sabato 24 giugno 2023

67)- L’ERRORE CHE SMENTISCE SÉ STESSO

 


Circa il rapporto errore-verità del destino severiniano, Sergio Piccerillo ( = SP), nel gruppo Filosofia e Destino (https://www.facebook.com/groups/189067592021847) ha scritto quanto segue:

<<Anche la mia è una fede, anche il mio dire è errore, ma il principio di non contraddizione non smette di valere se qualcuno pensa di ignorarlo. Come si fa dalla condizione di errore, dalla condizione di mortale, a sapere che la verità esiste? Innanzitutto perché se la verità non esistesse non si potrebbe dire nulla di nessuna cosa, nemmeno che l’errore è errore, in seconda battuta perché il linguaggio con cui si dice del principio “indica” qualcosa che non può essere solo linguaggio, ma qualcosa che sta oltre il linguaggio. Questo essere oltre il linguaggio è l’identità che ogni differenza appunto indica>>.

Passo per passo.

(1)- <<Anche la mia è una fede, anche il mio dire è errore, ma il principio di non contraddizione non smette di valere se qualcuno pensa di ignorarlo>>.

Poiché SP riconosce esser, la sua, <<una fede>>, e poiché anche il suo <<dire è errore>>, allora con quale pretesa di verità SP può asserire che <<il principio di non contraddizione non smette di valere se qualcuno pensa di ignorarlo>>?

Infatti, tale principio, interno all’orizzonte dell’errore, si presenta come un DIRE circa il quale SP ha affermato essere <<errore>> e <<fede>>, sebbene il suo presentarsi come errore venga appunto CREDUTO UNA VERITÀ proprio da colui che ha ammesso che il proprio DIRE sia errore

Pertanto, l’affermazione (1) indica la FEDE (nel senso NEGATIVO conferitole da Severino) di SP nei confronti del principio da lui evocato.

Senonché, egli precisa:

(2)- <<Come si fa dalla condizione di errore, dalla condizione di mortale, a sapere che la verità esiste? Innanzitutto perché se la verità non esistesse non si potrebbe dire nulla di nessuna cosa, nemmeno che l’errore è errore>>.

Ma che <<dalla condizione di errore, dalla condizione di mortale>> si possa affermare <<che la verità esiste>> è pacifico, non è questo il punto.

Il punto è che la verità che l’errore ritiene esistere (e magari individuare), NON PUÒ MAI essere la verità del destino severiniano, bensì sarà inevitabilmente una delle tante ‘verità’ interne all’ERRORE o al NICHILISMO (che l’errore NON ha COSCIENZA di essere: tutto ciò, sempre secondo Severino).

Invece, proprio per quanto appena detto, il brano (2) di SP presuppone la COSCIENZA DI ESSERE ERRORE, la qual cosa è una di quelle VERITÀ del destino che egli NON PUÒ conoscere o averne coscienza.

Quindi, ove SP sostiene che <<se la verità non esistesse non si potrebbe dire nulla di nessuna cosa, nemmeno che l’errore è errore>>,

sta parlando da NON-ERRORE, sta parlando da conoscitore delle verità del destino, ossia sta smentendo un punto cardine della teoresi severiniana, giacché egli può ritenersi errore, come infatti riconosce al punto (1), soltanto perché è CONSCIO della verità del destino, e quindi è CONSCIO di essere ERRORE, non essendolo affatto, perché la coscienza dell’errore è OLTRE l’errore, o, con le parole di Severino:

 <<Per indicare l’Errare è necessario esserne al di fuori>>,

cioè AL DI FUORI dell’Errare...

Infine, scrive SP:

(3)- <<in seconda battuta perché il linguaggio con cui si dice del principio “indica” qualcosa che non può essere solo linguaggio, ma qualcosa che sta oltre il linguaggio. Questo essere oltre il linguaggio è l’identità che ogni differenza appunto indica>>.

Anche qui, vige la stessa presupposizione vista al punto (2).

Inoltre, osserverei che <<l’identità che ogni differenza appunto indica>> NON è affatto <<oltre il linguaggio>>, perché l’identità indicata da ogni differenza è l’identità SIGNIFICANTE ( = linguaggio) identità, indicata da ogni differente SIGNIFICANTE ( = linguaggio) come differenza rispetto al SIGNIFICARE ( = linguaggio) come identità…

La filosofia di Severino è tutt’altro che apofatica, e soltanto nell’apofatismo è possibile far tacere il linguaggio al fine di far emergere l’indicibile

 

Roberto Fiaschi

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lunedì 19 giugno 2023

66)- LA SCOPERTA DELLA “VERITÀ” QUALE SUA NEGAZIONE


Riporto (dal link: oerSdnpstoe4l 7ia31lir0Ilu:4l2cl321hi2l5la1tc1matce0fi9601 2) il seguente passo del filosofo Emanuele Severino:

<<Se la Necessità non può essere ciò che "uno" ha scoperto, e che dunque sta entro i limiti dello sguardo di quest'uno, la Necessità non può essere nemmeno ciò che "un altro" o "altri" ascoltano. Se nell'ascolto la Necessità appare come tale, l'ascoltante non può essere che la Necessità stessa. L'ascoltarsi è daccapo il suo apparire>>. 

(Severino: La struttura originaria - Introduzione).

Riporto anche il commento di un estimatore di Severino:

<<La Necessità ( = < La > verità) non può essere ciò che "uno" ha s - coperto. Se la verità (la necessità) fosse ciò che uno ha scoperto, essa non sarebbe la verità ma solo ciò che *uno* ha scoperto e che è stato *s - coperto"da uno. Se la Necessità fosse ciò che è stato scoperto da uno, uno si sarebbe messo in << cammino > verso la verità non ancora scoperta. Ma come potrebbe "uno" mettersi alla ricerca di ciò che, in quanto verità, è "coperto"?>>.

Il suddetto commento dice molto bene.

Ma è un dir bene a proprio svantaggio, ossia a detrimento della tesi ivi sostenuta.

Infatti, se la verità <<non può essere ciò che "uno" ha s – coperto>>, essa sarebbe SAPUTA DA SEMPRE, in ogni luogo, in ogni momento e da ciascuno di noi.

Poiché saputa da sempre NON è, giacché SOLTANTO ad un certo punto (1958) della storia essa è stata indicata da "uno" (ammettendo per un istante, ma senza concedere, che tale verità sia quella indicata da Severino), è allora del tutto lapalissiano che < La > verità in oggetto abbia COMINCIATO ad esser testimoniata AL SEGUITO (non prima!) della sua (della verità) SCOPERTA.

Perciò, essa è stata SCOPERTA soltanto ad un determinato momento della ricerca filosofica del suo scopritore, appunto Severino, sì che, PRIMA di tale scoperta, egli fosse inevitabilmente <<in “cammino” verso la verità non ancora scoperta>>.

Essa, dunque, ossia < La > verità, è <<ciò che uno ha scoperto>>, visto e considerato che NESSUNO _ a dire di Severino _ prima di lui l’avrebbe tematizzata in senso non-nichilistico.

DICE BENE il commentatore del brano severiniano:

<<Ma come potrebbe "uno" mettersi alla ricerca di ciò che, in quanto verità, è “coperto”?>>

Infatti, ripetiamolo, essa è stata COPERTA almeno sino al 1958, anno in cui fu redatto il libro: La struttura originaria.

Da quell’anno in poi, il <<cammino” verso la verità non ancora scoperta>> si è concluso, appunto perché essa è stata finalmente S-COPERTA, tratta alla luce dall’iniziale COPERTURA nichilista nella quale essa giaceva da millenni.

Il sentiero sul quale la ricerca di Severino ha camminato (PRIMA che egli S-COPRISSE la verità = la struttura originaria) è il sentiero dell’ERRORE che MAI può condurre alla verità:

<<mettersi in cammino lungo il sentiero in cerca della verità NON POTRÀ CONDURCI DINANZI ALLA VERITÀ. Riprendendo un’immagine evangelica, Severino afferma che se pensiamo di “bussare alla porta della verità” per accedere alla “casa” che custodisce la verità, ALLORA LA PORTA RESTERÀ CHIUSA. L’INTERO CAMMINO SAREBBE COMPIUTO NELLA NON-VERITÀ, NELL’ERRORE, E DA LÌ NON È POSSIBILE GIUNGERE ALLA VERITÀ. “L’alternativa – scrive Severino – è incominciare a pensare alla verità come ciò in cui noi tutti, già da sempre, siamo”>>. (Luca Taddio: “Messaggero Veneto”; 22 gennaio 2020).

Cosicché, ciò che il filosofo bresciano ritiene esser < La > verità, <<non sarebbe la verità ma solo ciò che *uno* ha scoperto e che è stato *s - coperto"da uno>>, <<e che dunque sta entro i limiti dello sguardo di quest'uno [Severino]>>…

 

Roberto Fiaschi

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mercoledì 14 giugno 2023

65)- L’IMPOSSIBILE «SOGNO» E L’IMPOSSIBILE «DESTINO»

 

Secondo il filosofo Emanuele Severino, <<che il sogno della terra isolata esista è SOLTANTO il destino a mostrarlo incontrovertibilmente>> (tutti i maiuscoli miei: RF), il che vuol dire ESCLUDERE che a mostrar l’esistenza di quel sogno sia tutto ciò che è interno al sogno stesso.

Infatti _ prosegue il filosofo bresciano _ <<è SOLO sul fondamento dell’apparire del destino che tale sogno può apparire – come si mostra nei miei scritti. Ma anche quest’ultima espressione, così ripetuta nei miei scritti, e anche l’asserire che sia così ripetuta appartengono a quel sogno>>.

Ricordiamo che <<il sogno della terra isolata>> è l’ERRORE, il NICHILISMO, il cui contenuto è l’insieme di tutti i positivi significare del NULLA, sì che in tale sogno si sia destinati ad IGNORARE il destino quale suo fondamento.

Pertanto, anche gli <<scritti>> di Severino ( = <<nei miei scritti>>, dice), sono  interni al sogno, anzi: ESSI STESSI SONO UN SOGNO!

Sì che in quei sogni ( = gli scritti di Severino) sognati internamente al sogno, viene mostrato incontrovertibilmente (un incontrovertibile sognato, quindi un positivo significare del NULLA!) che <<è SOLO sul fondamento dell’apparire del destino che tale sogno può apparire>>.

Tuttavia, se all’interno del sogno viene mostrato che questi appaia <<SOLO sul fondamento dell’apparire del destino>>, allora il <<fondamento dell’apparire del destino>> appare (è saputo) internamente al sogno il quale, invece, IGNORA il destino!

Il destino è mostrato sul FONDAMENTO del sapere SOGNATO ( = NULLO) ovvero sul FONDAMENTO DELL’ERRORE, appunto perché gli scritti che mostrano l’esistenza del sogno sul fondamento del destino, FANNO PARTE del sapere vigente interno al sogno ( = all’ERRORE).

Un sapere vigente internamente al sogno che è destinato a NON SAPERE alcunché del destino, perché quest’ultimo è saputo soltanto da sé stesso poiché esso appare soltanto a sé stesso!

Se infatti il destino apparisse (fosse saputo) NEL sogno, NON potremmo in alcun modo affermare <<che il sogno della terra isolata esista>> <<SOLO sul fondamento dell’apparire del destino>>, perché questa tesi di Severino indica che NEL sogno NON si è consapevoli di esser parte di un sogno, per cui, non essendone consapevoli, MEN CHE MENO saremo consapevoli della verità del destino SOLO sulla cui base apparirebbe il sogno!

Non a caso Severino, altrove, ha scritto che <<Per indicare l’Errare è necessario esserne AL DI FUORI>>, cioè AL DI FUORI del sogno/errore!

Invece, ricordiamolo, Severino e i SUOI scritti sono tutti INTERNI al sogno, e non solo essi, <<Ma anche quest’ultima espressione, così ripetuta nei miei scritti, e anche l’asserire che sia così ripetuta appartengono a quel sogno>>.

Insomma, suvvia, È PALESE:

negli scritti di Severino NON vi può esser nessuna testimonianza di essere in un sogno (o di essere ERRORI), , perciò, della presunta VERITÀ che fungerebbe da suo (del sogno) fondamento…

 

Roberto Fiaschi

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64)- UNA CRITICA AL RAPPORTO SEVERINIANO ERRORE-VERITÀ


In relazione al tema trattato nei post 6162 e 63, ricevo la seguente obiezione da MG (https://www.facebook.com/groups/189067592021847):

<<Credo che una chiave di accesso per comprendere la filosofia del destino ed il rapporto tra vero ed errore stia nel "ciò". "CIO' che appare non può essere negato perché per negarlo dovremmo ancora presupporlo. L'errore nasce nel nominarlo, nel raccontarlo, nel descriverlo, pretendendo che la descrizione vi si sovrapponga perfettamente. Una pretesa del genere è usargli violenza, trasformarlo in cio' che non è. E, attenzione, anche il nominarlo è un CIÒ che non può essere ulteriormente nominato. L'errore, in fondo, è insito nella pretesa di riferire i nomi all'altro da se, alla pura immanenza, essendo già pura immanenza. Le parole, in tal senso, rincorrono sempre l'altro da sé, dimenticando di essere già in se puri significati, dimenticando di essere già quel CIÒ che non può essere negato>>.

Dall’inizio:

(1)- <<"CIO' che appare non può essere negato perché per negarlo dovremmo ancora presupporlo>>.

Certamente, ma il tema in discussione NON era l’innegabilità di ciò che appare la cui negazione lo presupporrebbe.

Infatti, nei tre post sunnominati, ho ben evidenziato che l’ERRORE (ciascun individuo) appare _ nella filosofia di Severino _ sul fondamento dell’apparire della verità del destino.

E ho altresì aggiunto che proprio IN CIÒ consiste il CORTOCIRCUITO ( -> post 63).

Dopodiché, prosegue la critica:

(2)- <<L'errore [<<per comprendere la filosofia del destino>>] nasce nel nominarlo, nel raccontarlo, nel descriverlo, pretendendo che la descrizione vi si sovrapponga perfettamente>>.

Qui, MG sta contraddicendo stesso laddove poco sopra (1) aveva affermato:

<<"CIO' che appare non può essere negato perché per negarlo dovremmo ancora presupporlo>>.

Perché sta contraddicendosi?

Perché asserendo che

<<L'errore […] nasce nel nominarlo, nel raccontarlo, nel descriverlo, pretendendo che la descrizione vi si sovrapponga perfettamente>>,

egli PRESUPPONE che appaia (e quindi, che sia conosciuto, noto) CIÒ la cui descrizione pretenderebbe di sovrapporvisi (a tale CIÒ).

 Infatti, se quel CIÒ non apparisse affatto, NON sussisterebbe alcuna ragione per stigmatizzare la pretesa <<che la descrizione vi si sovrapponga perfettamente>>, appunto perché tale pretesa presuppone uno scarto che essa non potrebbe colmare (dicendolo). Ma ecco, tale scarto DEVE APPARIRE!

Proseguendo, MG esplicita le ragioni di ciò che per lui è un <<errore>>:

(3)- <<Una pretesa del genere è usargli violenza, trasformarlo in cio' che non è. E, attenzione, anche il nominarlo è un CIÒ che non può essere ulteriormente nominato. L'errore, in fondo, è insito nella pretesa di riferire i nomi all'altro da se, alla pura immanenza, essendo già pura immanenza. Le parole, in tal senso, rincorrono sempre l'altro da sé, dimenticando di essere già in se puri significati, dimenticando di essere già quel CIÒ che non può essere negato>>.

Beh, direi che in primo luogo tale pretesa (con la violenza connessa) MG dovrebbe attribuirla a Severino, che in decine e decine di volumi non fa che NOMINARE, RACCONTARE, DESCRIVERE il destino, <<pretendendo che la descrizione vi si sovrapponga>> se non <<perfettamente>>, quanto meno innegabilmente, giacché, se non fosse mosso da questa pretesa, Severino NON avrebbe certamente scritto decine di testi che NON avrebbero potuto NOMINARE, RACCONTARE, DESCRIVERE il destino.

A parte il fatto che nessun ente, secondo Severino, può patire violenza, essendo esso eterno, men che meno potrà esercitare violenza il NOMINARE, RACCONTARE, DESCRIVERE il destino.

Se così fosse, allora andrebbe rilevato come anche MG stia esercitando violenza nel suo aver NOMINATO il destino, nel suo averlo in qualche modo RACCONTATO, sia pure per dire che esso non possa essere <<perfettamente>> NOMINATO e RACCONTATO…

Senza peraltro dimenticare che tale violenza è INVIATA dallo stesso destino verso il quale ci si vorrebbe porre in modo non-violento!

Se, come afferma MG, <<L'errore, in fondo, è insito nella pretesa di riferire i nomi all'altro da se, alla pura immanenza, essendo già pura immanenza>>, allora tutto ciò è esattamente quanto egli sta qui effettuando, riferendosi a quell’altro da sé cui è il destino, riportandolo <<alla pura immanenza>>.

Infine, ma avrei dovuto evidenziarlo all’inizio, NON VEDO (per mio limite) come questa critica di MG possa dirimere la questione del <<rapporto tra vero ed errore>> (nella filosofia di Severino) sviluppata nei già menzionati post 61, 62 e 63; mi pare che egli ne sia ancora molto lontano…


Roberto Fiaschi

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lunedì 12 giugno 2023

63)- IL CORTOCIRCUITO DEL RAPPORTO SEVERINIANO “ERRORE-VERITÀ”

 

In relazione al tema sviluppato nei post 3, 61 e 62, desidero riprendere in mano una replica che era già stata considerata, ma che riporto nuovamente:

il mortale o l’errore appare perché INNANZITUTO APPARE SEMPRE LA VERITÀ in base alla quale esso appare (SOLTANTO ALLA VERITÀ) come errore. Quindi, l’errore è affermato in forza DELL’ORIGINARIO APPARIR DELLA VERITÀ e sulla quale, perciò, esso si fonda.

Ma è proprio questo il cortocircuito!

Se è vero che

<<è impossibile che nel linguaggio della terra isolata [quindi nel linguaggio dell’errore, del mortale] ci sia comprensione della verità del destino, anche se formalmente le sue parole suonano identiche al linguaggio che testimonia il destino>> - (Nicoletta Cusano: Emanuele Severino. Oltre il nichilismo; Morcelliana. Brescia 2011, pag. 446),

e se al contempo io, errore, NON posso comprendere/riconoscere la verità, allora NON È VERO che io ( = il mortale) sia errore impossibilitato a comprenderla, proprio perché ho previamente affermato (ossia comprendo/so/mi appare) che la verità appaia sempre e ovunque, onde io ( = errore) possa affermare SENZA errore che la verità appaia ANCHE all’errore, il che, però, è ESCLUSO da Severino.

Ed ESCLUDENDO che all’errore ( = al mortale) appaia la verità, o SOSTENENDO che sia impossibile che esso abbia <<comprensione della verità del destino>>, ogni affermazione dell’errore (tramite gli scritti di Severino) circa il destino della verità risulterà SEMPRE ERRONEA, SENZA che, con questo, l’errore SAPPIA che ogni sua affermazione (sulla verità prima ed ultima) risulterà SEMPRE ERRONEA perché, se lo sapesse, SAPREBBE della VERITÀ in base alla quale l’errore può SOLTANTO ERRARE.

E perciò NON ERREREBBE ( = non sarebbe errore e quindi sarebbe indistinguibile dalla verità), appunto perché l’errore SAPREBBE non-erroneamente che la verità è ciò sul fondamento della quale egli appare COME errore.

Invece _ afferma Severino _, l’errore NON SA di esser errore; epperò è lo stesso errore a ritener di sostenere SENZA errore che esso NON sappia di esser errore, mostrando così di saper di essere errore, e perciò mostra di NON essere errore, perché SA ciò che, in quanto errore, NON potrebbe sapere.

Mostrando di NON essere errore, questi si rileva esser indistinguibile dalla verità, sì che quest’ultima, così indistinguibile dall’errore, NON SIA NEMMENO VERITÀ.

 

Roberto Fiaschi

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sabato 10 giugno 2023

62)- «UN UOMO NON PUÒ ESSERE DETENTORE DELLA VERITÀ»

 

Riporto parte di un interessante post dal link: https://www.facebook.com/groups/208128786326082, del gruppo: Officina di filosofia teoretica.

<<un uomo non può essere detentore della verità perché o l'uomo è la verità e allora "la verità è la verità" non è la verità o un uomo non può essere la verità. E questo per tutti gli uomini. Ma la vera filosofia è quella inoltrepassabile o incontrovertibile appunto, la verità, in quanto il linguaggio che non sa dirla tutta è il contesto storico in cui appare la verità nel linguaggio, ermeneutica, nell'esistenza, esistenzialismo, nella proposizione, positivismo, nel pensiero, idealismo, nell'esperienza, empirismo, nella ragione, razionalismo, nell'oggetto, realismo, e in tutti i racconti che ogni setta o mito d'altra parte raccontano. [Etc…]>>.

L’Autore (d’ora in poi: A) del post ha ragione; internamente alla filosofia di Emanuele Severino

<<un uomo non può essere detentore della verità perché o l'uomo è la verità e allora "la verità è la verità" non è la verità o un uomo non può essere la verità>>.

Ovviamente, questa frase (d’ora in poi: F) intende essere una VERITÀ (del destino severiniano), altrimenti, apparterrebbe a quell’uomo il quale, s’è visto, <<non può essere detentore della verità>> e perciò, appatenendogli, essa sarebbe NON-VERA.

Eppure, F ha un Autore, è stata da lui pensata e poi trasposta su una determinata pagina del WEB onde la potessero leggere tutti.

Questo A, come tutti i suoi lettori, è <<un uomo>> ( = o mortale, errore, nel linguaggio severiniano) il quale, ripetiamolo, <<non può essere detentore della verità>>, di quella espressa da F.

Ciò nonostante l’A, ossia colui che <<non può essere detentore della verità>>, detiene ciò che è impossibile che detenga, cioè la verità espressa da F in quanto ne è l’Autore, facendosi perciò IDENTICO alla verità (appunto perché F è una verità del destino, NON dell’uomo), sì che in tal modo l’A CONTRADDICA la verità indicata da F, giacché A, essendo un uomo, <<non può essere detentore della verità>> detta da F.

Infatti, se ne fosse detentore, l’uomo (A) sarebbe <<la verità e allora "la verità è la verità" non è la verità>>.

Pertanto F, essendo espressa da A cioè DA UN UOMO (il quale, perciò, la detiene), <<non è la verità>>.

Senonché, qui, NON è in questione l’A del post, bensì l’uomo ovvero ciò che Severino chiama: ERRORE.

Il post in oggetto esemplifica molto bene la tematica trattata nei miei post 3 e 61, perché l’uomo concepito come ERRORE, NON PUÒ MAI parlare a nome di una (presunta) verità del destino severiniano senza SMENTIRE di essere ERRORE, come infatti è accaduto anche nel suddetto caso…

 

Roberto Fiaschi

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mercoledì 7 giugno 2023

61)- NON SUSSISTE LA NEGAZIONE DELLA VERITÀ NÉ LA SUA (DI TALE NEGAZIONE) AUTONEGAZIONE

 

La struttura originaria tematizzata da Emanuele Severino è ritenuta esser innegabile, giacché la sua negazione comporterebbe l’autonegazione da parte del negatore.

Sì, a patto, però, che il suo negatore SAPPIA la verità da negare.

Ed è proprio internamente al sistema filosofico severiniano che tale negatore NON PUÒ SAPERE alcunché di essa.

Perché?

Perché, secondo Severino, il negatore ( = ogni individuo: il mortale) è ERRORE, con l’aggravante di ignorar di esser tale, cosicché NULLA possa SAPERE della verità da negare, essendo SOLTANTO la verità a SAPERE dell’errore e di .

E chi/cos’è l’errore?

L’errore è colui/ciò che è IMPOSSIBILITATO a conoscere la verità;

è colui/ciò che IGNORA la verità.

Quindi sì, l’errore è negazione della verità ed in tal senso sussiste, ma come mera PARVENZA giacché, NON SAPENDO di esser negazione della verità, grazie alla quale saprebbe della verità nonché di sé come negazione di essa, è come se non esistesse, essendo infatti simile a quella <<pianta (phyton)>> di aristotelica memoria, incapace di proferire parola contro la verità che IGNORA, cosicché NON possa neppure negarla , quindi, autonegarsi.

Se l’errore sapesse di sé in quanto negazione della verità, cesserebbe di essere (o non sarebbe mai stato) errore, perché _ secondo Severino _ tra verità ed errore NON si dà un terzo, per cui sarebbe esso stesso verità, o indistinguibile da essa.

È sì vero che, secondo l’errore-Severino, l’errore è SAPUTO ( = appare) sul fondamento dell’apparire della verità.

Tuttavia, anche il SAPERE ( = l’apparire) di questa verità è SAPUTO SOLTANTO dalla ( = appare SOLTANTO alla) verità, NON da(a)ll’errore-Severino.

E poi, siccome ciò è saputo e detto dall’errore-Severino che ne ha scritto, allora, che l’errore sia SAPUTO ( = appaia) sul fondamento dell’apparire della verità, sarà a sua volta:

(1)- o una non-verità, un errore;

(2)- oppure, se fosse verità, l’errore NON sarebbe errore bensì verità.

Lo aveva ben capito Blaise Pascal:

<<Se l’uomo non fosse mai stato corrotto [in termini severiniani: errore], godrebbe sicuro, nella propria innocenza, della verità e della felicità. E se fosse sempre stato corrotto, NON AVREBBE NESSUNA IDEA DELLA VERITÀ né della felicità>>. (Pensieri 434. Maiuscolo mio: RF).

A ciò, Severino replica che la negazione della verità ( = l’errore) sia da sempre UNITA/INSIEME alla verità circa la quale si pone come negazione. Ma ciò non fa che riconfermare come tale negazione SAPPIA della verità da negare, essendo da essa inscindibile e quindi avendola sempre dinanzi, e ciò dovrebbe condurre a riconoscere _ contro Severino _ che l’errore, negante la verità, sia ben CONSAPEVOLE della ( = gli appaia la) verità da negare.

Ciò comporta però che l’errore NON sia (più, o mai stato) errore o negazione   della verità, ma che sia UNO con essa, indistinguibile da quest’ultima, appunto perché il presunto errore (o la presunta negazione) SA DI SÉ come errore/negazione della verità e perciò SA della verità; SA la verità, può TESTIMONIARLA, cosicché NON POSSA ESSERNE SUA NEGAZIONE:

sarebbe come se negasse sé stesso…

Pertanto, internamente al sistema severiniano, data l’imprescindibilità dell’errore, paradossalmente NON PUÒ ESISTERE alcuna REALE negazione autonegantesi della verità, ma soltanto una PARVENZA di negazione, una FINTA negazione, una negazione APPARENTE, ILLUSORIA che, in realtà, prima ancora d’esser negazione, l’errore è già posto (ab origine) come AFFERMAZIONE della verità pur paludandosi come sua negazione (cosicché tale verità non sarà neppure AUTENTICA verità bensì anch’essa PARVENZA, appunto perché priva di REALE negazione grazie alla quale determinarsi come verità-e-negazione-dell’errore). 

Quindi la negazione della verità non è negazione di essa , perciò, è negazione autonegantesi, appunto perché l’errore non può negare ciò che IGNORA.

Ricapitolando:

(A)- o noi umani NON siamo errori;

e allora sappiamo (siamo consci de) la verità del destino e perciò NON possiamo negarla, sì che, come detto, NON esista alcuna negazione di essa, , perciò, alcuna verità del destino.

(B)- Oppure, siamo errori;

e allora NON possiamo negare ciò che ignoriamo, NON sappiamo di (non abbiamo accesso ad) alcuna verità del destino; dunque, NON possiamo negarla autonegandoci perché, se la negassimo, la conosceremmo, e perciò saremmo come al punto (A), cioè l’errore sarebbe verità (la verità NON può negare se stessa, altrimenti essa sarebbe al contempo verità-e-non-verità, o al contempo affermante sé stessa e negante sé stessa).    

 

Roberto Fiaschi

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