sabato 21 dicembre 2024

142)- IL «PENSIERO PENSANTE È IMPENSABILE/INDICIBILE»?

 


Scrive Marco Cavaioni, allievo del filosofo Giovanni Romano Bacchin:

<<Mi sono sempre chiesto come, dopo Gentile e sulla scorta di una conoscenza approfondita dell'Attualismo, abbia potuto prendere corpo un "naturalismo anomalo" (definizione che attingo da Stella, che parafrasa Davidson) quale effettivamente è il Severinismo. Mi sono spesso chiesto e mi chiedo ancora, cioè, come possa essersi riproposto – ed in modo estremo e con ambizioni giustamente smisurate di epistemicità – una posizione già radicalmente dissolta sul piano teoretico. Per dire rozzamente, la risposta che mi sono dato è la seguente: Severino ha appiattito il pensiero (pensante) sul pensiero pensato – "pensiero pensato" che, a rigore, è già una contraddizione in termini –, pretendendo, tuttavia, di conservare l'innegabilità che spetta solo al pensiero autentico, appunto sempre pensante e mai pensato. […] La logica determinativa (identità e differenza, insomma il principio di non contraddizione) è la struttura del dire e della sua presunzione di tener ferme le differenze, le distinzioni (intellettualismo, che negherà sempre la propria inconsistenza, perché non la può vedere). Da ciò – da questo FATTO che è il dire – si inferisce, illogicamente, che ciò che viene detto, poi-ché (dopo che, dopo il fatto che) viene detto, sia per ciò stesso anche pensabile: infatti, si considera pensabile anche l'impensabile, per il FATTO che lo posso ben dire, come lo abbiamo testè detto. Illogicamente, perché si inverte l'implicazione autenticamente logica, che dovrebbe essere questa: se e solo se è pensabile, allora sarà sensatamente dicibile. Ma un siffatto "pensiero" (che non c'è, avendo reso totalizzante lo "essere pensato" o "apparire") è un "pensiero" totalmente succube della logica del FATTO (pensato), ne è, anzi, la inerte (passiva) assolutizzazione. È un "pensiero" inferiore a se stesso, longa manus del presupposto. Il fatto potrebbe essere assoluto ad una solo condizione (per fortuna impossibile): che non si pensi, anzi peggio: che, pensando, si sia espunto dal pensare l'atto di pensiero, riducendolo a pensato ("pensato" non si sa da chi, da quale soggetto trascendentalmente inteso). Ma non è difficile capire che, laddove tutto fosse oggetto ed oggettivato (pensato), nemmeno oggetto ed oggettivazione vi potrebbe essere, nonostante le pretese di verità che tale impostazione rivendica. O, meglio, ciò accade proprio per tale assurda PRETESA e pretesa di DIRE (determinare, significare, semantizzare, oggettivare) la verità assoluta, ergo innegabile, ergo indeterminabile, inoggettivabile>>.

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Comincio domandando(mi):

DIRE (cioè <<determinare, significare, semantizzare, oggettivare>>)

è PENSARE?

O meglio:

il DIRE implica il PENSARE?

Ancor meglio:

posso DIRE qualcosa senza prima (o al contempo) averlo PENSATO?

DIREI/PENSO di no

Infatti, allorché Marco Cavaioni afferma (DICE) <<che ciò che viene detto, poi-ché (dopo che, dopo il fatto che) viene detto, sia per ciò stesso anche pensabile: infatti, si considera pensabile anche l'impensabile, per il FATTO che lo posso ben dire>>, avrà pur dovuto PENSARE a quanto ha DETTO, perché, se così non fosse, non avrebbe DETTO (PENSATO) niente di intelligibile.

Per lui, <<l'implicazione autenticamente logica>> <<dovrebbe essere questa: se e solo se è pensabile, allora sarà sensatamente dicibile>>.

Senonché, dopo aver ridotto la <<logica determinativa (identità e differenza, insomma il principio di non contraddizione)>> alla <<struttura del dire>> affètta dalla <<presunzione di tener ferme le differenze, le distinzioni>>, egli ricorre a quella stessa logica dell’identità-differenza che, invece, DICE (quindi PENSA) di criticare e/o almeno ridimensionare!

Infatti, tale logica dell’identità-differenza è pienamente all’opera dove egli riconosce che il DIRE: <<se e solo se è pensabile, allora sarà sensatamente dicibile>> DIFFERISCE dal DIRE: <<che ciò che viene detto, poi-ché (dopo che, dopo il fatto che) viene detto, sia per ciò stesso anche pensabile>>, e quindi accetta il primo DIRE e rifiuta (nega) il secondo, conformemente alla logica dell’identità-differenza.

Ciò vuol dire (appunto!) che la logica dell’identità-differenza TIENE FERME <<le differenze, le distinzioni>> vigenti tra il primo DIRE, che Marco Cavaioni accetta, ed il secondo DIRE, che invece nega.

Per cui egli si ritrova suo malgrado a NEGARE che la logica dell’identità-differenza abbia la <<presunzione di tener FERME le differenze, le distinzioni>>!

Se non le tenesse FERME, egli non potrebbe accettare il primo DIRE e rifiutare come ILLOGICO il secondo!

Evidentemente, tale suo DIRE è tutt’uno con il suo PENSARE, per cui anche il DIRE <<che ciò che viene detto, poi-ché (dopo che, dopo il fatto che) viene detto, sia per ciò stesso anche pensabile>>, è accettabile nella misura in cui il DIRE NON è disgiungibile dal pensare.

Infatti, allorquando Marco Cavaioni DICE l’impensabilità dell’<<atto di pensiero>>, non sta forse già pensandoLO?

Se così non fosse, NESSUNO RIUSCIREBBE A COMPRENDERE di che cosa egli stia parlando, riferendosi a (DICENDO) l’<<atto di pensiero>>.

Al che, egli osserva:

<<Ma non è difficile capire che, laddove tutto fosse oggetto ed oggettivato (pensato), nemmeno oggetto ed oggettivazione vi potrebbe essere, nonostante le pretese di verità che tale impostazione rivendica. O, meglio, ciò accade proprio per tale assurda PRETESA e pretesa di DIRE (determinare, significare, semantizzare, oggettivare) la verità assoluta, ergo innegabile, ergo indeterminabile, inoggettivabile>>.

Ma tali APORIE/INCONGRUENZE nascono proprio dalla PRETESA filosofica di NON poter <<DIRE (determinare, significare, semantizzare, oggettivare) la verità assoluta>> nel momento stesso in cui si PRETENDE di parlare DELLA <<verità assoluta>> che, perciò, comporta il suo DIRLA, determinarLA, significarLA, semantizzarLA, oggettivarLA in qualche modo.

La contraddittoria pretesa impossibilità di OGGETTIVARE l’inoggettivabile <<atto di pensiero>> NON è una PROVA che esso sia l’ASSOLUTO (Dio), al contrario: è la PROVA della contraddittorietà di voler evitare l’oggettivazione di ciò che viene PENSATO/DETTO.

Per tale ragione OGNI filosofia che tenti speculativamente di avventurarsi nei pressi dell’assoluto (o di Dio), non potrà che fallire miseramente, avvolgendosi in infinite contraddizioni e, perciò, a mio avviso Dio è ‘avvicinabile’ soltanto per FEDE, ché, se si tenta la via speculativo-filosofica, è inevitabile imbattersi poi nelle aporie non solo del DIRE ma, insieme, del PENSARE…

 

Roberto Fiaschi

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venerdì 20 dicembre 2024

141)- F. FAROTTI: IL DESTINO SEVERINIANO COME «MASSIMO DI RICONOSCIMENTO DEL VALORE DEL CRISTIANESIMO»

 
Se per il prof. Fabio Farotti (1), severiniano, il Cristianesimo è l’<<alter ego folle del destino>>, da parte mia ribalterei i termini:

il destino severiniano come alter ego FOLLE del Cristianesimo.

Ma non è di questo che vorrei parlare.

Mi piace, infatti, riportare una piccola parte di un suo bell’articolo sul rapporto Cristianesimo-Destino, tratto dal testo: <<Cristianesimo e Emanuele Severino. Quali possibilità di confronto? Approcci filosofici e teologici>> (PADOVA UNIVERSITY PRESS 2021).

Esso rappresenta _ per dirlo con le parole del suo autore _ <<il massimo di riconoscimento del valore del cristianesimo>>.

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 <<1. Cristianesimo come la più alta sapienza isolata.

Richiamandomi al nesso (necessario – secondo il destino della necessità) chiarito da Emanuele Severino ne La morte e la terra (2) fra terra isolata dal destino e pura terra (= la terra che appare nel destino non contrastato dall’isolamento nichilistico), onde ogni evento della terra isolata si fonda sulla terra non isolata o pura, rispetto alla quale non è tutt’altro, ma l’esito stravolto di un corrispondente essente non isolato; e considerando che ciò vale per qualsivoglia essente, dunque anche per ogni forma di sapienza isolata dal destino (dalla filosofia greca, alla scienza moderna, all’Illuminismo, all’Idealismo, al Comunismo…), alla luce insomma di questa corrispondenza fra terra isolata e terra pura, tento – nel saggio Presagi del destino. Emanuele Severino e il cristianesimo (3) di mostrare che fra tutte le forme di sapienza della terra isolata, il cristianesimo è la più simile al destino della verità (di cui i “cosiddetti” libri di E. Severino sono la testimonianza). Questo stesso – il destino stesso, cioè – ma, radicalmente stravolto in quanto preso nella rete sfigurante dell’ontologia greco-nichilistica che, del tutto condivisa, il cristianesimo si porta in seno. In contrapposizione, direi che la sapienza meno simile al destino, agli antipodi dunque, nell’isolamento, rispetto al cristianesimo è costituita dal pensiero di Leopardi e Nietzsche. Tra questi due estremi, si dispiegano tutti i medi da cui è costituita la cultura e la civiltà occidentale, ormai planetaria. Il cristianesimo, dunque, complessivamente considerato come la sapienza della terra isolata, nell’abissale distanza, più simile al destino della verità. Lo sforzo più disperatamente proteso ad affermare l’eternità di ogni essente nella Gioia, sulla base della persuasione preliminare – e fatale! – del diventar nulla e da nulla. (Non per caso, direi, nell’Opera severiniana ci si imbatte non di rado in preziose immagini tratte dalla grande miniera cristiana, per illustrare in forma metaforica, perciò più immediatamente fruibile, la spaventosa complessità concettuale del destino). Il cristianesimo dunque che, se per sé preso è contraddizione (duplice: 1. rispetto alle proprie premesse ontologiche greco-nichilistiche; 2. rispetto al destino), assunto invece come non separato dal destino (suo necessario retroscena, come di ogni cosa), ne è anche il più alto presagio. Si tratta della tesi di fondo del saggio: il cristianesimo come contraddizione e presagio (il più alto). Anche ogni altra forma di sapienza isolata stringe necessariamente un nesso di similarità col destino (= esprime, immersa nella follia, il destino o qualche suo tratto), ma, diciamo, complessivamente, restandone più remota e aliena: “meno simile”. E però il “cristianesimo” non si presenta come una sapienza compatta e univoca; anzi, come ben si sa, estremamente variegata e spesso duramente conflittuale. Di qui il problema. Tra le forme di “cristianesimo” così diverse e contrastanti quali la (sua) storia ci mostra, quale privilegiare come la più simile, nella distanza incolmabile, al destino? In fondo abbiamo già risposto: quella meno segnata dalla coerenza nichilistica che necessariamente, per altro, gli urge dentro, e dunque quella in cui, nonostante tutto (e cioè contraddittoriamente), l’impegno di assegnazione dell’eternità gioiosa ad ogni cosa è massimo. Sino a raggiungere persino i corpi individuali (nella resurrezione finale). Questo il criterio del privilegiamento: il “cristianesimo” nella sua forma più contraddittoria e perciò meno rispettosa delle proprie premesse greche – quasi non ci fossero, nel mentre che pure sono riconosciute con viva potenza – circa la “certezza inconcussa” riguardo all’“esperienza” intesa come ciò in cui si mostra con evidenza il diventar nulla e da nulla (donde un Dio che crea ex nihilo, il dolore come vero annientamento, e il libero arbitrio dell’uomo, analiticamente implicante l’ancor nulla del futuro). Daccapo: lo sforzo più potente (rispetto a ogni altra sapienza della terra isolata, Oriente incluso) di affermare l’eternità di ogni cosa, restando totalmente immersi nella persuasione del divenire come creazione e annientamento. Sì che proprio esso che, a suo modo (e cioè alla rovescia), ci indica la via, proprio esso è destinato necessariamente a perderla (a non trovarla sin da principio né mai) e ad annunziare che Dio è morto: speculativamente parlando è il cristianesimo stesso infatti (e, alla sua radice, la Grecia) che parla in nome della “verità” (= della coerenza della follia) in Leopardi e Nietzsche. Dunque non il cristianesimo demistificato (demitizzato) e cioè progressivamente svuotato rispetto alle sue più grandi intuizioni (i “dogmi”), ove l’alibi dello spazio da riconoscere allo “spirito” – che poi a ben vedere è sempre lo “spirito del divenire” –, liberandolo dalla lettera e dal mito, finisce per ucciderlo proprio nella sua presaga grandezza. Allora quello più tradizionale e “dogmatico” (da S. Paolo, suo “fondatore”, ad Agostino e Tommaso, sino ai più grandi papi del nostro tempo: Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI), quello cioè che fermamente sostiene la trascendenza di Dio e il suo essere atto puro, l’incarnazione storica del Figlio, la sua nascita dalla vergine Maria, la sua morte (reale, storica) e la sua resurrezione (non metaforica!), la provvidenzialità della storia, l’idea di “uomo” come figlio di Dio, l’Apocalisse, il Giudizio Universale e la resurrezione dei morti (imprescindibile!) e anzi dell’intera Natura. Quello più tradizionale, s’è detto […]>>.

[…]

<<3. Destino e fede (cristiana).

Cristianesimo e destino si danno dunque la mano? Ma anche l’errore più grave e aberrante (che in quanto errare è ben qualcosa) è tenuto per mano dal destino (fondamento della stessa contraddizione – distinta come tale e cioè in quanto essente dal suo contenuto nullo). Cui nulla sfugge, escluso il nulla. Che però, essendo nulla, neppure può sfuggire (mentre il suo positivo significare – come di ogni altro concetto autocontraddittorio – è a sua volta un non-niente, dunque parte del destino e del Tutto). A maggior ragione il cristianesimo. Che non è solo “qualcosa”, ma una grande forma di sapienza. Profondamente avvelenata bensì, ma non a tal punto da non potersi costituire – essa, davanti a tutte – come l’alter ego folle del destino. Il che ci sembra proprio il massimo di riconoscimento del valore del cristianesimo>>.

NOTE:

(1) Fabio Farotti – Docente al Master Death Studies & the end of life all’Università Degli Studi di Padova.

(2) EMANUELE SEVERINO, La morte e la terra, Adelphi, Milano 2011.

(3) FABIO FAROTTI, Presagi del destino. Emanuele Severino e il cristianesimo, University Press, Padova 2021.

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giovedì 19 dicembre 2024

140)- TECNOLOGIA E CRISTIANESIMO

Riporto il seguente post di Sebastiano Dell'Albani:

<<FROM SD’S LIBRARY -POST N. 91 – 16 DICEMBRE 2024

LA POTENZA DELLA TECNOLOGIA GOVERNA IL MONDO.

Religione, cristianesimo, politica, fede religiosa perdono totalmente il loro senso e significato a fronte di questa immane potenza.

Persino l’individuo dotato di media intelligenza, che fino a pochi anni fa era apprezzato, ha perso il suo valore e la sua intelligenza è totalmente svilita dalla inaudita potenza di questi computer quantistici straordinariamente intelligenti. Questa potentissima tecnologia ha avuto aperta la strada dalla filosofia che ha chiarito ad essa che non ci può essere nessun limite alla sua potenza. L’uomo si illude di poter dominare la potenza tecnologica ma ne è totalmente dominato. Ha rotto la gabbia che teneva prigioniero il “mostro” e ormai non si può più richiudere. La gabbia che ci proteggeva dal “mostro” è stata aperta dalla stessa metafisica della filosofia della tradizione, la chiave per l’apertura della “gabbia”. Chiunque, dotato di un minimo raziocinio, riesce a capire che questa immane potenza potrà sì essere usata a beneficio dell’uomo ma può più facilmente essere usata per manipolare e distruggere il mondo e l’uomo perché essa è potenza pura che mira -servendosi dell’uomo -ad aumentare all’infinito la sua potenza. Essa non distingue tra bene e male, non ha etica, la sua etica consiste solo nell’aumento indefinito della sua stessa potenza. Ma forse lo sguardo semplice, dolce e sincero di una ragazza che mostra tutta l’umanità insita nell’uomo potrà salvarci. «Google ha presentato Willow, un chip quantistico rivoluzionario capace di risolvere in cinque minuti un problema che i supercomputer attuali impiegherebbero 10 settilioni di anni a completare. Questo straordinario risultato, spiegano gli esperti, segna un punto di svolta nella computazione quantistica, tecnologia che utilizza i principi della fisica delle particelle per creare computer di potenza inimmaginabile. Le potenziali applicazioni sono enormi- dalla progettazione di reattori nucleari allo sviluppo di farmaci, al miglioramento delle batterie per auto elettriche.» da FQ, 16 dicembre 2024>>.

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L’affermazione posta a mo’ di esergo da Sebastiano Dell'Albani risulta del tutto falsa soprattutto in relazione al contenuto del suo stesso post che dovrebbe confermarla, mentre, invece, la smentisce palesemente.

Ricordiamo l’affermazione:

<<Religione, cristianesimo, politica, fede religiosa perdono totalmente il loro senso e significato a fronte di questa immane potenza>>.

E ora leggiamo il post.

Sebastiano Dell'Albani scrive che

<<L’uomo si illude di poter dominare la potenza tecnologica ma ne è totalmente dominato>>.

Subito dopo, però, SI SMENTISCE:

<<Chiunque, dotato di un minimo raziocinio, riesce a capire che questa immane potenza potrà sì essere usata a beneficio dell’uomo>>.

Infatti, la possibilità di essere <<usata a beneficio dell’uomo>> rappresenta il DOMINIO che l’uomo esercita sulla tecnologia SCEGLIENDO/PRIVILEGIANDO il <<beneficio dell’uomo>> anziché la sua distruzione.

Dunque NON è vero che l’uomo debba NECESSARIAMENTE illudersi <<di poter dominare la potenza tecnologica>>.

<<Chiunque, dotato di un minimo raziocinio, riesce capire>> che se egli fosse così <<totalmente dominato>>, non avrebbe allora alcun senso affermar che essa POSSA <<essere usata a beneficio dell’uomo>>, dal momento che questa SCELTA/POSSIBILITÀ NEGA che l’uomo ne sia inevitabilmente <<dominato>>…

Dopodiché Sebastiano Dell'Albani aggiunge:

<<ma può più facilmente essere usata per manipolare e distruggere il mondo e l’uomo perché essa è potenza pura che mira -servendosi dell’uomo -ad aumentare all’infinito la sua potenza. Essa non distingue tra bene e male, non ha etica, la sua etica consiste solo nell’aumento indefinito della sua stessa potenza>>.

Quindi, qui si riconosce e si ammette implicitamente che soltanto l’ETICA potrebbe guidare <<la potenza tecnologica>> al fine di NON <<manipolare e distruggere il mondo e l’uomo>> bensì per <<essere usata a beneficio dell’uomo>>.

Bene.

Tale riconoscimento, però, SMENTISCE la tesi iniziale di Sebastiano Dell'Albani, secondo cui <<Religione, cristianesimo, politica, fede religiosa perdono totalmente il loro senso e significato a fronte di questa immane potenza>>, giacché <<Chiunque, dotato di un minimo raziocinio, riesce capire>> che, per rendere possibile l’orientamento della tecnologia <<a beneficio dell’uomo>>, si debbano spendere le migliori risorse etico/umane, costituite appunto dalla <<Religione, cristianesimo, politica, fede religiosa>>!

Proprio perché la potenza tecnologica <<non distingue tra bene e male, non ha etica>>, allora Religione, cristianesimo, politica, fede religiosa devono INDIRIZZARE tale potenza _ e ciò comporta di non esser da essa <<totalmente dominati>> _ affinché sia <<usata a beneficio dell’uomo>>.

Ciò è nuovamente confermato, contro se stesso, dallo stesso Sebastiano Dell'Albani ove scrive che <<forse lo sguardo semplice, dolce e sincero di una ragazza che mostra tutta l’umanità insita nell’uomo potrà salvarci>>.

Che senso ha, allora, asserire che <<L’uomo si illude di poter dominare la potenza tecnologica ma ne è totalmente dominato>>?

Se siamo condannati ad illuderci, allora NEMMENO <<tutta l’umanità insita nell’uomo potrà salvarci>>.

Sebastiano Dell'Albani potrebbe replicare che, in realtà, anche la scelta etica di impiegare la potenza tecnologica a fin di bene riconfermi il dominio ed il perpetuarsi di essa sull’uomo, dominio che perciò non verrebbe smentito dall’orientamento etico impresso alla tecnologia.

Ma, in tal caso, verrebbe dominato l’<<aumento indefinito della sua stessa potenza>> a discapito di essa.

Pertanto, a perdere <<totalmente di senso e significato>> è l’accoglienza acritica di tesi aventi come sottofondo una concezione RIDUTTIVA dell’essere umano quale volontà illimitata di potenza che nella tecnologia troverebbe il proprio inveramento essenziale.

 

Roberto Fiaschi

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(Le fotografie del robot e della fanciulla con <<lo sguardo semplice, dolce e sincero>> sono tratte dal post di Sebastiano Dell'Albani).

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mercoledì 18 dicembre 2024

139)- ETICITÀ NELLA FILOSOFIA DI SEVERINO?


Riporto il seguente scritto di Sebastiano Dell'Albani:

<<FROM SD’S LIBRARY -POST N.92 – 17 DICEMBRE 2024

IL PENSIERO DI SEVERINO HA PROFONDE RICADUTE ETICHE NELLA PRASSI DELL’UOMO.

Il sistema filosofico di Severino è profondamente intrecciato con la dimensione etica, anzi è il sistema in cui l’etica assurge a primaria importanza. Infatti cosa può esserci di più etico che mettere in luce l’errore nichilistico di far coincidere tutti gli enti con il nulla originante violenza e morte e riuscire a vedere la luce della verità che giace nel profondo del nostro essere e che sola si oppone alla violenza e alla morte? L’etica della verità. La luce della verità giace nel profondo dell’essere dell’uomo. Ma egli non può vederla perché il nichilismo (nichilismo= far coincidere tutti gli enti, uomo compreso, con il nulla) l’errore profondo che avvolge le coscienze umane non permette di vedere questa luce. Ma l’uomo è l’apertura alla verità e come tale può riflettere su questo esiziale errore e liberarsene. La filosofia di Severino mette pienamente in luce questo errore e per ciò stesso, contrariamente a quanto pensano in molti, troppi, ha una profondità etica straordinaria. Non può esserci nulla di più etico che mettere in luce il fatto che la violenza della concezione nichilistica che ha governato e governa la civiltà occidentale -ma ormai anche la civiltà orientale – ha la sua radice logica e ontologica (riguarda l’ente in quanto tale e anche l’uomo ovviamente) nel vedere tutte le cose come distruggibili e manipolabili a volontà. Distruggerle e poi ricrearle o ricostruirle a volontà. La volontà di dominio e prevaricazione, di popoli su altri popoli, di gruppi sociali su altri gruppi trae la sua origine e potenza proprio da questa concezione. Essa rappresenta quindi la distruzione dell’etica e dell’uomo stesso. Questa non etica è incarnata nel dominio del mondo da parte della tecnologia vista quest’ultima non solo nell’ottica di migliorare la vita dell’uomo ma soprattutto come potenza che nutre sé stessa in un processo all’infinito in cui l’uomo diventa una insignificante rotellina che può essere spazzata via senza che la coscienza collettiva emetta neanche un soffio anzi considera ciò del tutto normale. L’uomo nella logica del nichilismo è visto come un apparato progettante che lo rende del tutto simile alla tecnica essa stessa apparato progettante. Così sembra esserci perfetta sintonia tra l’apparato-uomo e l’apparato-tecnica. Ma pensare ciò sarebbe solo superficialità. L’apparato-tecnica - dato che la sua unica etica coincide con il suo infinito accrescimento di potenza – sta sottomettendo l’uomo e sottometterà l’uomo sempre di più. La potenza dell’apparato tecnologico sta già trovando i suoi alleati in piccoli e potentissimi gruppi umani che credono illusoriamente di servirsi della tecnica per diventare sempre più ricchi e potenti senza essere consapevoli che è la tecnica a servirsi di loro. Questi gruppi umani credono ingenuamente di servirsi della potenza della tecnica contrapponendola alla potenza di altri gruppi che si servono della stessa potenza tecnica per sfidarsi in guerre sempre più violente e distruttive. In questo caso la violenza brutale originata da questo nichilismo è palese. Ma la violenza nichilistica può essere più nascosta per arrivare ad una pace tecnica dove essa non è appariscente ma solo latente pronta ad esplodere presto o tardi. La vera pace può trovarsi solo nella verità del non nichilismo. È proprio per questo che Severino afferma quando scrive che la tecnica non necessariamente ha l’ultima parola perché solo il nichilismo può dare l’ultima parola alla tecnica>>.

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Temo che l’autore del post (che sia Sebastiano Dell'Albani o la ChatGPT, al momento poco importa) si voglia ILLUDERE sull’eticità della filosofia di Emanuele Severino.

Alla domanda che Sebastiano Dell'Albani (si) pone:

<<cosa può esserci di più etico che mettere in luce l’errore nichilistico di far coincidere tutti gli enti con il nulla originante violenza e morte e riuscire a vedere la luce della verità che giace nel profondo del nostro essere e che sola si oppone alla violenza e alla morte?>>,

egli risponde:

<<L’etica della verità>>.

Peccato che tale etica sia del tutto IMPOTENTE ad agire eticamente, appunto. Essa è e rimane semplice chiacchiera, giacché non può AGIRE sulla realtà se non SMENTENDO SÉ STESSA, giacché l’AGIRE etico (ma anche non etico) è, per Severino, l’immagine dell’ALIENAZIONE più profonda che costituisca il mortale, ciascun di noi.

Eticamente parlando, serve perciò a ben poco <<mettere in luce l’errore nichilistico di far coincidere tutti gli enti con il nulla originante violenza e morte>> se poi l’agire etico che dovrebbe arginarlo, si rivela come il massimo <<errore nichilistico>> in quanto, proprio per agire eticamente, è necessario agire facendo <<coincidere tutti gli enti con il nulla originante violenza e morte>>!

Infatti, prefiggendoci l’obiettivo (non a parole, bensì operando) di opporci <<alla violenza>>, nessuno di noi potrà evitar di voler TRASFORMARE ( = far diventare altro da sé) quella violenza in rispetto e pace, ossia proprio facendo <<coincidere>> la violenza <<con il nulla>> il quale, però, sarebbe <<originante violenza e morte>>!

Pertanto è chiaro:

stanti le premesse ontologiche della filosofia severiniana, è del tutto VANO è tentar di rintracciare una qualsivoglia <<etica della verità>> nella filosofia di Severino, se non richiamando un vago “Non Agire” ( = Wu Wei) di ascendenza taoista...

Come s’è visto, lo stesso Sebastiano Dell'Albani riconosce che l’<<etica della verità>> (cioè la concezione etica come emerge dalla filosofia di Severino) <<si oppone alla violenza e alla morte>>.

Dal che consegue il PARADOSSO secondo cui ogni forma di <<violenza>> è comunque un ESSENTE ETERNO inviato, nel cerchio finito dell’apparire, dallo stesso Destino di cui parla Severino, col risultato, perciò, che esso dapprima invia il nichilismo e con esso la <<violenza>>, per poi OPPORVISI facendo riferimento ud una presunta <<etica della verità>> la quale, però, se intende davvero OPPORSI alla <<violenza>>, deve AGIRE secondo i dettami di quello stesso nichilismo/<<violenza>> che tale etica vorrebbe combattere!

Sebastiano Dell'Albani ritiene che la concezione severiniana sia sommamente etica perché riuscirebbe a far <<vedere la luce della verità che giace nel profondo del nostro essere>>.

Purtroppo per lui, anche ammettendo (senza concederlo, giacché la persona umana, essendo CONTRADDIZIONE cioè ERRORE, non può mai sperare) di poter <<vedere la luce della verità>>, questa non potrebbe proporglisi come <<etica della verità>>, perché tale <<luce>> non ha lo scopo di guidare eticamente le azioni degli umani, bensì di NEGARLE in quanto espressioni del nichilismo.

Come si può vedere, dunque, NON È VERO che l’uomo possa <<riflettere su questo esiziale errore e liberarsene>> cioè liberarsi dal nichilismo o dall’<<errore profondo che avvolge le coscienze umane [il quale] non permette di vedere questa luce>>; tentare di liberarsi da tale errore, infatti, implicherebbe doversi liberare DA SE STESSI cioè DALLA PROPRIA PERSONA vista da Severino come ERRORE ETERNO ed eternamente inemendabile, e ciò non farebbe altro che alimentare l’agire nichilistico, sia pur eticamente inteso, che appunto connoterebbe l’essere umano in quanto ERRORE, cosicché gli sia persin preclusa la possibilità di esser <<l’apertura alla verità>>…

(Le fotografie di Severino accanto ad un bel ramoscello di fiori sono tratte dal post di Sebastiano Dell'Albani).

 

Roberto Fiaschi

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sabato 14 dicembre 2024

138)- «SEVERINO, LA FILOSOFIA, I VALORI»

Questo è il titolo dell’incontro tra due filosofi allievi di Emanuele Severino: Nicoletta Cusano e Luigi Vero Tarca, avvenuto il 13 dicembre 2024 a Brescia e reperibile qui: https://www.youtube.com/live/oFRPW-DkUj4

Purtroppo il video dura 2 ore e 26 minuti e mi è impossibile seguirlo. Quanto ho qui riportato, perciò, è una brevissima (ma significativa) trascrizione effettuata da Mario Ciattoni che ringrazio.

<<Tarca: Posso farti una domanda? Chiedo: se il vivente è volente, l'umano è l'essere che vuole, se volere vuol dire volere la trasformazione nichilistica, cioè volere che qualcosa diventi altro da sé, quindi diventi nulla, e ciò è impossibile, che messaggio dà al vivente umano questo discorso di Severino?

Cusano: Questa è una bella domanda.

Tarca: Hai capito? A me che sono un vivente, e che quindi voglio, che cosa dice questo discorso di Severino?

Cusano: Ti dice quello che sei. Ti dice che l'acqua è acqua e il fuoco è fuoco, e che tu sei volontà di far diventare altro. Allora un conto è esserlo senza saperlo...

Tarca: Perché dovrei stare ad ascoltare questo discorso piuttosto che andare a ballare?

Cusano: Penso di averlo detto prima, perché è l'unico discorso che sta, se a te interessa un discorso che sta...

Tarca: Perché dovrebbe interessarmi questo discorso?

Cusano: Ah, guarda, se vuoi contraddirti sei libero di non ascoltarlo.

Tarca: Ma perché contraddirsi dovrebbe essere un male? Wittgenstein dice verrà il giorno in cui saremo fieri di essere nella contraddizione.

Cusano: Bene, perché la contraddizione è quella che ho proposto al ragazzo qui davanti: dire e non dire una cosa. Se a te interessa dire e non dire una cosa, va benissimo.

Tarca: Certo.

Cusano: Il prof. Tarca dice e non dice, ed è contento così; io preferirei dire senza contraddirmi.

Tarca: Quindi abbiamo due preferenze (...) Io godo nel contraddirmi, sono due volontà, tu godi nel non-contraddirti. Perché il giovane dovrebbe scegliere il tuo discorso?

Cusano: Se fosse solo il frutto di una scelta... Abbiamo già detto che il valore è un voluto, in quanto voluto è nichilismo, e di conseguenza abbiamo chiuso il discorso>>.

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Relativamente a questi scambi di battute, il mio accordo propende nettamente a favore di quanto detto dal prof. Luigi Vero Tarca (LVT).

Motiviamolo.

Alla domanda di LVT:

<<che messaggio dà al vivente umano questo discorso di Severino?>>,

Nicoletta Cusano (NC) risponde:

<<Ti dice quello che sei. Ti dice che l'acqua è acqua e il fuoco è fuoco, e che tu sei volontà di far diventare altro. Allora un conto è esserlo senza saperlo...>>.

Quindi, se l’<<esserlo>> SAPENDOLO _ come nel caso NC _, costituisce il cuore del <<messaggio>> che il <<discorso di Severino>> <<dà al vivente umano>>, tale risposta altro non fa che ribadire quanto era già esplicito nella domanda di LVT, ossia che <<il vivente è volente, l'umano è l'essere che vuole>>, il che è esattamente quanto ciascun essere umano GIÀ SA a prescindere del <<messaggio>> di Severino, per cui quest’ultimo si limiterebbe a ribadire l’ovvio in quanto universalmente risaputo.

Senonché, NC farà osservare che, invece, ciò che l’essere umano NON SA è che _ per usare le stesse parole di LVT _ <<se volere vuol dire volere la trasformazione nichilistica, cioè volere che qualcosa diventi altro da sé, quindi diventi nulla, e ciò è impossibile>>.

Eccolo, dunque, l’autentico centro del <<messaggio>> di Severino e che, secondo NC, farebbe la differenza tra il saperlo ed il non-saperlo.

Ora chiedo: QUALE DIFFERENZA, tal saperlo, farebbe?

Avere un insieme di NOZIONI filosofiche in più rappresenta davvero una differenza tale da costituirsi come <<messaggio>>, rispetto al non averle?

 Certamente sì, a livello ‘quantitativo’, se posso dir così; NO, invece, a livello esistenziale-qualitativo.

Infatti, tale <<messaggio>>, NON apporta alcuna REALE differenza nella vita quotidiana, giacché ANCHE NC, come tutti noi, continuerà a <<volere la trasformazione nichilistica, cioè volere che qualcosa diventi altro da sé>>, se vorrà continuare a vivere…

Il MERO SAPERE la (presunta!) impossibilità <<che qualcosa diventi altro da sé>> non può costituirsi come IL <<messaggio>> che Severino <<dà al vivente umano>>, appunto perché esso è soltanto un insieme di NOZIONI (per quanto meticolosamente elaborate/argomentate) da far proprie o, se si vuol utilizzare il linguaggio del filosofo bresciano, che appaiono.

Certo, se a tutto ciò aggiungiamo quell’altro aspetto teoretico costituito dalla Gloria e dalla Gioia eterna, allora questo sarebbe un SAPERE già più sostanziale esistenzialmente parlando, sì, ma si tratterebbe pur sempre di un insieme di NOZIONI, giacché NEPPURE il saper ciò cambierebbe il volere <<che qualcosa diventi altro da sé>> in un NON-volere (continuando, però, nelle proprie giornate a voler _ o meno _ trasformare il caffè in polvere e l’acqua fredda in caffè caldo)…

Per cui, SAPERE di essere una <<volontà di far diventare altro>> NON sembra avallare la tesi di NC secondo la quale <<un conto è esserlo senza saperlo>>.

Continuando a seguire la loro conversazione, LVT chiede:

<<Perché dovrei stare ad ascoltare questo discorso piuttosto che andare a ballare?>>, e NC risponde:

<<perché è l'unico discorso che sta, se a te interessa un discorso che sta>>.

Siccome LVT inizialmente chiedeva: <<A me che sono un vivente, e che quindi voglio, che cosa dice questo discorso di Severino?>>, allora, che esso sia <<l'unico discorso che sta>> che rilevanza potrà mai avere nel quotidiano il quale, sulla base dello STARE da parte di una tesi filosofica, NON subirà comunque alcun apporto in forza di tale <<messaggio>> che invece, poiché rivolto a <<me che sono un vivente, e che quindi voglio>>, dovrebbe apportare?

Forse che tale apporto (che secondo NC farebbe la differenza tra saperlo e non-saperlo) debba consistere in un insieme di tesi filosofiche sol perché esse STANNO?

Un po’ pochino…

… Dopodiché, NC afferma:

<<io preferirei dire senza contraddirmi>>, e precisa che <<il valore è un voluto, in quanto voluto è nichilismo>>, ossia, NC VUOLE/SCEGLIE di non-contraddirsi.

Ma allora, anche la PREFERENZA o la SCELTA di non-contraddirsi da parte di NC, in quanto essa <<è un voluto>>, <<è nichilismo>> cioè è un CONTRADDIRSI, giacché il nichilismo _ nonché la volontà _, sempre per Severino, è l’essenza della contraddizione/dirsi.

Quindi, anche ammesso e non concesso che il VOLERE sia contraddizione, allora il VOLERSI non-contraddire di NC è tanto contraddittorio quanto il VOLERSI contraddire di LVT.

Ciò, tanto più in base alla severiniana contraddizione C secondo la quale l’essente che appare È ed al contempo NON È MAI l’essente che, apparendo, dice di essere.

Pertanto, nonostante le intenzioni contrarie, anche il dire di NC (come quello di chiunque altro), pur preferendo <<dire senza contraddir[s]i>>, in nome della contraddizione C non è mai quello che dice (di essere), pur essendolo…

 

Roberto Fiaschi

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venerdì 13 dicembre 2024

137)- «GUAI, QUANDO TUTTI GLI UOMINI DIRANNO BENE DI VOI»

 

Ho aperto il presente infimo blog con l’intenzione di saggiare la consistenza delle critiche che il “MONDO” rivolge costantemente alla fede ed al Cristianesimo. Numerosissimi sono gli spazi, le pagine, i blog, i gruppi, i video e i canali dove viene costantemente preso di mira il Cristianesimo, per cui è davvero impossibile rispondere a ciascun di essi.

Però _ attenzione _ con questo blog NON mi sono affatto proposto di rendere il Cristianesimo un qualcosa di RAGIONEVOLE, DIMOSTRABILE, LOGICO e SCIENTIFICO!

GUAI a me! Se infatti avessi intrapreso questa strada, lo avrei RIDOTTO ad una ‘cosa’ del MONDO e come tale chiamato a giustificarsi con i mezzi del MONDO e, qualora non vi fosse riuscito, ad adeguarsi (quindi ad estinguersi dinanzi) al tribunale di esso, soverchiato dai suoi (del MONDO) innumerevoli e contrastanti verdetti.

Ma… Innanzitutto cosa intendo con il termine “MONDO”?

Intendo <<i Principati e le Potestà […]  i dominatori di questo MONDO di tenebra>>. - (Efesini 6:12).

Ossia le ideologie, le mode, i luoghi comuni, le politiche, le filosofie, le gnosi, le scienze o in generale TUTTE le concezioni che hanno come comune riferimento l’OSTILITÀ nei confronti del Cristianesimo e perciò contro il Dio da esso annunciato.

Naturalmente vi è anche un Cristianesimo DEL MONDO.

Esso consiste nell’intento di non contraddire troppo il MONDO ma, anzi, nell’adeguarsi ad esso quanto più è possibile, al fine di non dispiacergli e magari per raccattare qualche credente in più…

Ne sono un esempio Hans Kung (peraltro grandissimo teologo/studioso che amo molto per tanti aspetti), Vito Mancuso (che non amo affatto) ed altri…

Sto forse annoverandomi nella schiera dei letteralisti/fondamentalisti?

Non sia mai, giacché <<la lettera uccide, lo spirito invece vivifica>> - (2Corinzî 3: 6).

Il fatto è che, probabilmente, non pochi cristiani si SCORAGGIANO (e magari ABBANDONANO la loro fede, come testimoniano alcuni interventi nello spazio dei commenti sotto alcuni video del canale:

Sapiens Sapiens”, https://www.youtube.com/@SapiensSapiensChannel.

Essi sono (stati) verosimilmente cristiani DEL MONDO (ma anche cristiani letteralisti/fondamentalisti) che sino a quel momento avranno ritenuto che il Cristianesimo fosse ‘cosa’ ragionevole, dimostrabile, normalizzabile all’interno di un contesto dove prevalga il buon senso, la razionalità, la logica, lo scientificamente approvato, il sensatamente accettabile, il filosoficamente argomentabile…

In realtà, non si sono resi conto (e tutt’ora non se ne rendono conto) di quanto simili canali/video si rivelino esser una vera e propria MANNA DAL CIELO!

Come??? Con tutte le vagonate di DURISSIME CRITICHE che essi riversano quasi quotidianamente sulla fede e sui credenti, dovremmo considerarli una specie di benedizione??? Ma sei impazzito???

Esattamente, quegli innumerevoli canali YouTube rappresentano una vera e propria BENEDIZIONE per la fede e quindi per NOI cristiani.

Affermo ciò proprio perché noi siamo (o DOVREMMO farci e dichiararci) PAZZI, FOLLI e RIDICOLI dinanzi al MONDO ed alle sue ‘ragioni’ (in realtà leggasi FEDI, ma non sottilizziamo, per ora) che essi, quasi quotidianamente, nel WEB, distribuiscono a piene mani per cercare di demolire la fede cristiana.

Essi perseguono la loro ( = del MONDO) verità, consistente nel demolire la nostra.

Bene, è normale, ovvio, anzi direi: è DOVEROSO!

Dunque, opera MERITORIA, la loro; infatti

<<GUAI, quando tutti gli uomini diranno BENE di voi>>. - (Luca 6:26).

Ed aggiungerei:

GUAI, quando tutti gli uomini diranno BENE della nostra fede e/o del Cristianesimo e/o del Cristo!

Se ciò accadesse nell’attuale MONDO, vorrebbe dire che il Cristianesimo avrebbe miseramente FALLITO, facendosi complice di esso.

Qualcuno ebbe a scrivere che <<Dio scrive dritto sulle righe STORTE tracciate dagli uomini>> anzi, STORTISSIME, SPEZZETTATE, ai limiti dell’inintelligibile!

I canali come il suddetto, però, preferiscono ossessivamente evidenziare SOLTANTO le righe STORTISSIME, credendo (volendo e sperando) che esse costituiscano IL TUTTO esaustivo del Cristianesimo che vanno criticando.

Un’operazione ideologica tipica del MONDO, già ampiamente frequentata da Celso nel II secolo:

<<La dottrina cristiana è rozza, e per la sua rozzezza e la sua debolezza nelle argomentazioni ha conquistato solo persone rozze>> - (Celso: “Il discorso vero”. I, 27);

Gesù cioè <<Il loro maestro va in cerca di stupidi>> - (idem, III, 74);

<<I Cristiani sono impostori, ed evitano accuratamente le persone più sofisticate, perché poco disposte a lasciarsi ingannare; e adescano invece gli zotici>> - (VI, 14);

<<I Cristiani dicono che la sapienza umana è follia agli occhi di Dio. Il motivo di questa affermazione è stato esposto molto più indietro, ed è il fatto di voler fare proseliti solo fra gli incolti e gli sciocchi>>. - (VI, 12)…

Dunque, BENVENGANO i video accanitamente anti-cristiani, è infatti giusto e normale che il MONDO sguinzagli i propri anticorpi contro l’intruso cui è il Cristianesimo.

Perciò NON abbiamo bisogno degli APPLAUSI del MONDO bensì, al contrario, di ulteriori critiche feroci quanto più possibile, giacché

<<il messaggio della croce è FOLLIA per quelli che periscono, ma per noi che siamo salvati è potenza di Dio. 19 Sta scritto infatti: «Io farò perire la sapienza dei savi e annullerò l'intelligenza degli intelligenti». 20 Dov'è il savio? Dov'è lo scriba? Dov'è il disputatore di questa età? Non ha forse Dio resa stolta la sapienza di questo MONDO? 21 Infatti, poiché nella sapienza di Dio il MONDO non ha conosciuto Dio per mezzo della propria sapienza, è piaciuto a Dio di salvare quelli che credono mediante la FOLLIA della predicazione, 22 poiché i Giudei chiedono un segno e i Greci cercano sapienza, 23 ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che è SCANDALO per i Giudei e FOLLIA per i Greci; 24 ma a quelli che sono chiamati, sia Giudei che Greci, noi predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; 25 poiché la follia di Dio è più savia degli uomini e la debolezza di Dio più forte degli uomini>> - (1Corinzi 1:18-25).

Pertanto

<<Non amate il MONDO, né le cose che sono nel MONDO. Se uno ama il MONDO, l'amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel MONDO, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l'orgoglio della vita, non viene dal Padre, ma dal MONDO>> - (1 Giovanni 2:15-16).

<<State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno [ = del MONDO]; prendete anche l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio>> - (Efesini 6:14-17).

 

Roberto Fiaschi

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giovedì 12 dicembre 2024

136)- «QUANDO SEVERINO CONFONDEVA CONTRARIO E CONTRADDITTORIO (E COSTRUIVA UN CRISTIANESIMO TOTALITARIO)»

 

Non potevo esimermi dal riportar questo bell’articolo di Luigi Pavone del 02 Febbraio 2021, tratto da https://www.pangea.news/severino-cristianesimo-totalitario/.

<<Nel panorama della filosofia italiana del Novecento, Emanuele Severino occupa un posto particolare, tra la tradizione idealistica di Croce e Gentile, da un lato, e la neoscolastica di Bontadini, dall’altro. Rispetto al variegato quadro di tematiche affrontate nei suoi scritti, l’argomento che qui tratteremo per ricordarne la figura e l’opera a un anno di distanza dalla sua scomparsa potrà sembrare secondario. Non lo è però in relazione alle sue vicende personali. Alludiamo ai suoi rapporti con il mondo cattolico. Com’è noto, la filosofia di Severino fu condannata dalla Chiesa cattolica come una forma radicale di ateismo (C. Fabro, L’alienazione dell’occidente. Osservazioni sul pensiero di E. Severino, Quadrivium, Genova 1981).

Il tema del rapporto del cristianesimo con gli altri settori della società e della cultura, in particolare con l’ethos del capitalismo e delle democrazie liberali, è un motivo ricorrente negli scritti di Severino. Per Severino il cristianesimo sarebbe caratterizzato da una vocazione intrinseca al totalitarismo, coerentemente incarnata dalla dottrina sociale della chiesa cattolica. Contro questa tendenza a nulla varrebbero i tentativi di contrapporre alla chiesa delle gerarchie ecclesiastiche quella evangelica di Gesù, poiché sarebbe proprio Gesù a esigere un impegno politico dei cristiani in quella direzione.

Per sostenere questa tesi, Severino si serve di due principi evangelici. Il primo, è la celebre frase di Gesù: «rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Matteo 22). Il secondo è un’altra frase di Gesù: «nessuno può servire a due padroni […] non potete servire a Dio e a mammona» (Matteo 6). Lo sforzo ermeneutico di Severino è volto a mostrare come la congiunzione di questi due principi conduca a riconoscere nel cristianesimo tout court una coerenza interna verso il totalitarismo teocratico.

Una buona sintesi del suo ragionamento si trova nel libro A Cesare e a Dio (Rizzoli, Milano 1983) ma anche in altri scritti (ad esempio Pensieri sul cristianesimo, Rizzoli, Milano 1995). Cercheremo di ricostruirlo, cercando di argomentare che l’immagine di un Gesù non totalitario è di gran lunga più plausibile. Col che non si vuole negare che esistano tendenze autoritarie all’interno della chiesa cattolica; si vuole però suggerire che esse hanno una natura contingentemente storica, e non già «logica».

Gesù prescrive di dare «a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». Ma cosa succede quando Cesare chiede qualcosa che è contro Dio? Quale comportamento deve adottare il cristiano nei confronti di uno Stato che pretenda di essere un secondo padrone? Secondo Severino, la risposta di Gesù è contenuta nella frase «non potete servire a Dio e a mammona», dal momento che uno Stato che imponesse comportamenti contrari a Dio sarebbe mammona. In questo caso, sostiene Severino, è legittimo pensare che Gesù dica al fedele di non dare a Cesare ciò che domanda (cito da A Cesare e a Dio, Rizzoli, seconda edizione Milano 2007, p. 95). Questo è certamente plausibile. Ciò che non è plausibile, e che si costituisce come un non sequitur mai chiarito negli scritti del filosofo sull’argomento, sono le conclusioni che i cristiani «devono rendere cristiana la società in cui vivono», che «hanno l’obbligo di trasformare lo Stato in teocrazia facendo in modo che le leggi della fede cristiana divengano leggi dello Stato» (Pensieri sul cristianesimo, Rizzoli, Milano 1995, p. 57).

Queste conclusioni non sono accettabili perché dall’impossibilità morale per il cristiano di seguire le leggi dello Stato contrarie alle leggi di Dio non segue l’obbligo morale di trasformare le leggi della fede cristiana in leggi dello Stato. Il non sequitur è probabilmente prima facie occasionato da un fraintendimento della relazione di contrarietà che ha luogo quando Cesare chiede comportamenti contrari a Dio, confusa da Severino con quella di contraddizioneIl contrario implica il contraddittorio, ma non viceversa! Il fraintendimento coinvolge due fondamentali nozioni deontiche: permissione e obbligo. In virtù del quadrato modale delle opposizioni (che risale ad Aristotele), il rapporto di contrarietà tra due norme è quello che in generale sussiste tra l’obbligo che x e la non-permissione che x (cioè, l’obbligo che nonx). Il contraddittorio dell’obbligo che x è invece la permissione che nonx. È chiaro che l’obbligo che nonimplica la permissione che nonx, ma non viceversa: permettere a qualcuno di non fare qualcosa non implica obbligarlo a non farlaNel volere che la legislazione di Stato non pretenda comportamenti contrari a Dio, il cristiano vuole dunque la negazione del contrario, che non è (e non implica) la negazione del contraddittorioNel volere che la legislazione di Stato non pretenda comportamenti contrari a Dio, il cristiano vuole dunque la negazione della non-permissione dei contenuti delle leggi divine, vuole cioè che lo Stato permetta comportamenti cristiani. Ma, poiché la non-permissione che x non equivale alla permissione che non-x, combattere lo Stato-mammona significherà per il cristiano impegnarsi a realizzare semplicemente la nonnon-permissione dei contenuti delle leggi divine, vale a dire la permissione di quei contenuti. Se però fraintendiamo, come accade negli scritti di Severino, il rapporto di contrarietà tra norme con quello di contraddizione tra norme, sarà allora inevitabile considerare la negazione della non-permissione dei contenuti delle leggi divine come se implicasse la negazione della permissione di comportamenti non-cristiani. È perché Severino tratta il rapporto di contrarietà tra norme come equivalente al rapporto di contraddizione che egli può affermare che nel contrastare uno Stato contrario a Dio il cristiano è chiamato a trasformare lo Stato in uno Stato teocratico. Tolto quel fraintendimento è tolta anche l’immagine di un cristianesimo necessariamente totalitario>>.

Luigi Pavone