL TUTTO. IN QUANTO COSI' AVVOLTA, LA PARTE, COME DISTINTA DALL' AVVOLGENTE, NE È PERÒ ATTRAVERSATA (così come un corpo vivo, sebbene distinto dalla vita, ne è però attraversato, ed è altro dal cadavere, che solo apparentemente, ossia solo in quanto sia malamente guardato, è identico al corpo vivo: è appunto in questo distinguersi che la parte resta determinata (o 'attraversata') da ciò da cui si distingue; IN QUANTO INVECE APPARE DA SOLA [nella terra isolata - e solo in essa!], E QUINDI NON APPARE IN QUESTO DISTINGUERSI, OSSIA IN QUESTO ESSER DETERMINATA, LA PARTE SI ALTERA E QUESTA ALTERAZIONE NON PUO' ESSERE CHE IL SUO IMPOVERIRSI O IL SUO IMPALLIDIRSI RISPETTO AL VOLTO VERACE CHE RISPLENDE NELLA COMPAGNIA BEATA DELL'IMMUTABILE» (E. Severino, "Poscritto", p. 102, corsivo mio).

7) DI CONSEGUENZA, per Severino, l'essente "s", che "ci" appare, NON può essere qualcosa che appare in modo identico (come una fotocopia) nell'apparire infinito>>.

----

Come è stato ben precisato nel punto 5) da Egon Key:

<<nell'apparire infinito appaiono ENTRAMBI i termini della "differenza" (terra unita al destino/terra non unita al destino), cioè appare questa differenza stessa>> (maiuscolo mio: RF).

Vero, e questa è una precisazione che era già stata presa in esame nel mio summenzionato post 110, al punto (2); infatti, se nell’apparire infinito NON apparissero ENTRAMBI gli enti (cioè SIA nel modo in cui l’ente-s appare a noi, nel finito, SIA per come QUESTO STESSO ente-s appare all’apparire infinito), allora l’apparire infinito sarebbe PRIVO di una sua parte, quindi NON sarebbe infinito, cioè non sarebbe l’apparire OMNI-INCLUDENTE.

E giustamente egli ribadisce che <<ciò che appare [qui, nel finito] non può essere nulla che non sia nell'eterno>> ovvero nell’apparire infinito.

Pertanto, sin qui, sono d’accordo con lui.

Senonché, nella conclusione, egli scrive che

<<7) DI CONSEGUENZA, per Severino, l'essente "s", che "ci" appare [qui, nel finito], NON può essere qualcosa che appare in modo identico (come una fotocopia) nell'apparire infinito>>.

COME! Ma se è appena stato giustamente riconosciuto che <<nell'apparire infinito appaiono ENTRAMBI i termini della "differenza">>, adesso com’è possibile, che UNO dei due <<termini della "differenza">> NON appaia <<in modo identico (come una fotocopia) nell'apparire infinito>>?

Se UNO dei due termini della differenza NON vi apparisse in modo identico, allora UNO di quei due termini NON APPARIREBBE AFFATTO nell’apparire infinito, e quindi sarebbe FALSO che <<nell'apparire infinito appaiano ENTRAMBI i termini della "differenza">>!

Questo aspetto è sufficiente ad INFICIARE quanto viene detto al punto 6), <<IL PUNTO CHE PIU CI INTERESSA>>.

Infatti, nel punto 6), fermo restando che <<per Severino, l'essente "s", che "ci" appare [qui, nel finito], NON può essere qualcosa che appare in modo identico (come una fotocopia) nell'apparire infinito>>,

ciò che viene precisato conduce al risultato per il quale l’infinito NON ‘vede’ l’ente-s per come "ci" appare qui, nel finito, sì da far di tale infinito un finito, ossia una parte, appunto perché è mancante dell’essente "s", che "ci" appare qui, nel finito.

Vediamo meglio.

Al punto 5), viene detto che <<nell'apparire infinito appaiono ENTRAMBI i termini della "differenza" (terra unita al destino/terra non unita al destino), cioè appare questa differenza stessa - tale differenza è contraddizione (tra il destino e l'isolamento della terra)>>,

giacché <<ENTRAMBI i termini della "differenza">> sono tra loro incompatibili.

E sin qui mi sono dichiarato d’accordo con Egon Key.

Subito dopo, egli aggiunge:

<<ma tale contraddizione può apparire solo COME NEGATA: sicché la stessa terra isolata può apparire [nell’apparire infinito] solo in quanto appare come termine di tale contraddizione - e quindi solo in quanto appare nell'apparire [infinito] in cui essa appare come negata (sullo sfondo finito e infinito del destino - formalmente nell'apparire finito, concretamente nell'apparire infinito, essendo comunque identica la persintassi)>> (parentesi quadre mie: RF).

Ma l’apparire COME NEGATA implica necessariamente L’AFFERMAZIONE di ciò che viene negato.

Ovvero, se s, per come appare a noi nel finito, appare nell’infinito COME NEGATA, deve altresì apparire, sempre nell’infinito, anche COME s AFFERMATA, altrimenti nell’apparire infinito apparirebbe la negazione di NON-SI-SA-COSA! Col risultato che l’infinito mancherebbe dell’AFFERMAZIONE di s, e ciò renderebbe finito l’infinito.

Per cui, dovendo s apparire nell’infinito ANCHE COME AFFERMATA, allora è inevitabile che, sempre nell’infinito, s appaia <<in modo identico (come una fotocopia)>> cioè identicamente a come s appare nel finito; in caso contrario, ricordiamolo, s COME AFFERMATA non apparirebbe nell’infinito COSÌ COM’È (come appare) nel finito, cosicché l’infinito sarebbe ridotto a PARTE, in quanto MANCANTE di s come appare nel finito.

Torniamo ancora al punto 6), il quale chiede:

<<in che senso, stante l'inviolabilità della "differenza ontologica", l'essente "s" che appare nel finito è "altro" da "quello stesso essente" che appare nell'apparire infinito? Deve necessariamente essere "altro", si diceva, per non fare del finito l'infinito. Ciononostante, nessuna positività determinata può sfuggire all'apparire infinito>>.

E tutto ciò è quanto scrivevo nel mio post (n° 110), allorché, nel punto (2) di esso, evidenziavo che     

<<nell’apparire infinito avremmo DUE enti-x reciprocamente DIFFERENTI e solo UNO dei quali apparirebbe nella sua concretezza _ cioè l’ente-x ‘visto’ nell’apparire infinito insieme alla simultaneità di tutte le sue (di x) infinite costanti; ciò, in forza del fatto che, secondo Severino, un ente NON POSSA MAI DIVENTARE (TRASFORMARSI in) un altro. Mentre, invece, il primo x rimarrebbe eternamente astratto ANCHE nell’apparire infinito; ma ciò, allora, si deve dire di TUTTI gli enti che appaiono nel finito! Cosicché, in realtà, non solo di NESSUN ente, nel finito, accada MAI il toglimento progressivo della propria parzialità/astrattezza (giacché, AGGIUNGO QUI, x non appare nell’infinito come libero dalla contraddizione C ma sempre e soltanto come è nell’apparire finito), ma nel finito NON VI PUÒ ESSER ALCUNA contraddizione C (grazie al progressivo toglimento della quale la concretezza degli enti che appaiono andrebbe vieppiù concretandosi), proprio perché tutti gli enti, nell’apparire infinito, verrebbero ‘visti’ esattamente COME il nostro ente-x cioè COME li vediamo qui nel finito, cioè astrattamente come al punto (1)>>.  

Riprendendo il discorso del punto 6), ebbene, la spiegazione che segue alla domanda non fa che ribadire l’inconciliabilità tra astratto/concreto, o tra parte/tutto.

Infatti, ove è scritto

<<poiché ciò che appare non può essere nulla che non sia nell'eterno, LA PARTE APPARE [nell’infinito] IN UN MANCAMENTO, OSSIA NEL SUO [della parte] ESSERE MANCANTE DI CIO' [l’essere avvolta dal tutto] CHE POSSIEDE (O CIÒ CHE L' ATTRAVERSA), COME PARTE, IN QUANTO AVVOLTA DAL TUTTO>>,

non fa altro che confermare come la parte _ s _ debba apparire nell’infinito ANCHE come <<MANCANTE DI CIO' [l’essere avvolta dal tutto] CHE POSSIEDE (O CIÒ CHE L' ATTRAVERSA), COME PARTE, IN QUANTO AVVOLTA DAL TUTTO>>.

Ossia la parte _ s _ appare nell’infinito SIA <<in modo identico>> a come essa è nel finito; o anche: la parte appare nell’infinito <<come una fotocopia>> di come essa è nel finito, SIA come da sempre libera dalla contraddizione C cioè in <<COMPAGNIA BEATA DELL'IMMUTABILE>>.

È ovvio; ché, se così non fosse, il tutto ( = l’apparire infinito) sarebbe a sua volta una parte in quanto sarebbe MANCANTE.

E prosegue precisando:

nell’apparire infinito, s, la parte, <<IN QUANTO COSI' AVVOLTA, LA PARTE, COME DISTINTA DALL' AVVOLGENTE, NE È PERÒ ATTRAVERSATA (così come un corpo vivo, sebbene distinto dalla vita, ne è però attraversato, ed è altro dal cadavere, che solo apparentemente, ossia solo in quanto sia malamente guardato, è identico al corpo vivo: è appunto in questo distinguersi che la parte resta determinata (o 'attraversata') da ciò da cui si distingue>>.

Ma ad esserne così <<ATTRAVERSATA>> è la parte _ s _ che, nell’infinito, è da sempre libera dalla contraddizione C, ossia è in <<COMPAGNIA BEATA DELL'IMMUTABILE>>, sì che essa sia <<come un corpo vivo>> che <<è altro dal cadavere>>, ove questo cadavere è la parte PRIVA della <<COMPAGNIA BEATA DELL'IMMUTABILE>>, cioè la parte, il finito.

Dunque, anche quest’ultimo DEVE comparire nell’infinito <<in modo identico>> a come esso è nel finito, cioè <<come una fotocopia>> di come esso è nel finito, affinché l’infinito sia conscio della differenza ontologica.

Purtroppo, però, da ciò emerge UN’ULTERIORE CONTRADDIZIONE, consistente di un cadavere _ cioè di s come appare a noi nel finito ossia SENZA la <<COMPAGNIA BEATA DELL'IMMUTABILE>> _ il quale, apparendo nell’infinito <<in modo identico>> a come esso è nel finito, appaia al contempo INSIEME e NON-INSIEME alla <<COMPAGNIA BEATA DELL'IMMUTABILE>>, appunto perché anche ciò che, nel finito, NON appare in <<COMPAGNIA BEATA DELL'IMMUTABILE>>, appare nell’infinito ugualmente in <<COMPAGNIA BEATA DELL'IMMUTABILE>> restando, però ed al contempo, PRIVO della <<COMPAGNIA BEATA DELL'IMMUTABILE>>!!!

 

Roberto Fiaschi

------------------------